LIFE’S
AS KIND
AS YOU
LET IT
BE.
Charles bukowski
Mensile l n.0 l dicembre 2011
1
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IL FRATELLO MAGGIORE E TUTTI I SUOI CUGINI
pag. 5
di Simone Frau
IL FRATELLO MAGGIORE E TUTTI I SUOI CUGINI
pag. 6
ULTIMA VODKA A PARIGI
pag. 9
I MITI ETERNI E LA MEMORIA LABILE
pag. 11
INTERVISTA A PINO BERTELLI
pag. 15
IL Dr. HOFMANN E IL SUO BAMBINO DIFFICILE
pag. 17
LA NASCITA DEL ROCK’N‘ ROLL
pag. 21
STAGIONE TEATRALE
pag. 29
RAY OF LIGHT
pag. 33
STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
pag. 38
APRI GLI OCCHI
pag. 41
LA RICETTA DEL MESE
pag. 44
IDEATORI E CREATORI:
Simone Frau e Paolo Pratesi
DIRETTORE RESPONSABILE:
Pino Bertelli
DIRETTORE EDITORIALE:
Simone Frau
VICEDIRETTORE EDITORIALE:
Paolo Pratesi
ART DIRECTION:
Tommaso Alberti
UFFICIO GRAFICO:
www.t-toy.it
Hanno collaborato a questo numero: Simone
Benucci, Matteo Mozzoni, Michele Mancusi, Andrea Nelli, Massimo Martini, Elettra Ligioni, Elige.
Ringraziamo per l’aiuto:
Marco Funai, Emanuele Stefanucci, Pietro Venturi,
Enrico Beni.
Redazione:
Via g. Lerario, 57 Piombino (LI)
349.57.36.107 - 380.43.04.928
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Ringraziamo per l’illustrazione in copertina:
Naara Nascimento
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DRINK RESPONSIBLY
pag. 11
pag. 5
pag. 6
pag. 21
pag. 17
pag. 15
pag. 29
pag. 33
Ricordo bene, successe un lunedì sera, intorno alle 21.30 o forse
le 22.00, con i vestiti pronti e organizzati per uscire su un divano.
Mi avvicinai al telecomando della televisione per spegnerla e iniziai
a fare zapping. I canali liberi pieni di scene del crimine, cadaveri
sbuzzati qua e là e delitti irrisolti ovunque. Continuai la girandola
delle emittenti, improvvisamente la mia attenzione venne rapita
da una folla in visibilio, urlante e maestosa. Da subito pensai che
potessero essere le immagini del corteo degli indignati di Roma,
tenutosi qualche giorno prima, ma poi osservando attentamente e
ascoltando, scoprii che era solo l’arrivo nella casa dei concorrenti
di un reality show. Pensai di uscire, (a me queste cose non interessano), ma, improvvisamente una domanda mi uscì spontanea:
“Perché tanta gente ad osservare un evento simile?”. Decisi allora
di seguire questo programma per colmare il divario “culturale” che
mi differenziava dalla massa. Osservai la moltitudine di persone
presenti alla manifestazione e pensai: “cos’è che spinge un singolo
individuo di intelligenza media a inoltrarsi all’interno di un simile
caos di puzzo di ascelle, odore nauseabondo di alito e urla strazianti
di donne di mezza età indemoniate come se fossero alla notte degli
Oscar o ad un concerto dei Pink Floyd?”. Continuai ad osservare quel pascolo multiforme di figure umane, cercando di capirne
le sfumature sociologiche. Osservai anche i vari inquilini dell’appartamento, cercando di capire che cosa potesse attrarre la folla,
trovai solo uomini uguali, donne simili e niente di più. Continuai ad
osservare cercando nei minimi particolari quelle tracce di umana
presenza a me sfuggite, ma niente, tutto fu inutile. Decisi allora di
uscire, montai in macchina con la scusa buona per bere e mentre
accendevo il motore mi venne in mente una frase di Andy Warhol.
Iniziai a guidare continuando a pensare a quello che avevo visto.
Andy continuava ad accompagnarmi nel tragitto, suggerendomi
che in fondo tutti hanno bisogno dei loro 15 minuti di celebrità.
tutti
hanno bisogno
dei loro 15 mInuti
di celebrità.
5
ULTIMA
VODKA
A PARIGI
Non illudetevi
anche se forse sarà verità,
quello che qualcuno afferma,
non illudetevi…
non morirete mai, neanche adesso, come lui.
Lo avete amato, così dite,
lo avete seguito
solo nelle sue debolezze.
Seguire un idolo è da stronzi
imitarlo nelle sue debolezze
è ridicolo, è da ignoranti:
<< tira quel laccio, fai uscire la vena
e fatti ! >>…
Ascolta il tuo cuore vacillare
hai paura?
Vuoi morire, oppure no?
Sei solo un tossico di merda!
Per le tue merdate
hai dovuto trovare le scuse
i soldi,
le scuse.
Adesso che hai quello per cui
hai pianto a un telefono,
minacciato o ucciso i tuoi cari,
proponi la saggezza claudicante
nel cercare di spiegare il tutto
aprendo imprecisate porte
e tanto vaghe,
che con il loro cigolio,
ricordano un suono soltanto…
scuse su scuse.
Con le gambe pari a tronconi di legno
entrerai in un bar,
prenderai da bere
e cercherai di non pagare.
Quando tornerai a casa,
se ci tornerai,
non raderti e non ascoltare
per una volta,
quella bella musica…
quelle frasi giuste
solo per chi aveva
“facoltà di esprimerle”:
<< Come fai ad ignorare il fatto che
un artista è
soprattutto,
un mercenario?>>
<< Cosa ti fa pensare che
un autore di rilievo
soprattutto se americano
appartenuto a quella beat generation,
non sia in realtà
un sudicio qualunquista patriota? >>
non andare a morire nella vasca
facendoti prima la barba.
Vai a Parigi e prova ad alloggiare
In un bel palazzo,
magari vicino alla Senna.
Stai a Parigi
e dopo aver sbattuto un po’
quella troia tossica di tua compagna,
esci.
Vai con il tuo autista
In uno di quei locali.
Ma sono locali dove non puoi entrare
come non potrai mai
avere quell’alloggio.
<< E allora? >>
E allora la fine può essere
Anche così:
<< Qualcuno entra in un bel locale
di gente “fatta ma bella”
fatta e artefatta
e tu acconsentiresti
ma non ti vogliono.
Entrano solo loro,
con i tuoi soldi, quasi
si conoscono tutti
e tutti si strizzano l’occhio,
si parlano, si leccano,
si ubriacano follemente…
Un ragazzo prende una dose di roba
che dovrebbe portare a casa
alla compagna.
Allora entra in un bagno
con una boccia di vodka
quella buona!
Si chiude
e si apre all’eroina…
“BOOM!”
Cesso, merda, sangue e vomito.
E il bagno è la fine,
quasi sempre >>.
Non è una vasca
con l’acqua pulita che ti culla.
È solo calore:
<< il sangue è caldo, il vomito è caldo,
la merda è calda
tutto impazza!
Il tuo corpo vuole espellere
tutta la tua grande debolezza,
compresa la vodka.
Peccato
era quella buona, Jim! >>
SIMONE BENUCCI
Settembre 2007
Postfazione a cura di Simone Frau
Una lettura cruda, cruenta, una lettura disincantata ma allo stesso tempo romantica, che fa del moralismo
carta straccia. Sì, di quel moralismo intellettuale delle prime parole e delle prime volgarità, quell’ intellettualismo che non sa leggere tra le righe, si perché quest’opera va saputa leggere tra le righe e tra tutte le
sue pieghe. Un uomo e una società, una società come riportato nel testo “fatta e artefatta”, una società
di privilegiati che fanno del dolore materiale da riciclo pubblicitario. Un uomo preso come esempio, come
bersaglio di uno star system che rifiuta le regole e allo stesso tempo ci nuota dentro soddisfatto, grondante
di autocompiacimento. Questa forte poesia va letta con attenzione, con grande attenzione, limitarsi ad
ascoltarla non basterà mai.
