VENERDÌ 25 FEBBRAIO 2005 LA REPUBBLICA 47 DIARIO DI VENT’ANNI FA IL TENTATIVO DI RIFORMARE L’URSS Era l’11 marzo 1985 quando Mikhail Gorbaciov arrivò al Cremlino o conosco bene - disse Andrej Gromiko -: è giovane, ma ha i denti d’acciaio». Quel plenum del Comitato Centrale non riusciva a decidersi tra la tentazione a mummificare ogni leadership in gerontocrazia (quasi per un bisogno istintivo di ingessare fisicamente l’ortodossia a garanzia dell’immobilità, per evitare ogni cambiamento) e la vertigine di un precipizio che apriva verticalmente la “classe eterna” al vertice dell’Urss per puntare su un uomo di vent’anni più giovane del Segretario Generale Cernenko, appena morto dopo dodici mesi di completa paralisi. Gromyko garantì per lui, rassicurò i conservatori, e l’11 marzo di vent’anni fa Mikhail Sergeevic Gorbaciov arrivò alla guida del partito comunista dell’Urss e della superpotenza sovietica, minacciosa e stremata padrona di metà del mondo. Il comunismo sovietico aveva un bisogno disperato di cambiamento per sopravvivere, ma non disponeva di alcun progetto per cambiare se stesso. L’unico tentativo di riforma fu abbozzato, forse appena intuito, da Jurj Andropov, il Segretario Generale che nel 1982 succedette per due anni alla lunga “stagnazione” di Leonid Breznev. Capo del KGB dal 1967, Andropov conosceva meglio di tutti i piedi d’argilla su cui ormai si reggeva il gigante sovietico e nello stesso tempo aveva in mano i dossier di tutti i giovani dirigenti più promettenti del partito. Prima di ammalarsi di un male che il silenzio del potere sovietico rendeva impronunciabile, Andropov chiamò a Mosca questi giovani bolscevichi e ancora dalla stanza della sua clinica creò un network del tutto irrituale, mettendo in contatto tra loro Gorbaciov, Ligaciov e uomini che sarebbero poi rimasti affondati nell’apparato di periferia. Tra loro, protetti dal Segretario Generale, cresceva sottovoce l’eresia più ortodossa: il comunismo doveva cambiare, per restare se stesso. Non esiste una teoria politica, un pensiero, a guidare una stagione che pure metterà fuori gioco la cremlinologia cambiando involontariamente la storia d’Europa e liberando la geografia dell’Urss, fino a travolgere la stessa “natura” sovietica, immobile e intatta per settant’anni, costruita com’era col ferro e col fuoco per durare per sempre. Gorbaciov è tutto prassi, sospinto da uno stato di necessità che lo porta a cambiare, senza sapere dove il cambiamento lo porterà. Non ha un ceto di riferimento, né una leva sociale a disposizione, né una cultura di ricambio. Si muove interamente dentro l’orizzonte del comunismo – perestrojka non è altro che “ristrutturazione” – tentando un’opera di manutenzione straordinaria, senza sapere dov’è la sponda verso la quale si dirige a zig zag, mentre dietro di lui la vecchia sponda brucia. La sponda, evidentemente, sarebbe diventata visibile solo pronunciando la parola definitiva della fuoruscita dal comunismo: democrazia. Ma tutto il gorbaciovismo sta al di qua di quell’approdo, che non riesce a concepire, tutta l’idea-forza del leader è imprigionata nel fascino a sovranità limitata di due concetti intermedi, di due parole a metà: perestrojka invece di democrazia, glasnost (trasparenza) invece di verità. Il comunismo sovietico ferma qui il suo alfabeto leninista, non riesce nemmeno nella fase di massima torsione ad andare oltre se stesso. Eppure in quei sei anni il mondo ha creduto possibile l’impossibile, perché tutte le spinte scomposte che Gorbaciov ha messo in campo avevano superato la soglia russa dell’incredibile. Per una fase, an- Un esperimento