L’AGORA’ PENITEZIARIA
VII CONGRESSO NAZIONALE SIMSPe ONLUS
ROMA 2006
LA MEDICINA PENITENZIARIA
del Dott. Angelo Cospito responsabile sanitario dell’U.O.S.P. della
Lombardia.
Partendo dall’ultimo congresso dell’anno scorso “metamorfosi della medicina
penitenziaria ed etica nelle cure” si può affermare che senza il sapere medico non ci
può essere nessuna “continuità assistenziale”!!
Dal 70 ad oggi cosa è rimasto e soprattutto cosa è cambiato nella figura professionale
del medico penitenziario?
Per quanto riguarda il ruolo non molto o addirittura nulla, sono ormai passati più di
30 anni dalla famosa legge speciale 740 del 70, quali compiti deve o dovrà assolvere
in un futuro molto prossimo
il medico penitenziario insieme all’altra figura
importante che è l’infermiere professionale in carcere. A qualsiasi livello che si trovi,
dirigente sanitario o coordinatore sanitario, medico incaricato, o medico sias? Dicevo
prima la metamorfosi della medicina penitenziaria questa è gia una delle famose
realtà che noi medici avevamo constatato e dove io ho voluto improntare il problema
e la tematica del congresso unitamente all’ etica nelle cure quello che poi in realtà sta
succedendo e succederà sempre in maniera più eclatante in un prossimo futuro anche
sul territorio ma di questo parlerò più avanti.
METAMORFOSI:
- è cambiamento
- è trasformazione
- impossibilità di un ritorno al passato
- popolazione detenuta multietnica
ETICA NELLE CURE:
- rispetto dell’Uomo in quanto Uomo, con propria tradizione
- cultura e proprio vissuto
- etnie ed il loro modo di vivere il mondo emozionale.
Sono ormai trascorsi vent’anni o più dal giorno in cui misi piede per la prima volta
in carcere. In questo lungo periodo ho sentito e soprattutto ho dovuto edere e
vivere di tutto. In quanto all’interno di un carcere, tutto quanto c’è di triste, tragico
e amaro, rispetto alla vita fuori quotidiana, è maledettamente “esasperato”,
portato se vogliamo alle estreme conseguenze,mentre tutto ciò di quanto sia
positivo e nobile, qui, in questo contesto appare come esile, esangue e fragile.
Credo che senza nessuna retorica ormai possiamo affermare che:
la “carcerazione” è rimasta l’ultima “ISTITUZIONE” totale dopo la
chiusura dei manicomi e secondo ancora stenta a funzionare in quanto vuole
dare e dà purtroppo ancora una risposta unica, la reclusione ad una
popolazione ormai fortemente differenziata ecco perché tengo a sottolineare
sempre di più la metamorfosi qui sopradescritta:
Extracomunitari con diverse etnie e quindi con problematiche serie e severe da
affrontare ( basti guardare al mondo esterno , affacciarsi per un momento alla
finestra del territorio urbano per rendersi conti delle grandi tematiche irrisolte
perché ancora c’è scarsa conoscenza dei problemi culturali e diamo sempre una
risposta unica a problematiche differenti), tossicodipendenti, esponenti della
malavita organizzata. E con il progredire della scienza medica diventa sempre più
arduo garantire a tutta la popolazione detenuta un’assistenza sanitaria moderna. Se
pensiamo per un attimo alla gamma vastissima di accertamenti clinicidiagnostici-strumentali che ormai oggi si ritengono indispensabili per un
inquadramento diagnostico di un caso clinico e per un suo soddisfacente
trattamento terapeutico. Inoltre si può affermare senza reticenza chela sola
capacità intuitiva anche se fondamentale del medico non può bastare e che solo
attraverso, l’osservanza di metodologie complesse si può arrivare ad una corretta
diagnosi. Questo succede in realtà in quanto sono ormai complesse anche le stesse
patologie. Non si cade certo nella retorica quando si afferma che la medicina
penitenziaria deve garantire come costituzionalmente stabilito, il diritto alla salute.
L’operatore sanitario penitenziario è un punto fermo di riferimento basilare
per chiunque affronta per la prima volta l’esperienza della restrizione:
per l’anziano, per il disagiato psichico, per il tossico-dipendente, per
l’extracomunitario. La medicina penitenziaria è complessa, composita in quanto
devono convivere diverse dimensioni da quella prettamente sociale a quella
clinica, ancora umanistica e psicologica in quanto trattasi di un uomo privato della
libertà ed ancora una organizzativa e gestionale vedi lavoro che devono svolgere i
dirigenti o i coordinatori sanitari, infine una dimensione di ricerca e culturale.
Quindi possiamo affermare che come medicina è più di una disciplina e veramente
per tutte queste caratteristiche e dimensioni non la si può improvvisare.
Come del resto non si può improvvisare o operare una riforma
integrando qualsiasi tipo di sistema o di struttura, non è possibile farlo stando
seduti a tavolino ed elaborando soluzioni sulla base di dati statistici che, se ci
danno “una prospettiva matematica e razionale” del problema, non ne colgono
le cause ed i risvolti diciamo “ emotivi “del problema stesso. Una trasformazione
può avvenire solo integrando questi dati con l’esperienza diretta acquisita sul
campo da coloro che potremmo definire “ gli attori ” di questa scena. Ogni ipotesi
o soluzione razionale che trascuri l’esperienza diretta sarà solo e sempre parziale,
ma non esaustiva. Se la si guarda superficiale, la riforma della medicina
penitenziaria potrebbe avere come “attori sociali “ due tipologie standard di
individui:
- i pazienti
- gli operatori sanitari ( medici,infermieri,assistenti sociali, ecc…)
In realtà, come Kurt Lewin ci insegna con la sua teoria del campo, ogni “campo
sociale” è uno “ spazio vitale” composto dalla persona e dall’ambiente psicologico.
All’esterno c’è il mondo che non influenza direttamente il comportamento, ma a cui
lo spazio vitale è permeabile.
Ogni “campo sociale” ha quindi i suoi attori e le sue regole che sono diverse da
campo a campo.
Ogni realtà sociale è a sé stante e va conosciuta nella sua particolarità per poter
trovare delle soluzioni “particolari” e, di conseguenza, “adeguate”.
Nel campo della medicina penitenziaria chi non ha vissuto il “carcere” dal suo
interno, o come detenuto o come operatore con qualifiche differenziate, non può
comprendere cosa sia “la realtà carcere”.
Lo si potrebbe paragonare ad un grande contenitore di raccolta di ogni forma di
sofferenza, devianza od emarginazione immaginabile.
Giusto o sbagliato che sia non è questa la sede per parlarne, perché ciò dipende dalle
scelte di politica criminale che ogni paese decide di adottare.
Il fatto è che ci si scontra con una realtà umana inattesa.