7
I MITI ETERNI E LA MEMORIA LABILE
di Simone Frau
Società
Telefonica
Impianti
Immaginatevi un Jean Paul Sartre in un minuscolo
appartamento nella periferia parigina intento a scrivere una delle sue più grandi opere, che deve dividere la macchina da scrivere con sua moglie Simone
de Beauvoir, semplicemente perché non potevano
permettersene due. Immaginate Henry Charles Bukowsky, ubriaco e immerso in una stanza invasa
dalle “pantegane” solamente perché credeva di
essere un grande scrittore. Immaginate John Fante
in uno sperduto hotel di Los Angeles dilaniato da un
amore impossibile, con la speranza infinita di creare
un opera d’arte letteraria. Un Jack Kerouac, che nei
propri scritti riflette la volontà di liberarsi dalle soffocanti convenzioni sociali del tempo e dare un senso alla sua esistenza, un senso da lui cercato nelle
droghe come la benzedrina e l’alcool. Joseph Roth
morto a Parigi consumato dall’alcool e in pessime
condizioni economiche. Un Rimbaud, un Baudelaire
ed un Oscar Wilde pieni di debiti e di speranze. Adesso immaginate voi stessi davanti ad un computer o
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TM
ZONE
ad una macchina da scrivere, magari ubriachi e senza soldi, magari talentuosi e senza un posto fisso,
magari voi e voi soli.
Adesso immaginate un docente universitario, un
insegnante elementare o un più semplice passante,
pensate alle loro facce o alle loro parole nel vedervi così privi di futuro, privi di lavoro e di un’ auto.
Pensate ai loro commenti e alle loro parole piene di
scherno, provate ad immaginarvi i loro giudizi su di
voi e cercate di pensare che cosa avrebbero potuto
dire se solo avessero conosciuto i loro esempi culturali prima della fama e della morte, vedendoli in
scabrose pose o senza un vestito pulito, traballanti
di vino nella notte. Adesso provate, ma solo per un
attimo, solo per un minuscolo attimo, ad immaginarvi miti eterni, (tutti coloro come sopra citati ricordati
per la loro grandezza e non per il loro tenore di vita),
e come tali immaginate le facce di tutti coloro che
hanno accompagnato il vostro “fallimento”. Infine
chiedetevi che fine ha fatto il loro ricordo su di voi.
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9
“Fai quello che vuoi nella vita,
ma quello che fai cerca di farlo
per amore, solo per amore
di chi è più sfortunato di te!”
Intervista a Pino Bertelli,
fotografo di strada.
Chi è Pino Bertelli secondo Pino Bertelli?
Un fotografo di strada... un fotografo in utopia...
che sta dalla parte degli ultimi, degli sfruttati,
degli oppressi... non solo con la macchina fotografica... fino a venti anni tutti fanno fotografie,
poi restano i fotografi e gli imbecilli... e questo
vale per tutte le forme d’arte...
Come puoi riassumere la tua vita in un’immagine?
L’immagine nella quale più mi riconosco è quella
di una bambina avvolta nelle fasce insanguinate
che ho fotografato durante la guerra in Iraq... è
una denuncia (fatta con grazia e amorevolezza)
contro tutte le guerre... non ci sono guerre giuste, né guerre sante, né guerre umanitarie... la
guerra “bruttura” l’uomo e lo rende stupido e
schiavo di ogni potere...
Che rapporto hai con te stesso?
Ironico... mi piace stare al limitare del bosco, in
margine alla stupidità generale che si affanna a
cercare un posto in paradiso o nel consenso del
mercimonio... un artista senza talento è un assassino o un Giuda Iscariota per eccesso di euforia... chi conosce la forca non sempre conosce
l’arte e chi fa dell’arte non sempre conosce la
forca, anche se qualche volta lo meriterebbe...
Quali sono gli eventi che ti hanno reso quello che sei?
I racconti sulla resistenza di mia nonna partigiana... mentre buttava il pesce azzurro sulla piastra di ghisa della stufa mi diceva: “Fai quello
che vuoi nella vita, ma quello che fai cerca
di farlo per amore, solo per amore di chi è
più sfortunato di te!”... mio padre, marinaio
anarchico, quando gli accendevo la pipa o il sigaro toscano, era solito dire: “Se uno è troppo
10
ricco vuol dire che quello che ha l’ha rubato
ad un altro! Ribellarsi è giusto!”. Ciascuno è
la coscienza che vive...
Se dico Italia qual’è la prima cosa che ti viene in mente?
Una massa di profittatori, di disonesti, di saltafossi, di voltagabbana annidati nei posti di potere... ma anche un popolo che è stato capace
di esprimere la voglia di libertà e di giustizia...
quando la meglio gioventù si è legata al collo
uno “straccetto rosso” (Pier Paolo Pasolini, diceva), è andata alla macchia per combattere il nazifascismo e ha conquistato (con 60.000 morti)
la democrazia... che oggi è in pericolo, defenestrata da un manipolo di faccendieri, di saprofiti
e di criminali che hanno fatto il covo (di serpi) in
parlamento... dietro ogni politicante c’è sempre
un un bravaccio della libertà... una democrazia
davvero partecipata è l’agorà di una casa comune dove libertà, giustizia ed eguaglianza sono il
pane quotidiano...
Cosa pensi della cultura italiana?
Quello che ne pensava Pasolini... tutta apparenza e niente sostanza... la cultura italiana è
la più omologata, la più servile e la più imbecille
del mondo... basta scrivere un libro, fare un disegno, girare un film o andare in televisione a
vendere la propria merce, ed ecco che qualcuno
pensa di essere un semidio e invece è soltanto un idiota con le stigmate di intellettuale... il
confine tra genio e talento è profondo e feroce,
ecco perché ci sono tanti cattivi talenti in giro...
quasi tutti sono a libro paga di qualche padrone
o mercante che vuole un po’ di considerazione
nelle sfumature della storia...
11
“il confine
tra genio e talento
è profondo e feroce,
ecco perché ci sono
tanti cattivi talenti
in giro.”
Cos’è che non hai mai capito della gente?
L’indifferenza... l’inclinazione alla schiavitù...
l’opportunismo... la vigliaccheria... la genuflessione a un dio o a uno stato... e pensare che
basterebbe non servire più e ogni potere costituito sulle rovine della libertà, crolla... occorre
maggiore finezza per fare a meno del consenso
e del successo cercato dai poveri di spirito che
danzare sulla testa dei re... la maggior parte
della gente, specie quella che fa professione
di pensare, è riconducibile a un crimine di leso
linguaggio verso i più elementari diritti umani...
Cos’è per te la felicità?
La felicità è il ritorno alla bellezza, alla capacità
di meravigliarsi e di stupirsi ancora del mondo...
vivere ogni giorno come un’infanzia interminabile là dove finisce il mare e comincia il cielo...
fare dell’amore di sé e per l’altro il primo passo
verso una società di liberi e uguali... verrà l’amore e avrà i tuoi occhi... le stanze del cuore
sono stregate dalla luna e l’amore è la rivelazione della propria libertà...
Cos’è per te il disagio?
L’impossibilità di essere normali... non possedere nessuna verità, se non la propria... avere
compreso che adorare un qualsiasi simulacro
(generale, papa o capo di stato) è un atto di
demenza accettata... non c’è storia che non sia
dell’anima in volo... il patriottismo, la fede, le
ideologie sono l’ultimo rifugio dei parassiti che
si incensano davanti allo spettacolo di una civiltà senza domani...
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Qual è il tuo rapporto con le doghe e gli alcolici?
Non sono un proibizionista... i divieti non servono... si tratta di non radicarsi, non appartenere
a nessuna fazione... disfarsi dei propri rimorsi
e dei propri rancori... vomitare i propri segreti... non tutti hanno la fortuna di vivere o morire
giovani... giocare allo spirito puro rasenta l’indecenza, diceva... il disagio dell’esistenza è tutto
qui... meglio farsi sale, lievito, chicco di grano
e accogliere il diverso da sé, vestire chi è nudo,
farsi stranieri ovunque... che credere a qualcuno
o a qualcosa che possa sollevare il nostro dolore
a vivere nella condizione di ferventi collaboratori
della dissolutezza imposta dalla morale dominante... la liberazione degli oppressi ci libera da
tutte le ragioni degli oppressori...
