Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di

Mensile di aggiornamento e approfondimento
in materia di
immobili, ambiente, edilizia e urbanistica
Numero 1 - Luglio 2013
Sommario
n. 1 – chiuso in redazione il 18 luglio 2013
Pagina
NEWS
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
20
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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APPROFONDIMENTI
Certificazione energetica
D.L. 63/2013: L'IMPATTO SUI TECNICI E SUGLI OPERATORI
In vigore dal 6 giugno scorso, il decreto è diventato immediatamente popolare presso
l’opinione pubblica perché estende il periodo nel quale si può usufruire delle detrazioni
fiscali del 50% per ristrutturazioni e proroga, elevandone l’aliquota di detraibilità al
65%, quelle del 55% per riqualificazioni energetiche. Ma c’è un altro aspetto, poco
pubblicizzato, importante per tecnici e operatori immobiliari: il decreto manda in
pensione l’Attestato di certificazione energetica, che viene sostituito in toto
dall’Attestato di prestazione energetica, e ribadisce la sussistenza dell’Attestato di
qualificazione energetica, della cui esistenza e utilità (quasi) ci eravamo dimenticati. Un
provvedimento, pertanto, estremamente ricco di contenuti che richiede un’analisi
attenta per capire le novità che vengono introdotte nei diversi ambiti in cui interviene.
Luca Rollino, Il Sole 24 ORE - Consulente Immobiliare, 15 luglio 2013, n. 933
27
Fiscalità
LA TASSAZIONE DEGLI ATTI IMMOBILIARI
Nella maxi-circolare n. 18/E del 29 maggio 2013, di ben 237 pagine, l’Agenzia delle
entrate ha compendiato le interpretazioni fornite nel tempo in una moltitudine di
circolari e di risoluzioni, realizzando un’utile guida operativa che consente di reperire
con facilità la prassi amministrativa sui complessi temi legati alle imposte sui
trasferimenti. Esaminiamo, in queste pagine, alcune fra le più delicate e interessanti
tematiche relative ai trasferimenti immobiliari, che costituiscono uno dei capisaldi del
provvedimento.
Stefano Baruzzi, Il Sole 24 ORE - Consulente Immobiliare, 31 luglio 2013, n. 934
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Immobili
IPE E APE: CAMBIANO LE REGOLE
Il D.L. 63/2013 ha quale principale funzione quella di recepire definitivamente la
direttiva n. 2010/31/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio che promuovere
l’efficientamento energetico degli edifici, sulla base delle condizioni locali e climatiche
esterne nonché delle prescrizioni relative al clima degli ambienti interni e dell’efficacia
sotto il profilo dei costi.
Angelo Pesce, Ivan Meo, Il Sole 24 ORE - Consulente Immobiliare, 15 luglio 2013, n.933
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L’ESPERTO RISPONDE
ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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 Mercato immobiliare
 Vendere casa oggi: ci vogliono 8 mesi e mezzo ma solo con realismo sui prezzi
Non è sicuramente il momento migliore per vendere una casa in Italia, ma con pochi
accorgimenti si può massimizzare il potenziale dell'immobile e garantirsi qualche chance sul
mercato. Secondo Nomisma, in media, un'abitazione richiede più di 8,5 mesi per trovare un
compratore e sconta un ribasso medio sul prezzo iniziale richiesto del 16,5% a fine trattativa.
Vendere casa in tempo di crisi non è una passeggiata, spesso è un'esigenza. «Fino a un anno
fa, chi vendeva non voleva abbassare i prezzi e la forbice tra domanda e offerta era molto
ampia», afferma Paolo Righi, presidente di Fiaip, la federazione degli agenti immobiliari. «Oggi
domanda e offerta iniziano a incontrarsi – aggiunge – e i venditori sanno che devono
abbassare le pretese, soprattutto chi cede il vecchio usato per migliorare il suo stato abitativo.
Chi vende per sostituzione, infatti, oggi è disposto a scendere, anche perché sa di poter
trovare a un po' meno».
I tempi medi per chiudere una trattativa hanno raggiunto gli 8,5 mesi nel residenziale, i 10,4
mesi per gli uffici, i 9,8 mesi per i negozi e i 7 mesi per i box auto. Per tutte le tipologie
l'allungamento ha superato, in un anno, il mese e mezzo. Più in difficoltà le nuove costruzioni
residenziali, che a Padova e a Venezia-Mestre impiegano 11 e 12 mesi per essere acquistate.
«Oggi l'offerta è tanta sul mercato – afferma Righi – e i pochi che comprano vogliono
confrontare. Negli ultimi due anni si sono aggiunti numerosi aspetti, dalle metodologie
costruttive al risparmio energetico, che i clienti vogliono valutare. E poi la trattativa si allunga
perché la banca impiega due mesi e mezzo in media per deliberare un mutuo».
Vendere per monetizzare oggi è sconsigliato: «I risparmi investiti nel mattone rischiano di
subire una svalutazione», dice il rappresentante degli agenti immobiliari. «Oggi vende solo chi
è spinto da un progetto e investe in qualche intervento di ristrutturazione per cercare di
ottenere il massimo», aggiunge. La richiesta iniziale, però, deve essere realistica: nel
residenziale usato gli sconti medi concessi in trattativa sono saliti di due punti percentuali negli
ultimi sei mesi, secondo Nomisma.
Per individuare il "prezzo giusto" bisogna conoscere il mercato. Una perizia esterna, realizzata
da un professionista, può costare tra i 200 e i 500 euro. «Sul mercato oggi non si va più come
a una lotteria – commenta Righi – sperando prima o poi di trovare almeno un acquirente
disposto a tutto. Così si rischia solo di dover fare un mega-sconto finale e di non riuscire a
valorizzare le caratteristiche dell'unità». Ci sono già passati gli americani, che a sette anni dallo
scoppio della crisi ora assistono ai primi rialzi dei prezzi e alla riduzione dello stock sul
mercato: due fenomeni che creano nuove opportunità per chi deve vendere. In un'indagine
pubblicata a gennaio dalla National Association of Relators (l'associazione degli agenti
immobiliari negli Usa), il 30% degli operatori ha dichiarato che eccessivi ribassi e valutazioni
non corrette dell'immobile sono la causa di cancellazioni, ritardi e rinegoziazioni in fase di
trattativa.
Una perizia professionale, oltretutto, mette al riparo da eventuali imprevisti che potrebbero
bloccare la vendita: «Così si controlla la corrispondenza tra lo stato dei luoghi e la planimetria
catastale – dice Righi –, per evitare che la presenza di un vano non conforme poi faccia
perdere tempo prima del rogito». In un mercato molto più selettivo, a fare da deterrente sono
anche le spese condominiali: «C'è un'attenzione sempre più elevata a questi costi – conclude il
presidente di Fiaip –: anche se l'appartamento piace, in molti fanno un passo indietro quando
illustriamo le spese, che si sommano alle tasse e ad altri oneri per chi compra».
(Michela Finizio, www.casa24.ilsole24ore.com, 18 luglio 2013)
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
Rallenta il calo dei prezzi a Brindisi
Primo semestre di assestamento per il mercato residenziale di Brindisi, dopo un bilancio 2012
chiuso con volumi di compravendite scese a quota 600, contro le oltre mille transazioni che
l'Agenzia del territorio registrava degli anni ante-crisi (più in particolare dal 2004 al 2006).
I prezzi delle case hanno lasciato sul terreno un altro 5-10% nel giro degli ultimi dodici mesi:
«E perderanno ancora qualcosa – ne è convinto Marco Greco, agente Gabetti – ma la discesa è
rallentata parecchio negli ultimi mesi». Non a caso inizia a vedersi in giro qualche piccolo
investitore in più, in cerca del buon affare». A volte anche del colpaccio molto speculativo:
«Acquistano tutto in liquidità – aggiunge Greco riferendosi a questo tipo di clientela – puntando
su appartamenti da due vani tra i 70mila e i 120mila euro, facili poi da affittare». Il segmento
delle locazioni da questo punto di vista continua a essere una sorta di isola felice
dell'immobiliare brindisino: i canoni sono stabili, con tendenza al ribasso, ma la domanda è
sostenuta dai brindisini e dal serbatoio di dipendenti di strutture come la base logistica
dell'Onu o l'aeroporto del Salento.
«Le pezzature più difficili da vendere o affittare in questa fase sono quelle da quattro vani in
su, specialmente se sono da ristrutturare», racconta invece Alberto Belviso, agente Tecnocasa,
spiegando che, nel caso dell'acquisto, si tratta soprattutto di un problema di finanziamento:
«Sul fronte mutui è ancora tutto bloccato, chi vuole acquistare è obbligato ad avere almeno un
60-70% di liquidità da parte». Più semplice chiudere quando la disponibilità di spesa sale sopra
i 160mila euro: «La clientela di questa fascia – fa notare Giuseppe Dargenio, agente Re/Max –
prende in considerazione il residenziale nuovo in classe A, con quotazioni scese anche a 1.800
euro al metro quadrato e concentrato nelle zone di Commenda, Cappuccini e Casale».
(Michela Finizio, http://www.casa24.ilsole24ore.com/ 18 luglio 2013)
 Casa vuota al mare? Affittarla per le vacanze rende 5mila euro l'anno
In una fase di forte crisi del mercato immobiliare, una semplice analisi di costi e benefici spiega
come rendere profittevoli le seconde case e suggerisce di guardare dove ci sono alte
potenzialità e ampi
margini di resa: il
turismo
e
la
locazione breve. Non
è un segreto. Ma se
in Europa il 25% dei
viaggiatori soggiorna
in una villa o un
appartamento,
l'Italia
è
ancora
ferma a un tasso di
penetrazione dell'89%
(senza
ovviamente
tener
conto del mercato
dei
contratti
in
nero).
L'attuale domanda turistica, composta da 5,7 milioni di persone che significano oltre 39 milioni
di notti di permanenza, porta un'occupazione media delle case pari a 55 giornate annue, con
un potenziale che – in virtù della stagionalità dei flussi – può arrivare a un massimo di 70
giornate nelle zone più turistiche. Siamo dunque vicini alla saturazione, ma solo il 15% del
totale delle abitazioni libere (con un potenziale di circa 10 milioni di posti letto) è oggi
destinato a rendita con la soluzione dell'affitto per brevi periodi. Circa 500mila case, su un
totale di 3,5 milioni a disposizione dei privati (escluse pertinenze e annessi): 1,44 milioni al
Nord, 700mila al Centro e 1,36 milioni al Sud.
Quel mezzo milione di abitazioni è ancora poco, se si pensa a un flusso turistico di oltre 100
milioni di persone che si trova di fronte, secondo l'Osservatorio nazionale del turismo, una
capacità alberghiera pari a 34mila unità (e con 2,25 milioni di posti letto). È poco, inoltre, dato
che per uniformarsi al trend dei Paesi europei servirebbe un aumento del 250%, e cioè
l'immissione sul mercato di 7-800mila case destinate ad affitto breve. Così afferma uno studio
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di Halldis, società del gruppo Windows On Europe, che per elaborare questi numeri si è avvalsa
della collaborazione di Enel nell'analisi campionaria degli allacci di fornitura energetica.
La scelta extra-alberghiera è sostenuta soprattutto dal turismo straniero (oltre il 70% degli
affitti deriva da clienti internazionali provenienti da 223 Paesi) e la località più richiesta è la
Costa Smeralda, seguita da Valtellina, Liguria, Versilia, Valle D'Aosta, Dolomiti e Calabria –
alcune delle aree a più alta densità di seconde case. La preferenza è per abitazioni con una
superficie media di 55 mq, spazi esterni, vicinanza al mare e a principali punti di interesse
turistico, e con un valore di mercato superiore ai 200mila euro.
Attraverso i suoi servizi di property management, Halldis ha sviluppato un'analisi su un
campione di 1.300 abitazioni gestite e rappresentative del mercato, per dimostrare la
convenienza dell'affitto stagionale, confrontando i costi sostenuti dai proprietari di seconde
case e i potenziali ricavi. Perché la crescita della domanda può rallentare proprio a causa di un
deficit di informazione e alla mancanza di infrastrutture adatte ad accogliere le nuove
presenze.
Quali sono le spese? Partendo dai dati elaborati da Federconsumatori, l'analisi di Halldis ha
preso in esame tre differenti profili immobiliari sul territorio italiano: un bilocale di 70 mq in
centro città (ad esempio Roma, Milano, Firenze, Napoli o Bologna); un bilocale di 55 mq in
posizione turistica (Oristano, Sorrento, Madesimo o Chiavari); una villa di prestigio di 300 mq
in località turistica (Toscana, Sardegna, Sicilia, Veneto o Trentino). Tra bollette, imposte e
manutenzione, il primo profilo vede costi annui pari a 447 euro, il secondo a 355 euro, il terzo
a 1.687 euro. A cui aggiungere altre spese di gestione legate all'affitto breve quali pulizia,
fornitura di lenzuola e asciugamani, servizio accoglienza, internet eccetera, per 280 euro (con
un tasso di riempimento medio del 70%).
La permanenza media del viaggiatore turistico nelle case vacanza è di una settimana.
Ipotizzando che una soluzione per 3/4 persone abbia un costo medio di 1.200 euro per sei
notti, l'attuale numero di prenotazioni (circa 40 milioni di notti) produce un fatturato stimato in
circa 6,6 miliardi di euro. Se dunque si arrivasse a un'offerta vicina a quella degli altri Paesi
europei, con un aumento del 250% delle case vacanza, da questo settore extra-alberghiero
l'Italia potrebbe arrivare a generare ricavi per 16 miliardi di euro: vale a dire 10 miliardi in più
(e non si conta l'indotto).
Il ritorno lordo per ogni famiglia che metta un immobile a disposizione sarebbe di 10mila euro
annui. Al netto delle tasse e dei costi di gestione, per i proprietari di seconde case l'introito
varierebbe in media tra i 3mila e i 5mila euro, che andrebbero ampiamente a coprire i costi
sostenuti per mantenere l'abitazione.
(Dario Aquaro, http://www.casa24.ilsole24ore.com/ 18 luglio 2013)
 Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
 Opzione per il prelievo con il contratto preliminare
Il regime Iva sulle cessioni di immobili, al pari delle locazioni, si avvia verso un assetto
definitivo dopo le istruzioni fornite con la circolare delle Entrate n. 22/E del 28 giugno 2013
dopo la modifica introdotta al regime Iva dal Dl n. 83/2012.
Le regole base
Le cessioni di fabbricati abitativi effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino, entro
cinque anni dall'ultimazione della costruzione o dell'intervento di recupero, sono soggette a Iva
nella misura del 10% (4% se prima casa, 21% se abitazioni di lusso). Fin qui nessuna novità.
Qualora le imprese cedano i medesimi immobili successivamente al quinquennio la cessione è
soggetta a Iva se il cedente, nel relativo atto, opta per l'applicazione dell'imposta. Si deve
trattare di fabbricati abitativi costruiti o ripristinati dalle medesime imprese; se invece
un'impresa costruttrice cede un fabbricato ricevuto in permuta già ultimato, la cessione è
comunque esente da Iva. Dal 12 agosto 2012 è consentito applicare l'Iva sulle cessioni di
fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali (Dm 22 aprile 2008) per i quali nel relativo atto il
cedente opti per l'imponibilità dell'operazione. In questo caso il cedente può anche non essere
costruttore, ma manca il coordinamento con la norma relativa alla detrazione; infatti in forza
dell'articolo 19 bis 1, lettera i, del Dpr 633/1972, per l'acquisto di fabbricati abitativi, l'Iva è
detraibile solo per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell'attività la
costruzione dei predetti fabbricati. Quindi un'impresa che detiene abitazioni "sociali" non ha
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interesse ad applicare l'Iva a valle se non ha detratto quella a monte. A meno che la facoltà di
applicare l'Iva sulle cessioni non comporti implicitamente il diritto alla detrazione, ma questa
interpretazione appare eccessiva.
