Sono principalmente le fonti letterarie di V e IV secolo a. C. da Atene

Scuola Normale Superiore
Laboratorio di Storia, Archeologia, Topografia del Mondo Antico
Lo spazio pubblico interdetto: l’estromissione degli omicidi dalla comunità civica
Irene Salvo
IG I3 104: la legge di Draconte (621620 a.C. [Arist. Ath. Pol. 4.1], redazione del 409/8 a.C.)
Nel mondo greco arcaico, a seguito di un omicidio, è compito dei parenti della vittima perseguire l’autore del delitto. Il primo provvedimento da prendere è estromettere l’omicida dalla comunità civica. La legge di Draconte (VII
secolo a.C.) stabilisce che i parenti dell’ucciso facciano in pubblico una proclamazione contro l’uomo accusato di
omicidio (proeipe`n de; to`i ktevnanti ejn ajgora`i mevcr∆ ajnefsiovteto~ kai; ajnefsio`: IG I3 104.20-21). Poco più
avanti una clausola precisa che “se qualcuno uccida, o sia causa della morte di un omicida che si tiene lontano dai
mercati di confine, dai giochi e dai santuari degli Anfizioni, sarà sottoposto alle stesse pene cui è sottoposto colui che
ha ucciso un ateniese, e gli Efeti saranno competenti a giudicare” (eja;n dev ti~ to;n ajndrofovnon ktevnei e] ai[tio~ e\i
fovno, ajpecovmenon ajgora`~ ejforiva~ kai; a[qlon kai; iJero`n ∆Amfiktuoniko`n, o{sper to;n ∆Aqenai`on ktevnanta,
ejn toi`~ aujtoi`~ ejnevcesqai: diagignovsken de; to;~ ejfevta~: IG I3 104. 26-29 = Dem. Contra Aristocr. 37-43).
Sono principalmente le fonti letterarie di V e IV secolo a. C. da Atene che permettono di ricostruire la procedura seguita per mettere al
bando il presunto omicida. Prima di una dike phonou, i parenti della vittima portano una lancia al suo funerale e fanno una proclamazione
sulla sua tomba, dichiarando di voler perseguire il responsabile dell’omicidio (ejpenegkei`n dovru ejpi; th`/ ejkfora`/, kai; proagoreuvein ejpi;
tw`/ mnhvmati: [Dem.] In Everg. et Mnesib. 69.4-5; cfr. anche Istrus FGrHist 334 F 14, Poll. 8.65). In seguito, una seconda proclamazione
contro il presunto omicida viene fatta dal basileus nell’agorà. Piuttosto che distinguere le due proclamazioni riconducendole una alla sfera
religiosa e l’altra alla sfera giuridica, sembra opportuno comprendere la loro diversità considerando i destinatari di ciascun annuncio. La
proclamazione sulla tomba fatta dai parenti è un dialogo tra i parenti della vittima e la vittima stessa, e lo scopo è comunicare al defunto che
il suo uccisore verrà perseguito; l’anima del morto riceve quindi soddisfazione. La proclamazione nell’agorà fatta dal basileus serve per
comunicare all’intero corpo civico la volontà della famiglia di perseguire l’omicida; è quest’ultima proclamazione ad avere due funzioni
fondamentali: bandire l’omicida dai luoghi pubblici e dare inizio all’azione giudiziaria presso il tribunale competente.
Un sacerdote si prepara alla preghiera e al
sacrificio lavando le mani nell’acqua lustrale. Cratere attico a figure rosse del Pittore
di Cleofonte (430-410 a.C.).