Di cosa hai paura?
Della stupidità generalizzata... è la stupidità che
partorisce mostri... che nega la dignità dei popoli... la vita è liberazione, è il gusto e il rischio
di “osare la speranza”, dice il mio maestro e
amico Don Andrea Gallo, un prete “angelicamente anarchico”... la forza del diritto è la ricerca del bene comune, mentre nella società dello
spettacolo impera il diritto della forza... la gioia
della vita piena è nel rispetto degli ultimi, degli
emarginati, degli impoveriti... dove c’è fraternità
c’è amore dell’uomo per l’uomo e liberarsi dalla
paura significa praticare l’arte di non governare
né essere governati in questo modo e a questo
prezzo...
Perché hai accettato di fare quest’intervista?
Per amore, solo per amore dell’utopia che abita
la cultura, la politica e la disobbedienza civile
delle giovani generazioni, e l’utopia si realizza
strada facendo... tutto qui.
“La felicità
è il ritorno
alla bellezza,
alla capacità
di meravigliarsi
e di stupirsi
ancora
del mondo.
vivere ogni
giorno come
un’infanzia
interminabile
là dove finisce
il mare e
comincia
il cielo.
Piombino,
dal vicolo dei gatti in amore, 8
volte novembre 2011
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IL Dr. HOFMANN E IL SUO BAMBINO DIFFICILE
di Simone Frau
“COME SOSPESO
IN UN sogno
HO SPERIMENTATO
UN FLUSSO
ININTERROTTO DI
IMMAGINI FANTASTICHE,
FORME MERAVIGLIOSE CON
GIOCHI CALEIDOSCOPICI
DI COLORI
STRAORDINARIAMENTE
INTENSI.”
14
Albert Hofmann nasce a Baden in Svizzera
nel 1906 e studia chimica all’Università di
Zurigo. Le sue ricerche sull’acido lisergico,
il componente centrale degli alcaloidi della Claviceps purpurea o segale cornuta (un
ascomiceta che cresce sulla segale), condussero nel 1938 finalmente alla sintesi dell’LSD-25 (dextro lysergyc acid diethylamyde
tartrate 25) o dietilamidetartrato 25. Fu cinque anni dopo, il 16 aprile del 1943, che ripetendo la sintesi della sostanza ormai quasi
dimenticata, il Dr. Hofmann scoprì gli effetti
psichedelici dell’LSD, dopo che una piccola
quantità della sostanza gli cadde sulla mano
durante un esperimento di laboratorio, provocandogli una notevole irrequietezza e
una leggera vertigine. Questa esperienza lo
condusse a testare personalmente gli effetti
psicoattivi dell’LSD (da lui chiamato LSD-25
perché proveniente dal campione numero
25). Tre giorni dopo, il 19 aprile, noto come
“giorno della bicicletta”, Hofmann assume
intenzionalmente 250 μg di LSD, da lui considerato il dosaggio minimo efficace, sbagliando la stima di un ordine di grandezza e provocandosi un’esperienza molto più potente
di quanto aveva previsto. È il primo utilizzo
intenzionale della sostanza. Successivamente al test, Hofmann si dedica integralmente
allo studio della sostanza. Sintetizzato per
la prima volta nel 1938 nei Laboratori Sandoz di Basilea da Albert Hofmann, è basato
sull’acido lisergico, che si trova nell’ergot,
un fungo parassita della segale. Le caratteristiche escrescenze che si formano in seguito alla crescita di questo particolare fungo
hanno portato a definire le piante di segale,
che da esso vengono colpite, segale cornuta.
L’ingestione dell’ergot o della segale cornuta
o di prodotti che da essa derivano causano
la cosiddetta “febbre del pellegrino”, o ergotismo, i cui sintomi sono deliri allucinatori e
forti dolori alle gambe. Nel 2006 a Basilea,
in occasione del centesimo compleanno di
Hofmann, si tenne il primo congresso multidisciplinare
sull’LSD. Nel convegno Hofmann affermò: “Come sospeso in un sogno, con gli occhi chiusi perché trovavo la luce
del sole troppo abbagliante, ho sperimentato un flusso
ininterrotto di immagini fantastiche, forme meravigliose
con giochi caleidoscopici di colori straordinariamente intensi”. Hofmann sperimentò l’LSD con finalità curative,
sostenendo che potesse aiutare a comprendere i percorsi
e i processi associativi della mente umana, così come la
struttura e le origini dell’immaginazione. Il convegno si
è ripetuto nel 2008, sempre a Basilea, pochi mesi prima
della morte di Hofmann, a 102 anni.
15
EL
D
A
T
I
C
S
A
N
LA
di Matteo Mozzoni
É difficile fare una panoramica d’effetto sul rock and
roll, anche se rimase circoscritto quasi unicamente
agli anni Cinquanta. Un fenomeno musicale travolgente e trasgressivo che riuscì a rinnovare profondamente la musica, pur avendo le sue origini ben
radicate nel passato, e ad imporre il suo messaggio
in un momento in cui i giovani avevano bisogno di
gridare la propria identità. L`avvento del rock and
roll sconvolse tutti i flussi musicali esistenti a partire dalla musica leggera. Questa nuova corrente
sonora riprende dal periodo musicale precedente
l`importanza dei testi, con la differenza che prima
non erano i cantanti a comporli, ma sogwriters, che
davano loro un`impronta politica, predisponendoli ad
essere presentati nei piccoli comizi. Il rock ‘n’ roll
introdusse una novità fondamentale: il cantante inizia a comporre e suonare pezzi propri. Nella musica
leggera si eseguivano e si componevano le canzoni
esclusivamente al piano. Il rock and roll si ispirava
al blues, facendo anche a meno dell`orchestrazione,
e usava accordi piú semplici: la forza era il ritmo e
non l`armonia.
Il merito musicale é interamente dei neri che introdussero un nuovo modo di pensare la musica, raccontandola attraverso la chitarra elettrica. L`ausilio
della società bianca fu solo commerciale facendo
del rock and roll un prodotto, trovando un mercato
tra i giovani ribelli e portando la musica anche sul
piano del costume sociale. Si creò un genere
trasgressivo, di qualitá: ritmo eccitante, testi intelligenti, interpretazioni magistrali, e, invece delle orchestre,
i piccoli gruppi usavano chitarre, batteria, piano e voce. Questo sound andava contro tutte le convenzioni
perbeniste della musica bianca.
Il merito storico di aver diffuso tale musica spetta a Alen Freed, un disc-jockey che trasmetteva alla radio un
programma chiamato “Moondog Rock ‘n’ Roll Party”. Mentre il rhythm n blues era la musica nera per i neri,
il rock and roll divenne la musica nera per i bianchi. In seguito Alen Freed venne accusato di incitamento
alla delinquenza giovanile come simbolo vivente della rivoluzione in corso, aveva infatti reso nota una nuova
17
musica giovanile, volgare e violenta. Non gli venne
data tregua fino alla morte, che avvenne nel 1963.
Nacque cosí il rock and roll (cioé “cadenzato e ondeggiato”, un eufemismo blues per l`atto sessuale)
per indicare questo nuovo genere di musica, che
esplose in poco tempo. Il dopoguerra aveva rappresentato la fine di una lunga era puritana, e fu inevitabile che i giovani compressi a lungo in un involucro di perbenismo, esplodessero fragorosamente e
che fossero attirati da tutti quegli atteggiamenti anti-conformisti come il sesso (grazie all`avvento degli anticoncezionali e un` alta tolleranza all`aborto) e
la violenza. E senza dimenticare tutte le frustrazioni
causate dal capitalismo e dall`imperialismo: la vita
impersonale delle megalopoli e la paura della guerra atomica.
