L’AGORA’ PENITEZIARIA VII CONGRESSO NAZIONALE SIMSPe ONLUS ROMA 2006 LA MEDICINA PENITENZIARIA del Dott. Angelo Cospito responsabile sanitario dell’U.O.S.P. della Lombardia. Partendo dall’ultimo congresso dell’anno scorso “metamorfosi della medicina penitenziaria ed etica nelle cure” si può affermare che senza il sapere medico non ci può essere nessuna “continuità assistenziale”!! Dal 70 ad oggi cosa è rimasto e soprattutto cosa è cambiato nella figura professionale del medico penitenziario? Per quanto riguarda il ruolo non molto o addirittura nulla, sono ormai passati più di 30 anni dalla famosa legge speciale 740 del 70, quali compiti deve o dovrà assolvere in un futuro molto prossimo il medico penitenziario insieme all’altra figura importante che è l’infermiere professionale in carcere. A qualsiasi livello che si trovi, dirigente sanitario o coordinatore sanitario, medico incaricato, o medico sias? Dicevo prima la metamorfosi della medicina penitenziaria questa è gia una delle famose realtà che noi medici avevamo constatato e dove io ho voluto improntare il problema e la tematica del congresso unitamente all’ etica nelle cure quello che poi in realtà sta succedendo e succederà sempre in maniera più eclatante in un prossimo futuro anche sul territorio ma di questo parlerò più avanti. METAMORFOSI: - è cambiamento - è trasformazione - impossibilità di un ritorno al passato - popolazione detenuta multietnica ETICA NELLE CURE: - rispetto dell’Uomo in quanto Uomo, con propria tradizione - cultura e proprio vissuto - etnie ed il loro modo di vivere il mondo emozionale. Sono ormai trascorsi vent’anni o più dal giorno in cui misi piede per la prima volta in carcere. In questo lungo periodo ho sentito e soprattutto ho dovuto edere e vivere di tutto. In quanto all’interno di un carcere, tutto quanto c’è di triste, tragico e amaro, rispetto alla vita fuori quotidiana, è maledettamente “esasperato”, portato se vogliamo alle estreme conseguenze,mentre tutto ciò di quanto sia positivo e nobile, qui, in questo contesto appare come esile, esangue e fragile. Credo che senza nessuna retorica ormai possiamo affermare che: la “carcerazione” è rimasta l’ultima “ISTITUZIONE” totale dopo la chiusura dei manicomi e secondo ancora stenta a funzionare in quanto vuole dare e dà purtroppo ancora una risposta unica, la reclusione ad una popolazione ormai fortemente differenziata ecco perché tengo a sottolineare sempre di più la metamorfosi qui sopradescritta: Extracomunitari con diverse etnie e quindi con problematiche serie e severe da affrontare ( basti guardare al mondo esterno , affacciarsi per un momento alla finestra del territorio urbano per rendersi conti delle grandi tematiche irrisolte perché ancora c’è scarsa conoscenza dei problemi culturali e diamo sempre una risposta unica a problematiche differenti), tossicodipendenti, esponenti della malavita organizzata. E con il progredire della scienza medica diventa sempre più arduo garantire a tutta la popolazione detenuta un’assistenza sanitaria moderna. Se pensiamo per un attimo alla gamma vastissima di accertamenti clinicidiagnostici-strumentali che ormai oggi si ritengono indispensabili per un inquadramento diagnostico di un caso clinico e per un suo soddisfacente trattamento terapeutico. Inoltre si può affermare senza reticenza chela sola capacità intuitiva anche se fondamentale del medico non può bastare e che solo attraverso, l’osservanza di metodologie complesse si può arrivare ad una corretta diagnosi. Questo succede in realtà in quanto sono ormai complesse anche le stesse patologie. Non si cade certo nella retorica quando si afferma che la medicina penitenziaria deve garantire come costituzionalmente stabilito, il diritto alla salute. L’operatore sanitario penitenziario è un punto fermo di riferimento basilare per chiunque affronta per la prima volta l’esperienza della restrizione: per l’anziano, per il disagiato psichico, per il tossico-dipendente, per l’extracomunitario. La medicina penitenziaria è complessa, composita in quanto devono convivere diverse dimensioni da quella prettamente sociale a quella clinica, ancora umanistica e psicologica in quanto trattasi di un uomo privato della libertà ed ancora una organizzativa e gestionale vedi lavoro che devono svolgere i dirigenti o i coordinatori sanitari, infine una dimensione di ricerca e culturale. Quindi possiamo affermare che come medicina è più di una disciplina e veramente per tutte queste caratteristiche e dimensioni non la si può improvvisare. Come del resto non si può improvvisare o operare una riforma integrando qualsiasi tipo di sistema o di struttura, non è possibile farlo stando seduti a tavolino ed elaborando soluzioni sulla base di dati statistici che, se ci danno “una prospettiva matematica e razionale” del problema, non ne colgono le cause ed i risvolti diciamo “ emotivi “del problema stesso. Una trasformazione può avvenire solo integrando questi dati con l’esperienza diretta acquisita sul campo da coloro che potremmo definire “ gli attori ” di questa scena. Ogni ipotesi o soluzione razionale che trascuri l’esperienza diretta sarà solo e sempre parziale, ma non esaustiva. Se la si guarda superficiale, la riforma della medicina penitenziaria potrebbe avere come “attori sociali “ due tipologie standard di individui: - i pazienti - gli operatori sanitari ( medici,infermieri,assistenti sociali, ecc…) In realtà, come Kurt Lewin ci insegna con la sua teoria del campo, ogni “campo sociale” è uno “ spazio vitale” composto dalla persona e dall’ambiente psicologico. All’esterno c’è il mondo che non influenza direttamente il comportamento, ma a cui lo spazio vitale è permeabile. Ogni “campo sociale” ha quindi i suoi attori e le sue regole che sono diverse da campo a campo. Ogni realtà sociale è a sé stante e va conosciuta nella sua particolarità per poter trovare delle soluzioni “particolari” e, di conseguenza, “adeguate”. Nel campo della medicina penitenziaria chi non ha vissuto il “carcere” dal suo interno, o come detenuto o come operatore con qualifiche differenziate, non può comprendere cosa sia “la realtà carcere”. Lo si potrebbe paragonare ad un grande contenitore di raccolta di ogni forma di sofferenza, devianza od emarginazione immaginabile. Giusto o sbagliato che sia non è questa la sede per parlarne, perché ciò dipende dalle scelte di politica criminale che ogni paese decide di adottare. Il fatto è che ci si scontra con una realtà umana inattesa. Da sempre è stato perpetuato attraverso la letteratura (basti pensare a “I Miserabili” di Victor Hugo), il cinema (“Fuga da Alcatraz”, ecc.), il mito del carcere come di un luogo orribile, terribile, dove l’uomo non è più uomo, ma diventa una matricola senza nome e senza