LA METAFISICA ARISTOTELICA - appunti scuola superiore

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LA METAFISICA ARISTOTELICA
INTRODUZIONE:
Aristotele sostiene che esistono tre tipi di scienze:
1) TEORETICHE: sono la metafisica, la fisica e la matematica. Queste scienze hanno per
oggetto il necessario (cioè ciò che non può essere diverso da come è) e come scopo la
conoscenza disinteressata del vero.
2) PRATICHE: sono l’etica e la politica. Queste scienze hanno per oggetto il possibile ed
indagano sul modo di agire dell’individuo.
3) POIETICHE: anche queste scienze hanno per oggetto il possibile, e sono le scienze che
indagano nell’ambito della produzione di opere ed oggetti.
Detto questo, la metafisica è la scienza che indaga le strutture profonde e le cause ultime
del reale, che vanno al di là dei sensi o dello studio della fisica.
Aristotele chiamava però questa scienza “filosofia prima”, non metafisica: questo nome gli
fu infatti dato da Andronico di Rodi, che riordinò le opere di Aristotele su questo
argomento “dopo le opere di fisica”. Nel seguito, però, il termine “metafisica” è rimasto anche perché molto appropriato- ad indicare ciò che Aristotele chiamava “filosofia
prima”.
Secondo Aristotele: “la metafisica studia le cause ed i principi primi, studia l’essere in
quanto essere, studia la sostanza, studia Dio e la sostanza immobile”.
Tra queste, la definizione più importante è forse la seconda: la metafisica studia l’essere
in quanto essere. Questa definizione significa che la metafisica non studia una
particolare qualità dell’essere, ma la realtà tutta: tutto l’essere ed ogni essere a
prescindere dai suoi attributi.
Tutte le altre scienze ne studiano invece solo una parte. Esse sono infatti “filosofie
seconde”, subordinate rispetto alla “filosofia prima”, che è il presupposto indispensabile
di ogni ricerca.
L’ESSERE E LA SOSTANZA:
La prima domanda che si pone la metafisica è: che cos’è l’essere?
Per Aristotele l’essere non ha un’unica forma, ma ha una molteplicità di aspetti e
significati. L’essere si manifesta dunque in molti modi.
Secondo Aristotele gli innumerevoli modi in cui l’essere può manifestarsi possono essere
raggruppati in 4 gruppi:
1) L’ESSERE COME ACCIDENTE;
2) L’ESSERE COME CATEGORIE;
3) L’ESSERE COME VERO;
4) L’ESSERE COME ATTO E POTENZA.
Occupiamoci prima del secondo punto.
Le categorie non sono altro che quelle caratteristiche fondamentali che ogni essere deve
avere. Sono la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, l’agire, il subire, il dove e il
quando, l’avere (cioè il suo stato) e il giacere (cioè il suo essere in una certa condizione).
Sono i modi fondamentali in cui la realtà si presenta, i predicati fondamentali dell’essere.
Il più importante tra questi predicati è la sostanza, perché le altre la presuppongono:
l’essere dunque essere per poter avere delle qualità. La sostanza è dunque il punto di
riferimento di tutte le altre categorie.
Questo spiega come l’essere non sia né univoco, ma nemmeno equivoco o omonimo.
In altre parole non è né completamente unico né completamente diverso, perché tutti i
suoi attributi si riferiscono alla sostanza dell’essere.
La sostanza è quindi la “via di mezzo” tra l’essere e le categorie.
Ma se l’essere si identifica con le categorie, e queste poggiano sulla sostanza, che cos’è la
sostanza? Non è semplice rispondere a questa domanda.
L’oggetto della metafisica è proprio questo.
Tutte le altre scienze studiano una determina cosa spogliandola da tutte quelle qualità
non attinenti. Allo stesso modo la metafisica deve studiare l’essere non con i suoi
attributi (o categorie), ma la sua sostanza: il suo essere in quanto è.
Per far questo occorre tener presente il “principio di non contraddizione”, che si basa su
due precetti:
1) Non si può affermare e negare nello stesso tempo uno stesso predicato intorno ad uno
stesso soggetto;
2) E’ impossibile che la stessa cosa sia e non sia.
