Aisthesis
Davide Dal Sasso
Dialoghi di Estetica II – Che cos'è un'opera d'arte?
18 giugno 2012, Castello di Rivoli
1. Estetica come Aisthesis
(Ferraris 1997)
2. La priorità tra Estetica e Arte
(Sibley 1992)
3. Il primato della percezione
(Wollheim 1968, 1998)
1. Estetica come Aisthesis
Aisthesis
Sensibilità
I) Che cosa c'è?
II) Come conosciamo il mondo esterno?
L'analisi epistemologica di Ferraris e i suoi cinque snodi essenziali:
1. Estetica
2. Ontologia
3. Fenomenologia
4. Ermeneutica
5. Icnologia
Ferraris mette in risalto l’autonomia della percezione intesa come insieme di strumenti
sensoriali attraverso cui è possibile venire a conoscenza del mondo esterno, o più
esattamente di che cosa c’è in esso, attraverso un processo conoscitivo preliminare e non
ancora intellettuale.
La tesi avanzata in questa sede, estetica come aisthesis, poggia su un’accurata indagine
che rievoca la concezione baumgarteniana dell’estetica definita nel Settecento come
«scienza dell’esperienza sensibile» nonché «analogo della ragione», in base a quella
distinzione presentata in precedenza da Leibniz tra conoscenze oscure e chiare, le quali
sono a loro volta distinguibili in conoscenze chiare distinte e conoscenze chiare confuse.
Queste ultime sono preliminari alle prime e sono presenti in maggioranza nel processo di
continua esperienza che si fa del mondo esterno.
Rispetto alla nascita del sistema delle belle arti e della percezione del bello, l’estetica viene
valutata quindi come dottrina della sensazione che non raggiunge il suo perfezionamento
nell’annullamento del sensibile ma anzi, proprio come in Baumgarten, riuscendo a
riconciliare due vie autonome quali quella della percettologia e della psicologia con quella
della precettistica sull’arte e la bellezza.
Estetica come Aisthesis
percettologia e psicologia
precettistica sul'arte e la bellezza
1.1. Estetica (sensibilità) - immaginazione - intelletto
La linea di ricerca intorno all’estetica, incentrata sulle sensazioni, l’immaginazione e
l’intelletto ha origine in Aristotele, attraversa la Scolastica, passa per Leibniz e Wolff
giungendo fino a Baumgarten. Vale a dire fino al momento in cui nasce la disciplina
estetica, momento in cui è altrettanto possibile riscontrare che essa «non è, una scienza
della sensazione in quanto tale […] bensì una scienza della sensazione iscritta e ritenuta,
per esempio nella mente o nella immaginazione come tabula rasa» (Ferraris 1997: 49).
Ferraris sottolinea infatti che: «una scienza della sensibilità non ha in quanto tale
alcunché di più sensibile di una scienza dell’intelletto; ma la stessa sensibilità è insieme
intuitiva e desensibilizzata, giacché quanto viene ritenuto dal senso, secondo la
definizione che dal Teeteto platonico (193c) migra nel De anima (424a20ss.), non è il
bronzo o il ferro dell’anello usato per il sigillo, bensì un’impronta che non è in nulla più
sensibile di un concetto.» (ibidem 49).
1.2. Sensibilità, conoscenza e intelletto
1. Indagine sulla sensibilità
2. Analisi della conoscenza
3. Indagine sulla finitezza dell'intelletto umano
L'indagine sulla sensibilità permette a Ferraris di affrontare il problema della conoscenza
dedicando particolare attenzione alla finitezza dell’intelletto umano: questa caratterizza
l’esperienza sensibile e permette di riconoscere la distinzione, ma altrettanto la parentela,
tra l’estetica e la logica. La correlazione tra le due indica infatti la posizione privilegiata
dei sensi che rivelano quanto la mente sia intimamente legata al corpo essendo un suo
assottigliamento.
Il problema ha infatti origini antiche: seppure tutte le sensazioni siano vere, non è
possibile però identificarle con la conoscenza.