diritti. Diventa difficile combattere contro un simile retaggio che, se anche a volte in maniera esasperata, spesso non si discosta di molto nella sua bruttura dalla realtà “carcere”. Se l’uomo detenuto non è più l’uomo libero, anche il medico penitenziario non può più essere un semplice medico generico senza nulla togliere a chi lo è. Sono convinto che medici penitenziari “si nasce” e non si diventa, perché decidere di lavorare in un istituto di pena non può solo essere un’esperienza lavorativa, ma deve essere una “missione” dato che i suoi pazienti appartengono ad una categoria particolarissima non rappresentativa della classica popolazione ambulatoriale. Il medico penitenziario si trova come risucchiato in un passato dove il medico era capace di “ascoltare” i suoi pazienti e di bilanciare nella giusta misura “cura e carità”, perché oggigiorno il carcere non è tanto un luogo di detenzione, ma è diventato un grande “ospedale” che non deve solo garantire l’assistenza di base, ma deve fornire un “di più” che spesso non c’è. Ecco perché la medicina penitenziaria diventa una branca della medicina generale che ha bisogno di un certo grado di “autonomia e versatilità” che le permettano di mettere a punto una riforma in grado di tutelare al meglio la salute del paziente-detenuto e la funzionalità del servizio. “la Specificità della Medicina Penitenziaria” consiste nella capacità di operare secondo scienza e coscienza in un ambiente esso stesso causa di patologia, ma dal quale non si può prescindere; cogliere i bisogni inespressi del paziente-detenuto (gli atti di autolesionismo e i suicidi ne sono una tragica testimonianza ) senza però prestarsi a strumentalizzazioni da qualsiasi parte provenienti ( magistrati, direzione, polizia, detenuti stessi ). Il Sistema Sanitario Penitenziario ( S.S.P.) è attualmente ancora una realtà autonoma rispetto al Servizio Sanitario Nazionale ( S.S.N.), rientrando nelle competenze specifiche del dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria. La Sanità è normativamente e nei fatti estremamente marginalizzata nell’organizzazione dipartimentale non avendo meritato di essere neanche nominata nell’indicazione della Direzione Generale a cui appartiene ( Direzione Detenuti e Trattamento ); all’interno di questa esiste infatti un ufficio sanitario con scarso personale preposto alla gestione della sanità e due soli medici ( uno di ruolo ed uno incaricato ) con funzioni di collaboratori che non sono in grado di assicurare una presenza continua. Solo grazie alla sensibilità del cons. Ardita, Direttore Generale e della Dott.ssa Brunetti, Direttore dell’Ufficio, hanno consentito ai medici penitenziari di poter avere degli indirizzi comuni e delle politiche sanitarie alle quali far riferimento, in assenza di qualsiasi indicazione da parte del superiore Dicastero. Ciò è stato possibile grazie all’istituzione nel 2003 di uno Staff Sanitario composto da medici incaricati provenienti da vari istituti Italiani, che ha collaborato con la Direzione fino al dicembre 2005. Partendo da questi presupposti è necessario analizzare tre punti fondamentali: 1) da chi è composta la popolazione carceraria e che effetto ha l’ingresso in carcere sull’individuo; 2) chi sono gli operatori sanitari che lavorano in un istituto di pena e loro mansioni; 3) ruolo dell’amministrazione penitenziaria nella riforma sanitaria attraverso la ridistribuzione delle risorse. 1) Il detenuto e l’ambiente carcerario E’ vero che per molti detenuti l’ambiente del carcere non è sostanzialmente molto differente da quello in cui vivevano prima della carcerazione, ma è altrettanto vero che l’organismo dell’uomo in stato detentivo risponde con maggior recettività agli elementi patogeni in seguito ad un abbassamento dei poteri di difesa organica, causato soprattutto dall’effetto che lo “stress da carcerazione” sembra avere sulla sua integrità psichica. Frequentissime sono infatti le affezioni gastro-intestinali, le neurosi cardiache, alcune forme di reumatismi non riconducibili alla patologia classica, cefalea, insonnia, astenia, respiro affannoso, attacchi di panico, fenomeni allergici (imputabili ad un abbassamento dell’Energia Difensiva,). L’effetto dello stress da carcerazione sullo psichismo può essere ancor meglio evidenziato in quei soggetti che sono alla loro prima esperienza detentiva e che presentano un livello culturale, un grado di educazione, moralità e sensibilità più elevata rispetto alla maggior parte della popolazione carceraria. Il medico penitenziario si trova a dover gestire uno squilibrio soprattutto emozionale e poi organico nel paziente-detenuto. vediamo come sui Cinque Sentimenti la carcerazione può influire enormemente con momenti e situazioni emozionali diverse della vita del detenuto: a) COLLERA : la Privazione della Libertà, l’esposizione al giudizio, il rifiuto sociale e parentale. b) GIOIA : il Colloquio, che rappresenta l’unico legame con la vita precedente (passato); è una “rassicurazione”, per il fatto che qualcuno si interessa ancora a lui, prova ancora dei sentimenti positivi ed è una speranza per il futuro. Il sapere che qualcuno li pensa e li viene a trovare alimenta la “speranza” di poter avere ancora una vita. c) RIFLESSIONE : le ore passate in solitudine. Qui inizia la fase “rimurginativa” dove viene riavvolto il film della propria vita. Tutto scorre nella mente nei minimi dettagli e la privazione della libertà non fa altro che esaltare l’angoscia, la tristezza per ciò che si è perso ed alimenta la rabbia per la perdita decisionale sulla propria vita. d) TRISTEZZA : ne è una diretta conseguenza, perché la carcerazione è paragonabile al lutto, alla separazione, all’abbandono, alla perdita. Non esiste più alcuna certezza se non quella che la propria vita dipende dalla decisione altrui. E’ soprattutto la paura di essere dimenticati, di essere lasciati soli, di non essere più creduti. L’incertezza degli affetti sui quali si continua a rimuginare può far insorgere delle vere e proprie ossessioni, depressioni. e) PAURA : non scaturisce solo dal timore di perdere gli affetti, ma, dopo la presa di coscienza dell’ambiente carcerario nel quale si sarà costretti a vivere, insorge la paura di non riuscire a sostenere gli eventi, le molestie, i soprusi. Ci si rende conto di essere soli e di non essere speciali per nessuno. Nessuno ascolta, a nessuno interessa quello che si ha da dire e spesso ci si percepisce come persone senza più diritti. Al loro primo ingresso in carcere corrisponde l’insorgenza di una sintomatologia classica da “trauma da carcerazione”: senso di fame d’aria, cefalea, insonnia, palpitazioni, spasmo esofageo, alterazioni del tratto ST nel tracciato elettrocardiografico, alterazione della pressione arteriosa. Non è che nei “recidivi” non si instauri tale sintomatologia, ma si può dire che essa ricompaia in modo molto attenuato. Bisogna fermarsi un attimo a riflettere su quali sono le cause che portano ad un’alterazione dell’equilibrio psichico di un Sé già di per se stesso reso instabile, minato dalla paura di dover “obbligatoriamente” e non per scelta affrontare la realtà carceraria che non conosce. Sicuramente la privazione della libertà, le lunghe solitudini, l’indifferenza, la limitazione dello spazio, le coercizioni, l’inattività, la monotonia, l’isolamento, la compagnia indesiderata, la privazione o la deviazione dei rapporti sessuali, l’allontanamento dagli affetti, le preoccupazioni processuali, la perdita dell’autodecisione, l’esposizione al pubblico giudizio per se e per i propri familiari. Questo elenco potrebbe continuare, anche se di per se la “privazione della libertà” può essere considerata l’unica causa di per sé sufficiente a determinare la comparsa di sindromi neurosiche. