La famiglia speranza e futuro per la società italiana

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Sulmona, 15/02/2014
La famiglia speranza e futuro per la società italiana: rete e reti di relazioni nel territorio.
Prof. Ivo Stefano Germano
[email protected]
Docente di Sociologia della famiglia
Università del Molise; Pontificia Università Gregoriana.
Famiglia e bene comune:
Il tema del mio intervento riguarda il bene comune, a partire dalla sua definizione e, più
specificamente, come lo si crea e chi lo crea. In un secondo momento cercherò di definire la
famiglia concentrandomi sulle funzioni assolte, secondo la seguente ipotesi: perché la famiglia
rappresenta un soggetto sociale che crea (deve/dovrebbe/potrebbe) bene comune? A quali
condizioni? E ancor più: è possibile ragionare di un bene comune senza la famiglia?
Il tema è d’altronde centrale per coloro che hanno piena consapevolezza dell’indebolimento e della
frammentazione del legame matrimoniale e non solo. Uno degli elementi maggiormente dibattuti
della e sulla “società liquida”. Ogni rapporto sociale è come la notissima marca di caffè liofilizzato,
cioè solubile, anonimo, interscambiabile. Certo, la liquefazione del legame sociale è un dato stoirco,
almeno stando a quanto sostenuto, teorizzato, replicato ad libitum dalla sofisticata teoria neomarxista di Zygmunt Bauman della “società liquida” e, circa il tema proposto dell’ “amore liquido”
e delle sue conseguenze sociali e culturali. Al pari del lavoro, l’amore diventa infatti precario,
decisamente “a tempo” surrogato da “relazione complicate”, “prove generali” di giovani adulti che
non finiscono mai, egolatrie, narcisismi, fughe in avanti, troppo avanti davanti a siti mirabolanti che
tutto promettono: dall’anima gemella alle diverse e, sempre più specifiche, categorie del genere
porno. Facendo di nuovo capo alla tesi di Bauman sulla volatilità assoluta dei legami da parte e
sotto la spinta d’individui che intendono liberarsi da ogni vincolo, legame e dall’impossibile tenuta
dei corpi intermedi e delle agenzie istituzionali d’intermediazione sociale, la società liquida sembra
prospettare una sempre più frequente difficoltà non tanto a concepire il matrimonio "per sempre" o
"per tutta la vita" quanto, in realtà, a riconoscerne un certo appeal. Una diversa cultura del legame
di coppia sfocia nella criticità del matrimonio, come unione e promessa davanti alla società. A
essere in crisi risulta la cifra simbolica delle nozze, tanto che la rilevanza sociale e culturale di
un’alleanza fra uomo e donna è fragile e, appunto, in "crisi di liquidità" relazionale e responsabile".
Inseguire le passioni non è più la chanche, ma una forma nuovissima di cattività, di blocco o
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impedimento per quegli stessi individui che tentano e ritentano di cambiare chi è al loro fianco
oltreché il destino. La vecchia silloge marxiana del Manifesto (1848) per cui tutto ciò che era solido
diventa liquido passa da “strutturale” a esistenziale, da mezzo e modo di produzione capitalistico a
vettore della dissoluzione di quella particolare e delicata forma d’appartenenza significativa, stabile,
duratura che chiamiamo famiglia. Nella misura in cui la stabilità non appare più il pre-requisito
fondamentale il tessuto diventa più importante della stoffa, il contenitore più affascinante dei
contenuti stessi, la performance più del progetto. Il risultato emblematico è il moltiplicarsi delle
forme di famiglia, come simbolo di libertà progressiva e non di regresso culturale e ideologico
pompato dai media alla ricerca di una società felice e performativa. Una rigorosa analisi sociologica
conferma come la famiglia intesa in senso naturale resti il luogo più logico per far nascere e
crescere i valori di una società che intenda durare procreando ed educando figli. Ad entrare in crisi,
tuttavia, è il codice simbolico della famiglia naturale al centro di un costante tentativo
d’indifferenziazione in convivenze, unioni di fatto, coppie gay, aggregazioni per mero calcolo
opportunistico. L’equivalenza per cui non c’è più la famiglia, ma le famiglie conduce ad una
maggiore discriminazione sociale in termini di salute, istruzione, lavoro, vita e ad una dispersione
del patrimonio di dono, reciprocità, sessualità, generatività.
Solidarietà e sussidiarietà della famiglia.
Per meglio rispondere ai quesiti interviene il principio di sussidiarietà, dal momento che incarna
uno dei 4 principi su cui si basa la dottrina sociale (dignità della persona, bene comune e
solidarietà). Molto spesso questi principi sono vittima di drastiche riduzioni semantiche venendo
applicati separatamente.