politico del quale si discuterà in un convegno internazionale «L PERESTROJKA Iseiannichesconvolseroilmondo EZIO MAURO che i russi hanno pensato che fosse lecito tornare a sperare, per la prima volta dopo il “disgelo” di Nikita Krusciov. Quando la glasnost ha liberato all’improvviso il film “Pentimento” di Abuladze, sullo stalinismo, e tutti correvano a vederlo nelle sale. Quando l’Armata Rossa si è ritirata dall’Afghanistan e il telegiornale delle nove ha mostrato il generale Gromov che passava per ultimo il ponte sull’Amudarja. Quando è cominciata la trattativa sugli euromissili. Quando a dicembre un treno da Gorkij è arri- vato alla Jaroslavskij Vaksal alle sette meno un quarto di mattina ed è sceso Andrei Sacharov, uscendo per sempre dal confino. Quando il maestro Ljubimov è tornato sul palco del teatro Taganka a far muovere nel buio sovietico Woland e Margherita. Quando si è cominciato a parlare di un vero Parlamento, non un Soviet, di candidati liberi alle elezioni accanto ai nomi del partito, quando la televisione ha trasmesso per la prima volta la messa di Natale, duemila anni dopo la conversione della HENRY KISSINGER PERESTROJKA. GORBACIOV aveva basato le sue riforme su due elementi: la perestrojka (ristrutturazione) per assicurarsi l’appoggio dei nuovi tecnocrati, e la glasnost (trasparenza) per attirare l’intellighentia a lungo bistrattata. Ma dato che non esistevano istituzioni che incanalassero la libera espressione e stimolassero il pubblico dibattito, la glasnost si ripiegò su se stessa, e non essendovi libere risorse al di fuori di quelle riservate ai militari, le condizioni di vita non miglioravano. Così lui si distaccò dal suo supporto istituzionale, ma senza guadagnare un più ampio consenso fra la popolazione. La glasnost si scontrava sempre più con la perestrojka. Anche gli attacchi ai dirigenti del passato erano controproducenti. Più duravano la perestrojka e la glasnost, più diveniva isolato e sfiduciato. La prima volta che lo incontrai, agli inizi del 1987, era vivace e sicuro che il lavoro intrapreso avrebbe consentito al suo paese di riprendere la marcia verso la supremazia. Durante l’ultimo anno in cui rimase in carica era come un uomo che vede incombere la catastrofe senza poterla evitare. “ “ Rus’ al cristianesimo. Per un momento, ci hanno creduto anche i “shestidisiatniki”, come li chiamano a Mosca, cioè gli uomini degli Anni Sessanta, che si erano illusi con Krusciov e avevano giurato di non illudersi mai più. Quegli intellettuali tornati alla politica senza il partito potevano diventare il ceto di appoggio della perestrojka. Ma presto, il gorbaciovismo si apre in due. All’estero, acquista credito con Thatcher prima, con Kohl, con Reagan che arriverà a Mosca per camminare a pie- di sull’Arbat, con Papa Wojtyla. In patria, è imprigionato nei rapporti di forza dentro il Politbjuro dove uomini come Egor Ligaciov, a nome di tutto l’apparato bolscevico, cominciano a porre a Gorbaciov il dilemma capitale, in cui si perderà: sei il primo riformatore dell’Urss, come vuole l’Occidente, o sei l’ultimo Segretario Generale, come vuole il partito? Gorbaciov risponde con la sola formula in cui crede, con lo stato di necessità di cui è portatore, e che tiene insieme la sua eresia e la sua fedeltà: la riforma, il cambiamento, è l’unico orizzonte possibile per il comunismo di fine secolo. Questa è la frontiera politico-culturale oltre la quale l’uomo della perestrojka non riesce a spingersi, perché rappresenta la curva estrema della sua formazione e anche della deformazione possibile del sistema, ricevuto da Gorbaciov in