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria “depersonalizzazione”, perché se anche il detenuto non indossa più il “pigiama a strisce”, diventa purtroppo un numero di matricola, un caso, un fascicolo. Tutti i ritmi naturali della vita quotidiana vengono modificati e, di conseguenza, l’individuo stesso. Per una necessità di adattamento, cambia il suo modo di pensare, di camminare, di amare, di credere, arrivando fino al punto di aver paura di pensare. a trasformazione e deformazione a livello sensoriale. Sembra che l’impatto psicologico negativo produca un arresto nel processo biologico di maturazione individuale e che il corpo del detenuto diventi una mappa sulla quale poter leggere tutti i sentimenti: paura, collera, gioia, tristezza, ecc. Vediamo più in dettaglio come e perché avviene questa trasformazione sensoriale: a) le dimensioni della cella fanno perdere il senso della distanza e provocano una distorsione nella percezione delle proporzioni. Spesso c’è la comparsa di vertigini. Anche la vista subisce delle alterazioni per via di un’uniformità innaturale di colori, di luci sempre al neon e per l’obbligo di una messa a fuoco sempre su brevi distanze, precludendo all’occhio un riposo sulla linea orizzontale. Ciò spiega perché molto spesso gli occhi dei detenuti sono inespressivi, spenti e raramente fissano il viso del loro interlocutore per evitare di lasciar trapelare qualsiasi emozione. Lo sguardo del detenuto è uno “sguardo corto”. Sin dai primi giorni di carcerazione la vista subisce una modificazione impressionante. Il risvolto emozionale è lampante, perché è agli occhi che per primi tocca vedere la perdita della libertà e l’ingresso in una realtà fatta di sofferenza, solitudine e paura. Attraverso gli occhi viene colpita l’emotività viene attaccata ed indebolita. Si perde l’orizzonte della vita che può essere solo sostituito da un orizzonte immaginario, unico mezzo per permettere di vivere, in maniera sublimata, lo “sguardo lungo”. b) OLFATTO: è come se venisse anestetizzato. L’odore del carcere è sempre identico: pesante, stagnante, penetrante. E’ assolutamente uniforme, tanto da diventare irrespirabile. Esso porta il detenuto all’incapacità di differenziare gli odori e, di conseguenza, vengono ridotte ed uniformate le emozioni ad essi collegate. c) UDITO: subisce una vera e propria esasperazione, perché è strettamente collegato al sentimento della paura. Sbarre, cancelli, chiavi, grida, richiami, lamenti sono una molteplicità di suoni che hanno tutti in comune una connotazione di minaccia, di pericolo. Questo costante stato di allarme, provoca un aumento del livello di attenzione al punto tale che raggiungendo il limite massimo di tolleranza della tensione emotiva ad essa collegata, si trasforma nel suo opposto, ovvero in sordità, da interpretare, a questo punto, come uno strumento difensivo a livello sia psicologico che organico. d) TATTO: è forse il senso che subisce l’alterazione più grave. Per motivi soprattutto di sicurezza e per evitare che il detenuto possa sviluppare comportamenti auto-lesivi, egli viene privato del contatto con tutta una serie di materiali (vetro, metalli, ecc.) che servono a conservare un’intera gamma tattile. L’elemento che però viene a mancare in modo più rilevante è quello che potremmo definire “il tatto del tatto”, ossia il contatto con un’altra pelle, il contatto con la donna/l’uomo. Sappiamo che il contatto fisico è fondamentale nel rafforzare sentimenti di accettazione, di affetto e permette di trovare un appagamento a livello sessuale. Da queste riflessioni appare più che evidente che l’uomo con il quale si trova ad operare un medico penitenziario è un essere umano psichicamente minato, destrutturato e spesso scisso nel quale sono riscontrabili un intreccio di patologie emozionali che si sono instaurate in seguito al perdurare nel tempo dell’emozione ad esse collegata. L’approccio medico al detenuto viene quindi in un certo senso “facilitato” se il medico penitenziario approfondisce la conoscenza di come il mondo emozionale manifesti i suoi effetti a livello somatico. Tutti i detenuti amano essere ascoltati ed è soltanto attraverso l’ascolto attento del loro vissuto che il medico può raccogliere quelle informazioni non contenute in una cartella clinica, ma fondamentali per formulare una diagnosi corretta e completa del suo stato di salute e delle cause che hanno determinato in lui l’insorgere di certe patologie. Non sono quindi più i sintomi a diventare l’oggetto d’attenzione principale, ma le cause emozionali che hanno determinato il loro insorgere. Pur privilegiando “l’ascolto”, in ogni colloquio con il detenuto il medico penitenziario non deve però trascurare l’insorgenza di meccanismi psichici di difesa e di adattamento nel detenuto. Il più diffuso è l’insorgenza in lui della consapevolezza che mostrare uno “stato morboso” può diventare lo strumento per sfuggire almeno temporaneamente alle costrizioni carcerarie. Da un punto di vista reattivo, ho potuto constatare che questo meccanismo psichico si sviluppa seguendo tre fasi: 1. fase di allarme 2. fase di adattamento 3. fase di speculazione Dopo aver visitato un paziente-detenuto ed aver espresso una conseguente diagnosi, spesso notavo in lui l’insorgenza di uno stato d’allarme non direttamente proporzionale alla gravità della patologia diagnosticata, anzi del tutto indipendente. Questa forma reattiva è facilmente ricollegabile al disagio psichico presente nel paziente in stato di detenzione. Infatti solo, affidato ad un medico che non ha scelto, costretto a lunghe solitudini, il detenuto non può non essere preoccupato per sé. Inoltre egli non è in grado di valutare la competenza del medico che l’ha visitato. La sua reazione è