VENERDÌ 25 FEBBRAIO 2005
LA REPUBBLICA 47
DIARIO
DI
VENT’ANNI FA IL TENTATIVO DI RIFORMARE L’URSS
Era l’11 marzo
1985 quando
Mikhail
Gorbaciov arrivò
al Cremlino
o conosco bene - disse
Andrej Gromiko -: è giovane, ma ha i denti d’acciaio». Quel plenum del Comitato
Centrale non riusciva a decidersi
tra la tentazione a mummificare
ogni leadership in gerontocrazia
(quasi per un bisogno istintivo di
ingessare fisicamente l’ortodossia
a garanzia dell’immobilità, per
evitare ogni cambiamento) e la
vertigine di un precipizio che apriva verticalmente la “classe eterna”
al vertice dell’Urss per puntare su
un uomo di vent’anni più giovane
del Segretario Generale Cernenko,
appena morto dopo dodici mesi di
completa paralisi. Gromyko garantì per lui, rassicurò i conservatori, e l’11 marzo di vent’anni fa
Mikhail Sergeevic Gorbaciov arrivò alla guida del partito comunista dell’Urss e della superpotenza
sovietica, minacciosa e stremata
padrona di metà del mondo.
Il comunismo sovietico aveva
un bisogno disperato di cambiamento per sopravvivere, ma non
disponeva di alcun progetto per
cambiare se stesso. L’unico tentativo di riforma fu abbozzato, forse
appena intuito, da Jurj Andropov,
il Segretario Generale che nel 1982
succedette per due anni alla lunga
“stagnazione” di Leonid Breznev.
Capo del KGB dal 1967, Andropov
conosceva meglio di tutti i piedi
d’argilla su cui ormai si reggeva il
gigante sovietico e nello stesso
tempo aveva in mano i dossier di
tutti i giovani dirigenti più promettenti del partito. Prima di ammalarsi di un male che il silenzio del
potere sovietico rendeva impronunciabile, Andropov chiamò a
Mosca questi giovani bolscevichi e
ancora dalla stanza della sua clinica creò un network del tutto irrituale, mettendo in contatto tra loro Gorbaciov, Ligaciov e uomini
che sarebbero poi rimasti affondati nell’apparato di periferia. Tra loro, protetti dal Segretario Generale, cresceva sottovoce l’eresia più
ortodossa: il comunismo doveva
cambiare, per restare se stesso.
Non esiste una teoria politica,
un pensiero, a guidare una stagione che pure metterà fuori gioco la
cremlinologia cambiando involontariamente la storia d’Europa e
liberando la geografia dell’Urss, fino a travolgere la stessa “natura”
sovietica, immobile e intatta per
settant’anni, costruita com’era col
ferro e col fuoco per durare per
sempre. Gorbaciov è tutto prassi,
sospinto da uno stato di necessità
che lo porta a cambiare, senza sapere dove il cambiamento lo porterà. Non ha un ceto di riferimento, né una leva sociale a disposizione, né una cultura di ricambio. Si
muove interamente dentro l’orizzonte del comunismo – perestrojka non è altro che “ristrutturazione” – tentando un’opera di manutenzione straordinaria, senza
sapere dov’è la sponda verso la
quale si dirige a zig zag, mentre dietro di lui la vecchia sponda brucia.
La sponda, evidentemente, sarebbe diventata visibile solo pronunciando la parola definitiva della fuoruscita dal comunismo: democrazia. Ma tutto il gorbaciovismo sta al di qua di quell’approdo,
che non riesce a concepire, tutta
l’idea-forza del leader è imprigionata nel fascino a sovranità limitata di due concetti intermedi, di due
parole a metà: perestrojka invece
di democrazia, glasnost (trasparenza) invece di verità. Il comunismo sovietico ferma qui il suo alfabeto leninista, non riesce nemmeno nella fase di massima torsione
ad andare oltre se stesso.