I fabbricati strumentali
Per le cessioni di fabbricati strumentali scatta l'obbligo della applicazione dell'Iva per le cessioni
effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino entro cinque anni dall'ultimazione. In tutti gli
altri casi e cioè per le cessione oltre il quinquennio dalla ultimazione, o per le vendite da parte
di imprese non costruttrici, l'applicazione dell'Iva è consentita su opzione. Dal 26 giugno 2012
è venuto meno l'obbligo di applicare l'Iva sulle cessioni di fabbricati strumentali nei confronti di
soggetti non passivi ai fini Iva e di soggetti che effettuano operazioni esenti in misura
superiore al 75% (esempio cessione di un ufficio a una banca).
L'Iva con il meccanismo dell'inversione contabile si applica anche alle cessioni di fabbricati
abitativi per i quali l'impresa cedente abbia optato per l'imponibilità (cessione oltre il
quinquennio dalla ultimazione) e viene confermato per le cessioni di fabbricati strumentali. La
regola è che il reverse charge si applica quando il cedente applica l'Iva su opzione e
l'acquirente sia un soggetto passivo d'imposta (impresa o professionista). Non si applica il
reverse charge quando la cessione riguarda un fabbricato non ultimato nella cui ipotesi l'Iva si
applica sempre nei modi ordinari.
La scelta di applicare l'Iva sulle cessioni di fabbricati deve essere formulata nel relativo atto.
Quindi l'opzione deve essere espressa nel preliminare (se stipulato) con obbligo di
registrazione a tassa fissa oltre allo 0,5% per la quietanza se è prevista la caparra non
soggetta ad Iva. Così facendo sia gli acconti che il saldo sono soggetti ad Iva. In assenza del
preliminare gli acconti sono esenti da Iva, mentre il saldo può essere assoggettato ad imposta
se nel rogito viene esercitata l'opzione. L'applicazione sia dell'imposta di registro sugli acconti,
che dell'Iva sul saldo si può verificare anche in relazione alla cessione di un fabbricato abitativo
avvenuta a cavallo del 26 giugno 2012.
(Gian Paolo Tosoni Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, Focus – Iva e Fatture: le nuove regole)
 Chi compra casa detrae la mediazione
Il bonus fiscale relativo alle spese per l'intermediazione immobiliare spetta all'acquirente e non
al venditore. La detrazione del 19% sui compensi pagati a soggetti di intermediazione
immobiliare, introdotta a decorrere dal 2007, può essere fruita da parte di coloro che
acquistano una unità immobiliare da adibire ad abitazione principale, intendendosi quella nella
quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente, in base alla nozione rilevante ai
fini Irpef.
Nozione che può essere anche differente da quella necessaria per ottenere l'agevolazione ai fini
dell'Iva o dell'imposta di registro per l'acquisto della prima casa, (che deve essere
necessariamente ubicata nel comune in cui l'acquirente ha o si impegna a trasferire la propria
residenza anagrafica).
Secondo le Entrate, per ottenere lo sconto sulle spese di intermediazione, l'immobile
acquistato deve essere adibito ad abitazione principale entro i termini previsti per usufruire
della detrazione relativa agli interessi passivi su mutui, e quindi ordinariamente entro un anno
dall'acquisto, salvi i diversi termini per le eccezioni previste dalla norma. L'importo massimo su
cui calcolare la percentuale del 19% è di 1.000 euro per ciascuna annualità e, se l'acquisto è
stato effettuato da più comproprietari, la detrazione deve essere ripartita in ragione della
percentuale di proprietà.
I coniugi che acquistano la casa al 50% quindi possono usufruire del beneficio fiscale metà per
ciascuno. Vale il principio di cassa, per cui conta l'anno in cui la spesa è stata effettivamente
sostenuta, mentre non occorre che nello stesso anno sia stato stipulato l'atto pubblico di
compravendita. La detrazione è fruibile, infatti, anche in presenza di un compromesso, purché
regolarmente registrato, con l'ovvia conseguenza che, nel caso non si proceda in seguito alla
stipula del definitivo, viene meno il beneficio e la detrazione deve essere restituita.
Particolari regole sono state dettate in ordine alla documentazione comprovante il
sostenimento della spesa. Se la fattura è intestata a un solo proprietario, ma l'immobile è in
comproprietà, al fine di ammettere al beneficio della detrazione anche il comproprietario non
indicato in fattura, occorre integrare la fattura medesima annotandovi i dati di quest'ultimo.
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Nel caso in cui invece l'immobile sia intestato a un solo soggetto e la fattura a più soggetti,
l'unico proprietario può annotare in fattura di aver sostenuto interamente la spesa. Se infine la
fattura è intestata esclusivamente a un contribuente che non risulta intestatario, neanche per
quota, dell'immobile, non si ha diritto a ottenere l'agevolazione.
(Luciano De Vico, Il Sole 24 ORE, Norme e Tributi, 16 luglio 2013)
 IVIE allo 0,4% per tutte le abitazioni principali
La legge di Stabilità per il 2013 ha modificato le disposizioni in materia di imposta sul valore
degli immobili situati all'estero (IVIE). La novità principale riguarda il rinvio della decorrenza di
tale imposta dal 2011 al 2012. L'IVIE già pagata con riferimento al 2011 costituirà acconto di
quella dovuta per il 2012. Sono, inoltre, estese a tutte le persone fisiche le agevolazioni già
previste per i dipendenti pubblici all'estero: aliquota agevolata dello 0,4% per l'abitazione
principale e non tassabilità ai fini IRPEF del reddito dell'immobile assoggettato all'IVIE.
L'art. 19, commi 13 e segg. del D.L. 201/2011, convertito in legge 214/2011, ha introdotto, a
decorrere dal 2011, l'imposta sul valore degli immobili all'estero (IVIE). Essa rappresenta
un'imposta patrimoniale sugli immobili situati all'estero corrispondente all'IMU prevista per gli
immobili detenuti in Italia. La normativa è stata modificata dall'art. 8, comma 16, lett. e), f)
e g) del D.L. 16/2012 convertito in legge 44/2012. L'art. 1, commi 518 e 519, della legge di
Stabilità 2013 (legge 228 del 24 dicembre 2012) ha apportato ulteriori significative modifiche
di seguito analizzate.
Decorrenza dal 2012
Il comma 518 dispone che l'anno di decorrenza dell'imposta viene fissato nel 2012.
Con tale modifica è superata la differenza di trattamento rispetto all'IMU, la cui decorrenza era
già prevista dal 2012, ed è evitata l'apertura di una procedura d'infrazione da parte degli
organi comunitari.
Avendo inizialmente decorrenza dal 2011, nella compilazione del mod. UNICO 2012 i soggetti
interessati hanno provveduto a compilare la sezione XVI del quadro RM, assoggettando a
tassazione tali immobili. A seguito della modifica in esame, nulla è dovuto e chi, in relazione a
tale annualità, ha omesso il versamento o ha sbagliato i conteggi non dovrebbe essere
passibile di sanzioni.
Versamenti per l'anno 2011
Il successivo comma 519 dispone che i versamenti effettuati per il 2011, risultanti dalla
dichiarazione UNICO 2012, vengono considerati quali versamenti in acconto per il 2012. Il
quadro RM del mod. UNICO 2013 dovrà, pertanto, essere modificato per consentire lo
scomputo di tali acconti. Certamente si verificheranno casi di maggiori importi versati che
generano un credito d'imposta da richiedere a rimborso o da utilizzare in compensazione. Tali
aspetti devono, tuttavia, ancora essere chiariti.
Versamenti con cadenza IRPEF
Il comma 518 dispone, inoltre, che a decorrere dalla dichiarazione dei redditi per il 2012
dovranno essere effettuati versamenti a saldo e in acconto relativamente all'IVIE, così come
avviene per l'IRPEF. Pertanto, non sarà più l'Agenzia delle entrate a determinare i termini dei
versamenti ma dovranno essere applicate le regole IRPEF relative ai versamenti in acconto e a
saldo.
Aliquota agevolata per l'abitazione principale
Il comma 518 introduce il nuovo comma 15-bis dell'art. 19 che estende l'applicazione
dell'aliquota agevolata dello 0,4% agli immobili adibiti ad abitazione principale da chiunque
posseduti. Prima della modifica in commento l'aliquota era fissata nella misura dello 0,76%,
con la riduzione allo 0,4% per gli immobili adibiti ad abitazione principale dai dipendenti
pubblici all'estero (soggetti che prestano lavoro all'estero per conto dello Stato, della Pubblica
amministrazione oppure presso organismi internazionali).
Definizione di abitazione principale
Ai sensi dell'art. 8, comma 2, del D.Lgs. 504/1992 «per abitazione principale si intende quella
nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi
familiari dimorano abitualmente».
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IVIE IN SINTESI
SOGGETTO PASSIVO
ALIQUOTA E
IMPONIBILE
BASE
ABITAZIONE
PRINCIPALE
VERSAMENTI
Il soggetto passivo è la persona fisica residente nel territorio dello
Stato proprietaria dell'immobile o titolare di un diritto reale
sull'immobile stesso (con esclusione della nuda proprietà). L'imposta
è dovuta proporzionalmente alla quota di possesso e ai mesi dell'anno
nei quali si è protratto il possesso (per possesso di più di 15 giorni si
tiene in considerazione l'intero mese).
L'aliquota è stabilita nella misura dello 0,76%. La base imponibile è
costituita dal costo dell'immobile, quale risultante da atto d'acquisto o
da altri contratti e, in mancanza, dal valore di mercato rilevabile nel
luogo in cui è situato l'immobile.
Per quanto attiene gli immobili situati nell'Unione europea e in altri
Paesi aderenti allo spazio economico europeo che possono garantire
un adeguato scambio di informazioni, il valore è quello catastale,
come determinato nel luogo in cui l'immobile è situato ai fini
dell'assolvimento di imposte di natura patrimoniale o reddituale. In
mancanza di tale valore catastale, si dovrà tornare alla regola
generale, sopra descritta.
All'imposta si applica una franchigia pari a euro 200.
L'aliquota è ridotta allo 0,4% se si tratta di immobile adibito ad
abitazione principale con franchigia pari a euro 200.
Il versamento, sia in acconto che a saldo, deve avvenire con le stesse
disposizioni applicate per l'IRPEF.
Poiché la legge di Stabilità ha posticipato l'istituzione dell'IVIE dal
2011 al 2012 quanto finora corrisposto dai contribuenti a titolo di
IVIE si intende versato in acconto dell'imposta del 2012.
Non tassabilità IRPEF
Il comma 518, infine, estende a tutte le persone fisiche che possiedono immobili all'estero
soggetti all'IVIE la non tassabilità del reddito dell'immobile ai fini IRPEF. Pertanto, sulle
abitazioni principali e sugli immobili seconde case non locate non si applica l'IRPEF sul reddito
fondiario. Anche tale agevolazione, prima della modifica introdotta dalla legge di Stabilità, era
riconosciuta solo ai dipendenti pubblici all'estero.
(www.immobili24.ilsole24ore.com, 4 luglio 2013)
 Locazioni immobiliari
 Locazioni. Niente imponibilità obbligatoria per i beni strumentali
L'agenzia delle Entrate detta le regole per le locazioni di fabbricati in corso al 26 giugno 2012
(entrata in vigore del Dl n. 83/2012). Da tale data, le locazioni di fabbricati abitativi dalle
imprese costruttrici o ristrutturatrici degli stessi, possono essere assoggettate a Iva, con
aliquota 10% (anziché sottostare al generale regime di esenzione), previa opzione nel
contratto d'affitto, esercitabile anche per le locazioni degli "alloggi sociali". Per i fabbricati
strumentali, inoltre, non è più prevista l'imponibilità obbligatoria (locatario con pro-rata di
detrazione non superiore al 25%, ovvero privato o soggetto assimilato). La locazione di tali
immobili, pertanto, è sempre esente, ma è anche sempre possibile optare per l'applicazione
dell'Iva. Per tutte le locazioni (abitative e non) stipulate dal 26 giugno 2012, quindi, la scelta,
quando è ammessa, si esercita direttamente nel contratto e vincola il regime fiscale dei canoni
fino al termine del rapporto. Tale scelta può essere modificata in sede di rinnovo del contratto
o se, prima della scadenza, subentra un nuovo locatore. In questo caso, si potrà modificare il
regime dei canoni, comunicandolo alle Entrate con modalità che saranno successivamente
fissate.
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Fabbricati abitativi
Secondo la circolare n. 22/E/2013, le nuove regole si applicano anche ai contratti in corso al 26
giugno 2012, fermo restando il principio per cui eventuali modifiche di regime valgono solo per
i canoni non pagati né fatturati a tale data. Per la locazione di un abitativo, l'opzione "in corsa"
per l'Iva si esercita con un apposito atto integrativo soggetto a registrazione volontaria
(scrittura non autenticata) con il pagamento dell'imposta (67 euro), in linea con quanto
affermato in passato dall'Agenzia (risoluzione 60/E/2010). La scelta della registrazione
volontaria, tuttavia, non convince poiché il contratto modificato è soggetto a registrazione in
termine fisso. In tal caso (mancata registrazione), comunque, l'opzione andrà comunicata
all'Ufficio con modalità ancora da definire.
In ogni caso, la circolare non prevede un termine per i contratti in essere, fermo restando che
l'opzione è efficace solo dal momento in cui è esercitata, mentre, per i canoni già riscossi o
fatturati, vale il regime "applicato" nel momento d'effettuazione dell'operazione ex articolo 6,
Dpr 633/72. Prendendo atto che, in attesa d'istruzioni, molti locatori hanno applicato l'Iva sui
canoni successivi al 26 giugno 2012, comunicando l'opzione con le modalità di cui alla
risoluzione n. 2/E/2008, opportunamente l'Agenzia attribuisce validità alla scelta espressa (da
confermare però con l'atto integrativo). Nulla è detto, invece, con riguardo a chi, pur avendo
fatturato con Iva, abbia omesso la comunicazione con le regole (a suo tempo ritenute)
applicabili. In base al buon senso, nessuna conseguenza dovrebbe derivare a tali soggetti, dato
che i chiarimenti sono arrivati dopo un anno (si ritiene, tuttavia, che occorra integrare il
contratto e comunicare la scelta operata).
Fabbricati strumentali
Per i fabbricati strumentali poiché non vi sono più contratti a Iva "obbligatoria", chi ha
applicato e vuole continuare ad applicare l'imposta non deve fare né atto integrativo né
comunicazione, nonostante che si tratti, a rigore, di un'opzione. Coloro che, invece, volessero
lasciar agire il regime naturale d'esenzione, potranno farlo, anche se hanno proseguito a
fatturare con Iva dopo il 26 giugno 2012. Per i "vecchi" contratti a Iva opzionale (locatario con
pro-rata superiore al 25%), invece, vale la scelta operata a suo tempo per l'imponibilità o
l'esenzione. Infine, chi aveva "cautelativamente" optato per l'Iva, pur in presenza di un
contratto obbligatoriamente imponibile, non deve temere nulla. Può decidere di "entrare" in
esenzione (ne dovrebbe derivare la necessità dell'atto integrativo) oppure continuare a
fatturare con Iva. In tal caso, si ritiene che valga il comportamento "confermativo".