Il rock and roll fu per molti versi, il sottoprodotto del
cambiamento in atto nella società Americana.
Si introdusse l`identificazione ritmo-automobile,
urlo-frenesia, ballo-sesso, chitarra-successo, per
cui si traducono in musica i suoni stridenti, brutali e
violenti della città. Il rock and roll é la prima forma
di cultura musicale a celebrare senza riserve quei
tratti della vita cittadina che erano stati tradizionalmente mostrati come mali del secolo dagli uomini
di cultura.
Se pur scaturito da un processo puramente capitalista, il rock and roll é una musica di rottura: nasce
fra le piccole etichette e non fra le grandi case discografiche, ridicolizza la musica leggera sdolcinata, avvicina per la prima volta la musica dei neri
ai giovani bianchi, e sopratutto celebra il ribellismo
adolescenziale.
C’erano almeno tre forze che agivano contro il
rock’n’roll: una forza politica (gli USA stavano
uscendo dal periodo di “caccia alle streghe” di Joseph McCarthy, dove un qualsiasi comportamento
indisciplinato era facilmente sospettato di favorire
il comunismo), una forza religiosa (il rock’n’roll, con
i suoi riferimenti espliciti al sesso non era esattamente il tipo di musica che i ferventi religiosi desideravano per i propri figli) e una forza razziale (il
rock’n’roll era chiaramente un’invenzione dei neri,
in un periodo in cui era ancora ossessivo il problema della separazione razziale).
In pochi anni cambiò il mondo musicale e il modo
di suonare: la batteria frenetica e rumorosa in pri-
18
mo piano (come insegna il jazz), la voce sporca e
dura (come insegna il blues), a gridare e scandire,
il piano o la chitarra (elettrica) ruvidi ed eccitanti,
atteggiamento spavaldo e agitato, e infine, come
abbiamo già detto testi con slogan giovanili e ambientati nel loro mondo.
Ma ora analizziamo chi erano questi musicisti. Se la
prima canzone rock and roll é da tutti considerata
“The Fat Man” di Fats Domino, il primo musicista
rock and roll é Chuck Berry.
Le sue canzoni furono le prime ad avere la chitarra
come strumento principale e introdussero la scala
pentatonica, l’essenza della tecnica chitarristica
rock. Le sue canzoni raccontavano storie con i quali
i giovani potevano identificarsi, alludevano ad argomenti come l’amore adolescenziale (Sweet little
sixteen, school day), satire di vita americana (too
much monkey buisness). Con l`attacco mozzafiato
di “Johnny B Gode, l`assolo veloce di Maybelline”
e una grande serie di riff e assoli chitarristici Berry
non si limitó a interpretare i suoi brani, ma li compose in modo autonomo e indipendente tanto da
essere considerato anche il primo compositore di
rilievo del rock and roll, se non addirittura il suo
primo profeta.
Oppure Elvis Presley, uno dei più celebri cantanti di tutti i tempi, fonte di ispirazione per musicisti
e cantanti di rock’n’roll e rockabilly (That’s All Right
(Mama), Blue Moon of Kentucky, Good Rockin’ Tonight, Baby Let’s Play House), tanto da meritarsi
il soprannome de Il Re del Rock and Roll o semplicemente The King (Il Re in lingua inglese). Che
con i suoi caratteristici movimenti di bacino gli
guadagnarono l’altro importante soprannome: “The
Pelvis”. Un altro musicista che gettò le fondamenta
per il rock and roll con uno stile violento e selvaggio
è Little Richard, che con i suoi vestiti osceni e il
suo viso truccato, fu il primo del rock decadente.
Le canzoni di Little Richard sarebbero rimaste le
più isteriche del rock and roll (Tutti Frutti, Long Tall
Sally, Rip It Up, Lucille, Keep a Knocking, Good Golly
Miss Molly).
Gli arrangiamenti al piano di Jerry Lee Lewis erano
pari ai riff di chitarra di Chuck Berry.
Lewis coniò con il piano uno stile selvaggio, (Whole
Lotta Shakin` Goin On, Great Balls Of Fire).
Buddy Holly e Eddie Cochran furono due talenti che
Chuck Berry, Elvis Presley, J.Lee Lewis, Little Richard, Buddy Holly
peró morirono a soli 22 anni. Holly alterò radicalmente l’immagine del rock’n’roll, arrivando a rappresentare
l’esatto opposto del giovane delinquente. Eddie invece resterá nella storia per brani come come: Summertime Blues e C’mon Everybody, nei quali raddoppiò tutti gli strumenti e le voci, andando addirittura oltre il
rockabilly. Il rock and roll fu un fenomeno di breve durata, si consumò nel giro di tre anni. Tutti i suoi protagonisti hanno in comune il brusco declino, o addirittura la morte, alla fine degli anni ‘50. D’altronde il senso
stesso del rock and roll era la frenesia e la voglia di bruciare in fretta tutte le energie. C’era anche un soffio di
tragedia che alitava su queste vite per lo più ribelli, e la tragedia spezzò nel fiore degli anni alcune carriere,
altre le rese brevissime ma intense. Gli scampati al massacro morirono artisticamente per il solo fatto di
diventare dei cantanti milionari. Il benessere placò il loro stile e addolcì il loro suono.
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Crisi di fiducia e crisi dei
consumi.
Il futuro incerto dell’Italia,
soprattutto quello dei
giovani,
all’indomani della manovra.
I dati del Rapporto Coop
su consumi e distribuzione.
socioaiap
Un certo non so che
Q Intervista a Miguel
Benasayag
sulla società dell’incertezza
Poveri di calcio
Q La crisi dello sport
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Tic tac
Q Consigli per guarire
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Q Guida all’acquisto
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Fondazione Toscana Spettacolo
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PIOMBINO (li)
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Teatro Metropolitan - Piazza Cappelletti, 2
tel. 0565 30385 - inizio spettacoli ore 21
PORTOFERRAIO (li)
www.comune.piombino.li.it
giovedì 8 dicembre
giovedì 15 dicembre
Chi è di scena
Vincenzo Salemme in
L’ASTICE AL VELENO
una commedia scritta e diretta da Vincenzo Salemme.
Mariano Anagni in collaborazione con
la Compagnia Teatro di Castalia
SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
di W. Shakespeare
adattamento e regia di Andrea Battistini
con Alessandro Buggiani, Chiara Di Stefano, Guglielmo Guidi, Totò Onnis, Giovanni Rizzuti, Daniele Squassina.
martedì 20 dicembre
a.Artisti Associati
Zuzzurro & Gaspare in LA CENA DEI CRETINI di Francis Veber
traduzione di Filippo Ottoni - regia di Andrea Brambilla con
Dario Biancone, Gianfranco Candia, Alessandra Schiavoni
scene e costumi di Pamela Aicardi.
CAMPIGLIA M.MA (li)
www.comune.campigliamarittima.li.it
Associazione Nuovo Teatro dell’Aglio - Teatro dei Concordi
via Aldo Moro, 1 - tel. 0565 837028 - inizio spettacoli ore 21.30
venerdì 9, sabato 10, domenica 11 dicembre
Teatro dell’Aglio
CALIGOLA di Albert Camus, versione 1958 traduzione di Rosa Marulo - regia di Roberto Raso con Michele
Paoletti, Rosa Marulo, Sandro Sandri, Federico Raffaelli, Laura Passarella, Loretta Mazzinghi, Fiorenza Rafanelli.
venerdì 16 dicembre
Točnadanza Venezia/Comune di Venezia – Assessorato alla Produzione Culturale con Ministero per i Beni e le
Attività Culturali Regione del Veneto in co-produzione con Festival di Danza “Montegrotto Terme”
MADE IN ITALY i isoliti ignoti
Coreografia e regia Michela Barasciutti con Federica Iacuzzi, Alessia Cecchi, Manfredi Perego, Giulio Petrucci, Marika Vannuzzi - musica dal vivo, Oreste Sabadin clarinetto - sound engineer David Mora - costumi di
Lorenza Savoini - luci di Federica Preto.