1.3. Ontologia estetica / estetica e ontologia
Con la nascita dell’estetica subentra quindi l’ulteriore difficoltà della sua autonomia come
scienza della conoscenza confusa, di cui si può parlare tanto nella psicologia quanto
nell’arte. Proprio per questo oltre all’apertura verso l’evidenza di un mondo sensibile si
palesa anche la necessità di un’altra scienza che si occupi degli enti: l’ontologia.
Ferraris sottolinea infatti il nesso tra l’aisthesis, la ritenzione e l’accumulo di tracce. E
questo è centrale non per una filosofia dell’arte, semmai per la filosofia stessa che procede
nella sua analisi del pensiero riscontrando che:
«non si può pensare senza immagini, quanto dire senza la traccia di un percetto,
rielaborata quanto si vuole – e al limite anche come determinazione aniconica»;
considerando ancora che: «il cogito non vede se stesso, ma si conosce come fenomeno
nella costituzione dell’esperienza» (ivi 55-56).
1.4. Estetica Vs. Filosofie dell'arte
Di fronte alla distanza marcata da Ferraris tra filosofia dell’arte ed estetica intesa come
dottrina della sensibilità, è ancora la posizione baumgarteniana a indicare la risposta:
il battesimo della disciplina avviene ben prima della nascita del sistema delle arti. Ma ne
sono altrettanto conferma le numerose ricerche di autori settecenteschi che attestano il
fatto che:
«anche una estetica che sia protesa sistematicamente verso le opere non recide sino in
fondo, e per ragioni essenziali, il rapporto con una dottrina (che è sempre più di un
appello generico) della sensibilità.» (ivi 67).
Il Settecento pre-kantiano è infatti per più motivi considerabile come il momento in cui si
riconosce l’estetica come disciplina di rilievo tra la fioritura dei saperi di quel periodo.
Baumgarten ha infatti il merito di trovare una giustificazione gnoseologica per spiegare
l’assenza di un distacco tra sensibile e intelligibile, divario che è invece determinante per
il pensiero filosofico di Kant.
1.5. Un quesito essenziale: «Che cosa c'é?»
Ferraris osserva che proprio ritornando alla posizione baumgarteniana è possibile
cogliere l’emergere della «fisionomia di una episteme che ha poco da fare con le poetiche
(e che dunque non autorizza né per sinergia né per allergia la filosofia dell’arte),
rispondendo piuttosto a interrogativi praticati per lo più da altre discipline, siano la
gnoseologia, la psicologia, la fenomenologia o la ontologia.» I quesiti che ineriscono a un
orizzonte come questo non sono quindi che «cosa è l’arte?» o «come è l’arte?», ma
piuttosto «che cosa c’è?», «che cosa si produce quando si produce?» o «cosa significa
inventare?» (ivi 69).
1.6. Posizione realista
Scrive Ferraris:
«Il volto di una estetica, per nulla paradossalmente, si potrà ben
riconoscere senza guardare a una sola opera d’arte – e avendo di mira piuttosto una sfera
che inerisce prioritariamente alla psicologia, alla percettologia e alla ontologia.» (ivi 6970).
1.7. Filosofia, senso comune, «fallacia trascendentale»
La concezione dell' Estetica come Aisthesis si rivela come un' interrogazione rivolta alla
teoresi filosofica e al suo rapporto con l'azione e il senso comune:
Posizioni storiche:
. Kant (1781) sostiene che la conoscenza degli oggetti del mondo ha inizio
esclusivamente con il loro darsi darsi mediante le due forme pure dell'intuizione (spazio e
tempo), osservando quindi l'impossibilità di cogliere le cose in sé dato che sono solo i
fenomeni a essere conoscibili per mezzo delle categorie dell'intelletto.
. Hegel (1807) rimarca l’inaffidabilità della conoscenza sensibile osservando che la
prima forma non funzionante dello spirito è esattamente quella della non certezza
sensibile.