(Massimo Sirri, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, Focus – Iva e Fatture: le nuove regole)
 Edilizia e urbanistica
 Aree edificabili - La cessione gratuita riduce le plusvalenze immobiliari
La cessione gratuita delle aree ai Comuni – prevista dalla convenzione di lottizzazione – riduce
la plusvalenza sul trasferimento oneroso del terreno edificabile. Ciò anche quando la liberalità
avviene con atto separato rispetto al complesso dei negozi giuridici che perfezionano la
convenzione. Lo precisa la sentenza 46/24/2013 della Ctr Lombardia.
Il caso affrontato riguarda la ripresa a tassazione di un maggiore plusvalore immobiliare ai
sensi degli articoli 67 e 68 del Tuir. In particolare, l'agenzia delle Entrate ha rideterminato la
plusvalenza tassabile derivante dalla cessione di un'area suscettibile di utilizzazione edificatoria
come differenza tra il corrispettivo percepito e il costo di acquisizione rivalutato, ritenendo non
inerente il costo sostenuto per la cessione dell'area a titolo gratuito al Comune. La legislazione
urbanistica prevede, infatti, che la lottizzazione dei terreni viene concessa dai Comuni
subordinandola alla stipula di una convenzione che prevede, sovente, la cessione gratuita delle
aree necessarie per le opere di urbanizzazione primarie e secondarie nonché l'assunzione a
carico del proprietario del terreno degli oneri relativi a dette opere. E, secondo l'ufficio, il
valore delle aree cedute gratuitamente non poteva essere considerato un onere inerente alla
compravendita dei terreni, in quanto il trasferimento dell'area al Comune, avvenuto con atto
separato, non era collegato all'obbligazione principale intercorsa con le parti.
La Ctr Lombardia ha accolto il ricorso e ha richiamato i chiarimenti della sentenza 1366/1999
della Cassazione secondo la quale la convenzione di lottizzazione non è necessariamente
costituita da un unico negozio stipulato tra il proprietario e il Comune anche perché al
perfezionamento della convenzione possono contribuire distinti atti giuridici collegati tra loro
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integrandosi a vicenda. Nel caso in esame, quindi, l'atto con cui l'originario proprietario dei
terreni edificabili – in adempimento dell'obbligazione assunta con gli acquirenti – ha ceduto
gratuitamente al Comune la proprietà delle aree destinate all'urbanizzazione non si può
considerare come un autonomo atto di liberalità ma come adempimento dell'obbligazione già
assunta nella vendita del terreno e accettata preventivamente dall'ente con la stipula della
convenzione con gli acquirenti dell'area fabbricabile. Pertanto il negozio di cessione gratuita
costituisce un unicum con la vendita onerosa delle aree destinate alla lottizzazione e il costo
delle porzioni cedute gratuitamente va considerato incrementativo del bene ceduto e riduce la
plusvalenza tassabile.
La Ctr richiama anche la sentenza 3963/2002 della Cassazione che si è espressa a favore della
natura di oneri di urbanizzazione dei terreni acquistati per essere ceduti gratuitamente al
Comune: trattandosi di costi determinati da obblighi di legge, costituiscono oneri deducibili ai
fini delle imposte sui redditi.
(Siro Giovagnoli, Emanuele Re, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 01 luglio 2013)

La ricostruzione perde i vincoli
Con l'eliminazione del vincolo di rispettare la sagoma negli interventi di demolizione e
ricostruzione del patrimonio edilizio esistente per effetto del Dl 69/2013 (decreto "del fare") si
potrà rimodellare profondamente la conformazione delle città, superando gli indici di
edificabilità assegnati dai piani regolatori alla sola condizione di non aumentare la volumetria
preesistente.
Secondo il Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001) gli interventi di ristrutturazione edilizia
consistono nelle opere rivolte a trasformare gli organismi edilizi «mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad un edificio in tutto o in parte diverso dal
precedente». Questi interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nella ristrutturazione edilizia è compresa anche la demolizione e ricostruzione. Mentre la
possibilità di modificare la sagoma era già riconosciuta dal Testo unico per le opere che non
comportano la demolizione integrale, il decreto "del fare" consentirà di modificare la sagoma
anche nelle operazioni di demolizione e ricostruzione.
Le possibilità di intervento
La norma entra in vigore con la legge di conversione del decreto, quindi al più tardi il 21
agosto. A breve sarà possibile, ad esempio, trasformare un'autorimessa composta da più piani
interrati (a cui il titolo edilizio originario riconosceva la permanenza di persone per lo
svolgimento di attività lavorative), in una palazzina che trasferisce la volumetria nel
soprassuolo (aumentando l'altezza dell'edificio preesistente o erigendo ex novo sull'area
sovrastante), collocando nel sottosuolo i parcheggi senza permanenza di persone.
Il caso può apparire irragionevole, ma corrisponde alla realtà di diversi interventi realizzati in
Lombardia durante la vigenza dell'articolo 27, comma 1, lettera d), della legge regionale
12/2005, che per primo aveva eliminato l'obbligo del rispetto della sagoma negli interventi di
demolizione e ricostruzione. La norma era stata annullata dalla sentenza della Corte
Costituzionale 309/2011 per il contrasto con il principio fondamentale contenuto nella
definizione di ristrutturazione del Testo unico sull'edilizia. Ma la definizione ora è stata riscritta
nei termini citati eliminando così il vizio di incostituzionalità.
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Senza giungere al caso limite appena illustrato, si deve rimarcare che il solo vincolo del
rispetto della volumetria consentirà agli interventi di demolizione e ricostruzione infedele di
superare l'indice edilizio (generalmente espresso dal rapporto tra la volumetria o superficie
edificabile e la superficie dell'area di intervento) assegnato dallo strumento urbanistico
comunale, tutte le volte in cui esso sia inferiore alla volumetria esistente. Questo è un caso
molto frequente nei tessuti consolidati delle nostre città, dove gli edifici sono stati costruiti ben
prima dell'approvazione del primo piano regolatore (che ha poi imposto indici inferiori
all'esistente), se non prima della stessa legge urbanistica nazionale del 1942.
Appaiono evidenti le positive implicazioni per la rigenerazione dello stock edilizio italiano il cui
valore, in ragione del riconosciuto degrado, è da attribuirsi quasi esclusivamente alla
localizzazione e alla volumetria espressa.
Ma vi è una seconda novità non meno importante introdotta dal decreto: potranno mantenere
la volumetria esistente senza vincolo di sagoma anche «gli interventi rivolti al ripristino di
edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione purché
sia possibile accertarne la preesistente consistenza». Per questa via, di cui non risultano
precedenti nella legislazione regionale, si potrà porre rimedio alle ferite inferte alle nostre città
da sinistri, calamità naturali ed eventi bellici.
Gli edifici vincolati
Un'ultima notazione, critica, merita la previsione che continua ad imporre il rispetto della
sagoma agli immobili sottoposti a vincoli. Il decreto non considera che la difesa dei valori
culturali riconosciuti dal vincolo è assicurata dalla necessaria e preventiva autorizzazione che
deve essere rilasciata dagli organi tutori (su tutti le soprintendenze).
Per salvaguardare i beni vincolati resta ferma anche la possibilità che il Prg inibisca gli
interventi di demolizione e ricostruzione infedele in determinate aree o zone urbanistiche.
(Guido Inzaghi Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 1 luglio 2013)

Edilizia, silenzio-assenso con limiti
Il «decreto del fare» (articolo 30, comma 1, lettera b del Dl 69/2013) ha introdotto il «silenzioassenso» in edilizia prevedendo che la mancata risposta del dirigente entro 30 giorni dalla
proposta dello sportello unico faccia intendere accolta l'istanza. Dimostrando l'avvenuta
cadenza delle fasi antecedenti (a partire dalla data di presentazione dell'istanza in poi), si può
quindi iniziare l'attività edilizia.
Chi intende opporsi ai lavori iniziati dal vicino che inizia a costruire grazie a un silenzio assenso
deve impugnare il provvedimento formatosi in modo tacito entro 60 giorni dall'inizio
dell'attività edile.
Se ci sono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, il provvedimento necessario per
costruire deve essere espresso (scritto, non tacito) ed emesso dall'organo competente. Il
permesso di costruire può essere composto da una parte di competenza dell'amministrazione
preposta alla tutela del vincolo e di una parte di competenza del Comune. Ad esempio, un
intervento in zona adiacente a un corso d'acqua va valutato sotto l'aspetto ambientale (con
parere ad hoc) e sotto l'aspetto edilizio (distanze, indici, allineamenti).
Se c'è un diniego espresso, formale, da parte dell'autorità competente a gestire il vincolo, il
silenzio da parte del Comune mantenuto per i 30 giorni successivi equivale a rigetto
dell'istanza del privato; equivale cioè a un provvedimento scritto che respinga l'istanza
ritenendola non accoglibile. Il soggetto interessato potrà impugnare il rigetto entro 60 giorni
davanti al Tar, opponendosi al parere negativo dell'autorità che si è pronunciata
sfavorevolmente sul vincolo. Mentre il Comune può restare in silenzio, il parere sfavorevole del
l'autorità competente va comunicato dal Comune all'interessato entro cinque giorni, e potrà
essere quindi impugnato dal privato sottolineando che non vi è impatto ambientale della
costruzione rispetto agli elementi di pregio.
Se il parere dell'autorità preposta alla gestione del vincolo è favorevole all'attività edilizia, ed è
invece il Comune a esprimersi in senso sfavorevole alla costruzione per motivi diversi dalla
compatibilità ambientale, il dissenso del Comune deve essere espresso, cioè formale e
motivato, perché è diritto del cittadino ottenere sempre una risposta anche se in forma
semplificata (articolo 2 della legge 241/1990, modificato dalla legge 190/2012). Se l'autorità
competente a esprimersi è favorevole all'intervento ed è invece il Comune a rimanere inerte, il
soggetto interessato potrà attivare un potere sostitutivo entro sette giorni rivolgendosi al
soggetto indicato dall'amministrazione o reperito sul sito Internet, oppure impugnare il silenzio
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rifiuto del Comune entro un anno davanti al Tar, chiedendo ai giudici di accertare la fondatezza
della propria pretesa e, se lo ritiene, chiedendo anche un indennizzo (30 euro al giorno) per il
ritardo, oltre il risarcimento di eventuali danni (biologico per l'affanno, ansia eccetera:
Consiglio di Stato, sentenza 1271/2011).
Per la segnalazione certificata di inizio attività (Scia), applicabile per le manutenzioni e fino alle
ristrutturazioni (tranne che nei centri storici), l'attività edilizia può iniziare subito se sono stati
chiesti e ottenuti tutti i pareri e nulla osta necessari. La richiesta dei pareri può essere affidata
dall'interessato allo Sportello unico attività produttive (Suap), ufficio che otterrà i pareri entro
60 giorni. Termini superiori causano la convocazione di una Conferenza di servizi con le
autorità che devono esprimere un parere (articolo 23-bis del Dpr 380/2001 introdotto
dall'articolo 30 del Dl 69/2013).
La Scia, che rende agevoli gli interventi, è rallentata (articolo 23-bis del Dpr 380/2001) nei
centri storici (zone omogenee «A» dei piani urbanistici) dovendosi sempre attendere 20 giorni
dalla presentazione della segnalazione, anche nei casi in cui non è necessario chiedere alcun
parere perché non vi sono vincoli.
(Maria Teresa Farina, Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 2 luglio 2013)

Il nodo del commercial real estate passa dalle strategie delle banche
È il tema del momento. Nei convegni, negli incontri e nelle interviste con i protagonisti del
settore da tempo e sempre più viene menzionato il tema di una bad bank, una realtà tutta
italiana che potrebbe ricalcare il modello già realizzato in Spagna per assorbire i crediti in stato
di insolvenza, soprattutto legati al mercato immobiliare. Settore che in Spagna da ormai oltre
cinque anni vive una fase di pesante crisi in seguito allo scoppio della bolla del mattone.
In Italia da molti mesi il legame tra banche e gli immobili in sofferenza è sotto i riflettori, ma
finora gli istituti di credito sono rimasti quasi inamovibili.
Bankitalia mesi fa ha promosso un'azione quasi di "moral suasion" per spingere gli istituti di
credito a svalutare i pacchetti di immobili in sofferenza che gravano sui loro bilanci. Operazione
che un esito l'ha avuto, di quale entità non è possibile dirlo. Fatto sta che gli istituti di credito
italiani ancora nei prossimi mesi saranno costretti a verificare, anche su pressione della Banca
d'Italia, l'adeguatezza delle rettifiche di valore effettuate per salvaguardare la qualità
dell'attivo.
Che fine farà questo patrimonio immobiliare oggi ingessato è, secondo molti esperti, il nodo del
real estate che si è chiamati a sciogliere oggi.
Quasi due anni fa da queste pagine si iniziò a parlare di repricing, e oggi proprio quella
revisione delle quotazioni del mattone commerciale sta dando i primi frutti, e le operazioni
nella tarda primavera sono fiorite.
«Le banche hanno di fronte tre possibilità – dice un esperto –: vendere gli immobili
direttamente sul mercato, a prezzi che siano oggi in linea con l'andamento di un settore in crisi
da più di cinque anni, creare fondi immobiliari in cui inserire gli asset in sofferenza (e alcune
operazioni in tali termini sono state studiate) e, infine, il caso peggiore, la creazione appunto di
una bad bank, da molti vista come l'ultima spiaggia».
L'indagine effettuata nei mesi scorsi da Bankitalia riguardava la componente immobiliare e
aveva lo scopo di accertare se, a fronte di crediti garantiti da case, palazzi e altre strutture
immobiliari, le banche avessero effettuato adeguate rettifiche e svalutazioni di questi beni. Va
tuttavia segnalato che, in una recente indagine della Banca d'Italia, che fotografava l'ultimo
trimestre 2012, l'importo medio erogato da banche e finanziarie copre solo il 57,8% del prezzo
degli immobili. La forbice sta a indicare che, nonostante il calo dei prezzi delle abitazioni, gli
istituti di credito hanno preferito rimanere sulla difensiva.
Finora non è stata creata una bad bank perché il deterioramento del credito è ritenuto in linea
con le aspettative, ma se così non fosse, il passo obbligato sarà quello di cedere i toxic asset a
un'entità esterna, come avvenuto in Irlanda nel 2009 e in Spagna nel 2012.
Morgan Stanley ritiene, in un recente studio, che il valore del deleveraging degli istituti di
credito del Vecchio continente si aggiri attorno a 600 miliardi e l'obiettivo di riduzione della
leva allo stato attuale è stato raggiunto per una quota pari al 20-25% circa. Sempre Morgan
Stanley stima che tra il 2015 e il 2017 il develeraging in Europa sarà di 1.600-3mila milioni di
euro, con una significativa proporzione avvalorata dal "commercial" real estate.