quindi più che umana. A questa prima fase segue la seconda: Non essendoci possibilità di scelta, il paziente si adatta ed accetta le cure prescritte. Può cercare di reagire ribellandosi a questa nuova condizione imposta dalla malattia, che viene a sommarsi a tutte le altre imposizioni carcerarie. Può protestare, accusare ed imputare all’ambiente carcerario la sua nuova condizione di malato. In questo stato di malattia sperimenta però un fatto nuovo: qualcuno, ossia “il medico”, si è interessato veramente a lui. L’ha ascoltato, l’ha riconsiderato come essere umano. Nel corso della malattia ha potuto godere di privilegi sia di ordine pratico, ma soprattutto psicologico: si è sentito considerato, ha visto intorno a sé persone premurose, si è sentito rispettato, protetto, ha ricevuto una parola di conforto, ha potuto nuovamente comunicare con un “essere umano” che l’ha trattato da “essere umano”. E’ però in questo momento che incomincia ad insinuarsi nella sua mente il pensiero che la condizione di “malato” possa in qualche modo aiutarlo presso l’autorità giudiziaria che dovrà giudicarlo. E’ qui che inizia la terza fase ossia quella speculativa: Il paziente detenuto non accusa più i sintomi, ma impara a recitare, spesso se ne inventa di nuovi per ritrovare quei fattori “allentanti” la pressione della carcerazione. E’ fondamentale per il medico penitenziario interpretare questi fatti nella giusta prospettiva, ossia riconoscerli come perfettamente “normali” operando un’inversione dei ruoli sostituendosi al soggetto in esame. Riconoscere questo fenomeno come normale, offre al medico penitenziario la possibilità di non commettere errori di superficialità e di effettuare un’idonea profilassi. E’ chiaro che per un funzionamento di un reparto medico in ambito carcerario ha maggior successo il medico che assume atteggiamenti militari stroncanti sul nascere ogni tentativo di deliberato proposito di speculazione, ma l’approccio all’ascolto da me adottato e che chiamerei “rivalutativo”, fa nascere una sorta di “rispetto reciproco” tra medico e paziente che il detenuto ha nel contempo il desiderio di ritrovare, ma anche soprattutto paura di perdere. L’aspetto poi più interessante di questo nuovo approccio è che, indipendentemente dal background culturale delle varie etnie con le quali opera il medico penitenziario (cinesi, albanesi, italiani, croati, senegalesi, marocchini, ecc.) che potrebbe far emergere l’idea di una “medicina differenziata”, tramite “l’ascolto” e “la rivalutazione del detenuto come persona” sembra nascere una “medicina trans- culturale” che riesce a superare le barriere di relazione create dalle differenze culturali. Se ho posto molto l’accento sulla figura del detenuto, non è perché mi sia dimenticato di quella del medico, ma è perché è necessario avere ben presente su quale terreno deve muoversi un medico penitenziario. In quanto essere umano, anche lui viene esposto alle stesse costrizioni ed alle stesse pressioni emozionali alle quali è sottoposto un detenuto. Sovente, quando varca la soglia di un carcere, egli può provare una sorta di crisi d’identità, perché anche lui si viene a trovare solo all’interno di un microcosmo nel quale tutti i rapporti interpersonali sono stravolti. Anche lui può non sentirsi accettato come persona, perché sa di dover essere accettato forzatamente in quanto non può venir ricusato dal paziente. Sentendosi spesso inadeguato in un ambiente che anche lui non conosce, può, nel tentativo di farsi accettare, o per paura di minacce o ritorsioni, cercare di rendersi più disponibile, di dimostrarsi competente più di quanto non farebbe al di fuori dell’ambiente carcerario. Questo non fa altro che aumentare il suo livello d’ansia e di tensione portandolo molte volte a rinunciare all'incarico se non mette in atto dei meccanismi difensivi soprattutto a livello emotivo. Anche lui come il detenuto può andare incontro ad una vera e propria destabilizzazione emotiva. Tutto dipenderà dalla sua capacità di sviluppare nel contempo empatia e distacco nei confronti dei problemi del detenuto 2) Gli operatori sanitari penitenziari e loro mansioni A livello sanitario, in ogni istituto di pena emergono delle figure ben differenziate di operatori sanitari. Se ne possono evidenziare quattro: 1) il Dirigente Sanitario 2) il Medico Incaricato 3) il Medico SIAS 4) l’Infermiere. Vediamoli singolarmente nei loro obblighi e funzioni. IL DIRIGENTE SANITARIO Tale incarico viene affidato ad un Medico Incaricato previo consenso di tutti gli operatori sanitari dell’istituto . Su tale scelta influiranno l’anzianità di servizio del soggetto ed i titoli professionali in suo possesso (Medicina Penitenziaria, Medicina Interna, Igiene, Medicina Legale, Medicina del Lavoro). Se nell’istituto non fosse presente un Medico Incaricato, il ruolo di Dirigente Sanitario potrebbe venir conferito ad un medico incaricato provvisorio. Dopo aver ricevuto l’incarico, il Dirigente Sanitario è tenuto a presentarsi nei giorni feriali in orari preventivamente concordati con la Direzione al fine di rendere possibile un interscambio diretto con tutti gli operatori sanitari presenti all’interno dell’Istituto. Qualora il Dirigente Sanitario si trovi ad operare in Istituti nei quali è prevista la Direzione tecnico-sanitaria, ossia nei Centri Diagnostici Terapeutici, le mansioni del Dirigente Sanitario saranno articolate come segue: dovrà garantire la presenza in funzione alle esigenze di volta in volta connesse con la sua specifica funzione dirigenziale; provvedere a fornire alla Direzione dell’Istituto un indirizzo strutturale ed organizzativo sanitario in linea con le indicazioni programmatiche sanitarie elaborate dall’ufficio ministeriale competente; fornire delle indicazioni sullo stato edilizio dell’Istituto al fine di attuare un miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie dei pazienti detenuti; deve interessarsi dell’attrezzatura tecnico-strumentale verificando se le richieste degli operatori sanitari sono in accordo con la normativa e l’indirizzo programmatico dell’Amministrazione Centrale e comunicando attraverso una dettagliata relazione il proprio parere alla Direzione dell’Istituto per il conseguente inoltro della pratica all’ufficio ministeriale competente al rilascio dell’autorizzazione all’acquisto; formulare direttive generali a livello tecnico-professionale alle quali gli altri operatori sanitari saranno tenuti ad attenersi nell’espletamento del loro servizio e controllarne l’espletamento; verificare personalmente che le visite mediche negli ambulatori, nelle sezioni e nei reparti procedano regolarmente; verificare l’aggiornamento costante della cartella clinica dei detenuti da parte del medico incaricato; organizzare, compatibilmente