LIBRO IN ASSAGGIO GIORDANO BRUNO IL TEATRO DELLA VITA DI MICHELE CILIBERTO Preambolo BIOGRAFIA E FILOSOFIA al vero filosofo ogni terreno è patria... La convinzione di essere un individuo eccezionale, nel Rinascimento, non è solo di Giordano Bruno. Anzi è un motivo dominante di quell’epoca, nella quale il genere autobiografico conosce una notevole diffusione sia in Italia che in altre parti d’Europa. Negli anni Trenta del Seicento Cartesio pubblica il Discorso sul metodo, che può essere decifrato anche come uno straordinario racconto autobiografico. Ma in Italia Benvenuto Cellini e Girolamo Cardano avevano già scritto delle autobiografie che sono dei classici nel loro genere e, al fondo, un lungo racconto autobiografico possono essere considerate anche le poesie di Tommaso Campanella. Come è noto, l’autobiografia, oltre a supporre una speciale coscienza del s, mira a sua volta a costruire e a diffondere un’ immagine dell’autore imperniata sulla selezione di momenti ed eventi della propria vita coerenti con l’immagine che egli vuoi presentare. Da questo punto di vista, l’autobiografia può e deve essere accostata agli autoritratti che si diffondono, come una sorta di moda, tra Rinascimento e mondo moderno. Penna e pennello si muovono. O in questo caso secondo la stessa direzione, con gli stessi obiettivi. «Non si mente mai tanto come quando si parla di se stessi» amava dire Valéry, ed aveva ragione. Quello che va chiesto all’ autobiografia e all’autoritratto non è perciò la verità nel senso empirico del termine, ma la rappresentazione teatrale che l’autore vuol offrire di se stesso nella pagina o nel quadro, trasformandosi nel regista degli eventi della propria vita e connettendoli l’uno all’altro secondo una direzione di Senso che egli decide in piena autonomia. Tra scena della coscienza e Scena teatrale, nell’autobiografia come nell’autoritratto, c’è un rapPorto Strettissimo: quelle che mutano sono le modalità del racconto. Si può scegliere una costruzione di carattere statico, come avviene nel caso di Cardano, che mette in successione un evento dopo l’altro, secondo una scansione di ordine interno, senza tener conto del tempo interiore della coscienza; oppure si può adottare una narrazione di carattere dinamico, come avviene nel caso di Montaigne e di Rembrandt, che, intrecciando tempo e coscienza, si ritraggono momento per momento, in una sorta di movimento perpetuo: il primo sulla pagina, il secondo sulla tela. Se si usa l’autobiografia come una fonte ordinaria da accostare alle altre fonti di cui dispone lo storico, si cade perciò nel laccio che l’autore ordisce, con assoluta consapevolezza, per impaniare il lettore nella propria rete. Dalle autobiografie — come dagli autoritratti — bisogna sapersi guardare, per trarre da esse tutto quello che possono dare: e non è poco. Il fiorire dei racconti autobiografici nel Rinascimento getta luce, anzitutto, sulla consapevolezza che gli uomini più eminenti di quell’epoca hanno di se stessi, sulle forme con cui imparano a guardare dentro di sé — spostando lo sguardo dall’esteriorità verso l’interiorità, sul “fondo del cuore”; oppure intrecciando in modi nuovi e originali mondo esterno e introspezione. Qualunque sia la scelta, è il tema del “soggetto”, dell’individuo che si staglia al centro di quelle pagine o di quei ritratti, secondo proprie e specifiche modalità. Non ha infatti alcun senso chiedere a Campanella o a © MONDOLIBRI - PIVA: 12853650153 PAG. 2 Bruno di pensarsi secondo le forme che sono proprie di un filosofo come Cartesio; ma ciò non toglie che in quegli autori il tema del valore del “soggetto”, dell’individuo, della personalità sia stato centrale. Anzi, a leggere alcuni di quei testi, esso appare addirittura prevaricante, essendo inserito in una modalità di scrittura e di racconto che tende volutamente a sottolinearne l’eccezionalità, la dimensione straordinaria, in una prospettiva spesso tesa a congiungere riforma individuale e riforma universale del mondo, temi filosofici e motivi religiosi e apocalittici, che contribuiscono a disegnare la funzione non comune, addirittura messianica del protagonista di quei racconti. Sono osservazioni che valgono anche per Bruno: non è nei suoi racconti autobiografici che si trova ciò che “veramente è stata” la sua vita. Lette con questa intenzione, quelle pagine restano mute, non dicono niente, parlano solo agli eruditi a caccia degli errori — e degli inganni — con cui il Nolano le ha intessute, consapevolmente o per distrazione. Risuonano invece di echi profondi se in esse si cerca ciò che veramente interessa: l’idea che Bruno aveva di se stesso, le tappe dell’itinerario intellettuale che riteneva di aver percorso, l’immagine di sé che egli voleva proiettare ai suoi contemporanei e ai suoi lettori. E anche questo, a saperlo leggere, non è poco, saldato com’è in modo diretto al discorso filosofico di Bruno, nel quale il tema del “soggetto”, della sua costruzione, è centrale — naturalmente secondo modalità proprie ma tutte consapevolmente orientate verso una sorta di vera e propria trasfigurazione dell’ immagine del Nolano. E degno di attenzione che questo processo avvenga movendo da eventi effettivamente accaduti, volta per volta ripensati e deformati alla luce della coscienza che il Nolano matura di sé e della sua missione nel mondo — dagli anni della formazione in convento fino alla consapevolissima scelta di morire «martire» e «volentieri». Ma soprattutto è interessante osservare che tale trasfigurazione getta luce solare sulla stessa filosofia di Bruno. Se questo è vero, resta importante comprendere i caratteri di quel processo di trasfigurazione, gli obiettivi ai quali esso mira e, soprattutto, il nesso strutturale che, nel suo caso, congiunge filosofia e biografia. In Bruno esse sono, in senso profondo, geminae ortae: la prima non parla se non è decifrata, simultaneamente, sul piano biografico; la seconda resta muta se non se ne coglie la voluta, consapevole dimensione filosofica. Parlare del Nolano significa parlare al tempo stesso della sua vita e della sua filosofia: la consapevolezza di questa connessione strutturale deve essere, per questo, la prima, vera “fonte” di ogni ricostruzione della sua personalità e del suo itinerario intellettuale — da Napoli a Parigi, da Londra a Francoforte, fino alla scelta tragica di ritornare in Italia. © 2007 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. © MONDOLIBRI - PIVA: 12853650153 PAG. 3