«Dal settembre scorso gli investitori internazionali hanno ricominciato a guardare l'Italia, spinti
dall'arrivo del Governo Monti – dice Paola Bellacosa, executive director di Cbre –. Le operazioni
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di recente concluse, però, non sempre denotano un ritorno di interesse per il nostro Paese. A
vendere sono spesso proprio investitori esteri che vogliono lasciare il Paese. Si tratta di
venditori internazionali che hanno già svalutato le loro posizioni o sono comunque disposti ad
accettare delle minusvalenze rispetto ai loro valori di acquisto. E spesso sono asset finanziati
da banche straniere che hanno fatto il mark to market della loro posizione. La maggioranza del
real estate commerciale resta in mano saldamente a soggetti italiani, finanziati da banche
italiane. Le quali fino ad oggi non hanno fatto nulla per i crediti incagliati. Sono le banche il
grande freno alla ripresa delle transazioni».
Un tema cruciale, un problema sistemico che blocca il settore. «Su circa 660 miliardi di
esposizione all'Immobiliare, circa 100 miliardi sono di commercial real estate in Italia – dice
Bellacosa – e se oggi facessimo ilmark to market di queste posizioni avremmo minusvalenze
ben elevate».
Senza una operazione sistemica di pulizia, il commercial real estate è destinato a rimanere
fermo per anni, da un lato perché le banche non possono liberarsi di asset ormai tossici,
dall'altro perché in queste condizioni non possono erogare nuovo credito. Certo si potrà dire
che i bilanci delle banche Italiane sono storicamente più solidi, ma intanto negli altri Paesi
questa operazione di pulizia ha consentito al mercato di ripartire o ve ne ha posto basi più
solide e durature. «Le esperienze più note sono la Sareb in Spagna e la Nama in Irlanda – dice
Bellacosa –, due approcci diversi a seconda delle situazioni ma che sono stati implementati
attraverso un passaggio politico nazionale e comunitario».
Il tema dei valori è legato anche all'inamobilità dello stock immobiliare. «Oggi bisognerebbe
poter pagare un valore congruo per un immobile di uffici di grado C in centro città, un valore
che ne permetta la demolizione e la ricostruzione dato che un asset di quel tipo non vale
sostanzialmente nulla – dice ancora Bellacosa –. Un valore che ne consenta altrimenta una
completa riconversione in edificio di housing sociale».
(Paola Dezza, Il Sole 24 ORE – Casa 24 plus, 4 luglio 2013)
 Certificazione energetica
 Il certificato sui consumi si consegna in anticipo
Le nuove norme in tema di prestazione energetica degli edifici introdotte dal decreto legge
63/2013 hanno un significativo impatto anche sulla contrattualistica inerente i trasferimenti
immobiliari. E non si tratta solo dei contratti "definitivi" (cioè quelli con i quali si trasferisce la
proprietà, il cosiddetto rogito notarile) ma anche della contrattazione preliminare, vale a dire
quella con la quale i contraenti programmano un futuro trasferimento immobiliare,
obbligandosi alla stipula del contratto definitivo.
A quest'ultimo riguardo, la nuova legge infatti prevede che:
- nel caso di vendita di un edificio "futuro" (e cioè ancora da costruire, la cosiddetta
vendita sulla carta o in pianta) il venditore deve fornire all'acquirente evidenza della
futura prestazione energetica dell'edificio: quindi è opportuno inserire nel contratto, in
apposita clausola, che il venditore ha dato l'informativa contenente la sua previsione
sulla futura classe di prestazione energetica; successivamente, a fine lavori, prima del
rilascio del certificato di agibilità (secondo un emendamento inserito nel Dl 63 in fase di
conversione), il venditore deve materialmente consegnare all'acquirente l'attestato di
prestazione energetica;
- in relazione al fatto che gli immobili in vendita devono essere immessi sul mercato
mediante annunci (su qualsiasi mezzo di comunicazione) che riportino «l'indice di
prestazione energetica dell'involucro edilizio e globale dell'edificio o dell'unità
immobiliare e la classe energetica corrispondente», all'atto dell'avvio di trattative
preordinate all'eventuale stipula di un contratto di compravendita immobiliare il
proprietario deve «rendere disponibile» l'Ape al potenziale acquirente;
- alla fine delle trattative (e, quindi, alla stipula del contratto preliminare oppure all'atto
dell'accettazione, da parte dell'acquirente, della proposta di vendita da parte del
venditore oppure unitamente alla comunicazione all'acquirente dell'accettazione, da
parte del venditore, della proposta di acquisto formulata dall'acquirente) il venditore
deve consegnare l'Ape alla sua controparte (e quindi ben prima della stipula del rogito);
quindi è opportuno che, nel testo del contratto preliminare, si dia conto di questa
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avvenuta consegna.
Oneri documentali poi sono prescritti anche per la redazione del rogito notarile. In generale, è
prescritto che nei contratti di vendita deve essere inserita una apposita clausola con la quale
l'acquirente dia atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva
dell'Ape, in ordine all'attestazione della prestazione energetica degli edifici. Per gli immobili siti
nelle Regioni (ad esempio: la Lombardia) la cui legislazione locale abbia prescritto la materiale
allegazione al rogito dell'attestato energetico, occorre appunto fisicamente accludere l'Ape al
contratto.
È importante notare che questi obblighi non possono essere derogati: vale a dire che i
contraenti non possono mettersi d'accordo e fare a meno di seguire le prescrizioni (ad
esempio, non allegare l'Ape al rogito, nelle Regioni ove è prescritto; oppure esonerare il
venditore dal dotare di Ape l'immobile oggetto di vendita). Si tratta infatti di norme
preordinate all'interesse generale (e perciò inderogabili) e non al singolare interesse dei singoli
soggetti coinvolti da una trattiva immobiliare: lo si ricava sia dal dettato stesso della
normativa, sia dalla considerazione delle sanzioni che sono apprestate per alcune violazioni (si
veda l'articolo accanto).
La previsione delle sanzioni pecuniarie di natura amministrativa, tra l'altro, risolve una volta
per tutte l'annoso problema di qualificare adeguatamente l'irregolarità che contraddistingue il
contratto per il quale le prescrizioni descritte sopra non siano rispettate. Ebbene, dato che la
legge appresta una sanzione specifica per queste evenienze, non si può ritenere che la
mancanza dell'Ape o qualsiasi sua irregolarità compromettano la validità del contratto, il quale,
quindi, è valido ed efficace a prescindere dal rispetto della normativa in tema di Ape.
LA TEMPISTICA
La vendita sulla carta
- In caso di acquisto di un immobile ancora in fase di costruzione il costruttore deve dare
informazioni sull'indice di prestazione energetica futura.
È opportuno inserire
nel contratto una clausola in cui le parti si danno atto di avere ricevuto questa informazione.
L'immobile in costruzione
- L'Ape, l'attestato di prestazione energetica deve essere consegnato dal costruttore nella fase
finale insieme con il certificato di agibilità.
L'offerta sul mercato
- L'annuncio con la proposta di vendita (pubblicato su qualsiasi mezzo di comunicazione) deve
indicare l'indice di prestazione energetica e la classe energetica dell'immobile, informazioni da
fornire anche nella fase delle trattative
Il preliminare di vendita
- All'atto della stipula del contratto preliminare di compravendita o di accettazione della
proposta di vendita il venditore deve consegnare l'Ape all'acquirente. L'obbligo non è
derogabile, né è più ammessa l'autocertificazione dell'appartenenza all'ultima classe, la G
(Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Guida pratica-Certificazione energetica, 8 luglio 2013)

Certificatori energetici, l’attestato cambia nome
La certificazione energetica degli edifici cambia solo di nome, ma non di fatto. In attesa dei
nuovi decreti del ministero dello Sviluppo economico, che dovranno definire differenti
procedure di calcolo, per il momento l'Attestato di certificazione energetica (Ace) diventa
Attestato di prestazione energetica (Ape), ma viene elaborato con le stesse procedure di
prima.
A fare chiarezza è stata una circolare del ministero, diffusa martedì 26 giugno, che spiega
come si devono comportare i professionisti (certificatori energetici, notai, agenti immobiliari,
eccetera) nella fase transitoria di applicazione del nuovo Dl 63/2013: mentre il decreto fa lo
slalom tra gli emendamenti, in fase di conversione alle Camere, gli operatori hanno chiesto
come attuare le nuove disposizioni in vigore dallo scorso 6 giugno, che rendono obbligatoria
l'indicazione dell'Ape nei rogiti e nei contratti d'affitto, oltre che nei relativi annunci immobiliari
(pena importanti sanzioni).
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
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Il Dl 63/2013 (che ha modificato il decreto 192/2005 in recepimento della direttiva europea
2010/31/Ue sulla prestazione energetica nell'edilizia) all'articolo 4 dispone che la metodologia
di calcolo del nuovo Ape dovrà essere ri-definita con uno o più decreti dal ministero (la strada
dell'urgenza propria del decreto legge impedisce di poter inserire norme operative e tecniche,
che vanno così demandate ad un apposito provvedimento).
Fino ad allora, varranno le norme e le indicazioni operative contenute nel decreto del
Presidente della Repubblica del 2 aprile 2009, n.59, contenente le modalità riconducibili alla
direttiva 2002/91/CE, cioè quelle già in vigore. Gli uffici del ministero fanno sapere che è una
questione di mesi, entro la fine dell'anno verranno approvati i nuovi decreti e le nuove regole.
Nel frattempo basta ribattezzare il documento (da Ace ad Ape), come richiesto dagli standard
internazionali che ovunque parlano di "prestazione" degli edifici. Nessun vuoto normativo,
dunque: il Dpr 59/2009 verrà abrogato solamente con l'entrata in vigore dei nuovi decreti e
fino ad allora i professionisti potranno utilizzarlo come testo riferimento, per il calcolo dei
parametri. Tranne in quelle Regioni che hanno provveduto ad emanare proprie disposizioni
normative, dove bisognerà continuare a perseguire le leggi regionali fino a nuove indicazioni.
É proprio il ruolo delle Regioni a rendere scettici i certificatori energetici, che fino ad oggi
hanno dovuto "saltare" da una norma all'altra sul territorio nazionale. I tecnici del ministero
continuano a sottolineare la volontà di uniformare le indicazioni operative, ma bisognerà
scontrarsi con la «clausola di cedevolezza» che concede alle Regioni di esprimersi: qualora
provvedano con proprie norme attuative al recepimento della direttiva europea, l'atto
normativo statale cessa di avere efficacia. «Si dovranno comunque adeguare alle nuove
procedure di calcolo», ricordano da Roma.
Il ministero dello Sviluppo economico era già al lavoro da alcuni mesi sul tema, per recepire la
direttiva europea. «Siamo ad uno stadio piuttosto avanzato. I tempi dipendono dalle priorità
che ci darà il governo», fanno sapere. In ballo, però, ci sono gli emendamenti in corso al Dl
63/2013 e il confronto con gli altri dicasteri e la Conferenza unificata delle Regioni, che
dovranno lavorare insieme al Mse.
La novità principale, in linea con le richieste dell'Unione europea, è che le future procedure di
calcolo dell'Ape dovranno tenere conto di nuovi parametri: mentre il vecchio Ace tiene conto
solo delle prestazioni per la produzione di riscaldamento e acqua calda sanitaria, l'Ape dovrà
occuparsi anche di climatizzazione estiva, ventilazione e – per il terziario – di illuminazione.
L'Ape dovrà comprendere: la prestazione energetica globale; la classe energetica; i requisiti
minimi di efficienza energetica vigenti a norma di legge; le raccomandazioni per migliorare la
performance, separando la previsione di interventi di ristrutturazione importanti da quelli di
riqualificazione energetica. Insomma, un documento più complesso che, da quanto si apprende
dai tecnici del Mse, avrà anche un nuovo formato grafico più divulgativo, capace di mettere in
evidenza informazioni aggiuntive che prima non c'erano, valorizzando meglio alcuni dati.
Il Comitato Termotecnico italiano conferma che l'approvazione del decreto inizialmente aveva
creato un po' di dubbi sulla sua applicazione operativa. «Sembrava quasi che di colpo si
dovessero considerare i nuovi parametri». Ma la circolare ha fatto chiarezza e per il momento
si aspettano i decreti attuativi. «Con l'attuale normativa tecnica siamo già in grado di misurare
la climatizzazione estiva – commenta il Cti – ma serve un intervento legislativo che fissi nuovi
limiti di riferimento per la classificazione energetica, che ne tengano conto».
(Michela Finizio, Il Sole 24 ORE - casa24.ilsole24ore.com, 4 luglio)

Immobili sul mercato con il «bollino»
Dal 6 giugno, il certificato energetico (l'Ace, ovvero attestato di certificazione energetica) è
stato sostituito dall'Ape (acronimo di attestato di prestazione energetica). L'obiettivo è quello
di uniformare la normativa interna italiana in tema di prestazione energetica degli edifici alle
prescrizioni dettate dall'Unione europea, che prevedono, ad esempio, il monitoraggio dei
consumi anche per la climatizzazione estiva.
Ma non si tratta solo di un cambio di nome.
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A differenza del vecchio Ace, il
nuovo
Ape,
regolato
dal
Dl
63/2013:
è rilasciato nella forma della
dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà, con la conseguenza
dell'applicabilità
al
certificatore
delle sanzioni penali (articolo 76,
Dpr
445/2000);
deve
essere
redatto con nuove modalità di
calcolo. Tuttavia, in attesa di
quest'ultime, nel periodo transitorio
i nuovi Ape sono allestiti sulla base
delle linee guida approvate con Dm
26 giugno 2009, come integrate
dalla legislazione regionale, se
l'Ape dura dieci anni dal suo
rilascio, a meno
che l'unità
immobiliare subisca interventi tali
da modificare la sua classe
energetica. La durata decennale è
peraltro subordinata al rispetto
delle
norme
sui
controlli
di
efficienza energetica degli impianti
termici (a tal fine è previsto che i
libretti di impianto siano allegati
all'Ape) perché, in caso contrario,
l'Ape perde efficacia con il 31
dicembre dell'anno in cui è prevista
la prima scadenza dei controlli non
rispettata.
Il vecchio Ace non va del tutto in
pensione: la nuova legge precisa
che l'obbligo di dotare l'edificio di
un Ape non sussiste «ove sia già
disponibile un attestato in corso di
validità, rilasciato conformemente
alla
direttiva
2002/91/CE».
Pertanto, chi ha in mano un Ace
rilasciato fino al 5 giugno 2013,
non scaduto (durava vent'anni, ma
è presumibile che la sua durata sia ora implicitamente ridotta a dieci anni, per allinearsi con
l'Ape) e ancora in corso di validità (non lo sarebbe ad esempio se l'edificio per cui l'attestato è
stato rilasciato è stato sottoposto a una notevole ristrutturazione) può tranquillamente
continuare a utilizzarlo.
L'Ape deve essere rilasciato:
- al termine dei lavori e a cura di chi li ha effettuati, per gli edifici di nuova costruzione o
oggetto di lavori di ristrutturazione importanti (e cioè con interventi su oltre il 25% della
superficie dell'involucro del l'intero edificio);
- al proprietario dell'immobile, in caso di vendita o di locazione a un nuovo locatario (o, come
prevede un emendamento inserito nella fase di conversione del decreto, anche in caso di
cessione a titolo gratuito).
Il proprietario deve rendere disponibile l'Ape al potenziale acquirente o al nuovo locatario fin
dall'avvio delle trattative e consegnarlo alla fine delle stesse (e cioè, ad esempio, alla stipula
del contratto preliminare). Invece, in caso di vendita o locazione di un edificio prima della sua
costruzione, il venditore o il locatore deve fornire evidenza della futura prestazione energetica
dell'edificio e dovrà produrre l'Ape nella fase di richiesta dell'agibilità.
