MATERIALI MEDIEVALI DALLO SCAVO DELLA CHIESA DI

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MATERIALI MEDIEVALI DALLO SCAVO
DELLA CHIESA DI S. SEVERO IN CLASSE
(RA)
di
PAOLA NOVARA
1. Nel 1964, nel quartiere suburbano di Classe, presso Ravenna, ha preso il via una serie di campagne di scavo attraverso le quali è stato possibile rimettere in luce i resti di un
complesso di edifici fra cui, in particolare, la basilica dedicata a S. Severo, vescovo di Ravenna.
La basilica, di cui sono state messe in luce le fondazioni, gran parte dei pavimenti musivi e, solo per pochi tratti,
una parte degli alzati, era una imponente fabbrica a tre navate
dotata di un’abside poligonale all’esterno e semicircolare all’interno, secondo una consuetudine ravennate, e di un ampio
nartece, la cui reale estensione è ancora da definire. Al nartece erano addossati alcuni piccoli monasteria la cui funzione e cronologia è stata ampiamente dibattuta dagli specialisti (per una sintesi delle discussioni vd. NOVARA 1996,
pp. 45-48).
Fra i numerosi materiali rinvenuti nell’ambito degli scavi, accanto alla prevalente presenza di frammenti di elementi marmorei di VI secolo (NOVARA 1996, pp. 54-74),
sono da segnalare alcuni pezzi medievali che possono essere attribuiti a interventi di modifica o aggiunta successivi
alle più antiche fasi del complesso. Come chiarito in altra
sede (ibid. pp. 51-54), non è possibile precisare a quale fase
di vita della struttura siano da attribuire i gruppi di materiali omogenei per cronologia e funzione, in quanto non sempre l’indagine ha seguito i più rigorosi e aggiornati metodi
scientifici. Aggiungo inoltre, e anche in questo caso ripeto
quanto già puntualizzato in altra sede (ibid. p. 52), che non
abbiamo elementi sufficienti a stabilire se nella ricostruzione quattrocentesca fossero introdotti materiali più antichi
recuperati da altri siti, fenomeno documentato in altri edifici ravennati di ricostruzione tardomedievale.
2. Secondo la narrazione del protostorico ravennate Andrea
Agnello (metà IX secolo), la costruzione della basilica di S.
Severo fu intrapresa dall’arcivescovo Pietro Senior (570578) (LP, XXVIII, 93, p. 337) e condotta a termine dal successore Giovanni Romano (578-595) (LP, XXIX, 98, p. 342;
in generale sulla chiesa DEICHMANN 1976, pp. 361-371; FARIOLI CAMPANATI 1983, pp. 28-40).
Non è dato sapere quando vi venissero introdotti i monaci benedettini: la più antica attestazione della presenza di
un abbas è del 955 (AAR, B, n. 489, 955 (...) 22, Ravenna;
ed. FANTUZZI III, pp. 1-5). Secondo una tradizione che ha
origine, probabilmente, con Pietro Damiano, il monastero
sarebbe stato istituito, nel 982, da Sergio, padre di S. Romualdo (FORTUNIO 1579, p. 184; MITTARELLI-COSTADONI I, p.
105); partendo da questa notizia, l’erudito Gerolamo Fabri
ritenne, senza alcun fondamento, che Sergio fosse figlio di
Stefano Traversari, capitano di Ravenna, e localizzò l’introduzione dei monaci nel 543 (FABRI 1664, p. 339). Un’altra ipotesi accreditata è quella che vuole l’istituzione del
monastero di poco precedente l’episodio dell’asportazione
delle reliquie di Severo, S. Vincenza e S. Innocenza, che,
come è noto, furono traslate a Magonza dal vescovo della
stessa città, Otgaro, nell’836 (LUBIN 1693, p. 319).
Nel XII secolo, e più precisamente nel 1112 o nel 1140,
secondo alcuni (per il 1112 vd. FABRI 1664, p. 339; LUBIN
1693, p. 103; UGHELLI 1717, col. 364; per il 1140 vd.
