«Estetica» in Baumgarten, Kant e Hegel Baumgarten, Meditazioni sulla poesia, 1735, § 116: «I noetà [= rappresentazioni razionali] sono da conoscere con la facoltà superiore, oggetto della logica, gli aisthetà [= rappresentazioni sensibili] con la facoltà inferiore, oggetto della epistème aisthetikè ovvero ESTETICA». Baumgarten, Estetica, vol. I, 1750, § 1: «L'estetica (teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del pensare in modo bello, arte dell'analogo della ragione) è la scienza della conoscenza sensibile». Kant, Critica della ragion pura, 1781, § 1: «Chiamo estetica trascendentale* una scienza di tutti i princìpi a priori della sensibilità [...]. Con questa ricerca si troverà che ci sono due forme pure di intuizione sensibile [...], cioè spazio e tempo». * «I tedeschi sono gli unici a servirsi adesso della parola “estetica” per designare con essa ciò che altri chiamano critica del gusto. La ragione di ciò sta nella fallace speranza che concepì l'eccellente analista Baumgarten: quella di riportare la valutazione critica del bello a princìpi razionali e di elevarne le regole a scienza [...]». Kant, Critica della capacità di giudizio, 1790, Prefazione: «Quest'imbarazzo per un principio (sia poi un principio soggettivo o oggettivo) si trova principalmente in quelle valutazioni che si chiamano estetiche, le quali riguardano il bello e il sublime della natura o dell'arte. E tuttavia è la ricerca critica di un principio della capacità di giudizio in esse la parte più importante di una critica di tale facoltà». Hegel, Lezioni di estetica, 1835 sgg, Prefazione: «Stimatissimi signori, queste lezioni sono dedicate all'Estetica; il loro oggetto è il vasto regno del bello e, più precisamente, il loro campo è l'arte o meglio l'arte bella. Certamente il nome Estetica non è del tutto appropriato per questo oggetto. Infatti “Estetica” indica più esattamente la scienza del senso e del sentire e in questo significato è nata come nuova scienza, o meglio come qualcosa che doveva ancora divenire una disciplina filosofica nella scuola wolffiana, in quel tempo in cui in Germania si consideravano le opere d'arte in rapporto ai sentimenti che esse dovevano produrre [...]. Ma noi lasceremo stare il nome Estetica, giacché in quanto semplice nome esso è per noi indifferente e inoltre nel frattempo è entrato a tal punto a far parte del linguaggio comune da poter essere mantenuto come nome. La corretta designazione per la nostra scienza è tuttavia “Filosofia dell'arte” e più precisamente “Filosofia dell'arte bella”». Platone, VII Lettera, 341c-344d: Questo tuttavia io posso dire di tutti quelli che hanno scritto e scriveranno dicendo di conoscere ciò di cui io mi occupo per averlo sentito esporre o da me o da altri o per averlo scoperto essi stessi, che non capiscon nulla, a mio giudizio, di queste cose. Su di esse non c’è, né vi sarà, alcun mio scritto. Perché non è, questa mia, una scienza come le altre: essa non si può in alcun modo comunicare, ma come fiamma s’accende da fuoco che balza: nasce d’improvviso nell’anima dopo un lungo periodo di discussioni sull’argomento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di se medesima. Questo tuttavia io so, che, se ne scrivessi o ne parlassi io stesso, queste cose le direi così come nessun altro saprebbe, e so anche che se fossero scritte male, molto me ne affliggerei. Se invece credessi che si dovessero scrivere e render note ai più in modo adeguato e si potessero comunicare, che cosa avrei potuto fare di più bello nella mia vita, che scriver queste cose utilissime per gli uomini, traendo alla luce per tutti la natura? Ma io non penso che tale occupazione, come si dice, sia giovevole a tutti; giova soltanto a quei pochi che da soli, dopo qualche indicazione, possono progredire fino in fondo alla ricerca: gli altri ne trarrebbero soltanto un ingiustificato disprezzo o una sciocca e superba presunzione, quasi avessero appreso qualche cosa di augusto. Ma di questo voglio parlare ancora e più a lungo, e forse, dopo che avrò parlato, qualcuna delle cose che dico riuscirà più chiara. V’è infatti una ragione profonda, che sconsiglia di scrivere anche su uno solo di questi argomenti, ragione che io ho già dichiarata più volte, ma che mi sembra opportuno ripetere. Ciascuna delle cose che sono ha tre elementi attraverso i quali si perviene a conoscerla; quarto è la conoscenza; come quinto si deve porre l’oggetto conoscibile e veramente reale. Questi sono gli elementi: primo è il nome, secondo la definizione, terzo l’immagine, quarto la conoscenza […]. Solo trascorrendo continuamente tra tutti questi, salendo e discendendo per ciascuno di essi, si può, quando si ha buona natura, generare a gran fatica la conoscenza di ciò che a sua volta ha buona natura […]; allora a stento, mentre che ciascun elemento (nomi, definizioni, immagini visive e percezioni), in dispute benevole e in discussioni fatte senza ostilità, viene sfregato con gli altri, avviene che l’intuizione e l’intellezione di ciascuno brillino a chi compie tutti gli sforzi che può fare un uomo. Perciò, chi è serio, si guarda bene dallo scrivere di cose serie, per non esporle all’odio e all’ignoranza degli uomini. Da tutto questo si deve concludere, in una parola, che, quando si legge lo scritto di qualcuno, siano leggi di legislatore o scritti d’altro genere, se l’autore è davvero un uomo, le cose scritte non erano per lui le cose più serie, perché queste egli le serba riposte nella parte più bella che ha; mentre, se egli mette per iscritto proprio quello che ritiene il suo pensiero più profondo, “allora, sicuramente”, non certo gli dèi, ma i mortali “gli hanno tolto il senno”. (Traduzione di Antonio Maddalena)