custodia dal Comitato Centrale perché ne fosse il difensore supremo. Un limite, ma un limite appassionato, che porta Gorbaciov a testimoniare questa sua formula in ogni parte del mondo. Non solo nei parlamenti occidentali che lo applaudono perché vedono in lui la mutazione del “nemico ereditario” sovietico: ma anche davanti a platee ostili come l’Avana o Berlino, che lo circondano di gelo e di rifiuto. La sua difficoltà gli rallenta il passo, l’opposizione del partito imprigiona le riforme, l’incertezza culturale annebbia il percorso, la contraddizione per cui il capo del Pcus deve diventare il distruttore della sua onnipotenza diventa paralisi. Gli intellettuali resuscitati alla politica dalla perestrojka l’abbandonano per parole più radicali, le assemblee con i primi candidati liberi diventano un processo agli uomini di partito («quanti metri quadrati conta il tuo appartamento? Dov’eri negli anni di Breznev? Dove compri le medicine?») la riforma economica inceppa il vecchio meccanismo di approvvigionamento minimo senza sostituirne uno nuovo. Ma intanto le maglie di ferro del sovietismo stremato si stanno allargando. Dal Caucaso arrivano le prime rivolte e le minacce di morte per Gorbaciov, fino alla profezia scritta dall’ayatollah Khomeini direttamente al Segretario Generale: «È chiaro come il cristallo che l’Islam erediterà le Russie». Dal Baltico, arriva l’anticipazione della fine dell’Impero, quando un milione di persone scende nelle strade di Vilnius dietro una croce, chiama fuori dal Conservatorio il professor Landsbergis incurante della statua di Lenin che punta il dito verso la porta, e gli chiede di guidarlo fuori dalla prigione sovietica dell’Urss. Quando il conflitto con Eltsin si compie e un uomo maledetto dal partito per la prima volta nella storia si ribella all’anatema, sfida il Pcus e si fa eleggere presidente della Russia, Gorbaciov rimane Mikhail Senzaterra. Dalla corazza sovietica è uscita la Russia, autonoma, ribelle, dunque davvero eterna, capace di ridurre l’Unione a una sovrastruttura. Il golpe di agosto, nel ’91, è una reazione tardiva e automatica del partito allo svuotamento del potere e alla perdita di controllo sul Paese, dopo sei anni di perestrojka. Se guardiamo al quadrilatero di ferro della giunta golpista (Janaev capo dell’apparato del Pcus, Krjuchkov capo del Kgb, Yazov capo dell’Armata Rossa, Pugo capo delle truppe dell’Interno) vediamo che il perimetro è quello del golpe comunista classico, tanto da avverare l’antica profezia russa: «Lo zar o è sanguinario o è insanguinato». Così anche il comunismo, che può essere spezzato ma non accetta di essere riformato. Ma a differenza di Krusciov, Gorbaciov aveva destabilizzato il sistema per sei anni, e aveva stabilizzato alcune linee spontanee di fuoruscita dal sistema. Così, paradossalmente, è anche merito suo un merito involontario - se il comunismo è morto in Europa e se la perestrojka non è finita in un’altra gelata di stagnazione. I golpisti credevano di bloccare la perestrojka, mentre mettevano in scena l’autofagia del bolscevismo, settant’anni dopo. DIARIO 48 LA REPUBBLICA LE TAPPE L’ANNUNCIO 1985-1986 Eletto segretario generale del Pcus, Gorbaciov annuncia una nuova politica di trasparenza, glasnost, e la necessità della perestrojka, una ristrutturazione radicale dell’economia sovietica CERNOBYL - 26 APRILE 1986 Dopo l’esplosione della centrale nucleare la glasnost subisce un duro colpo. Intere regioni sono evacuate (120 mila persone) e inizialmente Gorbaciov è accusato di non aver detto tutta la verità VENERDÌ 25 FEBBRAIO 2005 L’INCONTRO CON REAGAN -1986 L’incontro