alle esigenze di servizio, l’impiego, la destinazione, i turni i periodi di ferie del personale sanitario; provvedere all’organizzazione del servizio infermieristico ed al controllo tecnico dell’attività svolta dagli infermieri di ruolo; può fornire il proprio parere diagnostico-terapeutico su singoli casi dietro richiesta formalizzata degli aventi titolo (Direttore, Autorità Giudiziaria, Autorità Ministeriale); coordinare le visite specialistiche operando un controllo sulla tempestività degli interventi, sulla continuità del servizio mantenendo uno stretto rapporto con il Medico Incaricato; provvedere alla ratifica dei ricoveri presso l’infermeria o Centro Clinico dell’Istituto effettuati nei casi di urgenza dal medico SIAS o incaricato; può avvallare i provvedimenti di assegnazione ai reparti di degenza, di dimissioni sanitarie di trasferimento per motivi sanitari, di ricovero esterno, di isolamento sanitario; è diretto responsabile del servizio farmaceutico dell’Istituto e deve provvedere il tempestivo rifornimento, lo smaltimento delle scorte in scadenza, l’uso corretto ed oculato delle scorte di lastre radiografiche, reagenti e materiali d’uso. A tal scopo deve verificare mensilmente le giacenze ed i consumi annotandoli poi su un apposito registro; è diretto responsabile della custodia di sostanze stupefacenti e psicotrope; deve vigilare sulle condizioni igieniche della cucina e dei cibi, sull’approvvigionamento idrico dell’acqua potabile, sullo smaltimento delle acque di rifiuto, sul servizio di lavanderia e di incenerimento dei rifiuti ed in genere sulle condizioni igieniche dell'abitato; è responsabile del servizio medico-legale dell’istituto; è tenuto a raccogliere e a trasmettere alla Direzione dell’istituto i dati statistici sanitari da trasmettere mensilmente al “servizio di informazione e statistica sanitaria” dell’ufficio ministeriale di competenza. A tal scopo sarà tenuto ad aggiornare costantemente un apposito registro dove annoterà il numero distinto per singole voci delle visite e delle prestazioni strumentali eseguite per ciascuna branca specialistica. Sarà tenuto inoltre a specificare quante visite evase nel comparto specialistico sono state proposte dal medico SIAS e dagli specialisti annotando il numero degli interventi di pronto soccorso e di emergenza clinica effettuati durante il mese dal medico SIAS. Dovrà anche annotare voce per voce il riepilogo delle visite e delle prestazioni specialistiche ambulatoriali esterne e dei ricoveri effettuati presso C.D.T ed in ospedale esterno con la relativa causale clinica. Deve stabilire un collegamento con i sanitari ospedalieri esterni per acquisire notizie dirette sull’andamento della degenza del paziente-detenuto ricoverato. Deve inoltre adoperarsi al fine che la durata del ricovero esterno del paziente-detenuto non superi lo stretto necessario. L’esito di ogni accesso esterno e dei contatti professionali intrattenuti con personale ospedaliero esterno dovranno essere annotati in un apposito registro da sottoporre al visto del Direttore dell’Istituto. Deve controllare la distribuzione delle preparazioni medicinali e l’utilizzazione del materiale di medicazione, delle lastre radiografiche, dei reagenti e dei materiali d’uso per il laboratorio intramurale di patologia clinica e dei servizi di odontoiatria, di ortopedia, di cardiologia, di elettroencefalografia e di quanti altri utilizzino materiali di consumo messi a disposizione dell’amministrazione. E’ tenuto a rilasciare certificazioni sanitarie relative alle condizioni di salute dei ristretti qualora gli vengano richieste dall’autorità giudiziaria o amministrativa. E’ tenuto infine a prestare opera professionale di organizzazione e di coordinamento dei servizi sanitari e dell’Istituto in relazione alle necessità ed all’esigenza di assicurare prestazioni corrette ed efficaci che garantiscano il funzionamento dell’assistenza. IL MEDICO INCARICATO La figura del Medico Incaricato ha acquisito una crescente centralità nel contesto dei nuovi assetti strutturali conseguenti alla progressiva estensione del Servizio Integrativo Assistenza Sanitaria, dal Presidio delle Tossicodipendenze e dall’incremento del comparto specialistico intramurale. L’operato di un Medico Incaricato all’interno di un Istituto va ben oltre il tempo di esecuzione delle visite mediche in quanto gli viene richiesto di conoscere a fondo e tenere sempre ben presente la realtà sociale ed il contesto psicologico nel quale si trova ad operare. Deve garantire la sua presenza in Istituto durante i giorni feriali secondo l’orario concordato con la Direzione amministrativa tenendo presenti le esigenze di coordinamento e collegamento con gli altri settori operativi sanitari. Secondo l’articolo 14 della legge 740/70, integrato dall’art. 6 della legge 296/93, i doveri del medico incaricato sono: “Il medico incaricato è tenuto a svolgere servizio per 18 ore settimanali presso l’Istituto cui è addetto e ad osservare le vigenti disposizioni e le regole deontologiche professionali. Egli è tenuto, altresì, all’osservanza dei regolamenti per gli Istituti di prevenzione e pena e del regolamento interno dell’Istituto cui è addetto e deve tener conto, compatibilmente con le esigenze sanitarie, delle disposizioni impartite dal Direttore dell’Istituto. Egli è tenuto a rendersi disponibile ed a prestare la propria opera professionale anche al di fuori dell’orario di servizio nei casi di emergenza e necessità clinica”. Come in precedenza abbiamo visto in relazione al Dirigente Sanitario anche il Medico Incaricato ha mansioni e compiti ben precisi. Vediamoli nel dettaglio: deve assicurarsi delle condizioni igieniche nell’ambiente penitenziario mediante ispezioni sanitarie nelle singole celle, nelle docce, nelle cucine, nelle lavanderie e nelle infermerie; vigilare sull’approvvigionamento dell’acqua potabile, sullo smaltimento delle acque di rifiuto ed in generale sull’igiene nei luoghi di lavoro e di degenza. Ogni carenza o inadeguatezza deve essere riportata sul registro modello 99 affinché l’Autorità dirigente possa predisporre i dovuti provvedimenti. Controllare che l’alimentazione del detenuto corrisponda ai requisiti di potere nutritivo e di accettabilità del detenuto stesso e formulare la richiesta di un vitto speciale qualora se ne presenti l’esigenza. Occuparsi dell’organizzazione e dell’andamento della farmacia provvedendo di persona alla richiesta di farmaci e di materiali di consumo vari. Deve provvedere ad organizzare l’infermeria locale dotandola di tutta la strumentazione necessaria e verificare che le direttive impartite al personale infermieristico vengano messe in pratica con responsabilità. Redigere certificazioni sulle condizioni fisiche