Da sempre è stato perpetuato attraverso la letteratura (basti pensare a “I Miserabili” di
Victor Hugo), il cinema (“Fuga da Alcatraz”, ecc.), il mito del carcere come di un
luogo orribile, terribile, dove l’uomo non è più uomo, ma diventa una matricola senza
nome e senza diritti. Diventa difficile combattere contro un simile retaggio che, se
anche a volte in maniera esasperata, spesso non si discosta di molto nella sua bruttura
dalla realtà “carcere”.
Se l’uomo detenuto non è più l’uomo libero, anche il medico penitenziario non può
più essere un semplice medico generico senza nulla togliere a chi lo è.
Sono convinto che medici penitenziari “si nasce” e non si diventa, perché decidere
di lavorare in un istituto di pena non può solo essere un’esperienza lavorativa, ma
deve essere una “missione” dato che i suoi pazienti appartengono ad una categoria
particolarissima non rappresentativa della classica popolazione ambulatoriale.
Il medico penitenziario si trova come risucchiato in un passato dove il medico era
capace di “ascoltare” i suoi pazienti e di bilanciare nella giusta misura “cura e
carità”,
perché oggigiorno il carcere non è tanto un luogo di detenzione, ma è diventato
un grande “ospedale” che non deve solo garantire l’assistenza di base, ma deve
fornire un “di più” che spesso non c’è.
Ecco perché la medicina penitenziaria diventa una branca della medicina generale che
ha bisogno di un certo grado di “autonomia e versatilità”
che le permettano di mettere a punto una riforma in grado di tutelare al meglio la
salute del paziente-detenuto e la funzionalità del servizio.
“la Specificità della Medicina Penitenziaria”
consiste nella capacità di operare secondo scienza e coscienza in un ambiente esso
stesso causa di patologia, ma dal quale non si può prescindere; cogliere i bisogni
inespressi del paziente-detenuto (gli atti di autolesionismo e i suicidi ne sono una
tragica testimonianza ) senza però prestarsi a strumentalizzazioni da qualsiasi parte
provenienti ( magistrati, direzione, polizia, detenuti stessi ). Il Sistema Sanitario
Penitenziario ( S.S.P.) è attualmente ancora una realtà autonoma rispetto al Servizio
Sanitario Nazionale ( S.S.N.), rientrando nelle competenze specifiche del
dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria. La Sanità è normativamente e nei
fatti estremamente marginalizzata nell’organizzazione dipartimentale non avendo
meritato di essere neanche nominata nell’indicazione della Direzione Generale a cui
appartiene ( Direzione Detenuti e Trattamento ); all’interno di questa esiste infatti un
ufficio sanitario con scarso personale preposto alla gestione della sanità e due soli
medici ( uno di ruolo ed uno incaricato ) con funzioni di collaboratori che non sono in
grado di assicurare una presenza continua. Solo grazie alla sensibilità del cons.
Ardita, Direttore Generale e della Dott.ssa Brunetti, Direttore dell’Ufficio, hanno
consentito ai medici penitenziari di poter avere degli indirizzi comuni e delle
politiche sanitarie alle quali far riferimento, in assenza di qualsiasi indicazione da
parte del superiore Dicastero. Ciò è stato possibile grazie all’istituzione nel 2003 di
uno Staff Sanitario composto da medici incaricati provenienti da vari istituti Italiani,
che ha collaborato con la Direzione fino al dicembre 2005.
Partendo da questi presupposti è necessario analizzare tre punti fondamentali:
1) da chi è composta la popolazione carceraria e che effetto ha l’ingresso in carcere
sull’individuo;
2) chi sono gli operatori sanitari che lavorano in un istituto di pena e loro mansioni;
3) ruolo dell’amministrazione penitenziaria nella riforma sanitaria attraverso la
ridistribuzione delle risorse.
1) Il detenuto e l’ambiente carcerario
E’ vero che per molti detenuti l’ambiente del carcere non è sostanzialmente molto
differente da quello in cui vivevano prima della carcerazione, ma è altrettanto vero
che l’organismo dell’uomo in stato detentivo risponde con maggior recettività agli
elementi patogeni in seguito ad un abbassamento dei poteri di difesa organica,
causato soprattutto dall’effetto che lo “stress da carcerazione” sembra avere sulla sua
integrità psichica.
Frequentissime sono infatti le affezioni gastro-intestinali, le neurosi cardiache, alcune
forme di reumatismi non riconducibili alla patologia classica, cefalea, insonnia,
astenia, respiro affannoso, attacchi di panico, fenomeni allergici (imputabili ad un
abbassamento dell’Energia Difensiva,).
L’effetto dello stress da carcerazione sullo psichismo può essere ancor meglio
evidenziato in quei soggetti che sono alla loro prima esperienza detentiva e che
presentano un livello culturale, un grado di educazione, moralità e sensibilità più
elevata rispetto alla maggior parte della popolazione carceraria.
Il medico penitenziario si trova a dover gestire uno squilibrio soprattutto
emozionale e poi organico nel paziente-detenuto.
vediamo come sui Cinque Sentimenti la carcerazione può influire enormemente con
momenti e situazioni emozionali diverse della vita del detenuto:
a) COLLERA : la Privazione della Libertà, l’esposizione al giudizio, il rifiuto
sociale e parentale.
b) GIOIA : il Colloquio, che rappresenta l’unico legame con la vita precedente
(passato); è una “rassicurazione”, per il fatto che qualcuno si interessa ancora a lui,
prova ancora dei sentimenti positivi ed è una speranza per il futuro. Il sapere che
qualcuno li pensa e li viene a trovare alimenta la “speranza” di poter avere ancora una
vita.
c) RIFLESSIONE : le ore passate in solitudine. Qui inizia la fase “rimurginativa”
dove viene riavvolto il film della propria vita. Tutto scorre nella mente nei minimi
dettagli e la privazione della libertà non fa altro che esaltare l’angoscia, la tristezza
per ciò che si è perso ed alimenta la rabbia per la perdita decisionale sulla propria
vita.
d) TRISTEZZA : ne è una diretta conseguenza, perché la carcerazione è
paragonabile al lutto, alla separazione, all’abbandono, alla perdita. Non esiste più
alcuna certezza se non quella che la propria vita dipende dalla decisione altrui. E’
soprattutto la paura di essere dimenticati, di essere lasciati soli, di non essere più
creduti. L’incertezza degli affetti sui quali si continua a rimuginare può far insorgere
delle vere e proprie ossessioni, depressioni.
e) PAURA : non scaturisce solo dal timore di perdere gli affetti, ma, dopo la presa di
coscienza dell’ambiente carcerario nel quale si sarà costretti a vivere, insorge la paura
di non riuscire a sostenere gli eventi, le molestie, i soprusi. Ci si rende conto di essere
soli e di non essere speciali per nessuno. Nessuno ascolta, a nessuno interessa quello
che si ha da dire e spesso ci si percepisce come persone senza più diritti.
Al loro primo ingresso in carcere corrisponde l’insorgenza di una sintomatologia
classica da “trauma da carcerazione”: senso di fame d’aria, cefalea, insonnia,
palpitazioni,
spasmo
esofageo,
alterazioni
del
tratto
ST
nel
tracciato
elettrocardiografico, alterazione della pressione arteriosa.