A emergere da queste due posizioni è quindi la concezione filosofica, ma altrettanto di
senso comune, secondo cui è doveroso non fidarsi dei sensi o come si dice appunto
genericamente: diffidare perché le apparenze ingannano.
Ferraris sottolinea quindi che la filosofia conferma il senso comune nonostante tenti di
allontanarsene, compiendo così quella che egli definisce una «fallacia trascendentale»
determinata da una confusione tra il piano dell’ontologia e quello dell’epistemologia.
Perchè la filosofia si distanzi realmente dal senso comune, queste dovrebbe occuparsi
della sensibilità. Dunque riconoscere l'autonomia e l'inemendabilità della sensibilità
rispetto all'intelletto. Autonomia determinante, perchè è testimonianza dell'indipendenza
del mondo esterno dai nostri schemi e concetti.
1.8. Estetica, ragione, immaginazione
L’estetica intesa come analogo della ragione permette di comprendere il rapporto tra
mente e mondo in quanto determinato dal lavorio della sensibilità, quindi di valutare il
legame tra immaginazione e registrazione.
L’immaginazione è ritentiva e riproduttiva, ovvero è lo strumento che ricombina le
informazioni che vengono reperite dal mondo esterno attraverso i sensi.
Con Baumgarten l’estetica diviene la sorella minore della logica, essendo stata in
precedenza una sua parte costituente. L’estetica può infatti essere considerata come «arte
inventiva» esattamente per la rilevanza che ha l’immaginazione all’interno della
razionalità.
[Percezione - Idea - Associazione - Riflessione]
«L’anima non pensa mai senza fantasmi. L’impossibilità di intuire un chiliagono segnala
una differenza tra logica ed estetica; non però una indipendenza fattuale della prima dalla
seconda» (ivi 85).
1.9. Mente, corpo, traccia
Mettendo in risalto che l’immaginazione è ritenzione si sottolinea quindi la continuità tra
mente e corpo, nei rapporti tra pensiero ed estensione, prendendo in considerazione ciò
che determina il rapporto tra apriori e aposteriori nella ragione, ossia la traccia.
Per esteso il ragionamento è il seguente: «I sensi ricevono impressioni; la loro
conservazione (ma già la loro idealizzazione, coestensiva alla percezione) è compito della
immaginazione e della memoria. Si tratta di eventi sensibili, eppure già raziocinanti, se si
considera, per esempio, che le tracce aggregate consentano una previsione (l’attesa di casi
simili) che, pur essendo di origine empirica, assicura una anticipazione che mima
l’apriori» (ivi 100-101).
Ferraris si interroga osservando che: «la traccia è tra natura e cultura, come
l’immaginazione; la prima volta, iscrivendosi è natura; ma la seconda volta, nella
facilitazione di un sentiero aperto, si può parlare davvero ancora di natura, o non è già
questione di articolazione e di cultura?» (ivi 103).
1.10. Aisthesis e filosofia
Nell’estetica come aisthesis viene indagata direttamente la filosofia, la produzione di
pensiero fondata sulla ragione. Determinata e derivante dalla percezione di quel che c’è
nel mondo esterno.
Per questo l'analisi di Ferraris va in direzione: dell’ontologia, aprendosi successivamente
alla produzione delle interpretazioni, quindi all’ermeneutica, e all’esperienza del mondo
esterno basata sulla filosofia come scienza rigorosa, volgendo quindi il proprio sguardo
alla fenomenologia. Sarà poi la dottrina delle tracce, l’icnologia, a completare il quadro
ontologico dell’estetica, orientato dal rilevante fatto che: «Le operazioni ontologiche più
numerose e decisive – negli uomini come negli animali – avvengono in assenza di idee
chiare e distinte, e più spesso comportano anzi percezioni non accompagnate da
appercezioni.» (ivi 110).
1.11. Estetica e Ontolgia
Il nesso tra estetica e ontologia è dovuto alla rilevanza della traccia e della registrazione.