Dal punto di vista della famiglia è possibile osservare che cosa sia il bene comune e come e perché
sia distinto dal bene pubblico o collettivo e dal bene privato. Più chiaramente, la persona umana ha
bisogno di bene comune intorno a sé, in tanto in quanto, l’agire soggettivo è sempre spinto dal
tentativo di afferrare un bene esterno a sé, benchè non tutti i tentativi producano effetti riconducibili
nella sfera del bene. Tantomeno è possibile limitarsi ad una questione morale, qualora s’intenda
definire proprio il bene comune, come un bene per sé e contemporaneamente un bene per più
soggetti.
La teach controversy riguarda quale famiglia per quale tipo/modello/concetto di società. La quale
ultima non può essere confinata alla presa d’atto di un continuo e incessante individualismo. Uno
degli ostacoli più evidenti consiste nella frammentazione, nella disintermendiazione di ogni
segmento sociale. Tale da investire la famiglia, dai legami fragili e “liquidi”, tuttavia,
paradossalmente certi nelle dinamiche e problematiche intergenerazionali: genitori assenti,
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sofferenza fra coniugi, difficoltà, errori, fraintendimenti che, sempre più spesso, sfociano in vere e
proprie situazioni conflittuali. Con queste premesse, più che governarla si preferisce la resa alla
contingenza, non considerando strategico raggiungere uno stadio adulto, cioè cresciuto e non più
adolescente, dotato di tolleranza e ragionevolezza. Ciò che può generare non, seguendo fascinosi
slogan mediatici, una società di singles, di “mamme tigre o panda”, di “adultolescenti”, ma
unicamente e storicamente un gruppo e una rete di persone capaci di reciproco ascolto e
accompagnamento nella quotidianità.
Vorrei sfatare un mito: la famiglia cambia, ma non nella sua sostanza. Dal punto di vista storico, la
famiglia ha cambiato, cambia e cambierà le sue forme di organizzare le relazioni familiari, dato che
le traiettorie concrete di costruzione della famiglia hanno oscillato dalla numerosità alla
monoparentalità, dalla condizione anagrafica alla monogamia o meno. Cionondimeno esistono due
tratti distintivi, validi per ogni civiltà e ogni epoca, di tipo antropologico-culturale che definiscono
la famiglia: la differenza sessuale e la capacità di generare, strettamente interconnesse l’una
all’altra. La prima è una manifestazione naturale, la seconda un progetto, frutto di un mix fra
esigenze economiche ed esistenziali, dal momento che consentiva al neonato di avere posto in un
nucleo famigliare preoccupato della sua crescita e sviluppo. Va da sé che la famiglia, nel corso della
storia e in differenti contesti territoriali, abbia assunto profili e sembianze diverse, in nome di un
mero principio di sopravvivenza, dal momento che non si può affrontare il cambiamento senza la
benchè minima flessibilità. In estrema sintesi: indipendentemente dalla strutturazione e
organizzazione sociale, la famiglia continua a mantenere il coniugio e la genitorialità, marito e
mogli, padre e madre.
La novità stringente, per alcuni stridente, che la società postmoderna costringe ad annotare è il fatto
che la tecnologia pare in grado di modificare la distinzione sessuale a fini di generatività,
contemporaneamente, alla possibilità di costruire culturalmente il proprio orientamento di gender.
La persona tende a farsi e rifarsi da sola e, altrettanto solipsisticamente, abolisce la differenza
sessuale a scopo procreativo e la mediazione fra natura e cultura dentro la famiglia.
Non è dato sapere l’approdo definitivo, eppure viene elaborata una cultura in cui la manipolazione
tecnologica è prioritaria, al pari, d’interessi economici ad orientare i consumi e il dibattito fra le
“parole chiave” del nuovo millenio, dove pare esserci uno spazio residuale per la famiglia, per come
è stata conosciuta ed è apparsa per tre millenni anno più o meno. Un modo come tanti di aggregarsi,
magari socializzare, ma non di rendere felici le persone. Non a caso, il recente dibattito sul diritto di
famiglia in Francia, ha fatto emergere resistenze col movimento, di taglio conservatore tuttavia
esteso a fasce amplie della popolazione, “manifpourtous”.
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Famiglia: un modo concreto di vita
In una società divisiva e ad elevata contingenza, al momento, la famiglia è al centro di un quadro
complessivamente critico, da un lato collegato a fattori interni alla qualità della densità/vischiosità
relazionale della famiglia, in forte dipendenza dal contributo di ogni componente, a sua volta,
derivante, in senso lato, da pregressi e precedenti storico-biografici, dall’altro collocati alla stretta
globalizzazione, al cui interno, il sociale, di fatto, agevola o non la suddetta densità delle relazioni
familiari.