di ogni detenuto previa richiesta della Direzione dell’Istituto, dell’Autorità Giudiziaria e del Ministero della Giustizia. Ciò implica una grande responsabilità da parte del medico incaricato in quanto deve conoscere molto bene la situazione clinica del detenuto evitando così di incorrere da un lato nel rischio di negare un possibile diritto al detenuto e dall’altro di incorrere in situazioni giudiziarie che gli si potrebbero ritorcere contro. E’ molto importante sottolineare questo aspetto perché l’aver a che fare con una popolazione detenuta vuol dire trattare con persone che costantemente sono portate a chiedere attenzioni, vantaggi o migliori condizioni di trattamento per alleviare quel senso di sofferenza e d’inquietudine costante che la detenzione sviluppa a livello psichico sugli individui. E’ fondamentale per un Medico Incaricato saper sviluppare un giusto connubio di intelligenza e comprensione per poter instaurare un rapporto di stima e di fiducia reciproca con il detenuto. Il momento sicuramente più importante nel rapporto tra medico e detenuto è il loro primo incontro durante la visita medica da effettuarsi non oltre il giorno successivo all’ingresso in Istituto (nel caso di Istituti dotati del servizio di guardia medica la visita medica dovrebbe essere effettuata subito dopo l’ingresso in Istituto). Tale visita deve essere eseguita nel modo più scrupoloso possibile tenendo conto sia del quadro anamnestico personale del detenuto che l’esame obiettivo al fine di accertare non solo le condizioni di salute attuale del detenuto, ma anche di accertare pregressi quadri patologici di rilievo (lue-HIV, TBC-epatite, diabete mellito, turbe psichiche), segni di lesioni traumatiche recenti ed eventuali infestazioni da parassiti. L’attenzione va posta in modo particolare sulle lesioni traumatiche onde stabilire non solo la prognosi e le modalità d’intervento sanitario, ma anche l’origine delle stesse distinguendo se le cause siano da ricercarsi in fattori esterni (accidentali, percosse) o in altri tipi di azioni lesive (arma da taglio, da punta, ecc.). Questa certificazione è necessaria perché anche a distanza di anni il medico può venir chiamato a renderne conto dall’Autorità Giudiziaria. L’importanza di un’accurata visita medica non sta solo nel fatto di poter fornire al detenuto la miglior tutela sanitaria ma anche nel garantire la salute dell’intera popolazione carceraria. Il Medico incaricato ha l’obbligo di visitare quotidianamente il detenuto ammalato ed i “richiedenti visita”. Deve inoltre avere dei frequenti riscontri con i “ristretti” attenendosi ad un indirizzo profilattico individuale e collettivo nel rispetto degli schemi clinico-strumentali stabiliti dal piano generale. Se quest’elenco rappresenta una sintesi dei doveri di ogni Medico Incaricato non bisogna però dimenticare quali sono i suoi diritti che tengono in egual misura conto del contesto ambientale e socio-culturale nel quale egli si trova ad espletare il proprio operato. Egli ha diritto: Ad un riposo settimanale che non è necessariamente un giorno festivo, ma può anche essere un giorno infrasettimanale; Ad un riposo festivo Trenta giorni di ferie l’anno più sei giorni di festività soppresse Per motivi di infermità può essere autorizzato a non prestare servizio per un massimo di due mesi; Tredicesima mensilità Trattamento previdenziale per coloro che sono stati nominati Medici incaricati definitivi Ai Medici incaricati non sono applicabili le norme relative alla incompatibilità e al cumulo di impieghi, né alcuna norma concernente gli impieghi civili dello stato. Accanto al medico incaricato esistono altre figure professionali che lo affiancano nell’espletare al meglio le sue funzioni e per offrire ai detenuti la migliore assistenza sanitaria possibile. Si tratta dei Medici SIAS. IL MEDICO SIAS Dato che in un Istituto di Pena è necessario garantire il miglior servizio sanitario possibile, il numero dei medici deve essere tale in modo da poter evitare l’accumulo di un numero di ore lavorative eccessivo. Per questo motivo accanto ai medici incaricati ci saranno i medici SIAS (Servizio Integrativo Assistenza Sanitaria). Come la sigla stessa ben evidenzia, questi medici vengono assunti per garantire la copertura sanitaria quando non sono presenti i medici incaricati. Evidenziamo quali sono i loro compiti: Espletare il Servizio di accoglienza ai Nuovi Giunti compilando il foglio anamnestico relativo alle patologie riscontrate nei detenuti al loro primo ingresso in Istituto; Segnalare al medico incaricato ed al medico del presidio T.A.S. i detenuti con particolari problemi di salute. Dovranno poi registrarli sul Registro delle consegne ad uso dei medici. Espletare l’attività di medicina generale ordinaria al mattino ed intervenire in caso d’urgenza quando è necessario facendo poi rapporto al medico incaricato. Collaborare a tutte le attività diagnostico terapeutiche sia a livello ambulatoriale che a livello di degenza segnalando, qualora sia necessario, le malattie infettive previste dalla legge. Riportare sul Registro 99 detenuti le richieste di visite specialistiche con relativo quesito diagnostico compilando i Mod. 106 da sottoporre alla firma del medico incaricato per l’autorizzazione. Richiedere sul Registro 99 detenuti, in caso di necessità, i ricoveri programmati presso i C.D.T. dell’Amministrazione Penitenziaria. Riportare sul Registro 99 detenuti le risposte di disponibilità o meno ai ricoveri provenienti dai C.D.T.. Riportare sul Registro 99 detenuti, previa compilazione dell’apposito modulo, le richieste di visite specialistiche e ricoveri presso strutture esterne all’istituto, sia in attività programmata che in urgenza. Partecipare attivamente alle attività specialistiche al fine di tenersi costantemente aggiornati sulla salute del detenuto. Rivestire la funzione di medico incaricato in sua assenza. In questo caso tutto il personale infermieristico, gli agenti di Polizia Penitenziaria addetti al servizio d’infermeria, i medici specialisti, dovranno far loro riferimento anche per quanto non viene previsto dalle disposizioni di servizio. Durante i giorni feriali, in caso di assenza del medico incaricato, spetterà al medico S.I.A.S di servizio l’attività di coordinamento di tutta l’attività svolta nell’area sanitaria fermo restando il fatto che egli dovrà attenersi a tutte le disposizioni dategli dal medico incaricato al quale farà poi rapporto. Potrà compilare il foglio di dimissione per tutti i detenuti partenti e per quelli rimessi in libertà. Dovrà segnalare al medico incaricato, sul Diario delle consegne e sul Registro 99 detenuti, tutti i disservizi nelle procedure che coinvolgano direttamente le attività sanitarie o quelle strettamente interconnesse. Tutti i medici incaricati ed i medici S.I.A.S verranno affiancati nell’espletamento ottimale delle loro funzioni dal personale infermieristico dell’Istituto. 