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
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Nei contratti di vendita o nei nuovi contratti di locazione deve inoltre essere inserita una
clausola con la quale l'acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e
la documentazione, comprensiva dell'Ape, in ordine all'attestazione della prestazione
energetica degli edifici.
La prestazione energetica dell'immobile è peraltro rilevante anche prima della stipula di questi
contratti: gli annunci di vendita o di locazione (su qualsiasi mezzo di comunicazione) devono
riportare «l'indice di prestazione energetica dell'involucro edilizio e globale dell'edificio o
dell'unità immobiliare e la classe energetica corrispondente».
(Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Guida pratica-Certificazione energetica, 8 luglio 2013)

La «targa» dell'efficienza in cerca di standard unici
Dal 6 giugno la targa energetica che viene rilasciata in caso di nuova costruzione,
ristrutturazione, compravendita o affitto di un immobile non si chiama più Ace (Attestato di
prestazione energetica), ma Ape (Attestato di prestazione energetica). Tuttavia, fino a che il Dl
63/2013 non sarà convertito in legge e non saranno emanati dal ministero dello Sviluppo
economico i relativi decreti attuativi, il documento continuerà a essere compilato con le vecchie
modalità dell'Ace. Eccetto nelle regioni che hanno una propria normativa locale
sull'attestazione energetica, dove continuerà a essere valido il sistema messo a punto dal
territorio. Al termine di settimane di dubbi e per scongiurare il rischio di un vuoto normativo, è
arrivato un chiarimento da Roma su come devono essere trattate le novità contenute nel
decreto legge che recepisce la direttiva europea 2010/31/Ue. Le delucidazioni sono affidate al
testo di una circolare, a firma di Rosaria Romano direttore del Dipartimento per l'energia del
ministero per lo Sviluppo Economico. Ecco le novità.
L'APE
Dal 6 giugno la targa che attesta i consumi e le prestazione energetiche di un edificio si chiama
Ape, attestato di prestazione energetica. Come già l'Ace, potrà essere rilasciato da esperti
qualificati e indipendenti, che non abbiano conflitti di interesse rispetto al fabbricato che
devono certificare. È richiesto nel caso di immobili nuovi o ristrutturati o in caso cessione o di
affitto, anche di una singola unità (nulla viene specificato però sull'obbligo di allegazione agli
atti nel caso di cessione a titolo oneroso). L'Ape sarà valido per dieci anni, a meno che nel
frattempo l'immobile non venga sottoposto a una riqualificazione tale da cambiarne le
caratteristiche di consumo (ad esempio, con la sostituzione degli infissi) o che non vengano
eseguiti le manutenzioni e i controlli degli impianti fissati dalla legge. Il nuovo attestato è
inoltre più completo dell'Ace perché, nella versione a regime, terrà conto non solo delle
prestazioni della casa per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria, ma anche
per la climatizzazione estiva, la ventilazione e, per gli uffici, l'illuminazione naturale. Inoltre la
nuova targa comprenderà tutti i dati di efficienza energetica di un edificio e le raccomandazioni
per migliorare la performance, separando la previsione di interventi di ristrutturazione
importanti da quelli di riqualificazione al fine di abbattere i consumi.
IL TRANSITORIO
Per poter redigere il documento così come delineato nel Dl 63/2010 (che modifica il Dlgs
192/2005 e recepisce l'ultima direttiva europea 2010/31/Ue) sarà, tuttavia, necessario
attendere l'emanazione da parte dei Ministero di uno o più decreti, per l'aggiornamento della
disciplina tecnica oggi in vigore. Per questa ragione, nel transitorio, continueranno a essere
valide le disposizioni già in vigore, che discendono dal Dpr 59 del 2 aprile 2009 (attuativo del
192/2005) e che, nella pratica, si traducono nelle norme Uni/Ts 11300 (peraltro nella revisione
2013 aprono già ai nuovi parametri, anche se mancano gli applicativi rilasciati dalle software
house) e nella raccomandazione Cti 14/2013.
LA SITUAZIONE NELLE REGIONI
Nelle Regioni che hanno varato propri sistemi locali per il rilascio dell'Ace continua a valere e
prevalere la norma locale, per effetto dalla clausola di cedevolezza, contenuta nell'articolo 17
del Dlgs 192/2005. Con una serie di conseguenze non da poco. Primo perché in Regioni come
Liguria, Lombardia o Piemonte, l'Ape continuerà a chiamarsi Ace (anche se, ad esempio in
Emilia Romagna nella disciplina locale c'è già scritto che Ace e Ape sono equivalenti). In
secondo luogo perché la compilazione tecnica dell'attestato continuerà rispondere al sistema di
calcolo locale (ad esempio in Provincia di Bolzano si usa Casaclima o in Lombardia il software
Cened+). Infine, anche le sanzioni aderiranno a quanto stabilito dalle singole amministrazioni.
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UN SISTEMA UNICO
Per cercare di mettere un punto all'attuazione della disciplina energetica a macchia di leopardo
e così come richiesto in modo esplicito nello stesso Dl 63/2013, è comunque partito un lavoro
di confronto fra lo Stato e le Regioni, per arrivare a un'unica normativa sull'Ape. Il primo
incontro si è svolto lo scorso 18 giugno e, in vista di un nuovo tavolo previsto per l'11 luglio e
della conversione in legge del Dl 63, le autonomie stanno elaborando un documento in cui sono
contenute alcune proposte di miglioramento della disciplina sull'attestato di prestazione
energetica. Fra i temi all'esame, spiegano i tecnici e nello specifico quelli della Lombardia,
occorrerà «capire anche come e quando verranno emanati i decreti che dovrebbero definire gli
standard per gli edifici ad emissioni "quasi zero"». Un tema su cui l'amministrazione Maroni ha
una certa premura, dal momento che con legge regionale 7/2012 è stato previsto che il nuovo
standard diverrà operativo sul territorio dal 31 dicembre 2016 per tutti i nuovi edifici.
(Silvio Rezzonico, Maria Chiara Voci, Il Sole 24 ORE – Guida pratica-Certificazione energetica,
8 luglio 2013)
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Legge e prassi

(G.U. 15 luglio 2013, n. 164)
 Ambiente
DECRETO-LEGGE 4 giugno 2013, n. 61 (Commissariamento dell’ILVA)
Nuove disposizioni urgenti a tutela dell'ambiente, della salute e del lavoro nell'esercizio di
imprese di interesse strategico nazionale. (13G00105)
(GU n. 129 del 4-6-2013)
Il decreto introduce, in via di urgenza, uno speciale potere a favore del Consiglio dei
Ministri, il quale potrà deliberare, su proposta del Presidente del Consiglio, il
commissariamento straordinario dell'impresa, esercitata anche in forma di società, che gestisca
almeno uno stabilimento di interesse strategico nazionale ai sensi dell'art. 1, D.L. n. 207/2012,
conv. in l. n. 231/2012, “…la cui attività produttiva abbia comportato e comporti pericoli gravi
e rilevanti per l'integrità' dell'ambiente e della salute a causa della inosservanza, rilevata dalle
Autorità competenti, dell'autorizzazione integrata ambientale..” (art. 1, c. 1). Al riguardo il
commissario dovrà essere nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entro
sette giorni dalla detta delibera del Consiglio dei Ministri e dovrà avvalersi di un sub
commissario nominato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
E’ prevista, in tal senso, una durata limitata del Commissariamento, pari a 12 mesi
eventualmente prorogabili di 12 mesi fino ad un massimo di 36, nelle more con la
prosecuzione dell'attività produttiva durante il commissariamento in via funzionale alla
conservazione della continuità aziendale ed alla destinazione prioritaria delle risorse aziendali
alla copertura dei costi necessari per gli interventi conseguenti alle menzionate situazioni.
Per tutta la durata del commissariamento, prosegue il D.L., saranno attribuiti al Commissario
tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell'impresa, con sospensione
dell'esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dell'impresa (nel caso di impresa
costituita in forma societaria, i poteri dell'assemblea saranno sospesi per l'intera durata del
commissariamento), con trasferimento in capo al Commissario delle linee di credito ed i relativi
rapporti debitori,anche in carico a società del medesimo gruppo, ai sensi degli articoli 1339 e
2558 del codice civile.
Durante tale lasso di tempo sarà garantita all'impresa, nella persona del rappresentante
legale all'atto del commissariamento o di altro soggetto appositamente designato
dall'Assemblea dei soci, soltanto l'informazione sull'andamento della gestione e sulle misure
adottate.
Sotto un profilo più strettamente operativo il decreto prevede, altresì, come contestualmente
alla nomina del commissario straordinario, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare dovrà nominare un comitato di tre esperti, scelti tra soggetti di comprovata
esperienza e competenza in materia di tutela dell'ambiente e della salute, che, sentito il
commissario straordinario, avrà il compito di predisporre e proporre al Ministro, entro 60 giorni
dalla nomina, un apposito Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dei
lavoratori e della popolazione e di prevenzione del rischio di incidenti rilevanti, con previsione,
ivi, di tutte le azioni ed i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge, e
dell'a.i.a., la cui contestata violazione ha determinato il commissariamento medesimo (ar. 1, c.
5). Particolarmente significativa è, al riguardo, la correlata previsione a tenore della quale la
predisposizione dei menzionati piani nei termini, l'osservanza delle correlate prescrizioni, e,
nelle more dell'adozione degli stessi piani, il rispetto delle previsioni contenute nell’a.i.a.,
equivalgono e producono i medesimi effetti, ai fini dell'accertamento di responsabilità per il
commissario e il subcommissario, derivanti dal rispetto dei modelli di organizzazione dell'ente
in relazione alla responsabilità dei soggetti in posizione apicale per fatti di rilievo penale o
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
20
amministrativo di cui all'art. 6 del D.lgs. n. 231/2001 (responsabilità amministrativa delle
imprese), per gli illeciti strettamente connessi all'attuazione dell'a.i.a. e delle altre norme a
tutela dell'ambiente e della
salute (art. 1, c. 9).
Contestualmente il Decreto introduce l’obbligo, per il giudice competente, di provvedere allo
svincolo delle somme per le quali in sede penale sia stato disposto eventuale sequestro, anche
ai sensi del menzionato D.lgs. n. 231/2001, in danno dei soggetti nei cui confronti l'autorità'
amministrativa abbia disposto l'esecuzione degli obblighi di attuazione delle prescrizioni dell'aia
e di messa in sicurezza, risanamento e bonifica ambientale (nonché degli enti o dei soggetti
controllati o controllanti, in relazione a reati comunque connessi allo svolgimento dell'attività di
impresa), e, da ultimo ma di certo non per importanza, il Decreto, all’art. 2, dichiara la
sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 1, c. 1, citato, per la s.p.a. ILVA avente sede a
Milano, con conseguente commissariamento della medesima.
Il nuovo decreto introduce anche talune modifiche alla disciplina di cui al citato decreto-legge
n. 207/2012, tra l’altro attribuendo ad I.S.P.R.A. le attività di accertamento, contestazione e
notificazione delle violazioni, con istituzione di un Fondo chiuso al quale dovranno confluire i
proventi delle sanzioni irrogate per il finanziamento degli interventi di messa in sicurezza,
bonifica e risanamento ambientale del territorio interessato.
(Avv. Marco Fabrizio)
 Edilizia e urbanistica
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 16 aprile 2013, n. 74
Regolamento recante definizione dei criteri generali in materia di esercizio, conduzione,
controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed
estiva degli edifici e per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari, a norma
dell'articolo 4, comma 1, lettere a) e c), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192.
(13G00114) Pag. 1
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 16 aprile 2013, n. 75
Regolamento recante disciplina dei criteri di accreditamento per assicurare la qualificazione e
l'indipendenza degli esperti e degli organismi a cui affidare la certificazione energetica degli
edifici, a norma dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n.
192.
 Immobili
AGENZIA DELLE ENTRATE
RISOLUZIONE 27 GIUGNO 2013, N.40/E
Regime fiscale - trasferimento beni immobili - aree soggette a piani urbanistici - agevolazioni
Con
risoluzione del 2 ottobre 2006, n. 110/E, sono stati forniti chiarimenti in merito
all’ambito applicativo del regime fiscale previsto per i trasferimenti di beni immobili in aree
soggette a piani urbanistici particolareggiati di cui all’art. 33, comma 3, della legge 23
dicembre 2000, n. 388, con particolare riferimento all’ipotesi in cui l’agevolazione non venga
richiesta nell’atto di acquisto. Con la citata risoluzione è stato precisato che “è possibile
procedere alla redazione di un atto integrativo, nella stessa forma dell’atto precedente, al fine
di fruire delle agevolazioni. Tale soluzione è in linea con la ratio della normativa di favore;
infatti se ricorrono i requisiti ti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge, non si possono negare
le agevolazioni, per il solo fatto della non contestualità della dichiarazione ”
AGENZIA DELLE ENTRATE
RISOLUZIONE 4 LUGLIO 2013, N.44/E
Irpef - imu - immobili non locati - deducibilità dei contributi ai consorsi obbligatori
L’articolo
10, comma 1, lett. a), del TUIR prevede che “Dal reddito complessivo si
deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a
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formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente: a) i canoni, livelli, censi ed altri oneri
gravanti sui redditi degli immobili che concorrono a formare il reddito complessivo, compresi i
contributi ai consorzi obbligatori per legge o in dipendenza di provvedimenti della pubblica
amministrazione; sono in ogni caso esclusi i contributi agricoli unificati”. Gli effetti sulle
imposte sui redditi derivanti dall’introduzione dell’IMU, in particolare per quanto concerne
l’effetto di sostituzione disposto dall’art. 8 del, sono stati trattati con Circolare n. 5/E del 2013
a cui si rinvia per gli opportuni approfondimenti.
 Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
DECRETO-LEGGE 4 giugno 2013, n. 63
Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia per la definizione
delle procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in
materia di coesione sociale. (13G00107)
(GU n. 130 del 5-6-2013)

Detrazioni fiscali 50% ed Ecobonus 65%: le principali novità del D.L. n. 63/2013
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 5 giugno 2013, n. 130 il D.L. 4 giugno 2013, n. 63 relativo al
recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio
2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia per la definizione delle procedure d'infrazione
avviate dalla Commissione europea.
Il provvedimento, in vigore da oggi, 6 giugno 2013, mira:
a promuovere il miglioramento della prestazione energetica degli edifici tenendo conto
delle condizioni climatiche esterne e delle prescrizioni relative alle condizioni interne agli
stessi;
a favorire lo sviluppo, la valorizzazione e l'integrazione delle fonti rinnovabili negli
edifici;
a sostenere la diversificazione energetica.
Tra le principali novità si segnalano la detrazione del 65% per interventi di riqualificazione
energetica degli edifici per le spese sostenute dal 1° luglio 2013 al 31 dicembre 2013 – con
l'esclusione delle spese per gli interventi di sostituzione di impianti di riscaldamento con pompe
di calore ad alta efficienza e impianti geotermici a bassa entalpia nonché delle spese per la
sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla
produzione di acqua calda sanitaria – e la proroga della detrazione del 50% per i lavori di
ristrutturazione fino al 31 dicembre 2013. Nello specifico, i lavori eseguiti su unità immobiliari
singole potranno godere della detrazione del 65% fino al 31 dicembre 2013, mentre per gli
interventi più importanti realizzati sui condomini, il termine ultimo per usufruire dello sconto
fiscale è stato fissato al 30 giugno 2014.