a Reykjavik in Islanda porta a un accordo sul ritiro dei missili in Europa. Reagan non rinuncia però al progetto “scudo stellare”: per il presidente Usa il sistema antimissilistico non si discute INTERVISTA A MIKHAIL GORBACIOV: “RIFORMARE LA RUSSIA E IL RESTO DEL PIANETA” ORA POSSO DIRE DOVE HO SBAGLIATO FIAMMETTA CUCURNIA I LIBRI MIKHAIL GORBACIOV Perestrojka. Il nuovo pensiero per il nostro paese e per il mondo Mondadori 1987 FRANCOIS FURET Gli occhi della storia. Dal totalitarismo all’avventura della libertà Mondadori 2002 VICTOR ZASLAVSKY Dopo l’Unione Sovietica. La perestrojka e il problema delle nazionalità Il Mulino 2000 GIUSEPPE MAMMARELLA Da Yalta alla perestrojka Laterza 1990 ARRIGO LEVI Russia del ‘900 Corbaccio 1999 GIUSEPPE BOFFA Dall’Urss alla Russia Laterza 1995 GIULIETTO CHIESA, ROY MEDVEDEV La rivoluzione di Gorbaciov. Cronaca della perestrojka Garzanti 1989 LAPO SESTAN (A CURA DI) La politica estera della perestrojka Editori Riuniti 1988 ROY A. MEDVEDEV La Russia della perestrojka Sansoni 1988 ono passati vent’anni ma il bilancio sulla perestrojka è ancora difficile, perché è fatto di luci e di ombre. Sbaglia chi dice soltanto che la perestrojka è fallita. Non è onesto e non è vero. In fondo, quella politica ha cambiato il mondo, che sarebbe migliore se avessimo avuto più tempo. La perestrojka è stata una grande occasione. Un’occasione colta solo in parte e per il resto bruciata». Parla così oggi Mikhail Gorbaciov, il padre della glasnost e della perestrojka, “trasparenza” e “riedificazione”, che arrivò al Cremlino l’11 marzo 1985 portando all’Urss democrazia e libertà nei sei anni che sconvolsero il mondo. Mikhail Sergeevic, quale fu l’errore fatale per la perestrojka? «Errori ce ne sono stati tanti. Oggi mi rendo conto che riuscire era possibile ma molte cose dovevano essere fatte in modo diverso. Soprattutto, dovevamo fare più in fretta. Con un ritardo imperdonabile misi mano alla riforma del partito comunista. Che poi fu la forza attorno a cui si concentrarono gli oppositori, quelli che alla fine organizzarono il golpe e bloccarono tutto in dirittura d’arrivo, all’ultimo momento, quando stava per partire la decentralizzazione. Ma avremmo anche dovuto riformare l’Urss molto più velocemente. Prima che i nodi delle autonomie venissero al pettine. Molte volte ci avevo pensato. Era chiara la necessità di un nuovo Trattato d’Unione che riformasse l’assetto federale. E ci eravamo quasi arrivati in quell’agosto del 1991. Ma era già troppo tardi». A quel punto, però, Eltsin aveva già conquistato il cuore del paese. «C’erano mille problemi che ci parvero marginali, ma che in realtà avevano valore strategico perché da quelli dipendeva il sostegno della gente. Anche in quel caso me ne resi conto troppo tardi. Parlo ad esempio del mercato, dell’economia spicciola che tocca ogni giorno ogni famiglia. Avevamo aumentato stipendi e pensioni. Una pioggia di denaro su un paese dove mancavano le merci in modo cronico, da anni. E proprio in quel momento, guarda caso — ma non poteva essere un caso — il prezzo del petrolio ebbe un crollo, scese fino a 12 dollari. Gli americani misero in circolazione l’esubero del loro petrolio, e il prezzo precipitò. Le nostre entrate diminuirono di due terzi. E pensare che Breznev si era ingrassato col petrolio, e Eltsin era stato seduto tutto il tempo sull’oleodotto e anche Putin ne trae non pochi vantaggi. Io, invece, no. Ma avrei potuto farcela lo stesso, se avessi capito in tempo. Avremmo potuto sottrarre denaro alla difesa per comprare beni di consumo. Oppure bloccare la riforma delle pensioni. Umanamente, non