Non è che nei “recidivi” non si instauri tale sintomatologia, ma si può dire che essa
ricompaia in modo molto attenuato.
Bisogna fermarsi un attimo a riflettere su quali sono le cause che portano ad
un’alterazione dell’equilibrio psichico di un Sé già di per se stesso reso instabile,
minato dalla paura di dover “obbligatoriamente” e non per scelta affrontare la realtà
carceraria che non conosce.
Sicuramente la privazione della libertà, le lunghe solitudini, l’indifferenza, la
limitazione dello spazio, le coercizioni, l’inattività, la monotonia, l’isolamento, la
compagnia indesiderata, la privazione o la deviazione dei rapporti sessuali,
l’allontanamento
dagli
affetti,
le
preoccupazioni
processuali,
la
perdita
dell’autodecisione, l’esposizione al pubblico giudizio per se e per i propri familiari.
Questo elenco potrebbe continuare, anche se di per se la “privazione della libertà”
può essere considerata l’unica causa di per sé sufficiente a determinare la
comparsa di sindromi neurosiche.
Ci troviamo di fronte ad una vera e propria “depersonalizzazione”, perché se anche il
detenuto non indossa più il “pigiama a strisce”, diventa purtroppo un numero di
matricola, un caso, un fascicolo.
Tutti i ritmi naturali della vita quotidiana vengono modificati e, di conseguenza,
l’individuo stesso. Per una necessità di adattamento, cambia il suo modo di pensare,
di camminare, di amare, di credere, arrivando fino al punto di aver paura di pensare.
a trasformazione e deformazione a livello sensoriale.
Sembra che l’impatto psicologico negativo produca un arresto nel processo biologico
di maturazione individuale e che il corpo del detenuto diventi una mappa sulla quale
poter leggere tutti i sentimenti: paura, collera, gioia, tristezza, ecc.
Vediamo più in dettaglio come e perché avviene questa trasformazione sensoriale:
a) le dimensioni della cella fanno perdere il senso della distanza e provocano una
distorsione nella percezione delle proporzioni. Spesso c’è la comparsa di vertigini.
Anche la vista subisce delle alterazioni per via di un’uniformità innaturale di colori,
di luci sempre al neon e per l’obbligo di una messa a fuoco sempre su brevi distanze,
precludendo all’occhio un riposo sulla linea orizzontale.
Ciò spiega perché molto spesso gli occhi dei detenuti sono inespressivi, spenti e
raramente fissano il viso del loro interlocutore per evitare di lasciar trapelare qualsiasi
emozione.
Lo sguardo del detenuto è uno “sguardo corto”. Sin dai primi giorni di
carcerazione la vista subisce una modificazione impressionante. Il risvolto
emozionale è lampante, perché è agli occhi che per primi tocca vedere la perdita della
libertà e l’ingresso in una realtà fatta di sofferenza, solitudine e paura.
Attraverso gli occhi viene colpita l’emotività viene attaccata ed indebolita. Si perde
l’orizzonte della vita che può essere solo sostituito da un orizzonte immaginario,
unico mezzo per permettere di vivere, in maniera sublimata, lo “sguardo lungo”.
b) OLFATTO: è come se venisse anestetizzato. L’odore del carcere è sempre
identico: pesante, stagnante, penetrante.
E’ assolutamente uniforme, tanto da diventare irrespirabile. Esso porta il detenuto
all’incapacità di differenziare gli odori e, di conseguenza, vengono ridotte ed
uniformate le emozioni ad essi collegate.
c) UDITO: subisce una vera e propria esasperazione, perché è strettamente collegato
al sentimento della paura.
Sbarre, cancelli, chiavi, grida, richiami, lamenti sono una molteplicità di suoni che
hanno tutti in comune una connotazione di minaccia, di pericolo.
Questo costante stato di allarme, provoca un aumento del livello di attenzione al
punto tale che raggiungendo il limite massimo di tolleranza della tensione emotiva ad
essa collegata, si trasforma nel suo opposto, ovvero in sordità, da interpretare, a
questo punto, come uno strumento difensivo a livello sia psicologico che organico.
d) TATTO: è forse il senso che subisce l’alterazione più grave.
Per motivi soprattutto di sicurezza e per evitare che il detenuto possa sviluppare
comportamenti auto-lesivi, egli viene privato del contatto con tutta una serie di
materiali (vetro, metalli, ecc.) che servono a conservare un’intera gamma tattile.
L’elemento che però viene a mancare in modo più rilevante è quello che potremmo
definire “il tatto del tatto”, ossia il contatto con un’altra pelle, il contatto con la
donna/l’uomo.
Sappiamo che il contatto fisico è fondamentale nel rafforzare sentimenti di
accettazione, di affetto e permette di trovare un appagamento a livello sessuale.
Da queste riflessioni appare più che evidente che l’uomo con il quale si trova ad
operare un medico penitenziario
è un essere umano psichicamente minato,
destrutturato e spesso scisso nel quale sono riscontrabili un intreccio di patologie
emozionali che si sono instaurate in seguito al perdurare nel tempo dell’emozione ad
esse collegata.
L’approccio medico al detenuto viene quindi in un certo senso “facilitato” se il
medico penitenziario approfondisce la conoscenza di come il mondo emozionale
manifesti i suoi effetti a livello somatico.
Tutti i detenuti amano essere ascoltati ed è soltanto attraverso l’ascolto attento del
loro vissuto che il medico può raccogliere quelle informazioni non contenute in una
cartella clinica, ma fondamentali per formulare una diagnosi corretta e completa del
suo stato di salute e delle cause che hanno determinato in lui l’insorgere di certe
patologie. Non sono quindi più i sintomi a diventare l’oggetto d’attenzione principale,
ma le cause emozionali che hanno determinato il loro insorgere.
Pur privilegiando “l’ascolto”, in ogni colloquio con il detenuto il medico
penitenziario non deve però trascurare l’insorgenza di meccanismi psichici di
difesa e di adattamento nel detenuto. Il più diffuso è l’insorgenza in lui della
consapevolezza che mostrare uno “stato morboso” può diventare lo strumento per
sfuggire almeno temporaneamente alle costrizioni carcerarie.
Da un punto di vista reattivo, ho potuto constatare che questo meccanismo psichico si
sviluppa seguendo tre fasi:
1. fase di allarme
2. fase di adattamento
3. fase di speculazione
Dopo aver visitato un paziente-detenuto ed aver espresso una conseguente diagnosi,
spesso notavo in lui l’insorgenza di uno stato d’allarme
non direttamente proporzionale alla gravità della patologia diagnosticata, anzi del
tutto indipendente.
Questa forma reattiva è facilmente ricollegabile al disagio psichico presente nel
paziente in stato di detenzione. Infatti solo, affidato ad un medico che non ha scelto,
costretto a lunghe solitudini, il detenuto non può non essere preoccupato per sé.
Inoltre egli non è in grado di valutare la competenza del medico che l’ha visitato. La
sua reazione è quindi più che umana.