JONGELINUS 1640, p. 77), nel XIII, e più precisamente nel
1237 o nel 1247 o nel 1257 o, infine, nel 1274, secondo
altri (MANRIQUE 1642, p. 494) il complesso passò ai monaci
cistercensi; il più antico documento a me noto che indichi
la presenza dei monaci cistercensi in S. Severo è del 1262
(ASR, CRS, Classe, XV, V, n. 7 [A], 1262 novembre 8, Ravenna); in genere viene accettata, fra tutte le date ipotizzate, quella del 1257 proposta dal Manrique sulla base del
fatto che in uno statuto del capitolo generale dell’ordine,
tenutosi nel 1258, si presero provvedimenti per il monastero lasciando intendere che era un istituto da poco incorporato (CANIVEZ 1941, II, p. 443; in generale sulle discussioni
relative all’introduzione dei cisterciensi vd. JANAUSCHEK
1877, p. 251; BEDINI 1964, p. 161). I cisterciensi tennero il
monastero sino a quando venne istituita la commenda: nel
1455 il complesso fu annesso al limitrofo monastero di S.
Apollinare, dell’ordine camaldolese (NOVARA 1996, p. 32).
3. La pianta della primitiva basilica ci è nota attraverso i
resti emersi dagli scavi archeologici (NOVARA 1996, pp. 4548 e fig. 1), mentre poco sappiamo degli edifici annessi alla
primitiva struttura ecclesiale: questi dovevano comunque
essere particolarmente importanti se gli imperatori della
dinastia ottoniana, prima di procedere alla costruzione di
una residenza ufficiale vicino alle mura della città di Ravenna, fecero degli edifici monastici la loro sede (EADEM
1990, pp. 79-89).
Secondo quanto si può desumere dalla documentazione, l’edificio di culto visse, nel corso del medioevo, alcuni
momenti di relativa precarietà. Dal diploma emesso nel 967
da Ottone I, con il quale l’imperatore prendeva sotto protezione il cenobio concedendo i proventi di una insula domnicata (ASC, pergamene, n. 1 rosso, copia semplice del XIII
secolo, 967 novembre 25, Ravenna; ed. MGH, DD I, n. 349,
pp. 476-477) apprendiamo che l’interesse dell’imperatore
per il monastero fu dettato proprio da una supplica presentatagli dall’abate e da alcuni alti prelati con la quale si evidenziava lo stato di degrado, non solo spirituale, del complesso: i tetti della chiesa erano cadenti, le pareti minacciavano rovina, ecc.; al di là dell’aspetto puramente celebrativo, tipico di questi documenti coi quali si voleva evidenziare l’importanza dell’intervento imperiale, non vi è motivo per non credere a quanto viene riportato circa il degrado
dell’antica basilica, un fenomeno ricorrente, fra il IX e l’XI
secolo, negli edifici di culto ravennati e classicani (al riguardo vd. NOVARA c.s.). Non è dato conoscere, alla luce
non solo della documentazione scritta, ma anche di quanto
è emerso dagli scavi archeologici, l’entità dell’intervento
restaurativo.
Ancora nel XIII secolo la chiesa versava in precarie
condizioni: in un documento del 1285, col quale si richiedeva un aiuto in denaro per una eventuale ristrutturazione
(ASR, CRS, Classe, XVI, I, n. 14, A, 1285 luglio 27, Ravenna), l’edificio viene indicato come in rovina; solo pochi
anni prima si conservavano ancora alcune strutture dell’edificio, solitamente fra le prime ad essere smantellate, come
ad esempio l’ardica, in uso nel 1262 (ibid., Classe, XV, V,
n. 7, [A], 1262 novembre 8). Secondo la tradizione erudita
locale, nel 1448 la chiesa sarebbe stata spogliata dei rivestimenti marmorei ad opera di Sigismondo Pandolfo Malatesti, ma già Corrado Ricci ha dimostrato come la notizia sia
priva di fondamento (NOVARA 1996, pp. 30-32).
