Thomas Kuhn: la struttura delle rivoluzioni scientifiche

Thomas Kuhn: la struttura delle
rivoluzioni scientifiche
A cura di Enrico Rubetti
Insieme ad Imre Lakatos e a Paul K. Feyerabend, Thomas S. Kuhn è uno dei più
noti epistemologi post-popperiani, che sono venuti sviluppando le loro teorie della
scienza sempre a più stretto contatto con la storia della scienza. Al centro degli
interessi di Kuhn, in particolare nella sua opera La struttura della rivoluzioni
scientifiche (1962), è la storia della scienza non solo come studio specialistico, ma
come mezzo particolarmente efficace per comprendere le stesse strutture della
scienza. Tale studio richiede una metodologia specifica, autonoma rispetto a quelle
della storiografia tradizionale e della filosofia della scienza.
Il problema principale per il filosofo, come per altri epistemologi suoi
contemporanei, è quello della “rivoluzione scientifica”. Ma le rivoluzioni scientifiche
non sorgono in base a verifiche (come pensavano positivisti e neopositivisti) e
neppure in base a una o più falsificazioni (come pensava Popper), bensì con la
sostituzione di un paradigma all’altro.
1. Il sistema paradigmatico.
Che cos’è un paradigma? «Con tale termine – dice Kuhn – voglio indicare
conquiste scientifiche universalmente riconosciute, le quali, per un certo periodo,
forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un
certo campo di ricerca». In altre parole il filosofo, servendosi di questo concetto,
vuole indicare una struttura composita, formata da credenze e assunti metafisici, oltre
che da modelli scientifici di spiegazione. Si tratta di un complesso di principi,
concezioni culturali e scientifiche universalmente riconosciute, procedimenti
metodologici, modalità di comunicazione e trasmissione delle teorie, a cui si ispira il
lavoro della “comunità scientifica” di una data epoca. Esso è strettamente ancorato a
condizioni e a fattori extrascientifici, cioè sociali e psicologici, e non è quindi un
modello “puro”, astorico e astratto.
L’astronomia tolemaica (o quella copernicana), la dinamica aristotelica (o quella
newtoniana) sono esempi di paradigmi: lo studio di tali paradigmi «prepara lo
studente a diventare membro della particolare comunità scientifica con la quale più
tardi dovrà collaborare». Su questa linea, al concetto di paradigma Kuhn collega
quello della comunità scientifica, costituita da coloro che, possedendo un paradigma
comune, condividono un insieme di valori scientifici ed etici, hanno in comune criteri
di giudizio, problemi, modelli interpretativi (anche di tipo metafisico), metodi e vie di
soluzione per risolvere quei problemi e concordano, infine, sulla necessità che i loro
successori siano educati in base agli stessi contenuti e valori.
2. Scienza normale e scienza straordinaria.
È l’accettazione di un paradigma, dunque, a costituire e a definire la comunità
scientifica, la quale, all’interno degli assunti paradigmatici, effettuerà quella che
Kuhn chiama scienza normale: «una ricerca stabilmente fondata su uno o più risultati
raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per
un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua
prassi ulteriore». E questa prassi ulteriore sta nel tentare de realizzare le promesse
del paradigma, determinando i fatti rilevanti (per il paradigma), confrontando i fatti
con la teoria, e articolando la teoria stessa. Tale procedimento è finalizzato a risolvere
una massa crescente di “rompicapo” (o Puzzles), ossia problemi teorici irrisolti, per
formulare leggi quantitative che articolano ulteriormente il paradigma. L’attività di
ricerca è essenzialmente cumulativa, si svolge mediante una raccolta di dati e una
loro catalogazione entro schemi prefissati. La scienza normale è dunque
un’impresaconservatrice.