me la sentii di togliere quei quattro soldi ai pensionati che li «S ‘‘ ,, Oggi mi rendo conto che riuscire era possibile ma molte cose dovevano essere fatte in modo diverso e più in fretta, come la riforma del partito comunista MOSCA 1986 Ventisettesimo congresso del Pcus, Gorbaciov annuncia la perestrojka avevano appena avuti. Politicamente, avrei dovuto. Invece non fu fatto. In gran parte per colpa mia. La gente pensò che non fossi in grado di gestire la crisi, perse fiducia in me. E fu allora che cominciarono ad apparire i nostri eroi. Con i comizi, le promesse…». Nemici dentro e fuori, dunque. «Non mi piace la parola “nemici”. Io dico oppositori, avversari. Ce n’erano tanti anche attorno a me. Da un lato i radicali, Eltsin e compagnia bella, che volevano tutto e subito, ma puntavano solo al potere. Dal- l’altro, una parte del partito, che non voleva cambiamenti per conservare intatto il potere. Né gli uni né gli altri furono in grado di impedire la perestrojka, che ha comunque portato il suo carico di novità e libertà. Ma sono riusciti a fermarla». Lei pensa che se avesse spedito Eltsin a fare l’ambasciatore in Mongolia le cose sarebbero andate diversamente? «Beh, vent’anni dopo posso dirlo: sì, avrei dovuto farlo. Forse il mio peccato è stato una certa ingenuità, l’utopismo. Mettevo sempre la democrazia al primo posto. Pensavo che il FRANCIS FUKUYAMA Il fatto che la perestrojka continuasse a essere sbandierata ha fatto dire a molti che il popolo russo non era in grado di instaurare una democrazia La fine della Storia e l’ultimo uomo, 1992 ERIC J. HOBSBAWM La nostra ammirazione per Gorbaciov non sarebbe scemata in seguito alla tragedia del suo fallimento. Egli è stato il responsabile della sua distruzione Anni interessanti 2002 paese stava faticosamente facendo i primi passi in questo campo e doveva imparare che ogni conflitto può essere risolto con mezzi politici. Tornare ai vecchi metodi, alle epurazioni, era per me come accettare la sconfitta, cancellare quel che avevo fatto, tornare indietro. Per questo non allontanai Boris Eltsin. E fu un errore, giacché si rivelò poi un omuncolo, vendicativo, incapace di guardare lontano, un avventuriero. Ma anche lui è stato usato. Evidentemente, in Occidente si preferiva uno come lui». Quindi lei ritiene che l’Occidente avrebbe potuto fare di più per salvare la perestrojka. «La perestrojka non era stata pensata solo per l’Urss. Nelle intenzioni, era una grande occasione di cambiare il mondo. Riformare l’Urss ma anche il resto del pianeta. Uscire dalla Guerra fredda, dalla filosofia del Muro, della Cortina di ferro, per approdare in un era di cooperazione. Cambiare un paese oberato di problemi difficilissimi e senza democrazia, era la prova che anche il mondo poteva farlo. Ma questo richiedeva uno sforzo collettivo. Che non c’è stato. I nostri amici americani si ricordano della cooperazione solo quando non sanno più che cosa fare. Dai tempi di Washington e di Jefferson la loro politica non è mai cambiata: l’America decide da sola, fa quel che ritiene opportuno per i suoi interessi, senza assumersi impegni verso nessuno. Neanche Roosevelt ha fatto eccezione e certo non Clinton che parlò addirittura di Secolo americano. L’unico che ebbe l’intuizione di un mondo inteso come un corpo solo fu John Kennedy. Ricordo bene il suo discorso del 1963 sulla pace che non può essere un “pax americana”. Con lui io sono in sintonia. La perestrojka era scomoda per gli Stati Uniti, per la loro politica dei due pesi e due misure che non accetta neppure il diritto internazionale. Se avesse vinto, le cose