1) Ruolo dell’Amministrazione Penitenziaria nella riforma sanitaria attraverso la ridistribuzione delle risorse L’Amministrazione Penitenziaria ha dovuto, in questi ultimi anni, fare i conti con un cambiamento profondo a livello sociale e culturale della popolazione detenuta che l’ha obbligata a rivedere un sistema sanitario non più adeguato alla nuova realtà carceraria. Patologie che prima si manifestavano sporadicamente sono andate in crescendo. Le richieste terapeutiche si sono modificate e quindi anche i costi di gestione dell’area sanitaria sono aumentati. La riorganizzazione del sistema sanitario è diventata quindi necessaria per poter continuare a fornire al paziente detenuto l’assistenza sanitaria migliore. Già da alcuni anni è stato avviato un progetto di innovazione che ha avuto inizio con la legge di riforma n° 395 del 1990 la quale prevedeva l’istituzione di “un’area sanitaria” presso ciascun Istituto di Pena, nel quale si trovino ad operare medici sanitari incaricati, medici del servizio sanitario integrativo di guardia medica, medici specialisti, i cui compiti non riguardano soltanto la salute psicofisica dei detenuti, ma prevedono anche interventi di controllo e di profilassi-collaborazione con i servizi sanitari pubblici e la possibilità d’intervento dell’amministrazione nell’iter giudiziario del detenuto, con proposte sanitarie, per la valutazione dei casi di rinvio dell’esecuzione delle pene. Accanto quindi ad una medicina di diagnosi e cura, si è cercato di realizzare una medicina penitenziaria di prevenzione, in linea con le direttive della politica sanitaria nazionale e in rispondenza alle nuove esigenze socio-sanitarie. Con una successiva circolare del 1992 è stato previsto il raggruppamento delle varie attività istituzionali dell'istituto penitenziario in diverse aree al fine di evidenziarne l'unitarietà e l’identità dei fini istituzionali. Nell’area sanitaria, per quanto siano state differenziate le varie figure di operatori e le rispettive mansioni, si è cercato di sottolineare l’unitarietà del loro operato perché si trovano inseriti in un contesto dov’è possibile differenziare le competenze individuali da un punto di vista teorico, ma che è poi difficile attuare da un punto di vista pratico. Ad esempio, come già abbiamo visto prima, il medico del servizio integrativo di guardia medica non è abilitato e destinato in senso limitativo alle urgenze ed agli interventi di pronto soccorso, ma sostituisce il medico incaricato in quasi tutte le sue mansioni. Proprio per le molteplici attività di questo tipo di realtà sanitaria, è richiesta la reale partecipazione e collaborazione ad ogni livello di tutti gli operatori sanitari per rendere il rapporto medico-paziente idoneo alle esigenze del luogo. Come ho già descritto in precedenza la responsabilità del medico penitenziario è duplice perché egli è contemporaneamente colui che garantisce il diritto alla salute del cittadino detenuto e colui che garantisce l’esecuzione della pena evitando per il detenuto, i compagni e per la collettività il verificarsi di situazioni che potrebbero mettere a rischio tale esecuzione. Il medico deve quindi fornire il suo contributo alla persona umana nella sua qualità di paziente-detenuto nonché all’istituzione ed alle sue finalità di reinserimento e contemporaneamente di sicurezza sociale. Per omogeneizzare i servizi tenendo conto delle concrete diversità locali, l’amministrazione penitenziaria ha di recente provveduto ad istituire in ambito regionale una nuova struttura organizzativa che possa assicurare una gestione del servizio in grado di fornire una risposta unitaria e congrua in termini di qualità ed appropriatezza alle numerose problematiche del settore sanitario. Ma per ritornare al titolo del congresso di quest’anno: Carcere territorio, quale continuità assistenziale? Possiamo affermare soprattutto alla luce dei nuovi avvenimenti che hanno caratterizzato il mondo carcerario in questi ultimi tempi, ossia l’indulto dell’agosto scorso, è emersa la necessità di creare una sempre più ampia sinergia tra le strutture sanitarie penitenziarie e quelle operanti sul territorio. A questo scopo l’ U.O. S. P. della Lombardia e naturalmente altre realtà regionali, aveva già in precedenza evidenziato le problematiche riguardanti la sanità penitenziaria all’interno degli istituti. Non a caso, visto che si poteva lavorare in realtà molto sull’emergenza per via dell’alto numero di detenuti, circa 61.000 in tutta Italia e circa 8.900 nella sola Lombardia, aveva già avviato il processo di razionalizzazione, ma soprattutto di riorganizzazione del S.S.P. attraverso una serie di interventi: a) trasformazione dei due centri clinici lombardi attraverso l’istituzione di due nuovi poli:: 1) quello infettivologico e chirurgico c/o C.R. Mi Opera. 2) quello cardiologico e psichiatrico c/o C.C. S. Vittore. si è provveduto a monitorare l’effettiva esigenza degli interventi delle varie branche specialistiche là dove ne era stata riscontrata la necessità, cosa che poi ha portato all’acquisto della diagnostica strumentale ed a un potenziamento delle risorse umane soprattutto c/o i centri clinici. Questo ci ha permesso di effettuare gli esami specialistici all’interno degli istituti, con netta riduzione degli invii in luoghi esterni di cura e quindi anche a salvaguardare sia la salute della popolazione detenuta che a potenziare la sicurezza. - abbiamo iniziato e stiamo continuando a effettuare sia informazione che formazione sanitaria attraverso incontri scientifici con accreditamento E.C.M. mediante operatori sanitari del mondo universitario, operatori delle aziende ospedaliere ed operatori A.S.L. - si è elaborato un prontuario farmaceutico penitenziario regionale tendente ad omogeneizzare le terapie negli istituti di pena con aggiornamenti a cadenza annuale con nuove molecole a seconda delle nuove esigenze e delle patologie emergenti, sempre più frequenti, dovute alla crescente presenza di detenuti extracomunitari. -progetto di telecardiologia nato dalla consapevolezza che con l’avvento di un numero in crescendo di extracomunitari ed un attento monitoraggio sulla popolazione detenuta è emerso un aumento delle patologie cardiovascolari con la conseguente urgenza della gestione dell’emergenza cardiologia. Ciò ha portato ad investire di maggiore responsabilità il medico penitenziario che deve intervenire tempestivamente in caso di patologie cardiache che, in fase acuta, rappresentano le poche “vere” emergenze. Per sostenere i medici penitenziari in queste difficili situazioni è stato dato