Eppure in quei sei anni il mondo
ha creduto possibile l’impossibile,
perché tutte le spinte scomposte
che Gorbaciov ha messo in campo
avevano superato la soglia russa
dell’incredibile. Per una fase, an-
Un esperimento
politico del quale
si discuterà in
un convegno
internazionale
«L
PERESTROJKA
Iseiannichesconvolseroilmondo
EZIO MAURO
che i russi hanno pensato che fosse lecito tornare a sperare, per la
prima volta dopo il “disgelo” di
Nikita Krusciov. Quando la glasnost ha liberato all’improvviso il film
“Pentimento” di Abuladze, sullo
stalinismo, e tutti correvano a vederlo nelle sale. Quando l’Armata
Rossa si è ritirata dall’Afghanistan
e il telegiornale delle nove ha mostrato il generale Gromov che passava per ultimo il ponte sull’Amudarja. Quando è cominciata la trattativa sugli euromissili. Quando a
dicembre un treno da Gorkij è arri-
vato alla Jaroslavskij Vaksal alle
sette meno un quarto di mattina ed
è sceso Andrei Sacharov, uscendo
per sempre dal confino. Quando il
maestro Ljubimov è tornato sul
palco del teatro Taganka a far
muovere nel buio sovietico Woland e Margherita. Quando si è cominciato a parlare di un vero Parlamento, non un Soviet, di candidati liberi alle elezioni accanto ai
nomi del partito, quando la televisione ha trasmesso per la prima
volta la messa di Natale, duemila
anni dopo la conversione della
HENRY KISSINGER
PERESTROJKA.
GORBACIOV aveva
basato le sue riforme
su due elementi: la perestrojka (ristrutturazione) per assicurarsi l’appoggio dei
nuovi tecnocrati, e la glasnost (trasparenza) per attirare l’intellighentia a lungo bistrattata. Ma dato che non esistevano
istituzioni che incanalassero la libera espressione e stimolassero il pubblico dibattito, la glasnost si ripiegò su se stessa, e non essendovi libere risorse al di fuori di quelle riservate ai militari, le condizioni di vita non miglioravano. Così
lui si distaccò dal suo supporto istituzionale, ma senza guadagnare un più ampio consenso fra la popolazione. La glasnost si scontrava sempre più con la perestrojka. Anche gli
attacchi ai dirigenti del passato erano controproducenti.
Più duravano la perestrojka e la glasnost, più diveniva isolato e sfiduciato. La prima volta che lo incontrai, agli inizi del
1987, era vivace e sicuro che il lavoro intrapreso avrebbe
consentito al suo paese di riprendere la marcia verso la
supremazia. Durante l’ultimo anno in cui rimase in carica era come un uomo che vede incombere la catastrofe senza poterla evitare.
“
“
Rus’ al cristianesimo.
Per un momento, ci hanno creduto anche i “shestidisiatniki”, come li chiamano a Mosca, cioè gli
uomini degli Anni Sessanta, che si
erano illusi con Krusciov e avevano
giurato di non illudersi mai più.
Quegli intellettuali tornati alla politica senza il partito potevano diventare il ceto di appoggio della
perestrojka. Ma presto, il gorbaciovismo si apre in due. All’estero,
acquista credito con Thatcher prima, con Kohl, con Reagan che arriverà a Mosca per camminare a pie-
di sull’Arbat, con Papa Wojtyla. In
patria, è imprigionato nei rapporti
di forza dentro il Politbjuro dove
uomini come Egor Ligaciov, a nome di tutto l’apparato bolscevico,
cominciano a porre a Gorbaciov il
dilemma capitale, in cui si perderà:
sei il primo riformatore dell’Urss,
come vuole l’Occidente, o sei l’ultimo Segretario Generale, come
vuole il partito?
Gorbaciov risponde con la sola
formula in cui crede, con lo stato di
necessità di cui è portatore, e che
tiene insieme la sua eresia e la sua
fedeltà: la riforma, il cambiamento, è l’unico orizzonte possibile per
il comunismo di fine secolo. Questa è la frontiera politico-culturale
oltre la quale l’uomo della perestrojka non riesce a spingersi, perché rappresenta la curva estrema
della sua formazione e anche della
deformazione possibile del sistema, ricevuto da Gorbaciov in custodia dal Comitato Centrale perché ne fosse il difensore supremo.