A questa prima fase segue la seconda:
Non essendoci possibilità di scelta, il paziente si adatta ed accetta le cure prescritte.
Può cercare di reagire ribellandosi a questa nuova condizione imposta dalla malattia,
che viene a sommarsi a tutte le altre imposizioni carcerarie. Può protestare, accusare
ed imputare all’ambiente carcerario la sua nuova condizione di malato. In questo
stato di malattia sperimenta però un fatto nuovo: qualcuno, ossia “il medico”, si è
interessato veramente a lui. L’ha ascoltato, l’ha riconsiderato come essere umano.
Nel corso della malattia ha potuto godere di privilegi sia di ordine pratico, ma
soprattutto psicologico: si è sentito considerato, ha visto intorno a sé persone
premurose, si è sentito rispettato, protetto, ha ricevuto una parola di conforto, ha
potuto nuovamente comunicare con un “essere umano” che l’ha trattato da “essere
umano”. E’ però in questo momento che incomincia ad insinuarsi nella sua mente il
pensiero che la condizione di “malato” possa in qualche modo aiutarlo presso
l’autorità giudiziaria che dovrà giudicarlo.
E’ qui che inizia la terza fase ossia quella speculativa:
Il paziente detenuto non accusa più i sintomi, ma impara a recitare, spesso se ne
inventa di nuovi per ritrovare quei fattori “allentanti” la pressione della carcerazione.
E’ fondamentale per il medico penitenziario interpretare questi fatti nella giusta
prospettiva, ossia riconoscerli come perfettamente “normali” operando un’inversione
dei ruoli sostituendosi al soggetto in esame. Riconoscere questo fenomeno come
normale, offre al medico penitenziario la possibilità di non commettere errori di
superficialità e di effettuare un’idonea profilassi.
E’ chiaro che per un funzionamento di un reparto medico in ambito carcerario ha
maggior successo il medico che assume atteggiamenti militari stroncanti sul nascere
ogni tentativo di deliberato proposito di speculazione, ma l’approccio all’ascolto da
me adottato e che chiamerei “rivalutativo”, fa nascere una sorta di “rispetto
reciproco” tra medico e paziente che il detenuto ha nel contempo il desiderio di
ritrovare, ma anche soprattutto paura di perdere.
L’aspetto poi più interessante di questo nuovo approccio è che, indipendentemente
dal background culturale delle varie etnie con le quali opera il medico penitenziario
(cinesi, albanesi, italiani, croati, senegalesi, marocchini, ecc.) che potrebbe far
emergere l’idea di una “medicina differenziata”, tramite “l’ascolto” e “la
rivalutazione del detenuto come persona” sembra nascere una “medicina trans-
culturale” che riesce a superare le barriere di relazione create dalle differenze
culturali.
Se ho posto molto l’accento sulla figura del detenuto, non è perché mi sia dimenticato
di quella del medico, ma è perché è necessario avere ben presente su quale terreno
deve muoversi un medico penitenziario. In quanto essere umano, anche lui viene
esposto alle stesse costrizioni ed alle stesse pressioni emozionali alle quali è
sottoposto un detenuto. Sovente, quando varca la soglia di un carcere, egli può
provare una sorta di crisi d’identità, perché anche lui si viene a trovare solo
all’interno di un microcosmo nel quale tutti i rapporti interpersonali sono stravolti.
Anche lui può non sentirsi accettato come persona, perché sa di dover essere
accettato forzatamente in quanto non può venir ricusato dal paziente.
Sentendosi spesso inadeguato in un ambiente che anche lui non conosce, può, nel
tentativo di farsi accettare, o per paura di minacce o ritorsioni, cercare di rendersi più
disponibile, di dimostrarsi competente più di quanto non farebbe al di fuori
dell’ambiente carcerario.
Questo non fa altro che aumentare il suo livello d’ansia e di tensione portandolo
molte volte a rinunciare all'incarico se non mette in atto dei meccanismi difensivi
soprattutto a livello emotivo. Anche lui come il detenuto può andare incontro ad una
vera e propria destabilizzazione emotiva. Tutto dipenderà dalla sua capacità di
sviluppare nel contempo empatia e distacco nei confronti dei problemi del detenuto
2) Gli operatori sanitari penitenziari e loro mansioni
A livello sanitario, in ogni istituto di pena emergono delle figure ben differenziate di
operatori sanitari. Se ne possono evidenziare quattro:
1) il Dirigente Sanitario
2) il Medico Incaricato
3) il Medico SIAS
4) l’Infermiere.
Vediamoli singolarmente nei loro obblighi e funzioni.
IL DIRIGENTE SANITARIO
Tale incarico viene affidato ad un Medico Incaricato previo consenso di tutti gli
operatori sanitari dell’istituto
. Su tale scelta influiranno l’anzianità di servizio del soggetto ed i titoli professionali
in suo possesso (Medicina Penitenziaria, Medicina Interna, Igiene, Medicina Legale,
Medicina del Lavoro).
Se nell’istituto non fosse presente un Medico Incaricato, il ruolo di Dirigente
Sanitario potrebbe venir conferito ad un medico incaricato provvisorio.
Dopo aver ricevuto l’incarico, il Dirigente Sanitario è tenuto a presentarsi nei giorni
feriali in orari preventivamente concordati con la Direzione al fine di rendere
possibile un interscambio diretto con tutti gli operatori sanitari presenti all’interno
dell’Istituto.