Malgrado le notizie relative allo stato di precarietà della chiesa, proprio la documentazione più tarda, a partire dal
XII secolo, offre informazioni utili al riconoscimento di alcune strutture annesse all’antica basilica che, dunque, dovevano continuare a vivere e ad essere impiegate.
Apprendiamo, ad esempio, dell’esistenza di un claustrum
monasterii S. Severi (AAR, E, n. 1263, 1121 (...), Ravenna;
ristr. FANTUZZI II, p. 262; ASR, CRS, Classe, XVI, V, n. 18,
[A], 1332 ottobre 4, Ravenna; ristr. FANTUZZI III, p. 207), di
un capitulum (ASR, CRS, Classe, vol. 16, p. 4, 1343 marzo
23) e di una sacristia (ibid., pp. 42-43, 1343 aprile 23). A
partire dal XIII secolo sono numerosissimi i documenti che
fanno riferimento all’esistenza presso S. Severo di un
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Fig. 3 – Campiano (Ra), pieve di S. Pietro. Particolare della
facciata.
Fig. 1 – Ravenna. Scavo della basilica di S. Severo. Colonnina
con capitello monoblocco frammentaria.
Fig. 4 – Campiano (Ra), pieve di S. Pietro. Bifora della facciata.
pulato col mastro Giovanni di Meii di Ferrara nel mese di
novembre di quell’anno (ASR, Archivio notarile, Protocollo 49, cc. 136r-137r, 1468 novembre 1, Ravenna); è assai
probabile che la chiesa fosse condotta a termine attorno al
1475, anno in cui vi furono reintrodotti gli abati regolari,
abolendo la commenda (MITTARELLI-COSTADONI VII, pp. 242,
293; per le successive modifiche e ricostruzioni vd. NOVARA 1996, pp. 36- 42).
Fig. 2 – Ravenna. Scavo della basilica di S. Severo. Antefissa con
volto umano.
palatio, che forse è da individuare in quella struttura o parte di struttura già esistente in età ottoniana ed adibita, in
quel periodo, a residenza imperiale (ASR, CRS, Porto, D,
n. 1163, 1261 febbraio 1, Ravenna, ristr. FANTUZZI II; p. 285;
ASR, CRS, Classe, capsa XV, fasc. V, nn. 16, 17, 18, 19, 20
[A], 1267 giugno 1-4, Ravenna; ibid., Classe, capsa XVI,
fasc. IV, n. 33 [A], 1316 febbraio 29, Ravenna: sub porticu
pallacii monasterii S. Severi).
Successivamente all’annessione al monastero di S. Apollinare, avvenuta nel 1455, si decise di ricostruire l’antica
basilica; lo stato di degrado in cui versava l’edificio, tale da
non consentire nemmeno un restauro, rese necessario l’atterramento delle strutture ancora in opera e la ricostruzione
dell’intera fabbrica. L’opera di ricostruzione dell’edificio
di culto fu intrapresa probabilmente sul finire del 1468,
poiché il contratto d’appalto per le opere murarie venne sti-
4. Purtroppo in merito alle modifiche operate sulle strutture
originarie e al rapporto intercorso tra le fasi di vita dell’edificio, i risultati degli scavi condotti nel sito della basilica,
non hanno dato indicazioni sufficienti a chiarire la questione.
Muri con andamento nord-sud verosimilmente attribuibili alla ricostruzione quattrocentesca della chiesa, sono stati
rimessi in luce all’altezza dell’attacco della solea del primitivo edificio (BERMOND MONTANARI 1968, p. 16 e NOVARA
1996, fig. 3). Si tratta di cortine costruite con materiali di
recupero (BERMOND MONTANARI 1966, p. 16) la cui limitata
estensione e frammentarietà non ha consentito di individuare alcuna interrelazione, tanto meno di proporre una planimetria comprensibile (vd. NOVARA 1996, fig. 3).