Un limite, ma un limite appassionato, che porta Gorbaciov a testimoniare questa sua formula in
ogni parte del mondo. Non solo nei
parlamenti occidentali che lo applaudono perché vedono in lui la
mutazione del “nemico ereditario” sovietico: ma anche davanti a
platee ostili come l’Avana o Berlino, che lo circondano di gelo e di rifiuto. La sua difficoltà gli rallenta il
passo, l’opposizione del partito
imprigiona le riforme, l’incertezza
culturale annebbia il percorso, la
contraddizione per cui il capo del
Pcus deve diventare il distruttore
della sua onnipotenza diventa paralisi.
Gli intellettuali resuscitati alla
politica dalla perestrojka l’abbandonano per parole più radicali, le
assemblee con i primi candidati liberi diventano un processo agli
uomini di partito («quanti metri
quadrati conta il tuo appartamento? Dov’eri negli anni di Breznev?
Dove compri le medicine?») la
riforma economica inceppa il vecchio meccanismo di approvvigionamento minimo senza sostituirne uno nuovo. Ma intanto le maglie di ferro del sovietismo stremato si stanno allargando. Dal Caucaso arrivano le prime rivolte e le minacce di morte per Gorbaciov, fino
alla profezia scritta dall’ayatollah
Khomeini direttamente al Segretario Generale: «È chiaro come il
cristallo che l’Islam erediterà le
Russie». Dal Baltico, arriva l’anticipazione della fine dell’Impero,
quando un milione di persone
scende nelle strade di Vilnius dietro una croce, chiama fuori dal
Conservatorio il professor Landsbergis incurante della statua di
Lenin che punta il dito verso la porta, e gli chiede di guidarlo fuori dalla prigione sovietica dell’Urss.
Quando il conflitto con Eltsin si
compie e un uomo maledetto dal
partito per la prima volta nella storia si ribella all’anatema, sfida il
Pcus e si fa eleggere presidente della Russia, Gorbaciov rimane
Mikhail Senzaterra. Dalla corazza
sovietica è uscita la Russia, autonoma, ribelle, dunque davvero
eterna, capace di ridurre l’Unione
a una sovrastruttura.
Il golpe di agosto, nel ’91, è una
reazione tardiva e automatica del
partito allo svuotamento del potere e alla perdita di controllo sul
Paese, dopo sei anni di perestrojka. Se guardiamo al quadrilatero di ferro della giunta golpista
(Janaev capo dell’apparato del
Pcus, Krjuchkov capo del Kgb, Yazov capo dell’Armata Rossa, Pugo
capo delle truppe dell’Interno) vediamo che il perimetro è quello del
golpe comunista classico, tanto da
avverare l’antica profezia russa:
«Lo zar o è sanguinario o è insanguinato». Così anche il comunismo, che può essere spezzato ma
non accetta di essere riformato.
Ma a differenza di Krusciov,
Gorbaciov aveva destabilizzato il
sistema per sei anni, e aveva stabilizzato alcune linee spontanee di
fuoruscita dal sistema. Così, paradossalmente, è anche merito suo un merito involontario - se il comunismo è morto in Europa e se la
perestrojka non è finita in un’altra
gelata di stagnazione. I golpisti
credevano di bloccare la perestrojka, mentre mettevano in scena l’autofagia del bolscevismo,
settant’anni dopo.
DIARIO
48 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
L’ANNUNCIO 1985-1986
Eletto segretario generale del Pcus,
Gorbaciov annuncia una nuova politica di
trasparenza, glasnost, e la necessità della
perestrojka, una ristrutturazione radicale
dell’economia sovietica
CERNOBYL - 26 APRILE 1986
Dopo l’esplosione della centrale nucleare
la glasnost subisce un duro colpo. Intere
regioni sono evacuate (120 mila persone)
e inizialmente Gorbaciov è accusato di
non aver detto tutta la verità
VENERDÌ 25 FEBBRAIO 2005
L’INCONTRO CON REAGAN -1986
L’incontro a Reykjavik in Islanda porta a
un accordo sul ritiro dei missili in Europa.
Reagan non rinuncia però al progetto
“scudo stellare”: per il presidente Usa il
sistema antimissilistico non si discute
INTERVISTA A MIKHAIL GORBACIOV: “RIFORMARE LA RUSSIA E IL RESTO DEL PIANETA”
ORA POSSO DIRE
DOVE HO SBAGLIATO
FIAMMETTA CUCURNIA
I LIBRI
MIKHAIL
GORBACIOV
Perestrojka. Il
nuovo
pensiero per
il nostro
paese e per il
mondo
Mondadori
1987
FRANCOIS
FURET
Gli occhi
della storia.