sarebbero state oggi ben diverse e anche gli Stati Uniti dovrebbero comportarsi diversamente. Invece, al posto di un nuovo mondo abbiamo la globalizzazione selvaggia, la povertà, il disastro ambientale, il terrorismo». Se tornasse indietro lo rifarebbe? «Io resto fedele alle mie idee». Lei si considera ancora socialista? «Sono un uomo di idee socialiste. Ma per me oggi la via più giusta per realizzare queste idee è quella socialdemocratica. Mi sono convinto che il comunismo, e anche il socialismo quando è troppo vicino al comunismo, non siano adatti al mondo d’oggi». Il socialismo non è morto? «L’idea del socialismo viene da lontano. È ideale di giustizia. Viene da Cristo e non morirà mai». A Torino da tutto il mondo dal 4 al 6 marzo parlare della perestrojka e delle sue conseguenze, a vent’anni dall’avvio di quel processo che avrebbe cambiato il volto dell’Europa e del mondo, arriveranno a Torino, dal 4 al 6 marzo personalità politiche e studiosi da tutto il mondo, ma soprattutto protagonisti di quegli eventi, Mikhail Gorbaciov per primo. Il convegno è organizzato dal World Political Forum, di cui Gorbaciov è fondatore e presidente, e ha per titolo “Perestrojka. 1985-2005: Vent’anni che hanno cambiato il mondo”. Oltre all’ex segretario del Pcus saranno a Torino l’ex cencelliere tedesco Halmut Kohl, l’ex presidente polacco Wojciech Jaruzelski, il premio Nobel per la pace Lech Walesa, il cardinale Achille Silvestrini. Tra i politici italiani, Francesco Cossiga, all’epoca presidente della Repubblica, Giulio Andreotti, che era ministro degli esteri e poi presidente del Consiglio, e l’ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis. Tra gli studiosi, il grande esperto di cose russe Richard Pipes, l’economista Jeremy Rifkin, il filosofo Edgar Morin. A DIARIO VENERDI 25 FEBBRAIO 2005 L’AFGHANISTAN 1988-1989 Gorbaciov dichiara di volersi ritirare dall’Afghanistan. Nel febbraio 1989 l’operazione è completata. Nella guerra, durata quasi un decennio, erano morti 30 mila soldati sovietici LA REPUBBLICA 49 LA DISGREGAZIONE 1989 Solidarnosc vince le elezioni, in Polonia si insedia un governo non comunista. È poi la volta di Ungheria, Romania e Cecoslovacchia. In Germania crolla il muro di Berlino LA FINE 1991 Il 21 dicembre l’Unione Sovietica viene sciolta e diventa la Comunità di Stati Indipendenti. Il 25 dicembre 1991 Gorbaciov si dimette. Nel ’90 aveva ricevuto il Nobel per la pace DIETRO IL FALLIMENTO DI SETTANT’ANNI DI COMUNISMO COME È CROLLATO IL FRAGILE IMPERO RICHARD PIPES l socialismo, emerso in Francia nel secondo quarto del XIX secolo, ci ha abituati a pensare che a produrre gli eventi storici siano le “masse”, mentre i “grandi uomini” sarebbero solo i loro strumenti. E il marxismo ha ulteriormente rafforzato questa visione della storia che sorgerebbe sempre e dovunque “dal basso”. Ma la validità di questa proposizione, largamente accettata come assiomatica, è molto discutibile. Senza alcun dubbio gli eventi politici e militari che rappresentano gli snodi cruciali delle vicende storiche sono determinati in larga misura da piccoli gruppi di individui con responsabilità di governo. Davvero c’è bisogno di dimostrare che politici e generali non hanno consultato le masse per decidere di scatenare la prima e poi la seconda guerra mondiale, con il loro tributo di decine di milioni di vite umane? La Rivoluzione d’ottobre del 1917 in Russia, che gli storici di sinistra attribuiscono alla volontà delle “masse” di istituire il governo dei Soviet, di fatto è stata attuata da Lenin e dai suoi sodali, nel più totale segreto. Si è trattato di un colpo di