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 OMICIDIO AGENTE PENITENZIARIO POLIZIOTTO PENITENZIARIO: LAVORO USURANTE ? Un delitto di ordinaria follia” così il procuratore della Repubblica di Catania, Vincenzo D''Agata, ha definito l’omicidio commesso dall’ispettore di polizia penitenziaria di 39 anni, Mauro Falcone, originario di Piazza Armerina (Enna). L’episodio, avvenuto la scorsa notte nel carcere di massima sicurezza di Bicocca di Catania, ha avuto come vittima un collega dell’assassino, Davide Aiello di 32 anni. Prima di fare esplodere la sua follia omicida, Falcone era stato notato all’interno di una cella, al buio, a pregare in ginocchio con la Bibbia in mano. Sulla vicenda c’è stretto riserbo da parte della scientifica, e non emergerebbero contrasti tra l''omicida e la vittima. Il magistrato ha però tratteggiato la personalità dell''ispettore che in passato aveva sofferto di crisi depressive. Per un periodo infatti gli era stata tolta anche la pistola d''ordinanza. La dinamica è ancora avvolta nel mistero. Falcone aveva finito il suo turno di lavoro a mezzanotte, poi è andato a prendere un caffè con un agente; all''improvviso, come se si fosse ricordato di qualcosa è tornato indietro, ha incontrato Aiello e gli ha scaricato contro l''intero caricatore della pistola d''ordinanza. Poi si è seduto e ha pronunciato delle frasi incomprensibili come “Satana” e “il male assoluto”. In passato all''ispettore, che soffriva di violente crisi depressive, una commissione medica aveva vietato l''uso della pistola, che gli era stata successivamente restituita. Fin qui la cronaca dei fatti; andiamo invece all’analisi del contesto. Non è la prima volta che un agente della polizia penitenziaria da chiari segnali di cedimento psichico. Numerose, in questi anni, le lettere inviate dalle organizzazioni sindacali al Ministero di grazia e Giustizia e le proposte di legge sulla tematica dei lavori usuranti. Una legislazione complessa che a tuttoggi non ha fatto luce sul fenomeno che interessa gli agenti carcerari e il loro stato di stress psico – fisico. Da tempo le carceri fanno registrare situazioni “border line”, al limite cioè della tolleranza. “Coloro i quali lavorano a contatto con i detenuti vivono una dimensione professionale legata ad un ambiente, quello carcerario, espressione di abbandono e disagio, lo dichiara l’onorevole Silvio Crapolicchio, firmatario di una proposta di legge. Attività che raramente concede prospettive o soddisfazioni economiche, ma che di contro aggiunge frustrazione per il confronto quotidiano con la criminalità e la delinquenza abituale, con la devianza e in definitiva con quanti destano grave allarme sociale (basti pensare a coloro che operano nelle sezioni del 41 bis, regime di massima sicurezza). Gli fa da sponda il collega parlamentare Ferdinando Pignataro, che dichiara: “Il Malfunzionamento e la crisi permanente in cui versano il sistema penitenziario, protratti nel tempo, comportano per il lavoratore conseguenze psico‐fisiche frutto di sollecitazioni e stimoli ambientali che opprimono e riducono la sua capacità di trovare un adattamento positivo all’ambiente di lavoro. Da recenti analisi è emerso che al sovraffollamento degli istituti carcerari contribuisce l’altissima percentuale di detenuti stranieri oltre che di tossicodipendenti: la condivisione forzata di spazi, cultura, usi e lingue costringe gli operatori alla necessità di dover fronteggiare emergenze in condizioni di impotenza comunicativa ed in tale povertà di risorse da rischiare la paralisi operativa”. Le statistiche nazionali sono preoccupanti; molti agenti della polizia penitenziaria fanno registrare, nell’arco di un anno, una percentuale di assenze, per motivi di salute, significativa. Per molti la stessa diagnosi: “sindrome ansioso‐depressiva”. Ci chiediamo allora, cosa può spingere centinaia di giovani a fare domanda di concorso per diventare agenti di polizia penitenziaria? Crisi occupazionale a parte dovrebbero fare i conti con la compromissione futura del loro benessere psichico. Va ricordato che ad oggi il finanziamento degli oneri derivanti dai lavori usuranti va ricondotto al sistema pensionistico nel suo complesso, con un indispensabile apporto dello Stato agli Enti Previdenziali. Tale concorso non può superare il 20% del corrispondente onere ed è attribuito nell’ambito delle risorse preordinate a tale scopo. Fonte: www.pianetacarcere.it