Tuttavia la ricerca scientifica mette continuamente in luce fenomeni nuovi ed
insospettati. Ciò accade per la ragione che, ad un certo momento, la comunità
scientifica prende coscienza di un’anomalia, di un problema che sfida gli assunti
centrali del paradigma e che costringe la comunità degli scienziati a sostituire il
vecchio paradigma con un altro: questa è una rivoluzione scientifica, che si attua
mediante la scienza straordinaria. Gli scienziati, di fronte alla massa di rompicapo
che non riescono a risolvere con l’applicazione di quel paradigma, mettono in dubbio
i principi fino a quel momento seguiti e accettati come “dogmi”, e vanno alla ricerca
di un paradigma nuovo, incommensurabile (o “incompatibile”) con quello
precedente.
Non vi può essere confronto tra i due paradigmi, perché a seconda del quadro
teorico muta il significato attribuito alle osservazioni empiriche e agli esperimenti che
dovrebbero confermare o falsificare il modello in questione.
3. Il passaggio da un “paradigma” ad un altro “paradigma”.
I tempi di una rivoluzione possono anche essere lunghissimi. Ma quando essa
avviene è come se si entrasse in un nuovo mondo: «quando mutano i paradigmi, il
mondo stesso cambia con essi». È il paradigma, il punto di vista, il quadro
concettuale, il “mondo”, a risultare mutato. Occorre quindi ripensare tutto: concettibase, metodi, problemi. Un abisso di incomprensione si spalanca fra i sostenitori di
due paradigmi differenti. Non ci si comprende più, non si comunica più. Si hanno
concezioni del mondo diverse, anche metafisiche diverse.
Il passaggio da un paradigma all’altro segna una trasformazione del modo di vedere
le cose. I dati che si hanno a disposizione sono magari gli stessi di prima, eppure
vengono interpretati in modo diverso, cioè vengono posti in una relazione diversa da
quella precendente. Inoltre il passaggio non sempre avviene per ragioni empiriche o
logiche; possono esservi delle ragioni extrascientifiche e non razionali: ad esempio
idiosincrasie tra scienziati, appartenenza a scuole scientifiche di nazioni diverse,
persino ragioni estetiche diverse (il fatto che una soluzione appaia più “semplice” ed
“elegante”).
Il nuovo paradigma affermatosi viene progressivamente esteso a ogni disciplina e
ad ogni campo del sapere, determinando un nuovo periodo di “scienza normale”: fino
al momento in cui anche tale paradigma genererà anomalie e rompicapi, e solleciterà
la sua sostituzione.
Ogni teoria non va studiata e considerata a sé, o in relazione al suo
grado verificabilità o falsificabilità, ma solo in riferimento al paradigma in cui entra.
Esso costituisce il suo ambito di validità, che non è assoluto ma relativo.
4. Il progresso ateleologico della scienza.
Il passaggio da un paradigma ad un altro comporta un progresso? Certo, quando un
paradigma si è affermato, i suoi sostenitori guarderanno ad esso come a un progresso;
ma, si chiede Kuhn, progresso verso cosa? Il processo che si vede nell’evolversi della
scienza è un processo di evoluzione a partire da stadi primitivi, ma questo non
significa che tale processo porti la ricerca sempre più vicina alla verità o verso
qualcosa.
«Ma è poi necessario – egli si chiede – che esista un tale scopo?». È veramente
d’aiuto immaginare che esista qualche completa, oggettiva, vera spiegazione della
natura (e forse della realtà) e che la misura appropriata della conquista scientifica è la
misura in cui essa si avvicina a questo scopo finale?
Di fronte a tali irrisolvibili quesiti, il carattere provvisorio delle teorie scientifiche
proposto da Popper e da Kuhn, e la conseguente coscienza di una
sostanzialeindeterminabilità (o “vacuità”) che permea il nostro universo
dimensionale, conducono quasi direttamente a una concezione relativistica della
realtà. E come nell’evoluzione biologica, così nell’evoluzione della scienza, ci
troviamo davanti ad un processo che si sviluppa costantemente a partire da stadi
primitivi, ma che non tende verso nessuno scopo.