Boston, Museum of Fine Arts 95.25
I luoghi da cui viene bandito l’omicida comprendono tutti i centri della vita sociale comunitaria e tutto il territorio della polis: “nella legislazione in materia di omicidi Draconte intese incutere il più vivo timore nei confronti
dell’assassinio, e propose, pertanto, che all’omicida fosse preclusa l’acqua lustrale, le libagioni, i crateri, i templi,
l’agorà” (ejn toivnun toi`~ peri; touvtwn novmoi~ oJ Dravkwn fobero;;n kataskeuavzwn kai; deino;n tov tin∆ aujtovceir∆ a[llon a[llou givgnesqai, kai; gravfwn cevrnibo~ ei[rgesqai to;n ajndrofovnon, spondw`n, krathvrwn,
iJerw`n, ajgora`~: Dem. Adv. Lept. 158. 1-5; vedi anche Aesch. Eum. 448-452, 653-656; Eur. Or. 46-48, HF 12811284).
L’espressione ei[rgesqai tw`n nomivmwn viene usata nel V e nel IV secolo a.C. per ordinare all’accusato di omicidio di stare lontano da quanto prescrive la legge (Antiph. De chor. 34.7, 35.6-7, 36.3-4, 40.6, cfr. De caede Herodis 10, Tetral. 3.1.2; Plat. Leg. IX 873b.1-2; Arist. Ath. Pol. 57.3.1).
Fino al termine del processo, il sospetto omicida non deve entrare nei luoghi che gli sono stati interdetti,
pena l’arresto immediato (Dem. Contra Aristocr. 80, In Timocr. 105, cfr. ibidem par. 60: polu; ga;r dhvpou
ma`llon oiJ prodidovnte~ ti tw`n koinw`n, oiJ tou;~ goneva~ kakou`nte~, oiJ mh; kaqara;~ ta;~ cei`ra~
e[conte~, eijsiovnte~ d∆ eij~ th;n ajgoravn, ajdikou`sin - “perché sono senz’altro molto più colpevoli coloro che si macchiano di tradimento verso la comunità, che maltrattano i loro genitori, che hanno le mani
contaminate e tuttavia mettono piede nell’agorà”.)
Atene (ca. 500 a.C.), pianta dei più antichi edifici pubblici
e dei luoghi sacri nell’area dell’acropoli e dell’agorà (da
“The Archaeology of Athens and Attica under the Democracy”, a cura di W.D.E. Coulson, O. Palagia, T.L. Shear,
Jr. H. A. Shapiro, F.J. Frost, Exeter 1994, p. 226)
L’esclusione dalla comunità mette l’accusato in una condizione di totale isolamento,
la sua vita quotidiana viene stravolta – come egli ha alterato la vita della famiglia della vittima; è la morte civile del sospetto omicida. Occorre sempre considerare le parti
a cui l’omicida deve rispondere della sua azione: il defunto non deve irarsi vedendo
che il suo carnefice frequenta i luoghi in cui egli stesso avrebbe continuato la sua vita
se non fosse stato ucciso (cfr. Plat. Leg. IX 865e ); la comunità sociale non deve essere
contaminata dall’impurità che deriva dal sangue versato (Antiphon Tetral. 1.1.10, 2.1.2;
Soph. OT 241-242 ; Plat. Leg. IX 868a.7-b.1, 871a.3-5).
Il corpo civico mette in atto questa strategia di estromissione per proteggere se stesso: un individuo che ha ucciso una
persona può essere in grado di ripetere la stessa azione; per salvaguardare la sicurezza e l’ordine pubblico – evitando
anche la vendetta dei parenti della vittima sul presunto omicida – l’elemento pericoloso va messo al bando, soprattutto
dai luoghi maggiormente frequentati.
Testimonianze di tali provvedimenti emergono anche in periodi più tardi: regolamentando i criteri relativi alla purezza
rituale di un santuario ad Eresos, viene negato l’accesso agli omicidi (LSCG 124, 10, II secolo a.C.); risale al I secolo
d.C. un regolamento attico del culto di Men, secondo cui un omicida non può entrare nel tempio (IG II2 1365.19-23,
cfr. LSCG 55).
Regolamento del culto di Men (I
secolo d.C.; IG II2 1365 = CMRDM
1.12)