Questo vuol dire che ogni soggetto ha una sua determinata natura che è necessaria (cioè
non può essere diversa). Questa NATURA NECESSARIA altro non è che la sostanza.
La sostanza è dunque l’essere dell’essere, il suo significato fondamentale.
LA SOSTANZA COME SINOLO DI MATERIA E FORMA:
Un tipo di sostanza è dunque l’individuo, che funge da soggetto alle varie categorie.
La sostanza è indipendente, mentre le qualità ad essa attribuite ne sono dipendenti. La
sostanza è la “portatrice” degli attributi.
L’essere, nella sua totalità, è dunque un insieme di sostanze e le qualità che si riferiscono
a queste sostanze.
La sostanza è un SINOLO –cioè un’unione indissolubile- di materia e forma.
La forma è la sua natura propria, la struttura che rende tale la sostanza. Negli esseri
viventi, la forma è la specie a cui essi appartengono.
La materia è invece ciò che la compone.
Nel sinolo la forma è ATTIVA, mentre la materia è PASSIVA. Infatti è la forma a plasmare
la materia. Per questo possiamo dire che la forma è l’essenza stessa della sostanza.
Volendo ricapitolare:
1) La sostanza è l’essere dell’essenza e l’essenza dell’essere;
2) L’individuo (una sostanza) è un sinolo di materia e forma. La forma fa sì che il sinolo
sia quello che è.
3) La sostanza è la struttura fissa ed immutabile che definisce una cosa.
Da essa va invece distinto l’ACCIDENTE.
L’accidente è una qualità che la sostanza può avere o non avere senza però cessare di
essere quella determinata sostanza. In altre parole, è una caratteristica casuale o
fortuita.
Es. Socrate è un uomo (caratteristica necessaria, perché non si può cessare di essere tali)
allegro, pallido…(accidente, perché è una caratteristica che può mutare).
LA SCIENZA E LA CONOSCENZA:
La sostanza è ciò per cui ogni essere è necessariamente ciò che è, la sua definizione.
La sostanza è qualsiasi cosa.
Se essa vale per ogni cosa, sono allora le qualità a differenziare gli oggetti.
Pertanto Dio non è l’essere più importante per la sua sostanza, ma per le sue qualità.
La sostanza è l’oggetto della scienza.
Tutte le scienza studiano infatti una diversa forma della sostanza, e sono perciò tutte
ugualmente importanti.
Ciò che spinge alla scienza e alla conoscenza è la meraviglia, ed esse consistono nel
rendersi conto delle cause delle cose.
Esse possono essere di quattro tipi:
1) MATERIALE: la materia di cui una cosa è fatta;
2) FORMALE: l’essenza di una cosa;
3) EFFICIENTE: ciò che dà origine al mutamento o alla quiete, ciò che origina qualcosa;
4) FINALE: lo scopo.
Ma queste quattro cause non sono altro che specificazioni della sostanza, quindi
dell’essere.
Nei processi naturali la causa formale, efficiente e finale coincidono (come ad esempio
nei bambini, per i quali l’ “uomo adulto” è causa formale, efficiente e finale).
Negli oggetti inanimati, invece, queste cause sono tra loro differentissime.
Aristotele sottolinea che molti altri pensatori precedenti avevano rilevati queste cause,
tuttavia essi hanno sempre insistito su uno solo di essi, perdendo di vista le altre.
I platonici, per esempio, hanno rilevato solo la causa formale delle cose, cioè le idee.
Contro di esse Aristotele muove però alcune critiche:
1) Se le idee sono separate dalle cose, come possono esserne la causa formale? Il
principio delle cose, infatti, non può che risiedere dentro di esse, e il suo nome non
“idea”, ma “forma”.
2) Aristotele sostiene che non è possibile che vi sia un’idea solo per ogni concetto e cosa:
le idee anzi devono essere in numero maggiore. Deve infatti esistere l’idea di una cosa e
di tutti i suoi caratteri. In questo modo, però, il lavoro del filosofo diventa molto
complicato. Aristotele sostiene dunque che le idee, intese fuori dalle cose, non sono altro
che inutili “doppioni” che rendono la spiegazione delle cose più difficile. Inoltre, se si
analizzano bene le teorie di Platone, dovrebbero esistere idee anche per le cose negative e
transitorie. Allo stesso modo, tra cosa ed idea dovrebbero esserci ancora un’idea, e tra le
questa idea e le altre idee, e così via all’infinito.