Dal
totalitarismo
all’avventura
della libertà
Mondadori
2002
VICTOR
ZASLAVSKY
Dopo
l’Unione
Sovietica. La
perestrojka e
il problema
delle
nazionalità
Il Mulino 2000
GIUSEPPE
MAMMARELLA
Da Yalta alla
perestrojka
Laterza 1990
ARRIGO
LEVI
Russia del
‘900
Corbaccio
1999
GIUSEPPE
BOFFA
Dall’Urss alla
Russia
Laterza 1995
GIULIETTO
CHIESA,
ROY
MEDVEDEV
La rivoluzione
di Gorbaciov.
Cronaca
della
perestrojka
Garzanti
1989
LAPO
SESTAN (A
CURA DI)
La politica
estera della
perestrojka
Editori Riuniti
1988
ROY A.
MEDVEDEV
La Russia
della
perestrojka
Sansoni 1988
ono passati vent’anni
ma il bilancio sulla
perestrojka è ancora
difficile, perché è fatto di luci e
di ombre. Sbaglia chi dice soltanto che la perestrojka è fallita.
Non è onesto e non è vero. In
fondo, quella politica ha cambiato il mondo, che sarebbe migliore se avessimo avuto più
tempo. La perestrojka è stata
una grande occasione. Un’occasione
colta solo in parte e
per il resto bruciata».
Parla così oggi
Mikhail Gorbaciov, il
padre della glasnost e
della perestrojka,
“trasparenza” e “riedificazione”, che arrivò al Cremlino l’11
marzo 1985 portando
all’Urss democrazia e
libertà nei sei anni
che sconvolsero il
mondo.
Mikhail Sergeevic,
quale fu l’errore fatale per la perestrojka?
«Errori ce ne sono
stati tanti. Oggi mi
rendo conto che riuscire era possibile ma
molte cose dovevano
essere fatte in modo
diverso. Soprattutto,
dovevamo fare più in
fretta. Con un ritardo
imperdonabile misi mano alla
riforma del partito comunista.
Che poi fu la forza attorno a cui
si concentrarono gli oppositori,
quelli che alla fine organizzarono il golpe e bloccarono tutto in
dirittura d’arrivo, all’ultimo
momento, quando stava per
partire la decentralizzazione.
Ma avremmo anche dovuto
riformare l’Urss molto più velocemente. Prima che i nodi delle
autonomie venissero al pettine.
Molte volte ci avevo pensato.
Era chiara la necessità di un
nuovo Trattato d’Unione che
riformasse l’assetto federale. E
ci eravamo quasi arrivati in
quell’agosto del 1991. Ma era
già troppo tardi».
A quel punto, però, Eltsin
aveva già conquistato il cuore
del paese.
«C’erano mille problemi che
ci parvero marginali, ma che in
realtà avevano valore strategico
perché da quelli dipendeva il
sostegno della gente. Anche in
quel caso me ne resi conto troppo tardi. Parlo ad esempio del
mercato, dell’economia spicciola che tocca ogni giorno ogni
famiglia. Avevamo aumentato
stipendi e pensioni. Una pioggia di denaro su un paese dove
mancavano le merci in modo
cronico, da anni. E proprio in
quel momento, guarda caso —
ma non poteva essere un caso
— il prezzo del petrolio ebbe un
crollo, scese fino a 12 dollari. Gli
americani misero in circolazione l’esubero del loro petrolio, e
il prezzo precipitò. Le nostre
entrate diminuirono di due terzi. E pensare che Breznev si era
ingrassato col petrolio, e Eltsin
era stato seduto tutto il tempo
sull’oleodotto e anche Putin ne
trae non pochi vantaggi. Io, invece, no. Ma avrei potuto farcela lo stesso, se avessi capito in
tempo. Avremmo potuto sottrarre denaro alla difesa per
comprare beni di consumo.