Per poter cogliere quello che c’è nel mondo è necessario un atto in cui sensibilità e
intelletto si fanno tutt’uno. Attraverso questo atto si ha la possibilità di avere un sapere
grossolano antecedente al linguaggio ma non alla scrittura, proprio perché è una traccia
sensibile ad essere iscritta in una memoria e questo può avvenire solo per mezzo della
ritenzione.
«L’estetica deve risolversi nella ontologia» (Ferraris 1997: 159)
«La domanda ontologia essenziale è «che cosa c’è?» [a cui si possono accodare] «che cosa
non c’è?; che cosa sono un punto, una linea, una superficie? Che cosa è questo? Che cosa è
un fantasma? Che cosa è un’allucinazione? Che cos’è una tabula rasa?» (163)
«Come si può rappresentare l’oggetto? […] Sin dall’inizio la più usuale e insieme decisiva
tra le situazioni ontologiche – la presenza di qualcosa davanti ai sensi dell’osservatore – si
illustra di preferenza con l’esempio di un quadro, di un teatro, di un foglio: le cose sono lì,
ma come immagini (è il solo dato indubitabile); queste a loro volta possono risultare
ingannevoli (è l’illusione propria della estetica) o prese in una relazione di rimandi
speculari […] così da presentarsi piuttosto come una scrittura che come un dipinto; non
sorprende allora che uno degli elementi naturali delle ontologie e dei sistemi del mondo
sia per l’appunto il foglio bianco, la prima cosa che l’autore trova sotto mano, ma altresì il
rispecchiamento di una delle più antiche immagini (nei fatti l’unica) della mente, quella
che la concepisce come una tabula rasa» (ivi 159-60).
«Questa ontologia, però non sembra collimare con l’immagine consolidata che ne
abbiamo, almeno dopo la svolta di Heidegger verso il linguaggio: quella di un
procedimento negativo che va alla ricerca dell’essere che non è l’essere dell’ente. Ma – e
questa è la domanda che ci guiderà nel nostro discorso – perché dovremmo assumere che
l’essenzialità dell’essere si da ne raro e nel desueto, invece che nella sovrabbondanza degli
enti, la cui prima esperienza è essenzialmente estetica (quella per cui qualcosa c’è?)» (ivi
161).
«Se l’ente è l’esistente, allora si tratta non tanto di imbandire una ontologia estetica,
quanto piuttosto di riconoscere che il nostro concetto di ontologia risulta interamente
circoscritto da una estetica, o meglio dalla sua possibilità: l’iscrizione della traccia. Un tal
concetto non è dato dalla storia, bensì dai sensi. Sta, sin dall’inizio nei caratteri e nelle
impressioni dell’aisthesis, che non mutano nella cosiddetta storia della metafisica, ma –
insieme – è divenuto, portato e comportato da una storia che lo ha messo in chiaro» ( ivi
161-62).
1.12. Relazione tra i sensi e i fatti
«La domanda ontologia essenziale è «che cosa c’è?» [a cui si possono accodare] «che cosa
non c’è?; che cosa sono un punto, una linea, una superficie? Che cosa è questo? Che cosa è
un fantasma? Che cosa è un’allucinazione? Che cos’è una tabula rasa?» (ivi 163)
«La misura della presenza è estetica»
«Le cose sono perché c’erano prima di me e ci saranno dopo di me.» (ivi 182)
«Una volta incamerata la traccia non è più passiva, anche se nessuna attività sembra
averne regolato l’iscrizione; è, almeno in senso humeano, una idea, che posso liberamente
riaggregare, così come da un uomo e da un cavallo si ricava un centauro. […] Non si vuol
dire, dunque, che la traccia idealizzata sia lo stesso della sensazione […]. Prima è
l’impressione sensibile, dopo è una idea: ma il prima e il dopo avvengono nello stesso
tempo, un tempo che risulta determinato dalla iscrizione» (ivi 468).