3) Se le idee sono immobili, come si spiega il moto delle cose?
LA DOTTRINA DEL DIVENIRE:
Precedentemente si è accennato al fatto che l’essere è anche ATTO E POTENZA.
Spieghiamo cosa significa.
Il divenire esiste di sicuro, proprio come affermava anche Eraclito: un fiore sboccia, un
bambino cresce…ma come deve essere pensato questo divenire?
Secondo Parmenide, il divenire è impensabile, perché implicherebbe il passaggio tra
l’essere ed il non-essere. Questo passaggio non è possibile, perché dal nulla non può
venir fuori nulla, e allo stesso modo l’essere non può portare al nulla.
Per Aristotele, invece, il divenire non è che il passaggio fra un modo di essere ed un altro.
Il divenire è dunque una modalità dell’essere. Aristotele elabora dunque il concetto di
“potenza e atto”. La potenza è la possibilità della materia di assumere una certa forma.
L’atto è il raggiungimento dello scopo.
Possiamo dire dunque che la potenza sta alla materia come l’atto sta alla forma.
Difatti la materia non ha possibilità di assumere forme diverse. Quindi il divenire parte
dalla pura potenza di una certa forma, e il punto di arrivo (l’atto) è l’assunzione di tale
forma. Il divenire è dunque formato da potenza e atto, o, per usare le parole di Aristotele,
esso comprende materia, privazione e forma.
Tra potenza e atto, l’atto è sicuramente più importante perché per conoscere la potenza è
necessario conoscere anche l’atto.
L’atto non rappresenta che le “quattro cause” della potenza. L’atto però, non è una
possibilità della potenza, ma una sua “necessità”. La necessità è dunque il principale
strumento interpretativo dell’essere.
Utilizzando le sue teorie sul divenire, Aristotele riesce a spiegare anche il “movimento”
delle cose, che invece i platonici non erano riusciti a fare.
Il movimento non è altro che il divenire delle cose, e presuppone, delle quattro cause, la
CAUSA EFFICIENTE e la CAUSA FINALE.
Il movimento è dunque un passaggio da una potenza ad un atto, proprio come il divenire.
Ma quali sono gli atti e le potenze “supreme”.
La potenza suprema è certamente la MATERIA PRIMA o PURA POTENZA.
Essendo essa assolutamente indeterminata, è una pura nozione teorica, che non può
essere conosciuta dal momento che nel mondo esiste solo la materia già formata. E’ la
base stessa del divenire.
Al polo opposto si trova invece la FORMA PURA o ATTO PURO, cioè la perfezione
compiuta, una sostanza immobile e divina.
LA CONCEZIONE DI DIO:
La metafisica, dice Aristotele, indaga l’essere più alto e la causa suprema del cosmo: Dio.
Vediamo come Aristotele ne dimostra l’esistenza: prendendo come punto d’inizio la
cinematica, egli sostiene che tutto ciò che è in moto deve essere necessariamente mosso
da qualcos’altro. Questo qualcos’altro è a sua volta mosso da qualcos’altro, e così via.
Ma dovrà per forza esistere il principio di tutto questo, altrimenti il movimento resterebbe
inspiegato. Per cui, essendo necessario trovare un punto d’origine, ci sarà un PRICIPIO
PRIMO e IMMOBILE che dia il via a tutto questo.
Dio diventa dunque per Aristotele un “motore immobile” che possiede i seguenti attributi:
1) E’ atto puro, perché non è soggetto al divenire, e non contiene quindi alcuna materia
(o potenza);
2) Poiché forma pura –e quindi senza materia- è sostanza incorporea;
3) E’ eterno, essendo causa del movimento dei pianeti e dell’universo, che sono eterni;
Nasce però una domanda: come può Dio far muovere essendo immobile?