Oppure bloccare la riforma delle pensioni. Umanamente, non
me la sentii di togliere quei
quattro soldi ai pensionati che li
«S
‘‘
,,
Oggi mi rendo conto che riuscire
era possibile ma molte cose
dovevano essere fatte in modo
diverso e più in fretta, come
la riforma del partito comunista
MOSCA 1986
Ventisettesimo congresso del Pcus, Gorbaciov
annuncia la perestrojka
avevano appena avuti. Politicamente, avrei dovuto. Invece
non fu fatto. In gran parte per
colpa mia. La gente pensò che
non fossi in grado di gestire la
crisi, perse fiducia in me. E fu allora che cominciarono ad apparire i nostri eroi. Con i comizi,
le promesse…».
Nemici dentro e fuori, dunque.
«Non mi piace la parola “nemici”. Io dico oppositori, avversari. Ce n’erano tanti anche attorno a me. Da un lato i radicali,
Eltsin e compagnia bella, che
volevano tutto e subito, ma
puntavano solo al potere. Dal-
l’altro, una parte del partito, che
non voleva cambiamenti per
conservare intatto il potere. Né
gli uni né gli altri furono in grado di impedire la perestrojka,
che ha comunque portato il suo
carico di novità e libertà. Ma sono riusciti a fermarla».
Lei pensa che se avesse spedito Eltsin a fare l’ambasciatore in Mongolia le cose sarebbero andate diversamente?
«Beh, vent’anni dopo posso
dirlo: sì, avrei dovuto farlo. Forse il mio peccato è stato una certa ingenuità, l’utopismo. Mettevo sempre la democrazia al
primo posto. Pensavo che il
FRANCIS FUKUYAMA
Il fatto che la perestrojka
continuasse a essere
sbandierata ha fatto dire a
molti che il popolo russo
non era in grado di
instaurare una democrazia
La fine della Storia e l’ultimo
uomo, 1992
ERIC J. HOBSBAWM
La nostra ammirazione per
Gorbaciov non sarebbe
scemata in seguito alla
tragedia del suo fallimento.
Egli è stato il responsabile
della sua distruzione
Anni interessanti
2002
paese stava faticosamente facendo i primi passi in questo
campo e doveva imparare che
ogni conflitto può essere risolto
con mezzi politici. Tornare ai
vecchi metodi, alle epurazioni,
era per me come accettare la
sconfitta, cancellare quel che
avevo fatto, tornare indietro.
Per questo non allontanai Boris
Eltsin. E fu un errore, giacché si
rivelò poi un omuncolo, vendicativo, incapace di guardare
lontano, un avventuriero. Ma anche lui è
stato usato. Evidentemente, in Occidente si preferiva uno come lui».
Quindi lei ritiene
che l’Occidente
avrebbe potuto fare
di più per salvare la
perestrojka.
«La perestrojka
non era stata pensata
solo per l’Urss. Nelle
intenzioni, era una
grande occasione di
cambiare il mondo.
Riformare l’Urss ma
anche il resto del pianeta. Uscire dalla
Guerra fredda, dalla
filosofia del Muro,
della Cortina di ferro,
per approdare in un
era di cooperazione.
Cambiare un paese oberato di
problemi difficilissimi e senza
democrazia, era la prova che
anche il mondo poteva farlo.
Ma questo richiedeva uno sforzo collettivo. Che non c’è stato.
I nostri amici americani si ricordano della cooperazione solo
quando non sanno più che cosa
fare. Dai tempi di Washington e
di Jefferson la loro politica non
è mai cambiata: l’America decide da sola, fa quel che ritiene
opportuno per i suoi interessi,
senza assumersi impegni verso
nessuno. Neanche Roosevelt
ha fatto eccezione e certo non
Clinton che parlò addirittura di
Secolo americano. L’unico che
ebbe l’intuizione di un mondo
inteso come un corpo solo fu
John Kennedy. Ricordo bene il
suo discorso del 1963 sulla pace
che non può essere un “pax
americana”. Con lui io sono in
sintonia. La perestrojka era scomoda per gli Stati Uniti, per la
loro politica dei due pesi e due
misure che non accetta neppure il diritto internazionale. Se
avesse vinto, le cose sarebbero
state oggi ben diverse e anche
gli Stati Uniti dovrebbero comportarsi diversamente. Invece,
al posto di un nuovo mondo abbiamo la globalizzazione selvaggia, la povertà, il disastro
ambientale, il terrorismo».