CECINA (li)
ufficio cultura tel. 0586 611610
Teatro Eduardo de Filippo - via G. B. Vico, 1
tel. 0586 684969 - inizio spettacoli ore 21.O0
domenica 11 dicembre
Agidi
Angela Finocchiaro e Michele Di Mauro in
OPEN DAY
di Walter Fontana
regia di Ruggero Cara.
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Teatro dei Vigilanti - Piazza Gramsci 15
tel. 0565 937240 - 944024 - inizio spettacoli ore 21.15
PISA
www.teatrodipisa.pi.it
Teatro Verdi - Associazione Teatro Verdi - via Palestro, 40
tel. 050 941111 - inizio spettacoli ore 21 e domenica ore 17
sabato 3 e domenica 4 dicembre
Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Ferruccio Soleri in
ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI
di Carlo Goldoni - regia di Giorgio Strehler
messa in scena da Ferruccio Soleri con la collaborazione di
Stefano de Luca, maschere di Amleto e Donato Sartori, con
Enrico Bonavera, Giorgio Bongiovanni, Francesco Cordella,
Leonardo de Colle, Alessandra Gigli, Stefano Guizzi, Tommaso Minniti, Stefano Onofri, Annamaria Rossano, Giorgio
Sangati, Camilla Semino Favro, Giorgia Senesi e con i musicisti Gianni Bobbio, Franco Emaldi, Paolo Mattei, Francesco
Mazzoleni, Elisabetta Pasquinelli.
sabato 10 e domenica 11 dicembre
Chi è di scena
Vincenzo Salemme in
L’ASTICE AL VELENO
una commedia scritta e diretta da Vincenzo Salemme.
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S. CROCE sull’ ARNO (pi)
www.comune.santacroce.pi.it
Teatro Verdi - via G. Verdi - tel. 0571 33267
inizio spettacoli ore 21.15
giovedì 8 dicembre
Pa n e t t e r i a d a V i to
Gli Ipocriti/Nuovo Teatro
Alessandro Haber, Alessio Boni e Gigio Alberti in ART
di Yasmina Reza - traduzione di Alessandra Serra
regia di Giampiero Solari - scene di Gianni Carluccio
costumi di Nicoletta Ceccolini.
VOLTERRA (pi)
Accademia dei Riuniti - Teatro Persio Flacco - via dei Sarti, 37
tel. 0588 88204 - inizio spettacoli ore 21.15
mercoledì 7 dicembre
Andrea Maia-Teatro Golden/Vincenzo Sinopoli
Gianni Ferreri, Daniela Morozzi e Roberto Nobile in
TERAPIA TERAPIA
da un soggetto di Roberto Nobile una commedia di
Augusto e Toni Fornari, Andrea Maia, Roberto Nobile,
Vincenzo Sinopoli - regia di Augusto Fornari.
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martedì 20 e mercoledì 21
dicembre
Teatro degli Industri - via Mazzini, 99 tel. 0564 21151
Teatro Moderno - via Tripoli, 33/35 tel. 0564 22429
sabato 3 dicembre
Teatro degli Industri
Teatro Metastasio Stabile della Toscana
Teatro degli Industri
Teatro dell’Argine in collaborazione con Castel dei Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato
Mondi Festival/Festival Internazionale di Andria/Lu- SARABANDA
natica Festival/Provincia di Massa Carrara e Archi- di Ingmar Bergman - traduzione di Renato Zatti
regia di Massimo Luconi con Giuliana Lojodice, Masvio Rossini Opera Festival
simo De Francovich, Luca Lazzareschi, Clio Cipolletta.
I CAVALIERI Aristofane cabaret
dai testi di Aristofane di Mario Perrotta
regia di Mario Perrotta con Mario Perrotta, Paola
Roscioli, Lorenzo Ansaloni, Maria Grazia Solano
Giovanni Dispenza, Donatella Allegro - musiche dal
vivo eseguite da Mario Arcari e Maurizio Pellizzari.
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giovedì 8 dicembre
Teatro Moderno
Chi è di scena
Vincenzo Salemme in L’ASTICE AL VELENO
una commedia scritta e diretta da
Vincenzo Salemme.
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COMUNALE DI PIOMBINO
Tutto iniziò così... Novembre 1926, il dott. Formentano,
ematologo, fu svegliato dal telefono. Un suo collega, ginecologo, lo chiamava al capezzale di una giovane donna
che era diventata madre da poco. La donna aveva perso
molto sangue e aveva bisogno di un’urgente trasfusione per salvarle la vita. Formentano corse in ospedale. Si
offrirono, per donare sangue, due fratelli della donna e
alcuni parenti. Formentano si mise subito all’opera e per
prima cosa determinò il gruppo sanguigno della donna.
Cominciò quindi ad analizzare il sangue dei donatori, ma
nessuno di loro aveva un gruppo sanguigno compatibile.
La perdita di sangue intanto continuava e la donna morì,
senza aver potuto vedere il figlio appena nato. Il dott. Formentano quella notte tornò a casa amareggiato e deluso,
un pensiero continuo lo tormentava: possibile che non si
potesse chiedere aiuto a tanti uomini e donne della città,
affinchè donassero una piccola parte del loro sangue per
salvare tutti coloro che, per mancanza di sangue, erano
destinati a morire? La mattina dopo scrisse un appello
sul giornale, in cui cercava donatori di sangue, disposti
a donare volontariamente, segretamente, disinteressatamente. Il giorno dopo, qualcuno, letto l’appello, disse
che Formentano era matto; qualcun altro disse che il suo
sangue se lo teneva e gli altri si arrangiassero. Lui però
attendeva fiducioso e al suo appello risposero 17 persone
che dettero vita alla prima Associazione Italiana di Volontari del Sangue. L’Associazione Italiana di Volontari del
Sangue si costituì ufficialmente a Milano nel 1929. Con
il passare degli anni AVIS viene riconosciuta dallo Stato e
la diffusione dell’Associazione si fa sempre più capillare,
grazie alla nascita delle sedi regionali, provinciali e comunali, legate da un unico Statuto alla Sede Nazionale.
26
Anche Piombino volle fare la sua parte e durante una
conferenza sull’importanza della donazione del sangue,
vengono gettate le basi per costituire una sezione AVIS
anche nella nostra città. Ciò avverrà il 29 settembre
1957. Dopo tanti anni siamo cresciuti, diventando una
realtà vera e concreta che opera con i cittadini e gli enti
locali per garantire una costante riserva di sangue. Oggi
possiamo contare quasi 2000 donatori effettivi ai quali va il nostro più grande ringraziamento. Molto attivo è
il gruppo del Senegal, che conta 40 donatori effettivi. Il
coordinatore di questo gruppo è nostro consigliere, la collaborazione è ottima. AVIS Piombino è sempre attiva sul
territorio con varie manifestazioni che coinvolgono i cittadini, ad esempio la pedalata della solidarietà, è presente
in varie manifestazioni ed eventi cittadini con i gazebi, ma
ancora più importante è la presenza nelle scuole, dove
non soltanto parla di sangue, ma anche dell’importanza
della donazione. Fondamentale quindi è la collaborazione
di presidi e insegnanti che ci aiutano e danno disponibilità
e fiducia. È di nuovo attivo sul territorio il gruppo giovani, che riunisce i ragazzi dai 18 ai 35 anni che vogliono
dare una mano e portare sempre nuove idee. È un modo
diverso per conoscersi e conoscere altri ragazzi, partecipando a varie iniziative, forum, consulte, locali, regionali
e internazionali. Una ragazza è stata infatti selezionata
per far parte della delegazione italiana e rappresentare
la Toscana al forum internazionale dei giovani donatori di
sangue che si è svolto in Lussemburgo ad agosto 2011.
Il 2012 è un anno importante per AVIS Piombino, perché
festeggia 55 anni di attività a Piombino. AVIS ringrazia
tutte le persone che ci sostengono e ci dimostrano continuamente affetto e fiducia.