Questo perché Dio non è CAUSA EFFICIENTE, ma FINALE delle cose. Pur rimanendo
immobile, dunque, conferisce alle cose una forza calamitante che le fa muovere.
Ma come fa Dio a dare ordine al mondo? Questo punto della metafisica aristotelica è
sempre rimasto oscuro, sebbene si possa dedurre, giacché la materia tende verso la
forma ed è spinta ad assomigliargli, che non sia tanto Dio ad ordinare il mondo, ma
piuttosto che il mondo si auto-ordini.
L’essere è dunque un processo eterno per assomigliare a Dio, che non si esaurisce mai,
perché niente potrà mai arrivare ad essere puro atto.
Dio non è però unico: esso è solo il motore del primo cielo. Un discorso analogo si può
quindi fare per tutti i cieli. Perciò ci saranno tanti “motori immobili” quante sono le sfere
celesti.
Il rapporto tra questi dèi e il dio del primo cielo non è chiaro, anche perché non bisogna
dimenticare che Aristotele aveva una concezione politeista di base.
Per i pensatori dell’epoca molte cose sono divine: l’anima, l’intelligenza…
Il monoteismo verrò portato solo dalla mentalità ebraico-cristiana.
LA LOGICA ARISTOTELICA
INTRODUZIONE:
La logica non fa parte, per Aristotele, delle scienze, in quanto studia solo la forma
COMUNE delle scienze, il loro “processo dimostrativo”.
Il termine “logica” fu introdotto probabilmente dagli stoici, e quindi Aristotele, per
indicare la sua logica (basata sul sillogismo) preferisce invece utilizzare il termine
“analitica”.
Alessandro di Afrodisia utilizzò invece il termine “organon” per indicare gli scritti
aristotelici di logica. Secondo alcuni questo termine –il cui significato è “strumento”serve a sottolineare la funzione introduttiva alle scienze che la logica svolge.
Ci si chiede spesso se Aristotele si dedicò prima agli scritti di logica oppure a quelli di
metafisica. Probabilmente le due opere sono parallele, nel senso che ogni punto non
molto chiaro della sua metafisica veniva con ogni probabilità spiegato nuovamente nella
logica.
Occorre inoltre ricordare che la logica non aveva per Aristotele il significato che assume
ai nostri giorni: una scienza senza oggetto e senza contenuto. La logica ha invece per
Aristotele un oggetto di studio, che è la struttura della scienza in generale, ed essendo
l’essere l’oggetto della scienza, ecco che esso diviene indirettamente anche quello della
logica.
I CONCETTI:
La logica aristotelica tratta di oggetti che vanno dal semplice al complesso, e si divide in:
LOGICA DEL CONCETTO, LOGICA DELLA PROPOSIZIONE e LOGICA DEL
RAGIONAMENTO.
Vediamo la prima. Aristotele sostiene che gli oggetti del nostro discorso –i concettipossono essere disposti entro una scala di maggiore o minore universalità, e classificati
mediante la loro specie e il loro genere.
Ad esempio se si considera il concetto di “quadrilatero”, esso è genere (che è un concetto
più universale) rispetto a “quadrato”, e specie rispetto a “poligono”.
La specie contiene, rispetto al genere, un maggior numero di caratteristiche, ma un
minor numero di elementi.
Di conseguenza possiamo dire che quando aumenta l’estensione, diminuisce la
comprensione, e viceversa. Specie e genere stanno perciò in un rapporto inversamente
proporzionale.
Man mano che si entra nello specifico, l’estensione cala, fino ad arrivare alla “specie
infima”, cioè quella che non sottospecie. Tale è l’individuo o “sostanza prima”.
Se la catena viene percorsa in senso contrario, si arriva invece ai “generi sommi”, che
hanno massima estensione e minima comprensione. Sono cioè le dieci categorie
dell’essere, di cui Aristotele parla negli scritti di metafisica.
Vediamo adesso la logica delle proposizioni. Aristotele prende in considerazione gli
“enunciati apofantici” (o dichiarativi), cioè le affermazioni, perché a differenza dei
comandi o delle preghiere, possono essere veri o falsi.