Se tornasse indietro lo
rifarebbe?
«Io resto fedele alle
mie idee».
Lei si considera ancora socialista?
«Sono un uomo di
idee socialiste. Ma per
me oggi la via più giusta
per realizzare queste
idee è quella socialdemocratica. Mi sono convinto
che il comunismo, e anche il
socialismo quando è troppo vicino al comunismo, non siano
adatti al mondo d’oggi».
Il socialismo non è morto?
«L’idea del socialismo viene
da lontano. È ideale di giustizia.
Viene da Cristo e non morirà
mai».
A Torino da tutto il mondo
dal 4 al 6 marzo
parlare della perestrojka e delle sue
conseguenze, a vent’anni dall’avvio di
quel processo che avrebbe cambiato il
volto dell’Europa e del mondo, arriveranno a
Torino, dal 4 al 6 marzo personalità politiche e
studiosi da tutto il mondo, ma soprattutto
protagonisti di quegli eventi, Mikhail
Gorbaciov per primo. Il convegno è
organizzato dal World Political Forum, di cui Gorbaciov è fondatore e presidente, e ha per titolo
“Perestrojka. 1985-2005:
Vent’anni che hanno cambiato
il mondo”.
Oltre all’ex segretario del
Pcus saranno a Torino l’ex cencelliere tedesco Halmut Kohl,
l’ex presidente polacco Wojciech
Jaruzelski, il premio Nobel per la
pace Lech Walesa, il cardinale Achille Silvestrini. Tra i politici italiani, Francesco Cossiga, all’epoca presidente della Repubblica, Giulio Andreotti, che era ministro
degli esteri e poi presidente del Consiglio, e
l’ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis.
Tra gli studiosi, il grande esperto di cose russe
Richard Pipes, l’economista Jeremy Rifkin, il
filosofo Edgar Morin.
A
DIARIO
VENERDI 25 FEBBRAIO 2005
L’AFGHANISTAN 1988-1989
Gorbaciov dichiara di volersi ritirare
dall’Afghanistan. Nel febbraio 1989
l’operazione è completata. Nella
guerra, durata quasi un decennio,
erano morti 30 mila soldati sovietici
LA REPUBBLICA 49
LA DISGREGAZIONE 1989
Solidarnosc vince le elezioni, in Polonia
si insedia un governo non comunista. È
poi la volta di Ungheria, Romania e
Cecoslovacchia. In Germania crolla il
muro di Berlino
LA FINE 1991
Il 21 dicembre l’Unione Sovietica viene
sciolta e diventa la Comunità di Stati
Indipendenti. Il 25 dicembre 1991
Gorbaciov si dimette. Nel ’90 aveva
ricevuto il Nobel per la pace
DIETRO IL FALLIMENTO DI SETTANT’ANNI DI COMUNISMO
COME È CROLLATO
IL FRAGILE IMPERO
RICHARD PIPES
l socialismo, emerso in Francia nel secondo quarto del XIX
secolo, ci ha abituati a pensare che a produrre gli eventi storici
siano le “masse”, mentre i “grandi uomini” sarebbero solo i loro
strumenti. E il marxismo ha ulteriormente rafforzato questa visione della storia che sorgerebbe
sempre e dovunque “dal basso”.
Ma la validità di questa proposizione, largamente accettata come assiomatica, è molto discutibile. Senza alcun dubbio gli eventi politici e militari che rappresentano gli snodi cruciali delle vicende storiche sono determinati
in larga misura da piccoli gruppi
di individui con responsabilità di
governo. Davvero c’è bisogno di
dimostrare che politici e generali non hanno
consultato le
masse per
decidere di
scatenare la
prima e poi la
seconda guerra mondiale,
con il loro tributo di decine
di milioni di vite
umane? La Rivoluzione d’ottobre del 1917 in
Russia, che gli
storici di sinistra
attribuiscono alla
volontà delle
“masse” di istituire il governo dei
Soviet, di fatto è
stata attuata da Lenin e dai suoi sodali, nel più totale segreto. Si è trattato di un colpo
di stato, non di una rivoluzione.