(www.immobili24.ilsole24ore.com, 6 giugno 2013)
AGENZIA DELLE ENTRATE
RISOLUZIONE N. 46/E DEL 5-7-2013
Consulenza giuridica - Uffici dell'Amministrazione finanziaria. Imposta di registro.
Determinazione della base imponibile degli atti di garanzia, reale o personale, formati per
corrispondenza ed enunciati in atti giudiziari
AGENZIA DELLE ENTRATE
RISOLUZIONE N. 47/E DEL 5-7-2013
Ritenute d'acconto di cui all'art. 25 decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, effettuate sui bonifici
emessi in favore dei contribuenti che aderiscono al regime fiscale di vantaggio per
l'imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità di cui all'articolo 27, commi 1 e 2, del decreto
legge 6 luglio 2011, n. 98
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Nuovi
minimi con ritenute del 4% su ristrutturazioni edilizie e recupero nel
modello Unico
I contribuenti che rientrano nel cosiddetto “regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e
lavoratori in mobilità” e hanno subito la ritenuta d’acconto all’atto dell’accredito sui bonifici per
interventi di recupero del patrimonio edilizio e/o di risparmio energetico possono recuperarla
direttamente nel modello Unico 2013. È quanto stabilisce la risoluzione n. 47/E che individua i
passi da seguire nella compilazione della dichiarazione.
Ecco come fare - Per il periodo d’imposta 2012, infatti, in alternativa all’istanza di rimborso,
questi contribuenti possono indicare nel frontespizio della dichiarazione il codice “1” nel campo
“Situazioni particolari” (in corrispondenza del riquadro “Firma della dichiarazione”). Le ritenute
relative ai bonifici vanno poi riportate nel quadro RS, nella colonna 2 del rigo RS33,
normalmente dedicato alle ritenute cedute da consorzi d’imprese. Bisogna fare attenzione a
riportare le ritenute esclusivamente nel primo modulo del quadro RS e non deve essere
compilata la colonna 1, dedicata al codice fiscale del consorzio. Solo nel caso in cui siano
presenti anche ritenute cedute da consorzi, le stesse dovranno essere esposte nei successivi
moduli, riportando, in tal caso, anche i codici fiscali dei consorzi cedenti. Le ritenute indicate
nel rigo RS33 potranno, poi, essere normalmente scomputate nel quadro LM, al rigo LM13,
ovvero nel quadro RN, al rigo RN32, colonna 4.
L’inapplicabilità della ritenuta del 4% ai nuovi minimi - L’articolo 25, comma 1, del Dl n.
78/2010 ha introdotto, in capo alle banche e a Poste Italiane S.p.A., l’obbligo di operare una
ritenuta a titolo di acconto, attualmente del 4%, all'atto dell’accredito dei pagamenti relativi ai
bonifici disposti dai contribuenti per beneficiare di oneri deducibili o per i quali spetta la
detrazione d'imposta. Non devono essere assoggettati a questa ritenuta i contribuenti che
rientrano nel “regime di vantaggio” che hanno rilasciato una apposita dichiarazione in tal senso
alla banca o all’ufficio postale presso il quale risultano correntisti, così come previsto dal
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 22 dicembre 2011.
Per questo motivo il nuovo quadro LM dedicato ai contribuenti in regime di vantaggio, presente
nel modello Unico PF 2013, anno d’imposta 2012, non prevede un apposito campo in cui
scomputare le ritenute subite.
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
DECRETO 8 marzo 2013
Definizione delle aree territoriali e delle corrispondenti sezioni autonome del Fondo di
solidarieta' per gli acquirenti di beni immobili da costruire, ai sensi dell'articolo 16 del decreto
legislativo 20 giugno 2005, n. 122. (13A04922)
(GU n. 130 del 5-6-2013)
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Giurisprudenza
 Ambiente, suolo e territorio
 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE MARCHE - Ancona, Sezione 1 Sentenza
6 giugno 2013, n. 418
V.I.A. - V.A.S. e A.I.A.- Analisi comparativa tra il sacrificio ambientale e l'utilità socioeconomica - Opzione zero - Funzione di indirizzo politico-amministrativo - Corretto
uso del territorio
Alla stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse peculiari finalità, la
valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa
la astratta compatibilità ambientale dell'opera, ma implica una complessa e approfondita
analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all'utilità socio economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione
zero; in particolare (CdS sez. IV, 5.7.2010, n. 4245, cit.), la natura schiettamente
discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul
versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su
evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l'intervento proposto cagioni un
sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell'interesse diverso
sotteso all'iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non
giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni
meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della
proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve
governare il bilanciamento di istanze antagoniste (CdS sez.V 31.5.2012 n. 6254). Si tratta
quindi di un provvedimento con cui è esercitata una vera e propria funzione di indirizzo
politico-amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso
ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi,
pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico-sociale) e privati,
che su di esso insistono (Cds 6254/2012 cit.)
(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)
 TRIBUNALE
AMMINISTRATIVO REGIONALE MOLISE - Campobasso, Sezione 1,
Sentenza 14 giugno 2013, n. 415
V.I.A. - V.A.S. e A.I.A. - Rapporto tra V.I.A. e A.I.A. - Misure di semplificazione
procedimentale - Art. 10, cc. 1 e 2 D.Lgs. n. 152/2006 - Potestà legislativa delle
Regioni - Regione Molise - Misure di coordinamento - Mancata adozione - Impulso
alle verifiche proprie del procedimento di A.I.A. - Obbligo - Esclusione.
Alla luce dell'art. 10, cc. 1 e 2 del d.lgs. n. 152/2006, nel rispetto del criterio di riparto delle
competenze legislative tra Stato e Regione, l'adozione delle misure di semplificazione
procedimentale è rimessa alla potestà legislativa delle Regioni medesime, nel caso si tratti di
opere o interventi soggetti a VIA regionale, con scelta che, essendo rimessa alla discrezionalità
del legislatore regionale, non può essere compulsata attraverso il rito del silenzio. Poiché nel
caso di specie la Regione Molise non ha adottato alcuna misura di coordinamento a fini di
concentrazione dei procedimenti di VIA e AIA, la competente struttura regionale non ha alcun
obbligo di dare impulso alle verifiche istruttorie proprie del procedimento di rilascio
dell'autorizzazione integrata ambientale, prima della conclusione del procedimento di verifica di
impatto ambientale, tenuto conto che la VIA è procedimento presupposto rispetto a quello di
AIA, secondo quanto desumibile dagli artt. 5, comma 12 e 7, comma 2 del d. lgs. n. 59/2005
(cfr. TAR Milano, Brescia 22 gennaio 2010, n. 211).
(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)
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24
 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PUGLIA - Bari, Sezione 1, Sentenza 19
giugno 2013, n. 991
V.I.A. - Discrezionalità della Pubblica Amministrazione - Giudizio di valutazione di
impatto ambientale - Verifica preliminare - Amministrazione competente - Esercizio
di un'amplissima discrezionalità tecnica - Censurabilità della stessa solo in presenza
di macroscopici vizi logici o di travisamento dei presupposti.
Nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, ed a maggior ragione, nel
compiere la verifica preliminare, l'Amministrazione competente esercita un'amplissima
discrezionalità tecnica. Essa, pertanto, è censurabile solo in presenza di macroscopici vizi logici
o di travisamento dei presupposti.
(Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24)
 Edilizia e urbanistica
 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
REGIONALE LIGURIA - Genova, Sezione 1,
Sentenza 27 giugno 2013, n. 955
ABUSI EDILIZI - VIGENTE NORMATIVA URBANISTICA - Insussistenza di qualsiasi
obbligo in capo all'Autorità Comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione,
di verificare la sanabilità dell'opera - Artt. 27 e 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 Obbligo del responsabile del competente ufficio Comunale di reprimere l'abuso - Non
necessità della valutazione di sanabilità - Art. 36 del D.P.R. n. 380 - Attivazione del
procedimento di conformità urbanistica - Iniziativa esclusiva della parte interessata
all'attivazione di tale procedimento.
In presenza di un abuso edilizio, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in
capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificare la
sanabilità ai sensi dell'art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001, come chiaramente si evince dagli artt.
27 e 31, del predetto D.P.R. n. 380. In tali casi, infatti il responsabile del competente ufficio
comunale ha l'obbligo di reprimere l'abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità. Del resto, in
base all'art. 36 del citato D.P.R. n. 380, è rimessa all'esclusiva iniziativa della parte interessata
l'attivazione del procedimento di conformità urbanistica, ivi disciplinato.
(Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24)
 CONSIGLIO DI STATO, Sezione 4, Sentenza 1 luglio 2013, n. 3543
ABUSI EDILIZI - ACCERTAMENTO DI CONFORMITÀ - Opere edilizie solo formalmente
abusive - Sanatoria - Presupposto fattuale - Opere differenti da quelle indicate
nell'originario permesso di costruire - Sostanziale conformità alla disciplina
urbanistica ed edilizia.
L'istituto dell'accertamento di conformità è diretto a sanare, con provvedimento
essenzialmente doveroso e vincolato, le opere edilizie solo formalmente abusive, in quanto
eseguite senza concessione o autorizzazione, ma conformi nella sostanza alla disciplina
urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro
realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria. L'ovvio presupposto
fattuale ai fini dell'operatività dell'istituto dell'accertamento di conformità, è, dunque, che le
opere realizzate differiscano da quelle indicate nell'originario permesso di costruire, pur
essendo sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia, in riferimento ai due
momenti. Irrilevante è, pertanto, la circostanza che l'intervento edilizio sia stato modificato
rispetto al progetto originariamente assentito, dal momento che la norma prende in
considerazione solo la conformità sostanziale del manufatto realizzato in concreto, per il quale
si chiede la sanatoria, alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria.
(Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24)
 CONSIGLIO DI STATO, Sezione 4, Sentenza 1 luglio 2013, n. 3539
VOLUMI - FABBRICATO - VOLUMETRIA ESISTENTE - Computo - Volume che supera il
piano di campagna o quello che sopravanza lo sbancamento del livello zero Cubatura sottostante - Non computabilità - Eccezione - Realizzazioni abusive in
sotterraneo.
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Ai fini del computo della volumetria esistente del fabbricato, fatti salvi i casi di realizzazioni
abusive in sotterraneo, di norma è computabile solo il volume che supera il piano di campagna
o quello che sopravanza lo sbancamento del livello zero e non già la cubatura sottostante.
Rilevato, dunque, che i volumi entroterra non possono essere destinati a finalità abitative o
produttive ovvero ad uffici, essi non sono rilevanti ai fini del carico urbanistico, per cui deve
ritenersi corretta la ritenuta mancata computabilità, nel calcolo della volumetria assentibile ai
fini dell'ampliamento, del locale ricavato al di sotto del piano di campagna.
(Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24)
 CORTE DI CASSAZIONE, Sezione 3 penale, Sentenza 13 maggio 2013, n. 20383
EDILIZIA E URBANISTICA - VINCOLO PAESAGGISTICO - Abusi - Responsabilità del
muratore o operaio - Presupposti - Concorso di persona ex art. 110 cod. pen. Fattispecie - Vincolo paesaggistico - Assenza autorizzazione e difformità al permesso
di costruire - Elemento soggettivo - Artt. 3, 1° c., lett. d) e 44, lett. c), D.P.R.
380/2001 - Art. 181, D.Lgs. 42/2004
L'esecutore dei lavori, anche se muratore od operaio, ben può rispondere - in applicazione
degli ordinari criteri del concorso di persona ex art. 110 cod. pen. ed anche a titolo di colpa
quanto alla consapevolezza dell'abusività dei lavori - delle contravvenzioni di cui all'art. 44,
lett. b) e c), del T.U. n. 380/2001, qualora sia accertata la sua materiale collaborazione alla
realizzazione dell'illecito.
Per la sussistenza dell'elemento soggettivo è sufficiente, quindi, che il comportamento illecito
sia derivato da imperizia, imprudenza o negligenza.
Inoltre, l'ignoranza della legge penale scusa l'autore dell'illecito soltanto se incolpevole a
cagione della sua inevitabilità (Corte Cost., 23.3.1998, n. 364). Nella fattispecie l'esecutore
materiale dei lavori rivestiva la qualifica di costruttore e non di mero prestatore d'opera, per
cui doveva assolvere, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al c.d. "dovere di informazione",
attraverso la verifica, anche per lui doverosa, della corrispondenza di quanto andava a
realizzare alla situazione di fatto esistente ed al progetto assentito.
EDILIZIA E URBANISTICA - Volumetria e sagoma - Interventi di ristrutturazione Demolizione e ricostruzione - Nozione di "ristrutturazione edilizia" - Art. 3, c.1, lett.
d), T.U. n. 380/2001
L'art. 3, 1° comma, lett. d), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal d.Lgs. n. 301/2002, ha
esteso la nozione di "ristrutturazione edilizia" ricomprendendovi pure gli interventi ricostruttivi
consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di un edificio
preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica.
Volumetria e sagoma, dunque, debbono rimanere identiche nei casi di ristrutturazione attuata
attraverso demolizione e ricostruzione, mentre non si pongono come limiti per gli interventi di
ristrutturazione che non comportino la previa demolizione.
(Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)
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Antincendio
Certificazione energetica

D.L. 63/2013: l'impatto sui tecnici e sugli operatori
Luca Rollino, Il Sole 24 ORE - Consulente Immobiliare, 15 luglio 2013,n. 933
In vigore dal 6 giugno scorso, il decreto è diventato immediatamente popolare presso
l’opinione pubblica perché estende il periodo nel quale si può usufruire delle detrazioni fiscali
del 50% per ristrutturazioni e proroga, elevandone l’aliquota di detraibilità al 65%, quelle del
55% per riqualificazioni energetiche. Ma c’è un altro aspetto, poco pubblicizzato, importante
per tecnici e operatori immobiliari: il decreto manda in pensione l’Attestato di certificazione
energetica, che viene sostituito in toto dall’Attestato di prestazione energetica, e ribadisce la
sussistenza dell’Attestato di qualificazione energetica, della cui esistenza e utilità (quasi) ci
eravamo dimenticati. Un provvedimento, pertanto, estremamente ricco di contenuti che
richiede un’analisi attenta per capire le novità che vengono introdotte nei diversi ambiti in cui
interviene.