Come un probabile intervento altomedievale si è interpretato il piano pavimentale in opus sectile del bema che la
Bermond Montanari ha datato all’VIII-IX secolo (BERMOND
MONTANARI 1968, p. 22). Di questo pavimento è stato rimesso
in luce un lacerto eseguito con piastrelle marmoree di recupero, disposte casualmente, senza seguire un preciso disegno.
Dati circa eventuali ristrutturazioni o aggiunte avvenute nel corso del medioevo sono offerti da alcuni materiali
rimessi in luce nel corso delle varie campagne di scavo,
sino ad ora rimasti inediti.
Il primo pezzo che qui vogliamo esaminare è costituito
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antefissa a terminazione delle travi di sostegno dei tetti, come
ad esempio nella Pieve di S. Maria in Acquedotto, presso
Forlì (R USSO 1992, pp. 191-192), o nella pieve di
Montesordo (Fo) (BUDRIESI 1984, p. 140 e fig. 50 p. 178),
oppure come elementi di sostegno, nel luogo di un capitellino, nelle bifore, come ad esempio nella facciata della pieve di Campiano (Fig. 4) e nell’abside della chiesa di Pieve
del Tho’ (Fig. 5), secondo un gusto che sarà poi codificato
nella produzione “romanica” (vd. ad esempio nel duomo di
Modena, CASTELNUOVO 1985, pp. 491-493).
Fig. 5 – Brisighella (Ra), loc. Pieve del Tho’; pieve di S. Giovanni
in Ottavo. Bifora dell’abside.
da una colonnina frammentaria con capitello monoblocco
di marmo proconnesio (diam. collarino cm 10.8; diam. max
fusto cm 9.6; h. max totale cm 26; h. capitellino cm 9.8)
(Fig. 1); il fusto liscio, mancante dell’estremità inferiore, è
caratterizzato da una leggera rastrematura alla sommità, sulla
quale è collocato un piccolo capitello cubico, liscio (cm
11×cm 10) i cui spigoli sono leggermente scantonati; il passaggio al capitello è realizzato dal collarino, costituito da
un toro non eccessivamente aggettante, segnalato da una
leggera scanalatura sul corpo della colonna.
Il pezzo trova un interessante confronto in una colonnina attribuibile al VII-VIII secolo, conservata presso il lapidario della basilica di S. Eufemia di Grado (TAGLIAFERRI
1981, pp. 392-393, tav. CCXII, 609), anche se in quest’ultimo caso le scantonature degli spigoli del capitello assumono già l’aspetto di foglie lisce.
Si tratta con ogni probabilità, vistene anche le dimensioni, di una colonnina da finestra. Particolarmente difficile è tuttavia, ipotizzarne la collocazione. La tarda realizzazione farebbe propendere per un eventuale uso in un rimaneggiamento dell’edificio di culto o meglio per un utilizzo
(o riutilizzo) nella torre campanaria che, come emerso dai
più recenti interventi di scavo, ebbe un primitivo impianto
di forma circolare, posteriore alla costruzione della basilica
(MAIOLI 1992, p. 515).
Sempre ad una fase medievale del complesso ritengo si
debba attribuire una piccola antefissa con volto umano di
pietra calcarea di colore bianco-rosato (h. cm 18.8, largh.