Lo stesso si può dire del collasso dell’Unione Sovietica, uno
Stato totalitario apparentemente
indistruttibile, protetto da un imponente apparato militare e da
servizi di polizia che non erano
secondi a nessuno. Nessuna manifestazione pubblica ne ha reclamato l’abolizione, e non vi sono stati neppure i tumulti o le barricate che siamo soliti associare
alle rivoluzioni. Quell’insurrezione fu decisa e attuata da una
manciata di politici rappresenta-
I
IL RICORDO DEL GENERALE
GORBY, L’UNICO RUSSO
CHE PIACQUE AI POLACCHI
GLI AUTORI
Il generale Wojciech Jaruzelski è stato
segretario del Partito operaio polacco,
primo ministro e poi presidente della Polonia dal 1985 al 1990.
Il Sillabario di Henry Kissinger è tratto
da “L’arte della diplomazia” (Sperling &
Kupfer, 2004).
Richard Pipes storico, tra i massimi
esperti di Russia e di comunismo, insegna ad Harvard: tra i suoi libri più famosi “Il regime bolscevico” (Mondadori) e “Comunismo. Una storia” (Rizzoli).
ti al Politburo, i quali, preoccupati per la stagnazione in cui versava il paese, hanno scelto come
leader Mikhail Gorbaciov: l’uomo che avrebbe portato avanti
una serie di riforme per rilanciare
l’economia e rivitalizzare la vita
pubblica. Né loro, né lo stesso
Gorbaciov si erano proposti di distruggere il regime comunista.
Ma la decisione, presa da quel
piccolo gruppo di uomini e da
nessun altro, ben presto sfuggì loro di mano, causando la dissoluzione del primo Stato comunista
del mondo. E con essa la fine della guerra fredda, che quello Stato
aveva originato e portato avanti
GLASNOST E
PERESTROJKA
A sinistra,
una
manifestazione
a Mosca per
la democrazia
nel febbraio
1990
RYSZARD KAPUSCINSKI
La perestrojka ha coinciso
con lo sviluppo della
televisione, che ha conferito
alla perestrojka una risonanza
mai toccata a nessun evento
nella storia dell’Impero
WOJCIECH JARUZELSKI
l “nuovo pensiero” nella politica
esterna era organicamente, integralmente legato alla perestrojka, alla politica interna. Anche qui i cambiamenti
hanno avuto essenzialmente un carattere rivoluzionario. Questo passaggio non
fu facile. Si erano proposte nei rapporti
tra l’Est e l’Ovest numerose barriere a
causa della guerra fredda. Bisognava superare da una parte l’imperialismo occidentale, dall’altra parte “l’imperialismo
del male”. Su questa strada ci fu un grande progresso. Non sminuisco i meriti dei
leader dell’Occidente, del Papa Giovanni Paolo II, nei processi che stavano avvenendo in Polonia. Tuttavia ha avuto
fondamentale, cruciale significato la
personale determinazione, l’adoperarsi, le iniziative di Mikhail Gorbaciov.
Si è dato il caso che storicamente in
I
Polonia ci sono stati e ci sono molti sentimenti antirussi e antisovietici, sentimenti di rancore. Ebbene avvenne una
specie di “miracolo”. La sua espressione
particolare, spettacolare fu la visita di
Mikhail Sergeevic Gorbaciov assieme alla moglie Raisa Maksimovna in Polonia,
nel luglio 1988. Nessuno, a parte il Papa
polacco, fu salutato con così tanto entusiasmo e spontaneità quanto Gorbaciov. I sondaggi dell’opinione pubblica
polacca nell’anno 1988 mostrarono un
78 per cento di simpatie e soltanto il cinque per cento di antipatie nei suoi confronti. È un indice che nessun leader occidentale ha mai registrato.
Occorrerebbe approfondire questo
fenomeno, trarne le opportune conclusioni, e guardare del resto non soltanto
alla situazione polacca.
Imperium
1994
FRANÇOIS FURET
La speranza è rimasta viva
fino a Gorbaciov. Ancora
sotto Gorbaciov si sperava
di trovare una via d’uscita.