Questi enunciati (o proposizioni) sono l’espressione verbale dei giudizi. In essi due
concetti vengono uniti tramite una struttura soggetto-predicato.
Aristotele suddivide questi enunciati secondo vari aspetti:
1) QUALITA’: affermativi (che attribuiscono qualcosa a qualcosa) o negativi (che separano
qualcosa da qualcosa);
2) QUANTITA’: universali (se il soggetto è universale, come “tutti gli uomini”), particolari
(quando il soggetto è particolare, come “alcuni uomini”) e singoli (quando il soggetto è
singolo, come “un uomo in particolare”).
Aristotele si è sempre preoccupato del rapporto tra proposizioni universali (affermative e
negative) e particolari (affermative e negative).
Qui di seguito non entriamo però nel merito della questione. Diremo solo che, per
esplicitare questi rapporti, i logici medievali elaborarono una struttura chiamata
“quadrato degli opposti”.
IL SILLOGISMO:
Chiarita la natura della proposizione, Aristotele esamina adesso il ragionamento. Egli
sostiene che le proposizioni non costituiscono un ragionamento. Si ragiona infatti solo
passando da una proposizione all’altra con un nesso logico, in modo che siano chiare
cause e conclusioni. Dire una sola frase o un insieme di frasi sconnesse non è dunque
ragionamento.
Il sillogismo è appunto questo: un discorso o un ragionamento in cui, poste delle
premesse, segue una conclusione data da esse.
Vediamo un celebre sillogismo:
“Ogni animale è mortale. Ogni uomo è animale. Ogni uomo è mortale.”
Il sillogismo è composto da tre preposizioni: due di premessa ed una di conclusione.
La prima è la premessa maggiore, mentre la seconda è detta minore.
“Animale” è il termine medio, perché ha estensione media rispetto agli altri due. “Mortale”
e “uomo” sono invece i termini maggiore e minore.
Il termine medio è il collegamento tra il minore e il maggiore, che infatti troviamo uniti
nella terza proposizione.
Questo è possibile perché il termine minore è contenuto nel medio e il medio nel
maggiore.
Le caratteristiche essenziali del sillogismo sono dunque il suo CARATTERE MEDIATO e
la sua NECESSITA’.
Nel sillogismo il termine medio ne costituisce la sostanza: l’uomo è mortale solo in
quanto animale.
Il principio di tutto è dunque la sostanza, da cui derivano anche i sillogismi.
Proprio per questo motivo, i sillogismi sono UNIVERSALI, in quanto non ammettono
eccezioni, e si riferiscono agli oggetti nella loro totalità.
In base alla posizione del termine medio, esistono diversi tipi (o “figure”) di sillogismo:
1) Nella premessa maggiore costituisce il soggetto, nella premessa minore predicato;
2) Nella premessa maggiore costituisce il predicato, come pure nella premessa minore;
3) Nella premessa maggiore costituisce il soggetto, come pure premessa minore;
4) Nella premessa maggiore costituisce il predicato, nella premessa minore il soggetto.
Indicando con “SUB” il soggetto (da “subjectus”) e con “PRAE” il predicato (da
“paredicatus”), si hanno le seguenti disposizioni schematiche:
1) SUB-PRAE;
2) PRAE-PRAE;
3) SUB-SUB;
4) PRAE-SUB.
Vediamo alcuni dei primi tre tipi di sillogismo:
1) “Ogni animale è mortale. Ogni uomo è animale. Ogni uomo è mortale.”
2) “Nessuna pietra è animale. Ogni uomo è animale. Nessun uomo è pietra.”
3) “Ogni uomo è ragionevole. Ogni uomo è animale. Qualche animale è ragionevole.”
Poiché le premesse del sillogismo possono essere affermative o negative, universali o
particolari, si avranno numerose combinazioni, dette “modi del sillogismo”.
Nel calcolarle si tiene conto delle proposizioni (che nel sillogismo sono 3) e delle loro
forme (che sono, come detto, 4).
Quindi 4³ = 64.
Le figure sono invece quattro. In conclusione i modi del sillogismo sono:
64 x 3 = 256.
Ma di questi, secondo Aristotele, non tutte costituiscono un sillogismo valido. Sono solo
19 i modi concludenti.