L’urgenza dell’APE
Il primo elemento che deve necessariamente essere recepito, e che il legislatore dichiara in
modo esplicito nella stessa premessa, è l’urgenza: non tanto di intervenire con azioni volte a
promuovere l’efficienza energetica su un patrimonio immobiliare vecchio e fortemente
energivoro (oltre il 40% dei consumi di energia italiani son riconducibili al settore edilizio),
bensì di «emanare disposizioni finalizzate a recepire la dir. n. 2010/31/UE e a evitare il
prossimo aggravamento della procedura di infrazione nei confronti dell’Italia (procedura di
infrazione n. 2012/0368), avviata dalla Commissione europea in data 24 settembre 2012, per
il mancato recepimento della direttiva». Di fatto, il legislatore sta operando con affanno per
evitare il ripetersi di un qualcosa di già visto e tristemente noto: è di queste ore la notizia che
l’Italia è stata condannata dalla Corte europea per la mancata completa attuazione della
passata direttiva, la n. 2002/91/CE (EPBD), recepita in modo non corretto e incompleto con il
D.Lgs. 192/2005. Peraltro, lo stesso D.Lgs. 192/2005 è ancora carente di alcuni suoi decreti
attuativi (quello sulla qualificazione dei certificatori energetici e quello sulle modalità di
ispezione e manutenzione degli impianti di climatizzazione), che sono stati approvati dal
Consiglio dei Ministri del 15 febbraio 2013, ma mai pubblicati in Gazzetta Ufficiale (quindi mai
diventati operativi). Chi ha buona memoria potrà ritrovare in questo continuo sostituirsi di
decreti che poi non vengono mai emanati, quanto avvenne negli anni Novanta con la legge che
attualmente è ancora il riferimento quadro per l’efficienza energetica nel settore edilizio,
ovvero la legge 10 del 9 gennaio 1991, il cui ultimo decreto attuativo venne emanato nel luglio
del 2005 (14 anni dopo!) e un mese dopo venne proposto il D.Lgs. 192/2005, che di fatto lo
sostituiva in toto .
Il D.L. 63/2013 interviene in modo evidente sul contenuto del D.Lgs. 192/2005 e successive
modificazioni, di cui sostituisce molti articoli, a partire dall’art. 1. Soprattutto, introduce questo
nuovo strumento, denominato “attestato di prestazione energetica” (art. 2, comma 1), che è il
«documento, redatto nel rispetto delle norme contenute nel decreto e rilasciato da esperti
qualificati e indipendenti che attesta la prestazione energetica di un edificio attraverso l’utilizzo
di specifici descrittori e fornisce raccomandazioni per il miglioramento dell’efficienza
energetica». Di fatto, si tratta di un cambio nome di quello che era l’Attestato di certificazione
energetica (di seguito semplicemente ACE), che dall’Attestato di prestazione è totalmente
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sostituito. Lo stesso D.L. 63/2013 all’art. 18, comma 3, è molto chiaro in proposito: nel D.Lgs.
192/2005, ovunque ricorrano, le parole «attestato di certificazione energetica» sono sostituite
da «attestato di prestazione energetica». Quali siano le norme di calcolo necessarie per
effettuare le dovute valutazioni, viene espresso in modo chiaro: la raccomandazione CTI n.
14/2013 e le norme della serie UNI/TS 11300 (parti 1, 2, 3, e 4). Tuttavia vi è un elemento
sconosciuto ai più, ma che sicuramente contribuirà ad aumentare la confusione: le parti 1 e 2
della UNI/TS 11300, emanate nel 2008, dopo un lungo periodo di revisione, saranno a breve
sostituite dalle loro versioni aggiornate che introdurranno, tra l’altro, il metodo di calcolo
dinamico per la valutazione della prestazione energetica degli edifici. Il significato di
“prestazione energetica” degli edifici viene riproposto, mutuandolo in toto dalla norma UNI EN
15603/2008: si tratta della « quantità annua di energia primaria effettivamente consumata o
che si prevede possa essere necessaria per soddisfare, con un uso standard dell’immobile, i
vari bisogni energetici dell’edificio, la climatizzazione invernale ed estiva, la preparazione
dell’acqua calda per usi igienici sanitari, la ventilazione e, per il settore terziario,
l’illuminazione». Nel definire l’APE non viene chiarito però chi possa redigerlo: si parla di
«esperti qualificati e indipendenti», ma si rimanda a successivi decreti l’onere di delinearne i
requisiti.
Come orientarsi fra AQE, APE e ACE
A fianco dell’APE sopravvive un documento noto essenzialmente per l’essere rientrato sino a
oggi nella documentazione che deve essere trasmessa all’ENEA qualora ci si voglia avvalere
delle detrazioni IRPEF per interventi di risparmio energetico: si tratta dell’Attestato di
qualificazione energetica (di seguito per semplicità AQE). L’AQE viene predisposto da un
professionista che può anche essere proprietario o progettista o direttore dei lavori dell’edificio
in oggetto, e in esso son riportati «i dati inerenti la prestazione energetica dell’edificio, la
classe energetica di appartenenza dell’edificio, o dell’unità immobiliare, in relazione al sistema
di certificazione energetica in vigore, e i corrispondenti valori ammissibili fissati dalla normativa
in vigore». L’AQE riporta quindi la classe energetica dell’edificio - che, è anche esplicitamente
richiesta nell’APE, art. 6, comma 12, lett. b ) - e deve essere prodotto solo in 2 casi:
1. contestualmente alla dichiarazione di fine lavori, asseverato dal direttore lavori, deve essere
consegnato presso il comune di competenza «senza alcun onere aggiuntivo per il
committente»;
2. per semplificare il successivo rilascio della prestazione energetica.
Il direttore dei lavori che omette di presentare l’AQE è ora punito con una sanzione
amministrativa che può variare da € 1.000 a € 6.000.
Inoltre, l’APE e l’AQE acquisiscono la dignità di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ai sensi
dell’art. 47 del D.P.R. 445 del 28 dicembre 2000, con un conseguente aggravio delle
responsabilità del professionista che li rilascia. Molto più articolata la casistica in cui viene
richiesto l’APE. Nei fatti, l’APE è richiesto in tutti i casi di trasferimento a titolo oneroso di edifici
e/o di unità immobiliari (a cura del proprietario dell’immobile), nonché per tutti gli edifici di
nuova realizzazione (a cura del costruttore) e sottoposti a ristrutturazione importante. La
definizione di ristrutturazione importante si trova all’interno del D.L. 63/2013: si tratta di un
intervento in cui i lavori sono svolti su oltre il 25% della superficie di involucro dell’intero
edificio, indipendente dalla casistica in cui l’intervento rientra ai sensi del D.P.R. 380/2001).
Giova sottolineare come si stia parlando di «involucro dell’intero edificio», senza specificare se
esso sia o meno disperdente energia (ovvero, sia posto come barriera tra ambiente riscaldato
e ambiente non riscaldato o esterno). Inoltre, si noti come, a ulteriore aggravamento della
confusione, la definizione «ristrutturazione importante» sia foneticamente molto simile a
«ristrutturazione rilevante» (ex D.Lgs. 28 del 3 marzo 2011), ma nei contenuti profondamente
differente. Grande novità è quella sulle tempistiche di produzione dell’APE: dopo anni passati a
ricevere ACE consegnati in fretta e furia pochi istanti prima dell’atto notarile, con il D.L.
63/2013 l’APE dovrà essere reso disponibile «all’avvio delle trattative», e nei contratti di
vendita o nei nuovi contratti di locazione di edifici e/o di singole unità immobiliari dovrà essere
inserita apposita clausola in cui l’acquirente o il conduttore danno atto di essere stati informati
sulla prestazione energetica dell’immobile. Nel caso in cui un edificio e/o un’unità immobiliare
siano venduti o locati prima della sua costruzione, il venditore o locatario fornisce evidenza
della futura prestazione energetica dell’edificio, producendo l’APE congiuntamente alla
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dichiarazione di fine lavori. Quest’ultimo intervento del legislatore è chiaro negli intenti
(trasferire al venditore o al locatario l’onere di produzione dell’APE una volta realizzato
l’immobile), ma potrebbe generare non pochi problemi, considerando l’intervento delle
immancabili varianti in corso d’opera (raramente accompagnate da un aggiornamento della
relazione di contenimento dei consumi energetici) che l’acquirente o il conduttore potrebbero
richiedere. Senza una maggiore chiarezza nella procedura, non si fa fatica a immaginare una
prestazione dichiarata, in sede di contratto, differente da quella riportata nell’APE di chiusura
dei lavori, entrambe da confrontarsi con quella riportata e asseverata nell’AQE, che deve
essere consegnato dalla direzione lavori (e che rappresenta in questo caso un “doppione” di
scarsa utilità).
Tutti gli edifici utilizzati dalla Pubblica amministrazione, aperti al pubblico e di dimensioni
superiori ai 500 mq (250 mq a partire dal luglio 2015), dovranno poi essere dotati di APE, che
dovrà essere affisso all’ingresso dell’edificio stesso o in altro luogo chiaramente visibile al
pubblico (art. 6, commi 6 e 7). Inoltre, sempre gli edifici pubblici oggetto di contratti, nuovi o
rinnovati, di gestione degli impianti, devono essere dotati di APE (art. 6, comma 9). Qualora
l’edificio sia già dotato di ACE in corso di validità conforme alla dir. n. 2002/91/CE, l’obbligo di
dotazione dell’APE viene meno (art. 6, comma 11). Proprio il rapporto con il precedente
sistema di certificazione energetica è uno degli aspetti maggiormente oscuri in merito
all’applicazione dell’APE. Una nota del Comitato notarile interregionale Piemonte e Valle
d’Aosta, aiuta a fare un po’ di chiarezza: per le regioni (come, per esempio, Piemonte, Valle
d’Aosta, Lombardia) che hanno recepito la n. 2002/91/CE, legiferando in materia di
certificazione energetica e prestazione energetica degli edifici, continuano ad applicarsi le
norme già emanate anche se non ancora adeguate alla dir. n. 2010/31/UE, e «ciò in forza
dell’art. 17 del D.Lgs. 192/2005 (in vigore e non modificato) il quale prevede che in materia di
legislazione concorrente la normativa nazionale si applichi solo a quelle regioni che non
abbiano ancora emanato proprie disposizioni normative volte al recepimento della sola dir. n.
2002/91/CE e non anche della dir. n. 2010/31/UE, che dovrà essere recepita dalle regioni ma
con successivi loro provvedimenti». Per tutte le altre Regioni, nelle more dell’emanazione dei
nuovi decreti ministeriali che definiranno le nuove metodologie di calcolo per il rilascio dell’APE,
i tecnici abilitati, così come definiti dal D.Lgs. 115 del 30 maggio 2008, potranno rilasciare un
APE utilizzando le metodologie di calcolo previste dal D.P.R. 59 del 2 aprile 2009. Pesantissime
le sanzioni nel caso in cui l’APE non sia prodotto nei casi previsti dalla legge:
1. il proprietario o il costruttore che non dotano di APE un edificio di nuova costruzione o
sottoposto a ristrutturazione importante son puniti con una sanzione amministrativa tra €
3.000 ed € 18.000;
2. in caso di vendita, se l’APE non viene prodotto, il proprietario è sanzionato con un’ammenda
variabile tra € 3.000 ed € 18.000;
3. in caso di nuovo contratto di locazione, se l’APE non viene prodotto, il proprietario è
sanzionato con un’ammenda variabile tra € 300 ed € 1.800;
4. qualora un annuncio immobiliare non riporti i parametri energetici, il responsabile
dell’annuncio è punito con una sanzione amministrativa tra € 500 ed € 3.000.
Nessuna sanzione è prevista qualora non sia rispettato l’obbligo di produrre ed esporre l’APE in
edifici pubblici, o nel caso in cui vi sia un contratto di gestione e manutenzione impianti avente
come committente un soggetto pubblico. Il legislatore ha avuto mano molto pesante con il
soggetto privato, mentre è stato colpito da (strana) amnesia con i soggetti pubblici!
L’art. 6, comma 4 del D.L. 63/2013, cerca di fare chiarezza su uno dei maggiori dubbi finora
riscontrati tra i tecnici, ovvero quando un APE possa riferirsi a più unità immobiliari facenti
parte di uno stesso edificio.
Questo può avvenire qualora le suddette unità immobiliari abbiano la stessa destinazione d’uso
e siano servite dal medesimo impianto termico (sia esso per la climatizzazione invernale e/o
per la climatizzazione estiva). Nella pratica, si incontrano condomini con impianto termico
centralizzato, ma con impianti di climatizzazione estiva autonomi (qualora presenti): in questi
casi l’APE non potrà essere riferito all’intero condominio, ma se ne dovrà produrre uno per
ciascuna unità immobiliare. L’aggravio di tempi e costi è evidente, soprattutto per un mercato
in crisi come quello immobiliare già oberato da molta (troppa?) burocrazia “cartacea”.
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Son stati ampliati i casi in cui non è necessario produrre l’APE. L’art. 3, comma 1, lett.
interviene sull’art. 3, comma 3, del D.Lgs. 192/2005, escludendo dall’applicazione di quanto
previsto in recepimento della dir. n. 2010/31/UE:
1. edifici industriali e artigianali, quando gli ambienti sono riscaldati per esigenze del processo
produttivo o utilizzando reflui energetici del processo produttivo, non altrimenti utilizzabili;
2. edifici rurali non residenziali sprovvisti di impianti di climatizzazione;
3. i fabbricati isolati con una superficie utile totale inferiore ai 50 mq;
4. gli edifici che non son compresi nelle categorie degli edifici classificati sulla base della
destinazione d’uso di cui all’art. 3 del D.P.R. 412 del 26 agosto 1993 (per esempio, box,
cantine, autorimesse), fatte salve le porzioni di tali edifici destinate a uffici e scorporabili ai fini
della valutazione energetica;
5. gli edifici adibiti a luoghi di culto e allo svolgimento di attività religiose.
Da sottolineare come nel D.L. 63/2013 e nel modificato D.Lgs. 192/2005 non compaia la
definizione di «fabbricato isolato», di cui si può intendere il significato soltanto facendo
riferimento ad alcune leggi regionali, come la legge regione Piemonte 13 del 28 maggio 2007,
dove nell’Allegato A si legge che «per fabbricato isolato si intende un edificio che non condivide
le proprie strutture esterne con altri edifici; nel caso di edifici residenziali si intendono quali
fabbricati isolati case disseminate sul territorio comunale a distanza tale tra loro da non poter
costituire nemmeno un nucleo abitato». Di fatto, manca però un’indicazione valida su tutto il
territorio nazionale.
Gli edifici assoggettati ai vincoli di tipo artistico, architettonico e/o monumentale (ovvero «gli
immobili ricadenti nell’ambito della disciplina della parte seconda e dell’art. 136, comma 1,
lett. b ) e c ) del D.Lgs. 42 del 22 gennaio 2004»), son esclusi dall’applicazione del D.Lgs.
192/2005, così come modificato dal D.L. 63/2013, tranne che per quanto riguarda la
produzione dell’APE e l’esercizio, la manutenzione e il controllo degli impianti.
Quanto vale l’APE?
L’APE, così come l’ACE, ha una durata massima di 10 anni, e viene aggiornato ogni qualvolta
l’immobile sia oggetto di interventi che ne modifichino la classe energetica. Nuovamente si
ritrova una richiesta da parte del legislatore alquanto confusa: se è vero che qualsiasi
intervento che interessi l’edificio e/o l’unità immobiliare comporta una variazione della
prestazione energetica dell’immobile, non è altrettanto vero che sia così facile individuare
senza effettuare una nuova computazione complessiva quegli interventi che siano in grado di
far variare la classe energetica dell’edificio, a meno di non svolgere interamente la
computazione.