Il 9 Dicembre 2011 ore 21.00
Sala Auditorium Centro Giò Fabrizio de Andrè
Presentazione del libro
NOWHERE MAN gli ultimi giorni di John Lennon
di Robert Rosen (direttamente collegato da New York) CONIGLIO editrice
sarà presente il traduttore del libro Paolo Palmieri
ospite dell’evento Riccardo Bertoncelli
moderatore Fabio Canessa
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di Michele Mancusi
“Quando ero ragazzo amavo Nat King Cole, volevo essere
come lui, quindi suonavo Nat King Cole, dormivo Nat King
Cole, bevevo Nat King Cole, facevo tutto come lui...”. A sentirla così pare una cazzata. E secondo me deve essere suonata poco convincente anche per la Atlantic Records. Per fortuna il bello di avere un dono come quello di poter avere tutte
le voci, di poter assomigliare a tutti è anche quello di poter
assomigliare a se stessi. E alla fine ce l’ha fatta, il ragazzo
nero che suonava tutto e cantava tutti senza aver bisogno di vedere. La grande lezione per tutti, musicisti e
non, il coraggio di passare dal mestiere di intrattenitore a inventore - credo che si possa dire - di un genere,
o quantomeno di uno stile musicale che avrebbe delineato le linee guida del futuro della musica: la fusione di
stili, linguaggi, suoni, stilemi, che ha portato alla rottura degli schemi ferrei in cui il music biz si muove agevolmente da sempre, e che suo malgrado si è visto cambiare in mano. Sapere cosa vuole il pubblico è una carta
in più, ma avere il coraggio di mettere a fuoco un personale modo di esprimersi fondendo cose per l’epoca
tanto distanti...un sound gospel sopra un testo blues, R&B e country ad un pubblico jazz, coro e orchestra
d’archi...Ray Charles Robinson ha spaccato i muri dei generi e
ha inventato il soul, portato i sacrari della musica di nicchia in
vetta alle classifiche pop: What I’d say e Hit the road jack spaccano ancora come spaccavano appena uscite, perché a parte il
saper fare un prodotto musicale ( e Mr Charles lo sapeva fare)
ciò che dimostra essere veramente importante è il non fare mai
compromessi tra il personale sentimento e genio creativo e
quello che i discografici pensano o peggio, vogliono, se poi hai
il dono di avere oro puro tra le mani il gioco è fatto.
Il presentatore inizia il cerimoniale del concerto, e la musica,
suonata dalla spalla, accompagna l’ingresso del mattatore,
the entertainer, la star, che offre al pubblico il suo genio, come
quando vai al ristorante e il cameriere ti fa scegliere la spigola
da fare arrosto; è pura magia il passaggio dal protocollo teatrale alla musica e basta, con quelle dita nervose che appena
toccano il pianoforte cominciano ad aprire le stanze dell’anima.
Ray ha sempre pagato il suo tributo alle opere degli altri con
cui è cresciuto e con cui ha iniziato a far strada, ed è bello
sentire le sue intro dei suoi brani con testi di altri e musica improvvisata, tipo “Baby please don’t go” per
iniziare “I’ve got a woman”, rivelando un filo rosso interiore, un grande senso di coinvolgimento. Ray Charles
sorprende per l’architettura sonora standard per un Big, che ha bisogno della Big Band, ma all’epoca presa in
prestito ovunque nei generi e messa insieme a fare non una miscela ma un nuovo tutto, cercando come punto
comune solo la profonda relazione lirica tra gli strumenti e i linguaggi. Allevato musicalmente da un pianista
‘stride’ del country, Ray amava le storie, quelle storie struggenti su quanto amare ti faccia sentire piccolo,
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“Ascoltarlo era
impressionante,
un fiume di note,
e non potevi
credere a ciò
che sentivi, e che
fosse suonato da
un solo uomo”
quella vena di malinconia; il blues parla d’amore, un
amore semplice ma robusto, dove ci si trova, ci si
lascia, si soffre quasi sempre ma si scopa anche tanto, e l’amore per Dio del gospel tiene tutto insieme,
facendo un racconto rotondo, esaustivo della dimensione dell’anima. Certo, non a tutti piace e piacque
questa contaminazione, ma i puristi in musica han
sempre fatto poco testo, rimanendo legati al loro
spazio-tempo e soprattutto non hanno mai inventato
niente. Lui sì, invece. Risalendo dalla Florida a Seattle e poi nel ‘chitlin circuit’ ha rodato tutto quello che
sapeva fare e tenuto a bada band dal culo pesante
che avevano anche poca voglia di provare, come
quella di Lowell Fulson. Il ragazzo si faceva anche
in vena. Per vent’anni, fino a che la paura del buio
è diventato vero buio, e tutto quello che con fatica e
volontà aveva costruito stava per crollargli addosso.
In tanti hanno avuto la stessa sorte, (nella macchina
del commercio artistico le droghe servono anche a
tener buoni quegli zucconi ribelli sempre in bilico tra
edonismo e mordere la mano che li nutre, o magari
solo per reggere quel male che non capisci fino a
che non ci sei già dentro fino al collo) in pochi, e
solo recentemente, ci sono usciti non solo puliti, ma
hanno continuato a fare il lavoro con lo slancio e la
direttiva iniziale.
Ray Charles, la ‘sensazione cieca’, a parte regalare
lui personalmente delle performances da brivido,
aprendo con la sua voce una prospettiva musicale
che andava ben oltre l’allestimento strumentale,
imponente eppure appena sufficiente per seguirlo
dove la sua voce voleva portare, ha avuto i suoi momentacci anche politicamente sdoganando la Black
Music in posti dove non si sperava andasse, e soprattutto in posti dove i bianchi speravano non arrivasse mai il ‘negro’, partito come uno che era lì solo
per intrattenere a quattro dollari a sera, ma non ha
nessuna intenzione di fare il bravo. Bandito per quasi
vent’anni dallo Stato della Georgia per avere rifiutato
di suonare in un paese segregazionista, alla fine si
è trovato ad avere un suo brano eletto proprio dalla
Georgia a inno di Stato: “Georgia on my mind” - per
l’anno in cui è uscita una sensazione - non da meno
tutta la rilettura dei classici del blues, diventata essa
stessa un classico...si, ma di quale genere?
Io credo di Ray Charles.
Con una frenesia incontenibile e con l’imperativo del
groove di un pianista che non vedeva una mazza, ma
dirigeva un’orchestra con tutto il corpo, ha animato
il mondo reale, non solo quello musicale, anche con
i lavori degli ultimissimi anni, dedicati soprattutto ai
duetti e al jammin’, non conosco i motivi peculiari,
ammesso che ce ne siano, mi pare un buffo percorso
a ritroso, dove, finalmente famoso e indiscusso, si
prende le libertà di fare quello che si fa quando si
comincia, e si continua a fare quando si cerca nuove relazioni con il mondo, quello che i musicisti non
divrebbero mai smettere di fare, cioè suonare insieme. Lasciando perdere fintamente il fatto che il new
trend lo impone, i duetti di Ray, a mia personalissima
opinione, sono quanto di più naturale ci si potesse
aspettare da un tipo come lui, tradizionale ma mai
tradizionalista.
Parlando di un altro pianista cieco, Art Tatum, dice:
“ Ascoltarlo era impressionante, un fiume di note, e
non potevi credere a ciò che sentivi, e che fosse suonato da un solo uomo; quando suonava sorseggiava una birra, e così
a volte suonava tutto con la mano
sinistra, e non sentivi la differenza!
Il pianoforte ha solo 88 tasti, e lui
aveva solo 10 dita! “. Ray Charles Robinson nacque ad Albany nel
1930, è morto nel 2004 a Beverly Hills dopo aver
avuto dodici figli da sette donne diverse, rispettando
così a pieno la tradizione del bluesman, è stato un
genio molto più discusso di quanto si pensa, ma non
c’è dubbio sul fatto che il suo sia un atteggiamento
‘totale’ nei confronti della musica che ha non solo
una certa distanza con l’atteggiamento della sua
generazione, ma getta le basi di un nuovo modo di
vedere la musica anche nel commercio musicale
stesso, basta pensare al successo che ha avuto su
tutte le generazioni che hanno attraversato il corso
della sua vita: come altri pari suo non ha conquistato
nuovi fan, lui ne ha aggiunti di nuovi durante gli anni.