Qualora il Dirigente Sanitario si trovi ad operare in Istituti nei quali è prevista la
Direzione tecnico-sanitaria, ossia nei Centri Diagnostici Terapeutici, le mansioni del
Dirigente Sanitario saranno articolate come segue:
 dovrà garantire la presenza in funzione alle esigenze di volta in volta connesse con
la sua specifica funzione dirigenziale;
 provvedere a fornire alla Direzione dell’Istituto un indirizzo strutturale ed
organizzativo sanitario in linea con le indicazioni programmatiche sanitarie elaborate
dall’ufficio ministeriale competente;
 fornire delle indicazioni sullo stato edilizio dell’Istituto al fine di attuare un
miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie dei pazienti detenuti;
 deve interessarsi dell’attrezzatura tecnico-strumentale verificando se le richieste
degli operatori sanitari sono in accordo con la normativa e l’indirizzo programmatico
dell’Amministrazione Centrale e comunicando attraverso una dettagliata relazione il
proprio parere alla Direzione dell’Istituto per il conseguente inoltro della pratica
all’ufficio ministeriale competente al rilascio dell’autorizzazione all’acquisto;
 formulare direttive generali a livello tecnico-professionale alle quali gli altri
operatori sanitari saranno tenuti ad attenersi nell’espletamento del loro servizio e
controllarne l’espletamento;
 verificare personalmente che le visite mediche negli ambulatori, nelle sezioni e nei
reparti procedano regolarmente;
 verificare l’aggiornamento costante della cartella clinica dei detenuti da parte del
medico incaricato;
 organizzare, compatibilmente alle esigenze di servizio, l’impiego, la destinazione,
i turni i periodi di ferie del personale sanitario;
 provvedere all’organizzazione del servizio infermieristico ed al controllo tecnico
dell’attività svolta dagli infermieri di ruolo;
 può fornire il proprio parere diagnostico-terapeutico su singoli casi dietro richiesta
formalizzata
degli
aventi
titolo
(Direttore,
Autorità
Giudiziaria,
Autorità
Ministeriale);
 coordinare le visite specialistiche operando un controllo sulla tempestività degli
interventi, sulla continuità del servizio mantenendo uno stretto rapporto con il
Medico Incaricato;
 provvedere alla ratifica dei ricoveri presso l’infermeria o Centro Clinico
dell’Istituto effettuati nei casi di urgenza dal medico SIAS o incaricato;
 può avvallare i provvedimenti di assegnazione ai reparti di degenza, di dimissioni
sanitarie di trasferimento per motivi sanitari, di ricovero esterno, di isolamento
sanitario;
 è diretto responsabile del servizio farmaceutico dell’Istituto e deve provvedere il
tempestivo rifornimento, lo smaltimento delle scorte in scadenza, l’uso corretto ed
oculato delle scorte di lastre radiografiche, reagenti e materiali d’uso. A tal scopo
deve verificare mensilmente le giacenze ed i consumi annotandoli poi su un apposito
registro;
 è diretto responsabile della custodia di sostanze stupefacenti e psicotrope;
 deve
vigilare
sulle
condizioni
igieniche
della
cucina
e
dei
cibi,
sull’approvvigionamento idrico dell’acqua potabile, sullo smaltimento delle acque di
rifiuto, sul servizio di lavanderia e di incenerimento dei rifiuti ed in genere sulle
condizioni igieniche dell'abitato;
 è responsabile del servizio medico-legale dell’istituto;
 è tenuto a raccogliere e a trasmettere alla Direzione dell’istituto i dati statistici
sanitari da trasmettere mensilmente al “servizio di informazione e statistica sanitaria”
dell’ufficio ministeriale di competenza. A tal scopo sarà tenuto ad aggiornare
costantemente un apposito registro dove annoterà il numero distinto per singole voci
delle visite e delle prestazioni strumentali eseguite per ciascuna branca specialistica.
Sarà tenuto inoltre a specificare quante visite evase nel comparto specialistico sono
state proposte dal medico SIAS e dagli specialisti annotando il numero degli
interventi di pronto soccorso e di emergenza clinica effettuati durante il mese dal
medico SIAS. Dovrà anche annotare voce per voce il riepilogo delle visite e delle
prestazioni specialistiche ambulatoriali esterne e dei ricoveri effettuati presso C.D.T
ed in ospedale esterno con la relativa causale clinica.
 Deve stabilire un collegamento con i sanitari ospedalieri esterni per acquisire
notizie dirette sull’andamento della degenza del paziente-detenuto ricoverato. Deve
inoltre adoperarsi al fine che la durata del ricovero esterno del paziente-detenuto non
superi lo stretto necessario. L’esito di ogni accesso esterno e dei contatti professionali
intrattenuti con personale ospedaliero esterno dovranno essere annotati in un apposito
registro da sottoporre al visto del Direttore dell’Istituto.
 Deve controllare la distribuzione delle preparazioni medicinali e l’utilizzazione
del materiale di medicazione, delle lastre radiografiche, dei reagenti e dei materiali
d’uso per il laboratorio intramurale di patologia clinica e dei servizi di odontoiatria,
di ortopedia, di cardiologia, di elettroencefalografia e di quanti altri utilizzino
materiali di consumo messi a disposizione dell’amministrazione.
 E’ tenuto a rilasciare certificazioni sanitarie relative alle condizioni di salute dei
ristretti qualora gli vengano richieste dall’autorità giudiziaria o amministrativa.
 E’ tenuto infine a prestare opera professionale di organizzazione e di
coordinamento dei servizi sanitari e dell’Istituto in relazione alle necessità ed
all’esigenza di assicurare prestazioni corrette ed efficaci che garantiscano il
funzionamento dell’assistenza.
IL MEDICO INCARICATO
La figura del Medico Incaricato ha acquisito una crescente centralità nel contesto dei
nuovi assetti strutturali conseguenti alla progressiva estensione del Servizio
Integrativo
Assistenza
Sanitaria,
dal
Presidio
delle
Tossicodipendenze
e
dall’incremento del comparto specialistico intramurale.
L’operato di un Medico Incaricato all’interno di un Istituto va ben oltre il tempo di
esecuzione delle visite mediche in quanto gli viene richiesto di conoscere a fondo e
tenere sempre ben presente la realtà sociale ed il contesto psicologico nel quale si
trova ad operare.
Deve garantire la sua presenza in Istituto durante i giorni feriali secondo l’orario
concordato con la Direzione amministrativa tenendo presenti le esigenze di
coordinamento e collegamento con gli altri settori operativi sanitari.
Secondo l’articolo 14 della legge 740/70, integrato dall’art. 6 della legge 296/93, i
doveri del medico incaricato sono:
“Il medico incaricato è tenuto a svolgere servizio per 18 ore settimanali presso
l’Istituto cui è addetto e ad osservare le vigenti disposizioni e le regole deontologiche
professionali.
Egli è tenuto, altresì, all’osservanza dei regolamenti per gli Istituti di prevenzione e
pena e del regolamento interno dell’Istituto cui è addetto e deve tener conto,
compatibilmente con le esigenze sanitarie, delle disposizioni impartite dal Direttore
dell’Istituto.
Egli è tenuto a rendersi disponibile ed a prestare la propria opera professionale
anche al di fuori dell’orario di servizio nei casi di emergenza e necessità clinica”.
Come in precedenza abbiamo visto in relazione al Dirigente Sanitario anche il
Medico Incaricato ha mansioni e compiti ben precisi. Vediamoli nel dettaglio:
 deve assicurarsi delle condizioni igieniche nell’ambiente penitenziario mediante
ispezioni sanitarie nelle singole celle, nelle docce, nelle cucine, nelle lavanderie e
nelle infermerie; vigilare sull’approvvigionamento dell’acqua potabile, sullo
smaltimento delle acque di rifiuto ed in generale sull’igiene nei luoghi di lavoro e di
degenza. Ogni carenza o inadeguatezza deve essere riportata sul registro modello 99
affinché l’Autorità dirigente possa predisporre i dovuti provvedimenti.
 Controllare che l’alimentazione del detenuto corrisponda ai requisiti di potere
nutritivo e di accettabilità del detenuto stesso e formulare la richiesta di un vitto
speciale qualora se ne presenti l’esigenza.
 Occuparsi dell’organizzazione e dell’andamento della farmacia provvedendo di
persona alla richiesta di farmaci e di materiali di consumo vari.
 Deve provvedere ad organizzare l’infermeria locale dotandola di tutta la
strumentazione necessaria e verificare che le direttive impartite al personale
infermieristico vengano messe in pratica con responsabilità.