l’avvio nei due centri clinici lombardi di un servizio di telecardiologia, ossia un sistema di refertazione a distanza che consente di garantire alla popolazione detenuta 24 ore al giorno di assistenza medico-scientifica in ambito cardiologico. - vi è stata una netta ottimizzazione dei ricoveri e dei Day-Hopital c/o la 5° divisione di medicina penitenziaria dell’H. S.Paolo, grazie a un sinergismo ed una collaborazione sempre più stretta con il responsabile di quella struttura. Questo è il lavoro svolto fino ad oggi dall’U.O.S.P. della Lombardia per quanto riguarda gli istituti penitenziari, cosa che ha implicato sia la razionalizzazione della spesa sanitaria, con conseguente riorganizzazione degli stessi. Ma per ritornare alla domanda di quale continuità assistenziale esista per il detenuto fuori dal carcere e sul territorio, si può dire che partendo dall’attività sanitaria all’esterno degli istituti sono state coinvolte tutte le istituzioni del territorio. Ad esempio: la Regione lombardia ha autorizzato la fornitura gratuita dei farmaci in fascia “A” e fascia “H”,quindi tutti i farmaci ad alto costo come quelli antiretrovirali, interferonici e tumorali. Attraverso il ricettario regionale ha autorizzato anche tutti gli esami di laboratorio compresi quelli ad alto costo, per patologie infettive come HIV, EPATITI. Inoltre sempre attraverso l’uso del ricettario regionale ci ha garantito l’attività specialistica c/o le strutture ospedaliere. Per quanto riguarda le A.S.L. sono stati fatti vari progetti in passato e, attualmente, si è intrapreso un nuovo progetto riguardante la “prevenzione cardiovascolare in carcere” che non a caso trattasi anche del “P.E.A. 2006” del D.A.P. riguardante in particolare i due centri clinici lombardi, anche se allo stato attuale altri istituti ci hanno chiesto riguardo a questi tipi di prevenzione di poter organizzare, formare ed informare sia la popolazione che quella sanitaria. Con la scuola di cardiologia si è provveduto l’anno scorso a formare i dirigenti ed i coordinatori sanitari come istruttori di B.L.S.D. implicante il corretto utilizzo dei defibrillatori semiautomatici, anche questo un P.E.A. del 2005 del D.A.P. Con le strutture ospedaliere lombarde nonché con alcuni istituti di ricerca sono stati avviati progetti di formazione sia per i sanitari che per i parasanitari, per il monitoraggio e controllo di alcune patologie vedi legionella C.R. Mi-Opera. Alla luce di queste premesse si può affermare che: CARCERE. U.O.S.P. OSPEDALE. A.S.L. = territorio E partendo proprio da quest’ultimo collegamento, che dobbiamo porci effettivamente la domanda da cui siamo partiti: quale continuità assistenziale? Dall’esperienza acquisita in questi cinque anni come Coordinatore Sanitario Regionale c/o l’ U.O.S.P.( unità operativa di sanità penitenziaria) si può affermare, senza ombra di dubbio, che senza questo tipo di organizzazione , riorganizzazione territoriale tutto è destinato a fallire negli istituti penitenziari, nonostante i numerosi sforzi effettuati da queste componenti, in quanto ormai sarebbe impensabile poter offrire della buona sanità alla popolazione detenuta senza il supporto e l’ausilio delle strutture ospedaliere che, con la loro esperienza maturata sul campo e mediante i mezzi diagnostici- clinici-terapeutici che possono dare quel servizio specialistico con linea guida e protocolli terapeutici. Attraverso la A. S. L. si può operare un servizio di prevenzione attraverso il servizio di igiene e di medicina preventiva di igiene e medicina preventiva attraverso la formazione ed informazione offerta dalle linee guida del ministero della salute. Ma la seconda questione da affrontare è quella della continuità assistenziale riguardante l’uscita di scena del detenuto, che riacquista la libertà, o quella del passaggio dello stesso, dal carcere alla comunità terapeutica. Bisogna ammettere che ci sono state tante tappe e numerosi gli ostacoli, basti pensare all’esperienza della C.C. Mi- S. Vittore con “ la nave” presso il 3° raggio dove operatori A.S.L. preparano i detenuti per l’inserimento nelle comunità terapeutiche esterne. Da non dimenticare è il grande lavoro svolto giornalmente dalle associazioni di volontariato. La stessa Regione Lombardia, vista l’importanza di queste figure, ha inviato in alcuni istituti milanesi risorse umane per affrontare il grave problema della carenza perenne degli educatori. Da non dimenticare è il protocollo d’intesa tra Ministero della Giustiziaministero della pubblica istruzione- Regione- Provincia- Comuneriguardante il progetto per le madri detenute con bambini attraverso l’istituzione di case alloggio esterne al luogo detentivo. Per concludere non bisogna pensare che con l’indulto ci sia stato uno scarico di responsabilità da parte delle istituzioni nei confronti della popolazione detenuta, ma con immediatezza si è provveduto a garantire la continuità assistenziale sanitaria con l’invio nelle strutture ospedaliere per le patologie che necessitavano una continuità terapeutica vedi ( detenuti ricoverati c/o i c due centri clinici ) per patologie psichiatriche, cardiologiche. Per i tossico-dipendenti, previo contatto, è stato previsto l’invio c/o i SERT, per la continuità terapeutica metadonica. Possiamo affermare pertanto che per quanto riguarda l’indulto questa sinergia carcere e territorio ha funzionato al di là delle aspettative. Ma terminando questa seppur breve relazione riguardo alla medicina penitenziaria, ai medici penitenziari che ne sarà di tutta questa lunga esperienza professionale ed umana avvenuta nell’universo carcerario?? Potremmo rispondere con tre semplici considerazioni: La Medicina Penitenziaria costituisce un’esperienza assistenziale unica e particolare. Ogni progetto che preveda una esclusione degli stessi con parcellizzazione degli interventi e delle responsabilità sanitarie, in assenza di un coordinamento e di un livello di responsabilità degli stessi sia destinato a fallire. CHE ha un grosso compito più di ieri quello di risolvere i problemi, non quelli di crearli. E’ diventata se vogliamo una Medicina di opportunità ed iniziative che presuppone però una CULTURA PREVENTIVA e prevede un’idea della prassi medica volta alla promozione dello stato di e al suo mantenimento. Così possiamo attuare quei programmi di sorveglianza dei propri pazienti-detenuti, rivolti alla individuazione di eventuali fattori di rischio con riferimento a tutte quelle patologie che portano i detenuti a gravi compromissioni del loro stato di salute. In realtà questo processo con l’avvento delle U.O.S. P. è già iniziato e va consolidandosi ogni giorno di più. VII Congresso SIMSPe Roma 2006 Responsabile Sanitario dell’U.O.S.P. Della Lombardia. Dott. Angelo Donato Cospito