2. La priorità tra Estetica e Arte
Frank Sibley (1992), due i nodi teorici salienti:
(I) la priorità logica tra il concetto di «arte» e il concetto di «estetica»
(II) la validità e l'applicabilità del concetto di «estetica» per le sole opere d’arte o
anche per altri tipi di oggetti
(I) «Il concetto di arte dipende logicamente da quello di estetica»
Scrive Sibley: «se questo è corretto, segue direttamente che la nozione di estetica ha
un’origine, un’esistenza, indipendente dalle arti e non viceversa, e che l’esperienza di
fenomeni non artistici, come artefatti o oggetti naturali, viene logicamente prima
dell’interesse per le arti e prima della loro esistenza» (Sibley 1993: 137).
La priorità dell'estetica rispetto all'arte = priorità concettuale e non cronologica
(IIa) La priorità dell’estetica rispetto all’arte non è garanzia
dell'interesse estetico rivolto agli oggetti naturali
E' ben possibile che un cumulo di sabbia su una spiaggia non sia di interesse alcuno in
quanto oggetto naturale, ma che viceversa risulti invece rilevante per qualcuno che,
disponendo del concetto «castello di sabbia», lo usi per chiamare quel tale oggetto
esattamente in quel modo.
(IIb) La priorità dell'estetica rispetto all'arte è dovuta all'acquisizione
del concetto di «esperienza estetica»
Sibley non nega che si possa comunque avere acquisito la nozione di «esperienza
estetica» anche attraverso un contatto diretto con le opere d’arte.
Premessa base: «niente è arte se non viene fatto con intenzioni estetiche»
Sibley osserva che questa premessa viene smentita dal fatto che: «l’intenzione di non
produrre arte, o di produrre ciò che non è arte, richiede comunque un concetto di 'arte'»,
così come la possibilità di riconoscere alcuni lavori moderni e contemporanei come nuove
forme d’arte o meno «presuppone un concetto familiare di 'arte' e quindi di 'estetica'». I
ready-made, gli happening, la scrittura automatica o la musica aleatoria, prosegue il
filosofo, «senza quest’ultimo concetto non potrebbero esistere» (ivi 138).
(IIc) Interesse estetico
L’interesse estetico è profondamente radicato nelle reazioni umane agli oggetti ordinari
prima ancora che a quelli d’arte.
Sono infatti l’interesse e le soddisfazioni per le attività umane, per il lavoro, per le
costruzioni o per il giardinaggio, per gli animali, la natura e le attività sportive, o il fascino
per ciò che è strano così come la meraviglia e l’ammirazione, ad essere stati soggettivi che
hanno a che fare con l’estetica. Tutte queste, osserva Sibley, «sono attività in cui un
considerabile numero di persone reagisce in qualche misura secondo un godimento, un
compiacimento che è estetico» anche se potrebbe benissimo trattarsi di persone che «non
hanno una conoscenza significativa delle arti o delle reazioni ad esse» (ivi 140).
3. Il primato della percezione
3.1. Concetti e quesiti wittgensteiniani
Ludwig Wittgenstein (1953) introduce i concetti di «vedere come» e di «esperienza
vissuta del significato».
In termini wittgensteiniani «vedere qualcosa come qualcosa» è questione di
interpretazione, ossia di un senso modificato del concetto di vedere attraverso cui è
possibile decifrare una figura in due modi distinti (cfr. Wittgenstein 1953: II §XI 255-98).
Le immagini reversibili: comprensibili attraverso un passaggio interpretativo subitaneo
da una figura a un’altra, basato sulla volontà soggettiva. Un passaggio che per esempio
permette di vedere ora l’immagine come una lepre, ora l’immagine come un’anitra. Ora
come una vecchia signora, ora come una giovane donna e così via. Wittgenstein con
questa argomentazione si occupa di quello che definisce come il «significato figurato». Un
significato secondario che non può essere indagato mediante il ricorso allo studio
dell’accordo a priori nel giudizio all’interno dei giochi linguistici.