 Redigere certificazioni sulle condizioni fisiche di ogni detenuto previa richiesta
della Direzione dell’Istituto, dell’Autorità Giudiziaria e del Ministero della Giustizia.
Ciò implica una grande responsabilità da parte del medico incaricato in quanto deve
conoscere molto bene la situazione clinica del detenuto evitando così di incorrere da
un lato nel rischio di negare un possibile diritto al detenuto e dall’altro di incorrere in
situazioni giudiziarie che gli si potrebbero ritorcere contro.
E’ molto importante sottolineare questo aspetto perché l’aver a che fare con una
popolazione detenuta vuol dire trattare con persone che costantemente sono portate a
chiedere attenzioni, vantaggi o migliori condizioni di trattamento per alleviare quel
senso di sofferenza e d’inquietudine costante che la detenzione sviluppa a livello
psichico sugli individui.
E’ fondamentale per un Medico Incaricato saper sviluppare un giusto connubio di
intelligenza e comprensione per poter instaurare un rapporto di stima e di fiducia
reciproca con il detenuto. Il momento sicuramente più importante nel rapporto tra
medico e detenuto è il loro primo incontro durante la visita medica da effettuarsi non
oltre il giorno successivo all’ingresso in Istituto (nel caso di Istituti dotati del servizio
di guardia medica la visita medica dovrebbe essere effettuata subito dopo l’ingresso
in Istituto).
Tale visita deve essere eseguita nel modo più scrupoloso possibile tenendo conto sia
del quadro anamnestico personale del detenuto che l’esame obiettivo al fine di
accertare non solo le condizioni di salute attuale del detenuto, ma anche di accertare
pregressi quadri patologici di rilievo (lue-HIV, TBC-epatite, diabete mellito, turbe
psichiche), segni di lesioni traumatiche recenti ed eventuali infestazioni da parassiti.
L’attenzione va posta in modo particolare sulle lesioni traumatiche onde stabilire non
solo la prognosi e le modalità d’intervento sanitario, ma anche l’origine delle stesse
distinguendo se le cause siano da ricercarsi in fattori esterni (accidentali, percosse) o
in altri tipi di azioni lesive (arma da taglio, da punta, ecc.). Questa certificazione è
necessaria perché anche a distanza di anni il medico può venir chiamato a renderne
conto dall’Autorità Giudiziaria.
L’importanza di un’accurata visita medica non sta solo nel fatto di poter fornire al
detenuto la miglior tutela sanitaria ma anche nel garantire la salute dell’intera
popolazione carceraria.
 Il Medico incaricato ha l’obbligo di visitare quotidianamente il detenuto ammalato
ed i “richiedenti visita”. Deve inoltre avere dei frequenti riscontri con i “ristretti”
attenendosi ad un indirizzo profilattico individuale e collettivo nel rispetto degli
schemi clinico-strumentali stabiliti dal piano generale.
Se quest’elenco rappresenta una sintesi dei doveri di ogni Medico Incaricato non
bisogna però dimenticare quali sono i suoi diritti che tengono in egual misura conto
del contesto ambientale e socio-culturale nel quale egli si trova ad espletare il proprio
operato.
Egli ha diritto:
 Ad un riposo settimanale che non è necessariamente un giorno festivo, ma può
anche essere un giorno infrasettimanale;
 Ad un riposo festivo
 Trenta giorni di ferie l’anno più sei giorni di festività soppresse
 Per motivi di infermità può essere autorizzato a non prestare servizio per un
massimo di due mesi;
 Tredicesima mensilità
 Trattamento previdenziale per coloro che sono stati nominati Medici incaricati
definitivi
 Ai Medici incaricati non sono applicabili le norme relative alla incompatibilità e al
cumulo di impieghi, né alcuna norma concernente gli impieghi civili dello stato.
Accanto al medico incaricato esistono altre figure professionali che lo affiancano
nell’espletare al meglio le sue funzioni e per offrire ai detenuti la migliore assistenza
sanitaria possibile. Si tratta dei Medici SIAS.
IL MEDICO SIAS
Dato che in un Istituto di Pena è necessario garantire il miglior servizio sanitario
possibile, il numero dei medici deve essere tale in modo da poter evitare l’accumulo
di un numero di ore lavorative eccessivo. Per questo motivo accanto ai medici
incaricati ci saranno i medici SIAS (Servizio Integrativo Assistenza Sanitaria). Come
la sigla stessa ben evidenzia, questi medici vengono assunti per garantire la copertura
sanitaria quando non sono presenti i medici incaricati.
Evidenziamo quali sono i loro compiti:
 Espletare il Servizio di accoglienza ai Nuovi Giunti compilando il foglio
anamnestico relativo alle patologie riscontrate nei detenuti al loro primo ingresso in
Istituto;
 Segnalare al medico incaricato ed al medico del presidio T.A.S. i detenuti con
particolari problemi di salute. Dovranno poi registrarli sul Registro delle consegne ad
uso dei medici.
 Espletare l’attività di medicina generale ordinaria al mattino ed intervenire in caso
d’urgenza quando è necessario facendo poi rapporto al medico incaricato.
 Collaborare a tutte le attività diagnostico terapeutiche sia a livello ambulatoriale
che a livello di degenza segnalando, qualora sia necessario, le malattie infettive
previste dalla legge.
 Riportare sul Registro 99 detenuti le richieste di visite specialistiche con relativo
quesito diagnostico compilando i Mod. 106 da sottoporre alla firma del medico
incaricato per l’autorizzazione.
 Richiedere sul Registro 99 detenuti, in caso di necessità, i ricoveri programmati
presso i C.D.T. dell’Amministrazione Penitenziaria.
 Riportare sul Registro 99 detenuti le risposte di disponibilità o meno ai ricoveri
provenienti dai C.D.T..
 Riportare sul Registro 99 detenuti, previa compilazione dell’apposito modulo, le
richieste di visite specialistiche e ricoveri presso strutture esterne all’istituto, sia in
attività programmata che in urgenza.
 Partecipare attivamente alle attività specialistiche al fine di tenersi costantemente
aggiornati sulla salute del detenuto.
 Rivestire la funzione di medico incaricato in sua assenza. In questo caso tutto il
personale infermieristico, gli agenti di Polizia Penitenziaria addetti al servizio
d’infermeria, i medici specialisti, dovranno far loro riferimento anche per quanto non
viene previsto dalle disposizioni di servizio.
 Durante i giorni feriali, in caso di assenza del medico incaricato, spetterà al
medico S.I.A.S di servizio l’attività di coordinamento di tutta l’attività svolta
nell’area sanitaria fermo restando il fatto che egli dovrà attenersi a tutte le
disposizioni dategli dal medico incaricato al quale farà poi rapporto.
 Potrà compilare il foglio di dimissione per tutti i detenuti partenti e per quelli
rimessi in libertà.
 Dovrà segnalare al medico incaricato, sul Diario delle consegne e sul Registro 99
detenuti, tutti i disservizi nelle procedure che coinvolgano direttamente le attività
sanitarie o quelle strettamente interconnesse.