stato, non di una rivoluzione. Lo stesso si può dire del collasso dell’Unione Sovietica, uno Stato totalitario apparentemente indistruttibile, protetto da un imponente apparato militare e da servizi di polizia che non erano secondi a nessuno. Nessuna manifestazione pubblica ne ha reclamato l’abolizione, e non vi sono stati neppure i tumulti o le barricate che siamo soliti associare alle rivoluzioni. Quell’insurrezione fu decisa e attuata da una manciata di politici rappresenta- I IL RICORDO DEL GENERALE GORBY, L’UNICO RUSSO CHE PIACQUE AI POLACCHI GLI AUTORI Il generale Wojciech Jaruzelski è stato segretario del Partito operaio polacco, primo ministro e poi presidente della Polonia dal 1985 al 1990. Il Sillabario di Henry Kissinger è tratto da “L’arte della diplomazia” (Sperling & Kupfer, 2004). Richard Pipes storico, tra i massimi esperti di Russia e di comunismo, insegna ad Harvard: tra i suoi libri più famosi “Il regime bolscevico” (Mondadori) e “Comunismo. Una storia” (Rizzoli). ti al Politburo, i quali, preoccupati per la stagnazione in cui versava il paese, hanno scelto come leader Mikhail Gorbaciov: l’uomo che avrebbe portato avanti una serie di riforme per rilanciare l’economia e rivitalizzare la vita pubblica. Né loro, né lo stesso Gorbaciov si erano proposti di distruggere il regime comunista. Ma la decisione, presa da quel piccolo gruppo di uomini e da nessun altro, ben presto sfuggì loro di mano, causando la dissoluzione del primo Stato comunista del mondo. E con essa la fine della guerra fredda, che quello Stato aveva originato e portato avanti GLASNOST E PERESTROJKA A sinistra, una manifestazione a Mosca per la democrazia nel febbraio 1990 RYSZARD KAPUSCINSKI La perestrojka ha coinciso con lo sviluppo della televisione, che ha conferito alla perestrojka una risonanza mai toccata a nessun evento nella storia dell’Impero WOJCIECH JARUZELSKI l “nuovo pensiero” nella politica esterna era organicamente, integralmente legato alla perestrojka, alla politica interna. Anche qui i cambiamenti hanno avuto essenzialmente un carattere rivoluzionario. Questo passaggio non fu facile. Si erano proposte nei rapporti tra l’Est e l’Ovest numerose barriere a causa della guerra fredda. Bisognava superare da una parte l’imperialismo occidentale, dall’altra parte “l’imperialismo del male”. Su questa strada ci fu un grande progresso. Non sminuisco i meriti dei leader dell’Occidente, del Papa Giovanni Paolo II, nei processi che stavano avvenendo in Polonia. Tuttavia ha avuto fondamentale, cruciale significato la personale determinazione, l’adoperarsi, le iniziative di Mikhail Gorbaciov. Si è dato il caso che storicamente in I Polonia ci sono stati e ci sono molti sentimenti antirussi e antisovietici, sentimenti di rancore. Ebbene avvenne una specie di “miracolo”. La sua espressione particolare, spettacolare fu la visita di Mikhail Sergeevic Gorbaciov assieme alla moglie Raisa Maksimovna in Polonia, nel luglio 1988. Nessuno, a parte il Papa polacco, fu salutato con così tanto entusiasmo e spontaneità quanto Gorbaciov. I sondaggi dell’opinione pubblica polacca nell’anno 1988 mostrarono un 78 per cento di simpatie e soltanto il cinque per cento di antipatie nei suoi confronti. È un indice che nessun leader occidentale ha mai registrato. Occorrerebbe approfondire questo fenomeno, trarne le opportune conclusioni, e guardare del resto non soltanto alla situazione polacca. Imperium 1994 FRANÇOIS FURET La speranza è rimasta viva fino a Gorbaciov. Ancora sotto Gorbaciov si sperava di trovare una via d’uscita. Solo dopo la sua caduta la speranza è venuta meno