Questo è un privilegio di chi fa le cose in grande e
bene, visti i grammy e tutto il resto, un dono immenso come questo modo di fare musica dove tutti, nel
corso del tempo, possono ritrovare il proprio retaggio
e i motivi per cui si dovrebbe muovere il futuro. Se
solo tutti avessimo il coraggio di aprire gli occhi e
ascoltare, forse tutto quello che ci tiene distanti cadrebbe e si sgretolerebbe come le etichette di genere sulla musica di Ray Charles; lui non vedeva, ma ha
sempre tenuto gli occhi aperti.
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STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
(Charles Bukowski)
Caffè OLTREbar davanti alle isole.
Aperto d’inverno.
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32
Non è facile per un adolescente approcciarsi alla
letteratura, non è facile prendere un libro in mano
e sfogliarlo dall’inizio fino alla fine. Non è facile soprattutto se non ha ricevuto degli insegnamenti validi al riguardo. Tanti scrittori e nessuno simile a te,
tante storie, ma nessuna paragonabile alla tua sofferenza. Penserai sicuramente che il tuo tempo sia
meglio impegnarlo in altro modo, in altre attività.
Un giorno, però, quasi per caso, tra le mani ti capita
un libro, un libro come tutti gli altri, provi ad aprirlo,
provi a leggerlo e ti accorgi che non ha nessuna
somiglianza con tutto ciò che finora hai letto.
Questo libro è di Henry Charles Bukowski jr., meglio
conosciuto come Charles Bukowski o per gli amici
Hank. è da qui che il mondo degli scrittori ti apparirà differente, non solo arroganti e supponenti studiosi, ma anche gente comune con talento e idee.
Ed è forse da qui che la letteratura ti si aprirà come
eterna fonte di ispirazione.
Nel 1968 Bukowski alla veneranda età di quarantotto anni pubblica la sua prima raccolta di poesie
con l’aiuto di John Martin (amministratore di una
ditta di articoli per cancelleria), con il titolo di “At
terror street and agony way”. Settecentocinquanta
copie, che non si sa come vennero vendute in due
mesi. Sta di fatto che di fronte a questo inaspettato successo John Martin lasciò il suo lavoro per
diventare editore a tempo pieno e Bukowski lasciò
il suo ufficio postale per diventare scrittore professionista. John Martin descrisse il suo incontro con
lo scrittore come “il signor Rolls incontra il signor
Royce”. Il 1968 segna dunque l’inizio della “storia”
di Bukowski come letterato, facendo finalmente
della scrittura la sua professione; lasciandosi alle
spalle esperienze non proprio gratificanti da funzionario delle poste e scaricatore di carni da macello, anni di vero e proprio vagabondaggio, tra alcolismo e perversioni erotiche quasi mai represse,
che rappresentarono l’archivio dei ricordi dal quale “Hank” estrasse migliaia di poesie, centinaia di
racconti e sei romanzi, da Post Office, opera d’esordio, a Pulp, romanzo d’addio.
In mezzo c’è stata l’associazione forzata alla cerchia degli impegnati della Beat Generation, che
Bukowski in realtà detestava.
Tra i suoi più celebri libri spicca la raccolta di racconti Storie di ordinaria follia. Erezioni, eiaculazioni, esibizioni. In cui nella quarta di copertina(edito
da Feltrinelli nella collana Universale Economica),
è riportata un’appassionata analisi del personaggio curata dal giornalista e critico letterario Beniamino Placido: in essa Bukowski viene rappresentato forse nella sua più totale nudità, distaccandolo
da un idea letteraria precisa e da qualunque corrente, Placido analizza Bukowski in pochissime righe dandone forse la sua più completa descrizione,
più di quanto provarono a dire orde di studiosi e
intellettuali che cercarono invano di incastrarlo in
un recinto letterario.
john
Martin
descrisse
il suo
incontro
con lo
scrittore
come
“il signor
Rolls
incontra
il signor
Royce”.
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“Charles
Bukowski,
detto
gambe
d’elefante,
il fallito”
<<La biografia di Bukowski include due tentativi
di lavorare come impiegato, dimissioni dal “posto
fisso” a cinquant’anni suonati, “per non uscire di
senno del tutto” e vari divorzi. Questi scarsi elementi ricorrono con insistenza nella narrativa di Bukowski, più un romanzo a disordinate puntate che
non racconti a sé, dove si alternano e si mischiano a
personaggi ed eventi di fantasia. “Rispetto alla tradizione letteraria americana si sente che Bukowski
realizza uno scarto, ed è uno scarto significativo”,
ha scritto Beniamino Placido su “La Repubblica”,
aggiungendo: in questa scrittura molto “letteraria”,
ripetitiva, sostanzialmente prevedibile, Bukowski fa
irruzione con una cosa nuova. La cosa nuova è lui
stesso, Charles Bukowski. Lui che ha cinquant’anni
(al tempo in cui scrive questi racconti, attorno al
’70), le tasche vuote, lo stomaco devastato, il sesso
perennemente in furore; lui che soffre di emorragie
e di insonnia; lui che ama il vecchio Hemingway;
lui che passa le giornate cercando di racimolare
qualche vincita alle corse dei cavalli; lui che ci sta
per salutare adesso perché ha visto una gonna sollevarsi sulle gambe di una donna, lì su quella panchina del parco. Lui, Charles Bukowski, “forse un
genio, forse un barbone”. “Charles Bukowski, detto
gambe d’elefante, il fallito”, perché questi racconti
sono sempre, rigorosamente in prima persona ed in
presa diretta. Un pazzo innamorato, beffardo, tenero e cinico, i cui racconti scaturiscono da esperienze dure, pagate tutte di persona, senza comodi alibi
sociali e senza falsi pudori>>.
“Storie di
ordinaria
follia” sono il brusio stesso della sua narrazione: sesso,
alcool e corse di cavalli.
Ed è qui che il lettore si fonde con l’autore, in una
spasmodica ricerca della verità, in una instancabile conoscenza dell’avvenire, un avvenire incerto e
oscuro. Bukowski fa di tutto questo un recipiente
di esperienze vissute e non vissute fino in fondo
nella sua totalità, nella sua completa pienezza, avvicinando il lettore a se.
E’ la sua scrittura diretta, carica di sentimenti che
salta addosso al lettore, che lo sconvolge e lo attrae
allo stesso tempo, facendo percepire il disagio, la
rabbia, ma anche la desolazione dei personaggi. “I
protagonisti di queste storie infatti mettono in evidenza una grande debolezza, un senso di sconfitta
che li accomuna e grazie alle parole di Bukowski,
appaiono in qualche modo speciali”.
Uomini e donne che non riuscendo a stare al passo
con i tempi, si limitano a farsi da parte, a mettersi
in un angolo e vivere con pochi sogni alcolizzati,
spesso trainati dai cavalli dell’ippodromo.
Un romanzo folle, dei racconti disincantati e “sporchi”, che conducono il lettore nell’incanto della vita
libertina di Henry Charles Bukowski jr.
Ed è proprio tra queste pagine che tutto si materializza e scompare, è proprio tra questa pagine che
il flusso di coscienza prende il sopravvento. Quella
coscienza liberatoria, quella coscienza dannata ed
irriverente, quella coscienza propria che mai dovrà
sfuggire dalla mente. E tra le pagine di questo libro
è possibile scoprire il disincanto di una vita gettata
e riconquistata ma mai perduta.
In pochi inoltre sanno che, lo scrittore che ha esercitato forse la maggiore influenza su Bukowski è
John Fante.
Raccoglie 42 racconti, spesso ispirati alla sconvolgente vita del suo autore.