Tutti i medici incaricati ed i medici S.I.A.S verranno affiancati nell’espletamento
ottimale delle loro funzioni dal personale infermieristico dell’Istituto.
1) Ruolo dell’Amministrazione Penitenziaria nella riforma sanitaria
attraverso la ridistribuzione delle risorse
L’Amministrazione Penitenziaria ha dovuto, in questi ultimi anni, fare i conti con un
cambiamento profondo a livello sociale e culturale della popolazione detenuta che
l’ha obbligata a rivedere un sistema sanitario non più adeguato alla nuova realtà
carceraria.
Patologie che prima si manifestavano sporadicamente sono andate in crescendo. Le
richieste terapeutiche si sono modificate e quindi anche i costi di gestione dell’area
sanitaria sono aumentati.
La riorganizzazione del sistema sanitario è diventata quindi necessaria per poter
continuare a fornire al paziente detenuto l’assistenza sanitaria migliore.
Già da alcuni anni è stato avviato un progetto di innovazione che ha avuto inizio con
la legge di riforma n° 395 del 1990 la quale prevedeva l’istituzione di “un’area
sanitaria” presso ciascun Istituto di Pena, nel quale si trovino ad operare medici
sanitari incaricati, medici del servizio sanitario integrativo di guardia medica, medici
specialisti, i cui compiti non riguardano soltanto la salute psicofisica dei detenuti, ma
prevedono anche interventi di controllo e di profilassi-collaborazione con i servizi
sanitari pubblici e la possibilità d’intervento dell’amministrazione nell’iter giudiziario
del detenuto, con proposte sanitarie, per la valutazione dei casi di rinvio
dell’esecuzione delle pene.
Accanto quindi ad una medicina di diagnosi e cura, si è cercato di realizzare una
medicina penitenziaria di prevenzione, in linea con le direttive della politica sanitaria
nazionale e in rispondenza alle nuove esigenze socio-sanitarie.
Con una successiva circolare del 1992 è stato previsto il raggruppamento delle
varie attività istituzionali dell'istituto penitenziario in diverse aree al fine di
evidenziarne l'unitarietà e l’identità dei fini istituzionali.
Nell’area sanitaria, per quanto siano state differenziate le varie figure di operatori e le
rispettive mansioni, si è cercato di sottolineare l’unitarietà del loro operato perché si
trovano inseriti in un contesto dov’è possibile differenziare le competenze individuali
da un punto di vista teorico, ma che è poi difficile attuare da un punto di vista pratico.
Ad esempio, come già abbiamo visto prima, il medico del servizio integrativo di
guardia medica non è abilitato e destinato in senso limitativo alle urgenze ed agli
interventi di pronto soccorso, ma sostituisce il medico incaricato in quasi tutte le sue
mansioni.
Proprio per le molteplici attività di questo tipo di realtà sanitaria, è richiesta la reale
partecipazione e collaborazione ad ogni livello di tutti gli operatori sanitari per
rendere il rapporto medico-paziente idoneo alle esigenze del luogo.
Come ho già descritto in precedenza la responsabilità del medico penitenziario è
duplice perché egli è contemporaneamente colui che garantisce il diritto alla
salute del cittadino detenuto e colui che garantisce l’esecuzione della pena
evitando per il detenuto, i compagni e per la collettività il verificarsi di situazioni
che potrebbero mettere a rischio tale esecuzione. Il medico deve quindi fornire il
suo contributo alla persona umana nella sua qualità di paziente-detenuto nonché
all’istituzione ed alle sue finalità di reinserimento e contemporaneamente di sicurezza
sociale.
Per omogeneizzare i servizi tenendo conto delle concrete diversità locali,
l’amministrazione penitenziaria ha di recente provveduto ad istituire in ambito
regionale una nuova struttura organizzativa che possa assicurare una gestione del
servizio in grado di fornire una risposta unitaria e congrua in termini di qualità ed
appropriatezza alle numerose problematiche del settore sanitario.
Ma per ritornare al titolo del congresso di quest’anno:
Carcere territorio, quale continuità assistenziale?
Possiamo affermare soprattutto alla luce dei nuovi avvenimenti che hanno
caratterizzato il mondo carcerario in questi ultimi tempi, ossia l’indulto dell’agosto
scorso, è emersa la necessità di creare una sempre più ampia sinergia tra le strutture
sanitarie penitenziarie e quelle operanti sul territorio. A questo scopo l’ U.O. S. P.
della Lombardia e naturalmente altre realtà regionali, aveva già in precedenza
evidenziato le problematiche riguardanti la sanità penitenziaria all’interno degli
istituti.
Non a caso, visto che si poteva lavorare in realtà molto sull’emergenza per via
dell’alto numero di detenuti, circa 61.000 in tutta Italia e circa 8.900 nella sola
Lombardia, aveva già avviato il processo di razionalizzazione, ma soprattutto di
riorganizzazione del S.S.P. attraverso una serie di interventi:
a) trasformazione dei due centri clinici lombardi attraverso l’istituzione di due
nuovi poli::
1) quello infettivologico e chirurgico c/o C.R. Mi Opera.
2) quello cardiologico e psichiatrico c/o C.C. S. Vittore.
si è provveduto a monitorare l’effettiva esigenza degli interventi delle varie
branche specialistiche là dove ne era stata riscontrata la necessità, cosa
che poi ha portato all’acquisto della diagnostica
strumentale ed a un
potenziamento delle risorse umane soprattutto c/o i centri clinici. Questo
ci ha permesso di effettuare gli esami specialistici all’interno degli istituti,
con netta riduzione degli invii in luoghi esterni di cura e quindi anche a
salvaguardare sia la salute della popolazione detenuta che a potenziare la
sicurezza.
- abbiamo iniziato e stiamo continuando a effettuare sia informazione che
formazione sanitaria attraverso incontri scientifici con accreditamento
E.C.M. mediante operatori sanitari del mondo universitario, operatori
delle aziende ospedaliere ed operatori A.S.L.
- si è elaborato un prontuario farmaceutico penitenziario regionale tendente
ad omogeneizzare le terapie negli istituti di pena con aggiornamenti a cadenza
annuale con nuove molecole a seconda delle nuove esigenze e delle patologie
emergenti, sempre più frequenti, dovute alla crescente presenza di detenuti
extracomunitari.
-progetto di telecardiologia nato dalla consapevolezza che con l’avvento di un
numero in crescendo di extracomunitari ed un attento monitoraggio sulla
popolazione detenuta è emerso un aumento delle patologie cardiovascolari con
la conseguente urgenza della gestione dell’emergenza cardiologia. Ciò ha
portato ad investire di maggiore responsabilità il medico penitenziario che deve
intervenire tempestivamente in caso di patologie cardiache che, in fase acuta,
rappresentano le poche “vere” emergenze. Per sostenere i medici penitenziari
in queste difficili situazioni è stato dato l’avvio nei due centri clinici lombardi
di un servizio di telecardiologia, ossia un sistema di refertazione a distanza che
consente di garantire alla popolazione detenuta 24 ore al giorno di assistenza
medico-scientifica in ambito cardiologico.