Wittgenstein introduce i termini di «notare un aspetto» e «cecità all’aspetto»
In proposito egli scrive: «Nell’aspetto è presente una fisionomia che in seguito sparisce. È
pressapoco come se ci fosse un viso che dapprima imito e poi accetto senza imitarlo.»;
«Colui che è ‘cieco all’aspetto’, avrà con le immagini in generale, una relazione diversa da
quelle che abbiamo noi.»; «L’importanza di questo concetto [di cecità all’aspetto] risiede
nella connessione tra i concetti ‘vedere l’aspetto’ ed ‘avere l’esperienza vissuta del
significato di una parola’. Infatti vogliamo chiedere: «Che cosa mancherebbe a colui che
non avesse l’esperienza vissuta del significato di una parola?»» (Ivi, II, §XI 276, 280).
3.2. Ontologia dell'arte
Richard Wollheim (1968): associa la nozione di «rappresentazione a quella di «vedere
come» e presenta la propria ricerca ontologica sull'arte.
Le opere d’arte:
1. sono oggetti materiali
2. hanno proprietà rappresentative (o rappresentazionali)
3. hanno proprietà espressive
3.3. Le proprietà rappresentative e il concetto di «vedere rappresentativo»
La rappresentazione: garantisce quindi che l’opera si distingua da un qualunque oggetto,
poiché permette di avanzare attribuzioni e giudizi basati sulla rilevazione di particolari
elementi che determinano le sue proprietà rappresentative.
Il «vedere rappresentativo»: concetto introdotto da Wollheim postulando esattamente
che la rappresentazione è spiegabile con, e intimamente legata al, vedere come.
3.4. Somiglianza, intenzioni dell'artista, espressività
1. La somiglianza: una nozione ellittica, dipendente dal contesto, e che essendo in
sostanza interna alla rappresentazione non può svolgere una funzione utile per spiegarla.
2. L’intenzione dell’artista: di sicuro rilevante ai fini dell’opera essendo intesa come
relazione tra pensiero e azione, ma non concepibile come condizione necessaria o
sufficiente della rappresentazione.
Essendo una rappresentazione un segno visivo che ricorda qualcuno o qualcosa, essa è
altrettanto legata alla cultura, che determina infatti il modo di creare tale segno e cosa
debba essere rappresentato.
3. L’espressività: è qualità estrinseca all’opera. Ossia è qualcosa a cui ci si riferisce a
partire da ciò che si osserva in rapporto a criteri quali lo stato d’animo dell’artista e
quello del fruitore.
3.5. Rappresentazione e «sensazione ideata»
Né la rappresentazione nella sua globalità, né l’oggetto da essa rappresentato possono
valere come criteri riguardanti le proprietà che vengono percepite.
Non si percepisce per esempio la reale tridimensionalità dell’oggetto osservando per
esempio un’opera pittorica che rappresenta una sfera.
Wollheim suggerisce quindi che quanto non può essere sentito o percepito direttamente
sia una «sensazione ideata»: una sorta di riunione tra percezione diretta e indiretta,
concludendo quindi con questa prima analisi che l’arte è in sostanza un fenomeno storico.
3.6. Analisi della rappresentazione pittorica = analisi della percezione
Wollheim (1998) sostiene che:
1. qualsiasi ipotesi teorica che si occupi della rappresentazione pittorica non può che
essere determinata da una analisi della percezione
2. «requisito minimo» per una buona teoria a proposito della rappresentazione è: «la
rappresentazione pittorica è un fenomeno percettivo» (Wollheim 1998: 258).
3.7. A determinare che cosa sia la rappresentazione è la capacità di
riconoscimento di ciò che c’è.
Il «vedere-in»: una capacità percettiva che «è precedente sia logicamente sia
storicamente, alla rappresentazione. Logicamente perché riusciamo a vedere le cose su
superfici che non sono rappresentazioni e che neppure prendiamo per rappresentazioni
[…]. E, storicamente, in quanto è indubbio che i nostri lontani antenati facessero queste
cose prima di pensare di decorare le caverne in cui vivevano con immagini degli animali
che cacciavano.» (ivi 266).