Il quadro sociale e culturale è oltremodo diviso, differenziato, parcellizzato non solo per le famiglia,
piuttosto per gli individui sempre più individualizzati e frammentati in ogni momento: a maggior
ragione, l’urgenza tocca le relazioni divisive fra persone divise al loro interno, dai linguaggi, stili di
vita, prassi diversi, se non proprio, divergenti. Un processo di differenziazione delle sfere di vita
implica l’utopia di una persona tanto matura e forte da tenere insieme tale contingenza, senza ausilii
e integrazioni che, d’altronde, non sono più quelli di una società semplice ed ordinata come poteva
essere quella del Secondo Dopoguerra con i suoi punti di riferimento, le tappe e riti d’iniziazione
ben definiti. Occorre fare i conti con inedite responsabilità professionali, di coppia a non dire delle
genitoriali.
Per un baby boomer cresciuto in famiglia fino a 20 anni, con più intense esperienze di realtà dal
cortile alla parrocchia, dalla sezione politica al luogo di lavoro era tutto “più chiaro”, meglio, nitido.
Ora i nostri figli assorbiti dai devices digitali, immersi in flussi indipendenti l’uno dall’altro, intenti
ad un conto alla rovescia incessante rispetto a quanto li separi dal potere giocare sulla rete o alla
playstation durante lezioni scolastiche che, non sempre, li istruiscono anche se, apparentemente,
paiono sovraccaricati di compiti. Quel baby boomer ha studiato di meno, ma una volta concluso
l’iter scolastico, certamente ebbe l’occasione di trovare un lavoro, la fidanzata, il matrimonio e la
possibilità di garantire strutturalmente il ciclo di crescita dell’eventuale prole. Un tranquillo
percorso a tappe, socialmente riconosciute, stabili e non reversibili, vale a dire, non si correva il
rischio di restare fermi un giro o, addirittura, retrocedere e precipitare per cause esterne.
All’oggi la crisi è, prima di tutto, di modelli educativi e antropologici: non finisci mai di studiare, il
fidanzamento sopravvive a stento, i lavori parcellizzati hanno sostituito il lavoro solido, il futuro
coincide con la novità alla moda e l’altrove generazionale di è stinto progressivamente, dal
momento che ad ognuno viene richiesto un surplus di personalità comportandosi in modo distinto.
La sfida è enorme, per alcuni, improba. Pertanto, non sarebbe male porsi il problema di smussare le
differenze culturali, ambientali e familiari grazie ad una metodologia flessibile tra coinvolgimento e
distacco. Quanta dispersione cognitiva richiede il lavoro in termine di attenzione responsabile,
mentre lo smartphone squilla, arriva un messaggio di aiuto da casa, il compagno o una compagna
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rivendicano un propiro spazio, dato l’accumulo di stanchezza e tensione e i figli vagano fra
un’attività sportiva, ricreativa, formativa da una parte all’altra della città.
Vi è chi ha descritto questa situazione nel passaggio da una “presenza assente” ad un’ “assenza
presente”, dovuta all’assorbimento di doveri ed oneri con i colleghi e il capoufficio, con i figli e i
genitori anziani. Tutto questo non perché la società attuale sia ostile alla famiglia, quanto perché sia
portata a ritenerla una questione privata, un love affair per chi sceglie di farlo.
A tal proposito, una risposta dei territori può essere rappresentata dalle forme associative e dai corpi
intermedi costituendosi in associazioni familiari non in chiave meramente rivendicativa di diritti
che, realisticamente, non ci sono più. Dimostrare col realismo e con l’esempio concreto il senso,
l’importanza e l’utilità del fare famiglia: stando insieme, altrimenti, si rischia il solipsismo e la
schizofrenia, entrambi alienanti. E dando una mano a uomini e donne per maturare un progetto
adulto, umano per meglio affrontare l’inevitabile complessità, primariamente, tenendo insieme ciò
che non lo è.
Si tratta di una pratica faticosa, tensionale, non certo di una “ricetta miracolosa”. Uno stile di vita
responsabile, accogliente che prenda spunto e forza dall’educazione per essere sempre più
convincente e differente. Ed è proprio la differenza, cioè una delle evidenze lampanti della società
postmoderna, a non dovere essere ricondotta ad un principio unitario, ma portata laddove le
differenze conducono. La tolleranza della diversità non significa condividere aprioristicamente di
atteggiamenti e costumi diversi, ma di rieleborarli aumentando lo spazio operativo della propria
identità. A cominciare dai singoli dettagli di un modo concreto di vita chiamato famiglia.
Bibliografia
P. Donati, La famiglia: il genoma che fa vivere la società, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013, cap.
V.
P. Donati, La politica della famiglia: per un welfare relazionale e sussidiario, Cantagalli, Siena,
2011, cap. V.
P. Di Nicola, Famiglia: sostantivo plurale. Amarsi, crescere e vivere nelle famiglie del terzo
millennio, Angeli, Milano, 2008, cap. VI.
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Prandini R. e Cavazza G. ( a cura di), Il potere dell'amore nell'epoca della globalizzazione,
Genova, il Melangolo, 2011.
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