Solo dopo la sua caduta la
speranza è venuta meno
Critica del XX secolo
Intervista, giugno 1997
senza tregua.
Quest’evento storico presenta
alcune somiglianze con il tracollo della monarchia russa, nel
1917. Per tre secoli la dinastia dei
Romanov aveva governato la
Russia in maniera sempre autocratica, con la sola eccezione dell’ultimo decennio. C’era, è vero,
sia nell’esercito che tra la popolazione delle città, un malcontento
molto diffuso per la conduzione
della guerra. Ma nessuno, ad eccezione di alcuni piccoli gruppi di
intellettuali radicali, aveva chiesto l’abdicazione dello zar Nicola
II. Quest’ultimo si era risolto ad
abdicare perché i suoi generali lo
avevano convinto che quel gesto
avrebbe migliorato la situazione,
sul fronte e all’interno del paese.
Ma il risultato fu
diametralmente opposto: la
Russia precipitò nell’anarchia, le
diserzioni di
massa disgregarono l’esercito, e nel giro
di un anno la
Russia si ritrasse dalla guerra.
Questa vicenda
dimostra – come hanno riconfermato gli eventi del 1991 – che
un regime privo
di un forte radicamento tra la popolazione, un regime che i cittadini
non sentono come proprio, è praticamente sospeso in aria, e in
tempi di crisi non può contare su
alcun sostegno. La sua solidità è
effimera. Le democrazie, nonostante lo scompiglio che normalmente le caratterizza, sono di fatto molto più stabili dei regimi autocratici.
A Mikhail Gorbaciov va riconosciuto il grande merito di aver liberato la Russia, e i suoi stati satelliti, dalla stretta mortale del comunismo. E’ vero che inizialmente la sua intenzione non era
quella di abolire il comunismo,
bensì di rafforzarlo; ma quando si
trovò alla prese con le resistenze
implacabili delle burocrazie arroccate sulle proprie posizioni,
non fece marcia indietro, come
avrebbe potuto fare. E come
avrebbe fatto, se il suo principale
interesse fosse stato quello di
mantenersi al potere. Al contrario, ebbe il coraggio di invitare
l’intera popolazione a esprimere
le proprie aspirazioni sospendendo la censura e aprendo la
strada a processi elettorali negli
organi di governo. Una volta
adottate queste misure, è però
accaduto l’inevitabile.
Purtroppo in Russia la scomparsa della dittatura comunista
non ha portato al trionfo della democrazia. A quanto indicano i
sondaggi, la maggioranza dei
russi la respinge, identificandola
con l’anarchia. A quanto pare,
per loro la sicurezza personale è
più importante della libertà; e al
momento attuale ritengono che
le due cose si escludano a vicenda. Ma col tempo il loro atteggiamento potrebbe cambiare. E se
questo avverrà, il merito dovrà
essere attribuito in primo luogo e
soprattutto a Michail Gorbaciov.
Come si vede, sono gli individui a
fare la storia.
(Traduzione di Elisabetta
Horvat)
I FILM
PENTIMENTO
In un paese
immaginario
(ma è
riconoscibile
con facilità la
Georgia), si
svolge il
processo
postumo a un
dittatore, che
somiglia un
po’ a Stalin e
un po’ a Hitler.
Il film simbolo
della
perestrojka.
Di Tenghiz
Abuladze, del
1986.
TAXI
BLUES
L’amicizia
improbabile,
nella Mosca
degli anni di
Gorbaciov, tra
un tassista
avido e
antisemita e
un
sassofonista
ebreo
alcolizzato. Di
Pavel Lungin,
del 1990.
LA MADRE
Tratto dal
romanzo di
Gorkij, la
storia di una
donna che
partecipa alle
prime lotte per
la libertà, per il
socialismo,
contro
l’oppressione
zarista nella
Russia a
cavallo tra
Ottocento e
Novecento. Il
film è
considerato il
manifesto
dell’ideologia
gorbacioviana
.
Di Gleb
Panfilov, del
1990.
THEMA
Nella storia di
un
commediografo
conformista e
di successo,
una dura
critica al
potere
sovietico. Di
Gleb Panfilov,
girato nel
1979, uscì
solo nel 1986,
grazie alle
aperture di
Gorbaciov.