I protagonisti dei racconti di Bukowski, infatti, sono
ubriaconi, barboni e prostitute che vivono di espedienti, troppo indolenti per la trascinante società
americana che incita tutti a ricercare la fama. In
“Storie di ordinaria follia” le passioni di Bukowski
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APRI GLI
OCCHI
di Paolo Pratesi
è un film del 1997 diretto da Alejandro Amenábar
(Santiago del Cile 31 Marzo 1972). Presentato al Festival del cinema di Venezia, il film fu campione di
incassi a Madrid, dove superò anche l’allora film
concorrente Titanic. Il film parte con una voce femminile che recita “apri gli occhi”, che è in realtà la
suoneria di una sveglia, e racconta la storia di Cesar
(Eduardo Noriega), giovane madrileno, bello, ricco e
di successo, che si ritrova rinchiuso in un ospedale
psichiatrico giudiziario, con l’ accusa di omicidio, e
con il volto sfigurato e protetto da una maschera. Il
ragazzo racconta la sua storia ad uno psichiatra. La
sera della festa del suo compleanno, grazie al suo
amico Palayo (Fele Martinez), aveva conosciuto Sofia (Penelope Cruz), una giovane e bellissima donna,
ed era nato un feeling irresistibile, ma il giorno dopo
la sua ex-amante, Nuria (Najiwa Nimri), gelosissima,
lo fa salire in macchina con una scusa e provoca un
incidente in cui lei muore e il ragazzo resta sfigurato. Quando Cesar prova a ricontattare Sofia, lei lo
allontana, imbarazzata dal suo aspetto. Ma poi, al
mattino successivo, ritorna inaspettatamente da lui,
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confessandogli il suo amore. Poco dopo Cesar subisce un salvifico intervento al volto, riacquistando le
sue sembianze di prima, e i due tornano insieme. Ma
durante una notte d’amore Sofia improvvisamente
sparisce, e nel letto acquista le sembianze di Nuria.
Cesar non crede ai suoi stessi occhi e colpisce la
donna in volto, la lega al letto e corre alla centrale
di polizia a denunciare la sparizione di Sofia, ed il
presunto complotto di Nuria che, a suo dire, avrebbe
simulato la morte e lo sta sottoponendo a una tortura psicologica. Tutti credono che Cesar sia diventato
pazzo, anche Pelayo, il suo amico del cuore. “Nuria
è morta”, gli ripetono tutti. Proseguendo l’alternarsi
psichedelico tra Sofia e Nuria, a volte nello spazio
di qualche istante, l’equilibrio mentale di Cesar è a
rischio: una notte, durante un rapporto sessuale con
Sofia, finisce per soffocarla con il cuscino.
In seguito all’omicidio, Cesar si ritrova nell’ospedale
psichiatrico giudiziario, dove il medico tenta di comprendere il suo comportamento ricostruendo la sua
storia passo dopo passo. E’ questo l’inizio della verità o solo il proseguo del sogno?
Un mondo basato sui suoi desideri e sulle immagini
presenti nel suo inconscio. Poiché però il sogno, per
via di lievi alterazioni prodotte dall’inconscio, si è via
via trasformato in un incubo, culminato nell’omicidio e l’arresto. Una visione onirica, un film psichedelico e romantico con un finale a sorpresa dove
una voce femminile recita “apri gli
occhi”. Un film da cui la compagnia
hollywoodiana ha ripreso nel 2001
Vanilla Sky.
APERTI
ANCHE
A PRANZO
C.soVittorioEmanuelell
57025Piombino(LI)
Tel. 380.43.53.948
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SPAGHETTI ALLA
CARBONARA
Ricetta a cura di Massimo Martini
STORIA:
Come la maggior parte delle ricette, le origini del piatto sono oscure, e ci sono varie ipotesi al riguardo. Una
delle più accreditate, associa il nome a quello dal carbonaio,infatti alcuni credono che il piatto sia stato creato come un pasto per i lavoratori del carbone. Nella complicata e tortuosa storia inerente l’origine, sembra
che i carbonai, dovendo presenziare costantemente alla fornace, anche per dei lunghi ed estenuanti turni, si
attrezzassero con della pancetta (molto in uso al tempo tra la classe sociale povera),del formaggio e rubando o barattando le uova, mentre il colore nerastro del piatto(oggi impreziosito con del pepe nero in polvere),
sempre secondo questa leggenda,sembra derivasse dalla polvere di carbone che si posava sui piatti.
La pasta alla carbonara è un piatto rustico, veloce da preparare, con ingredienti “poveri” ma dal gusto
intenso; un piatto ad alto contenuto calorico ed energetico.
INGREDIENTI:
•SPAGHETTI DAL n°10 AL n°12
(in quantità sufficiente per sfamare il numero dei commensali)
•PANCETTA MEGLIO SE AFFUMICATA (in quantità più che abbondante)
•UOVA (1 rosso a persona più uno intero “per la pentola”)
•PECORINO ROMANO (quantità a seconda del proprio gusto)
•PEPE NERO (come per il pecorino)
PREPARAZIONE:
Mettete sul fuoco una pentola contenente abbondante acqua che, a bollore, salerete moderatamente, in
considerazione del fatto che la pasta ha già un condimento molto saporito a base di pancetta e pecorino romano. Introducete quindi gli spaghetti nell’acqua. Nel frattempo tagliate la pancetta (preferibilmente se affumicata) a dadini, mettetela in un tegame con l´aggiunta dell´olio e fatela soffriggere fino a quando il grasso
non sia diventato trasparente e leggermente croccante, quindi toglietela dal fuoco e lasciatela intiepidire
leggermente. Sbattete intanto le uova in una ciotola, quindi unitevi il pecorino romano e il pepe macinato
(secondo i gusti). Scolate la pasta e dopo averla saltata sul fuoco con la pancetta, versatela ed amalgamatela nella ciotola
unitamente alla salsa precedentemente preparata.
Servite gli spaghetti alla carbonara immediatamente e all´occorrenza aggiungete altro pecorino romano e pepe nero macinato.
N.B.
Le uova sbattute, inoltre, non dovrebbero mai essere unite alla pasta sul fuoco, poiché questo causerebbe
la cottura delle uova ottenendo un effetto frittata.
BUON APPETITO
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Aviation
Cocktail
drink responsibly
A cura di Andrea Nelli
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Base del cocktail:
Gin
Livello alcolico:
Medio alto
Tecnica di preparazione:
Shake
Guarnizione:
Una ciliegia rossa
Tipo di servizio:
Straight up senza ghiaccio
Bicchiere di servizio:
Coppetta cocktail
L’Aviation è un cocktail molto particolare e
raffinato, una ricetta classica preparata con
un ingrediente raro e dal gusto antico, la
Crème de Violette. Questo liquore è generalmente composto da una base di brandy o da una base di alcool neutrale (anche se, ad onor del
vero, spesso si trova una combinazione di entrambe le basi) con l’aggiunta di un aroma, artificiale
o naturale, di quella che comunemente viene chiamata viola odorata o viola mammola. Il cocktail
Aviation fu creato dal barman Hugo Hensslin, capo barman dell’hotel Wallik di New York nei primi
anni del ventesimo secolo. La prima pubblicazione della ricetta risale infatti al 1916 ad opera dello
stesso Hensslin nel suo: ”Recipes for mixed drinks”. Come ogni ricetta l’Aviation cocktail ha subito
molte modifiche nel corso degli anni, ad esempio, nel 1930, Harry Craddock nel celebre “Savoy
Cocktail Book” si prodigò ad eliminare la crema di violetta per far fronte all’enorme difficoltà nel
reperire questo particolare liquore. Oggi noi vogliamo ricordare la ricetta originale, sia per il tipico
colore grigio azzurro a cui il drink deve il suo nome, sia per il particolare e coinvolgente aroma che
la ricetta classica è capace di sprigionare .
Ingredienti
2 once di Gin
½ oncia di succo di limone fresco
½ oncia di Maraschino
¼ oncia di Crème de Violette
Preparazione
Versate tutti gli ingredienti in uno shaker
colmo di ghiaccio cristallino, agitate con
energia per alcuni secondi e filtrate il preparato in una coppetta cocktail. Guarnite
adagiando sul fondo una ciliegia rossa.
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