- vi è stata una netta ottimizzazione dei ricoveri e dei Day-Hopital c/o la 5°
divisione di medicina penitenziaria dell’H. S.Paolo, grazie a un
sinergismo ed una collaborazione sempre più stretta con il responsabile di
quella struttura.
Questo è il lavoro svolto fino ad oggi dall’U.O.S.P. della Lombardia per
quanto riguarda gli istituti penitenziari, cosa
che ha implicato sia la
razionalizzazione della spesa sanitaria, con conseguente riorganizzazione degli stessi.
Ma per ritornare alla domanda di quale continuità assistenziale esista per il detenuto
fuori dal carcere e sul territorio, si può dire che
partendo dall’attività sanitaria all’esterno degli istituti sono state coinvolte tutte
le istituzioni del territorio. Ad esempio:
la Regione lombardia ha autorizzato la fornitura gratuita dei farmaci in fascia “A” e
fascia “H”,quindi tutti i farmaci ad alto costo come quelli antiretrovirali, interferonici
e tumorali. Attraverso il ricettario regionale ha autorizzato anche tutti gli esami di
laboratorio compresi quelli ad alto costo, per patologie infettive come HIV,
EPATITI. Inoltre sempre attraverso l’uso del ricettario regionale ci ha garantito
l’attività specialistica c/o le strutture ospedaliere.
Per quanto riguarda le A.S.L.
sono stati fatti vari progetti in passato e,
attualmente, si è intrapreso un nuovo progetto riguardante la “prevenzione
cardiovascolare in carcere” che non a caso trattasi anche del “P.E.A. 2006” del
D.A.P. riguardante in particolare i due centri clinici lombardi, anche se allo stato
attuale altri istituti ci hanno chiesto riguardo a questi tipi di prevenzione di poter
organizzare, formare ed informare sia la popolazione che quella sanitaria.
Con la scuola di cardiologia si è provveduto l’anno scorso a formare i dirigenti
ed i coordinatori sanitari come
istruttori di B.L.S.D. implicante il
corretto
utilizzo dei defibrillatori semiautomatici, anche questo un P.E.A. del 2005 del D.A.P.
Con le strutture ospedaliere lombarde nonché con alcuni istituti di ricerca sono
stati avviati progetti di formazione sia per i sanitari che per i parasanitari, per il
monitoraggio e controllo di alcune patologie vedi legionella C.R. Mi-Opera. Alla
luce di queste premesse si può affermare che:
CARCERE. U.O.S.P. OSPEDALE. A.S.L. = territorio
E partendo proprio da quest’ultimo collegamento, che dobbiamo porci effettivamente
la domanda da cui siamo partiti: quale continuità assistenziale?
Dall’esperienza acquisita in questi cinque anni
come
Coordinatore Sanitario
Regionale c/o l’ U.O.S.P.( unità operativa di sanità penitenziaria) si può affermare,
senza ombra di dubbio, che senza questo tipo di organizzazione , riorganizzazione
territoriale tutto è destinato a fallire negli istituti penitenziari, nonostante i numerosi
sforzi effettuati da queste componenti, in quanto ormai sarebbe impensabile poter
offrire della buona sanità alla popolazione detenuta senza il supporto e l’ausilio delle
strutture ospedaliere che, con la loro esperienza maturata sul campo e mediante i
mezzi diagnostici- clinici-terapeutici che possono dare quel servizio specialistico con
linea guida e protocolli terapeutici. Attraverso la A. S. L. si può operare un servizio di
prevenzione attraverso il servizio di igiene e di medicina preventiva di igiene e
medicina preventiva attraverso la formazione ed informazione offerta dalle linee
guida del ministero della salute.
Ma la seconda questione da affrontare è quella della continuità assistenziale
riguardante l’uscita di scena del detenuto, che riacquista la libertà, o quella del
passaggio dello stesso, dal carcere alla comunità terapeutica. Bisogna ammettere che
ci sono state tante tappe e numerosi gli ostacoli, basti pensare all’esperienza della
C.C. Mi- S. Vittore con “ la nave” presso il 3° raggio dove operatori A.S.L. preparano
i detenuti per l’inserimento nelle comunità terapeutiche esterne.
Da non dimenticare è il grande lavoro svolto giornalmente dalle associazioni di
volontariato.
La stessa Regione Lombardia, vista l’importanza di queste figure, ha inviato in
alcuni istituti milanesi risorse umane per affrontare il grave problema della carenza
perenne degli educatori.
Da non dimenticare è il protocollo d’intesa tra Ministero della Giustiziaministero della pubblica istruzione- Regione- Provincia- Comuneriguardante il progetto per le madri detenute con bambini attraverso l’istituzione di
case alloggio esterne al luogo detentivo.
Per concludere non bisogna pensare che con l’indulto ci sia stato uno scarico di
responsabilità da parte delle istituzioni nei confronti della popolazione detenuta, ma
con immediatezza si è provveduto a garantire la continuità assistenziale sanitaria con
l’invio nelle strutture ospedaliere per le patologie che necessitavano una continuità
terapeutica vedi ( detenuti ricoverati c/o i c due centri clinici ) per patologie
psichiatriche, cardiologiche. Per i tossico-dipendenti, previo contatto,
è stato
previsto l’invio c/o i SERT, per la continuità terapeutica metadonica. Possiamo
affermare pertanto che per quanto riguarda l’indulto questa sinergia carcere e
territorio ha funzionato al di là delle aspettative.
Ma terminando questa seppur breve relazione riguardo alla medicina penitenziaria, ai
medici penitenziari che ne sarà di tutta questa lunga esperienza professionale ed
umana avvenuta nell’universo carcerario??
Potremmo rispondere con tre semplici considerazioni:
 La Medicina Penitenziaria costituisce un’esperienza assistenziale unica e
particolare.
 Ogni progetto che preveda una esclusione degli stessi con parcellizzazione
degli interventi e delle responsabilità sanitarie, in assenza di un
coordinamento e di un livello di responsabilità degli stessi sia destinato a
fallire.
 CHE ha un grosso compito più di ieri quello di risolvere i problemi, non
quelli di crearli. E’ diventata se vogliamo una Medicina di opportunità ed
iniziative che presuppone però una CULTURA PREVENTIVA e prevede
un’idea della prassi medica volta alla promozione dello stato di e al suo
mantenimento. Così possiamo attuare quei programmi di sorveglianza dei
propri pazienti-detenuti, rivolti alla individuazione di eventuali fattori di
rischio con riferimento a tutte quelle patologie che portano i detenuti a
gravi compromissioni del loro stato di salute.
In realtà questo processo con l’avvento delle U.O.S. P. è già iniziato e va
consolidandosi ogni giorno di più.
VII Congresso SIMSPe
Roma 2006
Responsabile Sanitario dell’U.O.S.P.
Della Lombardia.
Dott. Angelo Donato Cospito