base cm 11.2, largh. sommità cm 10.4) (Fig. 2). Il pezzo
trova numerosissimi confronti nell’architettura altomedievale dell’antico esarcato dove elementi in pietra, marmo o
laterizio, con una delle facce intagliate ad assumere l’aspetto
di un volto umano sono impiegati, oltre che a scopo puramente ornamentale (Fig. 3), solitamente con funzione di
5. Vorrei concludere con alcune veloci considerazioni relative ai materiali attribuibili alla ricostruzione quattrocentesca della chiesa, in gran parte già segnalati nella letteratura
specializzata. In particolare lo scavo ha permesso di rimettere in luce numerose formelle in cotto lavorate a stampo
con motivi ad archetti includenti una semicalotta
conchigliata o a tortiglione e tabelle (GELICHI 1983, p. 64)
nonché una base di colonna con foglie angolari (SBAAR,
n. inv. 10000; per il ritrovamento cfr. BERMOND MONTANARI
1966, p. 15; EADEM 1968, fig. 6, p. 16. Marmo di Proconneso,
superficie a vista lavorata “alla gradina”; dim. cm 67×cm
67, h. cm 30; nell’inventario SBAAR il pezzo viene segnalato come capitello, forse sulla scorta di quanto affermato
in BERMOND MONTANARI 1966, p. 15). Questi materiali vanno associati, nella ricostruzione della strutturazione della
fase quattrocentesca dell’edificio, ad un interessantissimo
documento, da tempo noto alla critica, e recentemente
rianalizzato: un contratto d’appalto per la costruzione di
opere murarie del 1468 (CORTESI 1964, nota 34, p. 67; NOVARA 1996, pp. 34-36). Nel contratto si pattuisce, previo
atterramento dell’antica basilica, ormai diroccata (dirupta),
sino alle fondamenta e conseguente ripulitura dei mattoni
recuperati, la ricostruzione sulle vecchie fondamenta, ubi
erant colupne antique, di una nuova chesa dell’estensione
di piedi 80×40 e dell’altezza di piedi 40 con abside a pianta
ottagonale della larghezza di 20 piedi, costruita sfruttando
le antiche fondazioni (per il problema delle dimensioni del
nuovo edificio vd. discussione in NOVARA 1996, pp. 37-38).
Di grande interesse per la nostra ricerca è la precisazione
circa la rifinitura delle murature esterne che doveva essere
costituita da una cornice semplice (schetta) fabbricata “secondo l’uso antico”, provvista di modiglioni (mudiones)
scolpiti e intagliati.
Alla luce del contratto parrebbe che i materiali marmorei, forniti dalla stessa abbazia, fossero costituiti dagli arredi già in uso nella chiesa più antica e che, come è noto,
furono oggetto di un tentativo di vendita sventato in tempo
(NOVARA 1996, pp. 32-34). La base di colonna attesterebbe,
tuttavia, l’introduzione nella fase quattrocentesca, di materiali di nuova fabbricazione accanto a quelli di reimpiego.
Va aggiunto, inoltre, che è assai probabile che la cornice
semplice (schetta) fabbricata “secondo l’uso antico” e provvista di modiglioni (mudiones) scolpiti e intagliati, citata
nel contratto, sia da riconoscere nella cornice costituita dalle formelle in cotto rinvenute numerosissime in scavo. Tali
elementi decorativi, assai comuni nell’architettura del XV
secolo di tutta la regione (cfr. soprattutto per gli elementi
conchigliati, esempi in Bologna, complesso di S. Domenico, SOGLIANI 1987, n. 22. 4, p. 218, Cesena, edificio della
Biblioteca Malatestiana, CONTI 1990, fig. 30 e soprattutto
Ferrara, per i quali vd. passim i disegni di D. Tumiati in DI
FRANCESCO 1995), dovevano essere, infatti, impiegati in
connessione a formare fregi di coronamento all’edificio.
Colgo l’occasione per ringraziare nuovamente tutti coloro i quali hanno reso possibile questa ricerca, ed in particolare la prof. G. Bermond Montanari, la dott. M.G. Maioli, l’arch. A.M. Iannucci, la dott. L. Martini ed il prof. S.
Gelichi. Un ringraziamento particolare va, inoltre, a padre
A. Viti, bibliotecario della Certosa di Galluzzo (Fi) per l’aiuto offertomi.
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Le citazioni relative ai documenti inediti sono in gran
parte tratte dalle indicazioni lasciateci dal bibliotecario della Biblioteca Classense di Ravenna, Silvio Bernicoli, ed in
particolare dall’opera manoscritta intitolata dall’autore «Tesoretto». Memorie storiche diverse tratte dai miei regesti,
disposte per ordine alfabetico (dic. 1909-gen. 1910).
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