A questi sillogismi i medievali hanno dato un nome.
Brevemente diremo che ciascun nome è formato da tre sillabe: premessa maggiore,
minore, conclusione. Le vocali di ogni sillaba hanno un significato preciso: A= universale
affermativa, E= universale negativa, I= particolare affermativa e O= particolare negativa.
La figura perfetta è la prima per Aristotele (A,A,A), tant’è vero che tutte le figure possono
essere ricondotte a questa.
Il problema, per creare ragionamenti validi, non è solo quello di preoccuparsi della
coerenza del sillogismo.
Aristotele stesso diceva che spesso un sillogismo logicamente corretto può poi risultare
falso, e questo quando sono false le sue premesse.
Il filosofo si sofferma dunque su come creare sempre sillogismi perfetti e veri.
Il problema fondamentale è dunque quello di ottenere le giuste premesse.
Le premesse, secondo Aristotele, devono essere vere di verità intuitiva, e risultare dunque
comuni a più o tutte le scienze, come il principio di non-contraddizione, il principio di
identità (ogni cosa è uguale a se stessa) e del terzo escluso (tra due opposti contraddittori
non c’è via di mezzo).
Tuttavia manca ancora qualcosa, perché i principi non contengono alcuna verità
particolare. Sono necessari ma non sufficienti.
Ci vogliono PRINCIPI PROPRI, cioè definizioni che enunciano l’essenza di ciò di cui si
parla.
ES. l’uomo (concetto) è un animale (genere prossimo) ragionevole (qualità specifica).
Si individua dunque la peculiarità del soggetto.
Ma se per trovare le premesse occorrono le definizioni, come si trovano le definizioni?
Grazie all’INDUZIONE, un processo mentale grazie al quale dal particolare si arriva
all’universale. Tuttavia, per poter essere perfetta, l’intuizione dovrebbe partire dalla
conoscenza di TUTTI i casi possibili, e questo è quindi un suo grande limite. Essa si
limita inoltre ad analizzare la realtà di fatto, senza rilevarne il perché necessario, e quindi
non riesce ad arrivare al vero universale.
Nonostante questo grande limite, ci si chiede da dove derivino le definizioni ottenute
tramite induzione. Secondo Aristotele arrivano dall’intelletto e dal suo potere di
intuizione.
Questa intuizione non è però una facoltà innata, ma qualcosa che si forma
gradualmente, osservando i casi particolari (induzione).
Questo non vuol dire che l’esperienza e l’induzione possono scovare la vera natura delle
cose, ma sono una sorta di preparazione, rappresentano la scintilla che mette in moto
l’intuizione.
La scienza diventa quindi per Aristotele un atto di intuizione che opera per mezzo
dell’esperienza.
Questa conoscenza della causa o del perché ultimo e necessario degli oggetti (sostanza) è
la dimostrazione, cioè l’esplicitazione ragionata mediante il sillogismo, della sostanza e
delle sue proprietà.
LA DIALETTICA:
Nell’opera “i Topici”, Aristotele parla della dialettica, che si distingue dalla scienza per i
principi su cui si basa.
I principi della scienza sono infatti assolutamente veri, e quindi necessari. Quelli della
dialettica sembrano invece accettabili ad alcuni, e sono quindi probabili.
Questi principi sono utilizzati nell’oratoria, o per esercitarsi a ragionare.
Gli schemi argomentativi utilizzati nella discussione si chiamano LUOGHI LOGICI.
Nella dialettica vi sono pure i “problemi”. Essi sorgono ogni volta che c’è una domanda
che ammette due risposte contraddittorie.
La scienza ammette solo risposte necessarie, quindi le risposte contraddittorie possono
trovarsi solo nella dialettica.
Per Platone la dialettica è la scienza propria del filosofo, che mette in discussione i
principi di tutte le altre scienze. Per Aristotele, invece, è un ragionamento debole che,
poiché parte da premesse probabili, non conduce a niente.
(QUESTO TESTO E' STATO INVIATO E PUBBLICATO ANCHE NELLA SEZIONE APPUNTI
DEL SITO "SKUOLA.NET").
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