3.8. Vedere-in, un'esperienza fenomenologica
Il vedere-in è un'esperienza fenomenologica appropriata che ha due aspetti:
I) «configurativo» permette di cogliere la superficie pittorica, l'oggetto
II) «riconoscitivo» permette di cogliere la rappresentazione, l'immagine
attraverso
questa
esperienza
è
possibile
vedere
nella
rappresentazione, ossia quello di cui il quadro è immagine.
superficie
pittorica
la
3.9. Il vedere-in ha la priorità rispetto alla rassomiglianza ed è «un
valore fondativo per la rappresentazione».
Alla rappresentazione
è posto un vincolo, quello della visibilità, che è un vincolo
prioritariamente percettivo. «La rappresentazione non è tenuta a limitarsi a quello che si
può vedere dal vivo: è invece tenuta a limitarsi a quello che si può vedere su una superficie
segnata.» (ivi 271).
Wollheim mette in risalto che è ben possibile vedere qualcosa che è su una superficie ma
che non è visibile dal vivo, ed è esattamente questo a determinare la rappresentazione. In
altri termini è ben possibile vedere un unicorno su una tela dipinta, pur non avendone
mai visto uno dal vivo.
Wollheim propone quindi un esperimento mentale: «guardo un quadro in cui compare un
paesaggio classico con rovine. E ora si immagini questo dialogo: «Vedi le colonne?». «Sì».
«Vedi che le colonne appartengono a un tempio?». «Sì». «Vedi che le colonne che
appartengono al tempio sono crollate centinaia di anni fa?». «Sì». «Vedi che sono crollate
centinaia di anni fa abbattute per mano dei barbari?». «Sì». «Vedi che sono crollate
centinaia di anni fa abbattute per mano di barbari che indossavano pelli di asini
selvatici?». «No». A ogni scambio di battute, il significato di «sì» è che la sollecitazione ha
determinato una differenza in ciò che è stato visto nella scena, proprio come «no»
significa che, almeno per questo osservatore qui e ora, sono stati raggiunti i limiti della
visibilità in questa superficie.» (ivi 272).
3.10. Dal «vedere in» al primato della percezione
Wollheim sottolinea sia la permeabilità del vedere-in al pensiero, sia l’ulteriore
permeabilità dell’immaginazione al pensiero riscontrando la priorità della percezione in
entrambi i processi.
La percezione non può essere sostituita neppure nei casi in cui si voglia comprendere
un’opera d’arte ricorrendo all’intenzione dell’artista che l’ ha realizzata, poiché da questo
consegue un ulteriore problema: se quel che un osservatore può fare «è rifarsi
all’intenzione dell’artista e interpretare l’opera di conseguenza, e non c’è segno di questo
nella sua esperienza del quadro, le condizioni della rappresentazione non saranno state
soddisfatte.»
Per questo Wollheim conclude osservando che «la rappresentazione è percettiva.» (ivi
276).
Bibliografia
Ferraris M. (1997), Estetica razionale, Cortina, Milano.
Sibley F. (1992), Arts or the Aesthetics – Which Comes First ? in Approach to
Aesthetics. Collected Papers on Philosophical Aesthetics, Clarendon – Oxford
University Press, New York, 2007, pp. 135-41.
Wittgenstein L. (1953), Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford.
Tr. it. Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 1999.
Wollheim R. (1968), Art and its Objects. An Introduction to Aesthetics, Harper &
Row, Publishers, New York . Tr. it. Introduzione all’estetica, Isedi – Istituto
Editoriale Internazionale, Milano, 1974.
Wollheim R. (1998), On Pictorial Representation, in «The Journal of Aesthetics
and Art Criticism», 56, 3, pp. 217-226. Tr. it. Sulla rappresentazione pittorica
in: P. Kobau, G. Matteucci, S. Velotti (a cura di), Estetica e filosofia analitica, Il
Mulino, Bologna, 2007, pp.257- 276.