Critica del XX secolo Intervista, giugno 1997 senza tregua. Quest’evento storico presenta alcune somiglianze con il tracollo della monarchia russa, nel 1917. Per tre secoli la dinastia dei Romanov aveva governato la Russia in maniera sempre autocratica, con la sola eccezione dell’ultimo decennio. C’era, è vero, sia nell’esercito che tra la popolazione delle città, un malcontento molto diffuso per la conduzione della guerra. Ma nessuno, ad eccezione di alcuni piccoli gruppi di intellettuali radicali, aveva chiesto l’abdicazione dello zar Nicola II. Quest’ultimo si era risolto ad abdicare perché i suoi generali lo avevano convinto che quel gesto avrebbe migliorato la situazione, sul fronte e all’interno del paese. Ma il risultato fu diametralmente opposto: la Russia precipitò nell’anarchia, le diserzioni di massa disgregarono l’esercito, e nel giro di un anno la Russia si ritrasse dalla guerra. Questa vicenda dimostra – come hanno riconfermato gli eventi del 1991 – che un regime privo di un forte radicamento tra la popolazione, un regime che i cittadini non sentono come proprio, è praticamente sospeso in aria, e in tempi di crisi non può contare su alcun sostegno. La sua solidità è effimera. Le democrazie, nonostante lo scompiglio che normalmente le caratterizza, sono di fatto molto più stabili dei regimi autocratici. A Mikhail Gorbaciov va riconosciuto il grande merito di aver liberato la Russia, e i suoi stati satelliti, dalla stretta mortale del comunismo. E’ vero che inizialmente la sua intenzione non era quella di abolire il comunismo, bensì di rafforzarlo; ma quando si trovò alla prese con le resistenze implacabili delle burocrazie arroccate sulle proprie posizioni, non fece marcia indietro, come avrebbe potuto fare. E come avrebbe fatto, se il suo principale interesse fosse stato quello di mantenersi al potere. Al contrario, ebbe il coraggio di invitare l’intera popolazione a esprimere le proprie aspirazioni sospendendo la censura e aprendo la strada a processi elettorali negli organi di governo. Una volta adottate queste misure, è però accaduto l’inevitabile. Purtroppo in Russia la scomparsa della dittatura comunista non ha portato al trionfo della democrazia. A quanto indicano i sondaggi, la maggioranza dei russi la respinge, identificandola con l’anarchia. A quanto pare, per loro la sicurezza personale è più importante della libertà; e al momento attuale ritengono che le due cose si escludano a vicenda. Ma col tempo il loro atteggiamento potrebbe cambiare. E se questo avverrà, il merito dovrà essere attribuito in primo luogo e soprattutto a Michail Gorbaciov. Come si vede, sono gli individui a fare la storia. (Traduzione di Elisabetta Horvat) I FILM PENTIMENTO In un paese immaginario (ma è riconoscibile con facilità la Georgia), si svolge il processo postumo a un dittatore, che somiglia un po’ a Stalin e un po’ a Hitler. Il film simbolo della perestrojka. Di Tenghiz Abuladze, del 1986. TAXI BLUES L’amicizia improbabile, nella Mosca degli anni di Gorbaciov, tra un tassista avido e antisemita e un sassofonista ebreo alcolizzato. Di Pavel Lungin, del 1990. LA MADRE Tratto dal romanzo di Gorkij, la storia di una donna che partecipa alle prime lotte per la libertà, per il socialismo, contro l’oppressione zarista nella Russia a cavallo tra Ottocento e Novecento. Il film è considerato il manifesto dell’ideologia gorbacioviana . Di Gleb Panfilov, del 1990. THEMA Nella storia di un commediografo conformista e di successo, una dura critica al potere sovietico. Di Gleb Panfilov, girato nel 1979, uscì solo nel 1986, grazie alle aperture di Gorbaciov.