In sostanza, il legislatore obbliga a effettuare dopo ogni intervento i calcoli necessari alla
produzione dell’APE, quindi ad aggiornare tale documento qualora, a valle della valutazione
analitica, si riscontri una differente classe energetica (che peraltro, il legislatore non richiede
esplicitamente sia indicata all’interno dell’APE). Si potrebbe obiettare che la funzione dell’AQE
consegnato e asseverato a fine lavori è proprio quella di dare questo genere di indicazione. Ma
la responsabilità per la consegna dell’AQE è attribuita al direttore lavori, mentre esistono
interventi, rientranti sotto la tipologia della semplice manutenzione ordinaria (quali la
sostituzione di un solo infisso, per esempio) che, potenzialmente, potrebbero generare il salto
di classe necessario all’aggiornamento dell’APE, senza però essere condotti con una direzione
lavori, quindi senza essere conclusi dalla produzione cogente di un AQE. Il rischio è ancora una
volta la confusione, con APE non aggiornati che vengono utilizzati come documenti ufficiali
allegati ad atti di compravendita, con tutte le conseguenze del caso. L’APE ha una validità
legata strettamente ai controlli di efficienza energetica degli impianti di climatizzazione:
qualora non siano rispettate le tempistiche di legge, previste per questo genere di operazioni,
l’APE decade il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è prevista la prima scadenza
non rispettata.
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Altre implicazioni dal punto di vista energetico
Il D.L. 63/2013 non comporta solo l’introduzione dell’APE nel mondo edilizio italiano. Infatti,
disciplina, tramite decreti attuativi di futura emanazione, anche (art. 3, comma 1):
1. la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici;
2. le prescrizioni e i requisiti minimi in materia di prestazioni energetiche degli edifici oggetto
di nuova costruzione, ristrutturazione importante e riqualificazione energetica (la cui
definizione non è però assolutamente chiara, probabilmente a causa di un refuso: «un edificio
esistente è sottoposto a riqualificazione energetica quando i lavori in qualunque modo
denominati... ricadono in tipologie diverse da quelle indicate alla lett. lvicies bis» dove però si
fornisce la definizione di prestazione energetica);
3. l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili negli edifici;
4. la realizzazione di un sistema coordinato di ispezione periodica degli impianti termici negli
edifici.
In particolare, per edifici di nuova costruzione o oggetto di ristrutturazione importante, i
requisiti sono determinati con l’utilizzo dell’«edificio di riferimento» in funzione della tipologia
edilizia e delle fasce climatiche [art. 4, comma 1, lett. b )]. Proprio l’edificio di riferimento
rappresenta una novità non da poco per quanto riguarda il rispetto dei parametri di efficienza
energetica: si intende, infatti, con edificio di riferimento o target «un edificio identico in termini
di geometria (sagoma, volumi, superficie calpestabile, superfici degli elementi costruttivi e dei
componenti) orientamento, ubicazione territoriale, destinazione d’uso e situazione al contorno,
e avente caratteristiche termiche e parametri energetici predeterminati». L’edificio di
riferimento dovrebbe semplificare l’operato dei progettisti, più liberi di agire e di operare
sull’architettura dell’edificio, ma nei fatti costringerà sempre a costruire il totale modello di
calcolo per la valutazione della prestazione energetica dell’immobile, e questo per interventi di
piccola dimensione potrebbe comportare un aggravio di oneri per il committente, se si pensa
invece all’impostazione molto più semplice del D.Lgs. 192/2005 per lavori di modesta entità.
Viene introdotto anche l’«edificio a energia quasi zero»: si tratta di un edificio «ad altissima
prestazione energetica», in cui «il fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo è coperto in
misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta all’interno del confine del sistema
(in situ )» (art. 2, comma 1). L’art. 5, comma 1, sancisce che a partire dal 31 dicembre 2018
tutti i nuovi edifici occupati da Pubbliche amministrazioni, e di proprietà di queste ultime,
compresi gli edifici scolastici, dovranno essere a energia quasi zero, e che dal 1° gennaio 2021
l’obbligo è esteso a tutti gli edifici di nuova costruzione. Considerando l’importanza che riveste
quindi l’edificio a energia quasi zero, il legislatore avrebbe potuto sforzarsi maggiormente nella
definizione di cosa si intenda per questo genere di edificio ad altissima prestazione: cosa si
intende quantitativamente per «copertura significativa del fabbisogno tramite fonti
rinnovabili»? E ancora: come si armonizza questa definizione con quanto richiesto
dall’altrettanto
ambizioso
D.Lgs. 28/2011, relativo all’integrazione delle fonti energetiche rinnovabili negli edifici? Infine
l’art. 7, comma 1, ribadisce la cogenza e l’importanza della relazione tecnica di progetto
attestante la rispondenza alle prescrizioni per il contenimento del consumo energetico degli
edifici e dei relativi impianti termici, che deve essere consegnata dal proprietario dell’edificio
presso la struttura competente, in duplice copia, contestualmente alla dichiarazione di inizio
dei lavori, ma deve essere redatta dal progettista, «nell’ambito delle rispettive competenze
edili, impiantistiche termotecniche e illuminotecniche». Purtroppo, considerando la pluralità dei
soggetti che possono avvalersi del titolo di progettista (ingegneri, architetti, periti, geometri
ecc.) e considerando come a oggi, non siano ancora ben chiare le rispettive competenze, tale
frase è troppo sibillina e meriterebbe ulteriori precisazioni al fine di evitare l’insorgere di
spiacevoli discussioni su “chi possa fare che cosa”.
La relazione tecnica viene integrata tramite attestazione dell’Energy Manager, per gli enti
sottoposti a obbligo di nomina di tale soggetto (che, in ambito pubblico, secondo recenti
indagini, risulta ancora sconosciuto, anche presso enti obbligati).
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Infine, il D.L. 63/2013 pone l’ambizioso obiettivo di istituire un «sistema informativo comune
per tutto il territorio nazionale, di utilizzo obbligatorio per le regioni e le province autonome,
che comprenda la gestione di un catasto degli edifici, degli Attestati di prestazione energetica e
dei relativi controlli pubblici». Molto difficile capire come questo si integrerà con i database dei
certificati energetici già esistenti in molte regioni come per esempio Piemonte, Lombardia,
Liguria, Veneto, Emilia Romagna, ricchi di dati ma costruiti secondo parametri differenti gli uni
dagli altri.
Alcune (tristi) conclusioni
Il D.L. 63/2013, nel suo complesso, è molto ambizioso e molto denso di significati e
implicazioni sul settore edilizio. Quello che non è assolutamente chiaro è perché un documento
che incide in modo significativo sul mondo immobiliare, già in crisi da anni e che dovrebbe
essere oggetto di misure ragionate e ponderate finalizzate a un suo rilancio, sia stato
caratterizzato dall’urgenza che si riflette in modo evidente nelle molte incongruenze che si
possono ritrovare al suo interno. Pur sperando che la sua conversione in legge e, soprattutto, i
decreti attuativi ne migliorino la struttura, l’impressione è, a oggi, complessivamente negativa.
In occasione dell’emanazione della nuova normativa in materia di conciliazione nel condominio,
un illustre Presidente di Corte di Cassazione la definì come l’ennesima prova della “sciatteria”
del nostro legislatore. Seppur con tutte le attenuanti (o aggravanti?) legate alla fretta (da
sempre cattiva consigliera) parrebbe che tale definizione possa essere ben attribuita anche al
nostro D.L. 63/2013. Non resta che attendere con curiosità (e timore) la conversione in legge
di tale documento e, soprattutto, i decreti attuativi, consci del fatto che “al peggio non vi è mai
fine”.
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
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Fiscalità

La tassazione degli atti immobiliari
Stefano Baruzzi, Il Sole 24 ORE - Consulente Immobiliare 31 luglio 2013, n. 934
Nella maxi-circolare n. 18/E del 29 maggio 2013, di ben 237 pagine, l’Agenzia delle entrate ha
compendiato le interpretazioni fornite nel tempo in una moltitudine di circolari e di risoluzioni,
realizzando un’utile guida operativa che consente di reperire con facilità la prassi
amministrativa sui complessi temi legati alle imposte sui trasferimenti. Esaminiamo, in queste
pagine, alcune fra le più delicate e interessanti tematiche relative ai trasferimenti immobiliari,
che costituiscono uno dei capisaldi del provvedimento.
Una parte assai rilevante della maxi-circ. n. 18/E/2013 è dedicata ai trasferimenti immobiliari
che, in ragione della complessità e dell’articolazione dei sottostanti negozi, nonché dell’elevato
importo che di regola li caratterizza, rappresentano un ambito vasto e di fondamentale
importanza delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sul valore aggiunto e di bollo.
Abbiamo pertanto ritenuto di generalizzato interesse selezionare alcuni fra i temi che, più di
frequente, ricorrono nell’operatività immobiliare per fare il punto in base alla maxi-circolare.
All’attenta e sistematica consultazione di quest’ultima rinviamo tutti i nostri lettori contribuenti, operatori e professionisti del settore - con l’obiettivo di ottimizzare la padronanza
degli strumenti giuridici e fiscali e, con ciò, di contenere il rischio di incorrere in onerose
contestazioni.
Preliminari di compravendita
L’art. 10 della Tariffa Parte I del D.P.R. 131/1986 (Testo Unico dell’imposta di registro,
TUR) è dedicato ai contratti preliminari di ogni specie, alla cui registrazione è prevista l’imposta
di registro:
- nella misura fissa di € 168,00 per la registrazione;
- proporzionale (0,5%) sulle caparre confirmatorie (art. 1385 cod. civ.);
- proporzionale (3%) sugli acconti di prezzo non soggetti a IVA (in caso contrario si deve
applicare solo quest’ultimo tributo).
Negli ultimi due casi, la nota all’art. 10 dispone che «l’imposta pagata è imputata all’imposta
principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo».
Al riguardo, la maxi-circ. n. 18/E/2013 sottolinea che se l’imposta di registro proporzionale
corrisposta alla registrazione del preliminare in relazione alla caparra confirmatoria o agli
acconti di prezzo (non anche quella fissa dovuta per la registrazione del preliminare come tale)
è superiore all’imposta di registro che risulterà dovuta alla registrazione dell’atto definitivo,
spetta il rimborso della maggiore imposta proporzionale versata al preliminare, da richiedersi,
a pena di decadenza, «entro tre anni dal giorno del pagamento o, se posteriore, da quello in
cui è sorto il diritto alla restituzione» (art. 77 del TUR), decorrenti dalla data di registrazione
del contratto definitivo. Non si tratta, per la verità, di un caso molto frequente, anche se
potrebbe verificarsi qualora entrambi i contratti - preliminare e definitivo - siano soggetti a
imposta di registro e nel primo siano previsti ingenti acconti di prezzo (soggetti a registro con
aliquota del 3%), mentre i beni o i diritti oggetto dell’atto definitivo di trasferimento siano
soggetti ad aliquota inferiore, come accade in alcune fattispecie di trasferimenti immobiliari a
carattere agevolato.
Si pensi ai trasferimenti di fabbricati abitativi in regime di registro da imprese di qualsiasi tipo
a imprese aventi per oggetto esclusivo o principale dell’attività la rivendita di immobili, soggetti
all’aliquota dell’1% a condizione che l’impresa acquirente dichiari in atto che intende trasferirli
entro 3 anni dall’acquisto.
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
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Esempio
Prezzo di vendita € 1 milione soggetto a imposta di registro, alla registrazione
dell’atto definitivo, con aliquota 1% (€ 10.000); indicazione nel preliminare di
acconti di prezzo, dovuti a varie date, per complessivi € 800 mila, soggetti a imposta
di registro, già alla registrazione del preliminare, con aliquota del 3% (€ 24 mila).
Conseguente maturazione di un credito per imposta di registro a favore del
contribuente di € 14 mila, da richiedere a rimborso entro tre anni dalla registrazione
dell’atto definitivo di trasferimento dell’immobile.
Non compete, invece, alcun rimborso nella frequente ipotesi in cui alla registrazione del
preliminare sia tassata la caparra confirmatoria (con aliquota 0,50%), mentre l’atto definitivo è
soggetto a IVA.
Nel caso in cui, invece, anche quest’ultimo sconti l’imposta di registro proporzionale, l’imposta
assolta al preliminare sulla caparra confirmatoria (0,50%) o sugli acconti di prezzo (3%) sarà
dedotta dall’imposta di registro proporzionale dovuta alla registrazione dell’atto definitivo.
Esempio
Prezzo di vendita € 1 milione soggetto a imposta di registro, alla registrazione
dell’atto definitivo, con aliquota 3% (€ 30 mila); indicazione nel preliminare di
acconti di prezzo, dovuti a varie date, per complessivi € 800 mila, soggetti a imposta
di registro, già alla registrazione del preliminare, con aliquota del 3% (€ 24 mila).
L’imposta di registro dovuta in relazione al definitivo non sarà di € 30 mila, ma di soli
€ 6 mila, potendosi dedurre quanto già versato per gli acconti.
Lo stesso dicasi se nel preliminare non sono indicati acconti ma solo una caparra
confirmatoria di € 100 mila, soggetta al preliminare a imposta di registro di € 500
(0,50%): il saldo dell’imposta di registro dovuta per il definitivo si ridurrà da € 30
mila a € 29.500.
La circ. n. 18/E/2013 ricorda anche che per la trascrizione (obbligatoria ex art. 2645-bis cod.
civ.) dei preliminari immobiliari redatti per atto pubblico o per scrittura privata (non se
stipulati con scrittura privata non autenticata) è dovuta anche l’imposta ipotecaria fissa (€
168).
Compresenza di caparre e acconti prezzo
In linea di principio, se nel preliminare vi è la presenza della caparra confirmatoria e di acconti
prezzo sono dovute le imposte proporzionali di registro (0,50% e 3% rispettivamente).
Peraltro, richiamando quanto già chiarito dalla Cassazione e dalla ris. n. 197/2007, la maxicircolare ricorda che se nel preliminare alla somma di danaro viene dalle parti espressamente
attribuita la duplice funzione di caparra confirmatoria (ossia, di liquidazione anticipata del
danno da inadempimento) e di acconto prezzo (ossia, di anticipazione del corrispettivo) e
quest’ultimo è soggetto a IVA, allora non si avrà autonoma tassazione della caparra con
imposta di registro in virtù della richiamata “attrazione” nell’acconto prezzo, che assolverà,
pertanto, la (sola) IVA. In termini ancor più operativi, la ris. n. 197/2007 aveva riconosciuto
idoneità in tal senso a una clausola del preliminare in cui le parti prevedevano il versamento di
una somma di denaro con sua successiva « imputazione al prezzo a titolo di caparra
confirmatoria e acconto prezzo».
Qualora, invece, l’effettiva volontà delle parti circa la natura delle somme versate sia incerta
(laddove la loro qualificazione contrattuale manchi o sia dubbia), la circolare conferma che
queste devono ritenersi corrisposte a titolo di acconto e non di caparra confirmatoria, non
potendosi presumere la volontà delle parti di attribuire loro la funzione di penale propria di
quest’ultima.
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
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Atti negoziali stipulati a seguito dell’attività dei mediatori
L’art. 10, comma 1, lett. d-bis), del TUR prevede l’obbligo degli agenti di affari in mediazione di
registrare in termine fisso «le scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a
seguito della loro attività per la conclusione degli affari».
D.P.R. 131/1986, Tar. Parte I, nota II-bis all’art. 1, lett. b) e c): condizioni per l’agevolazione
«b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione
con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel
territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
c) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche
in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto,
uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o
dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo» o di cui alle altre leggi ivi indicate.
La circolare ricorda che tale obbligo sussiste sia per i contratti preliminari “tipici” sia per quelli
conclusi mediante proposta di acquisto e sua successiva accettazione, una volta intervenuta
quest’ultima e se l’accettazione della proposta è di per sé sufficiente e necessaria a
determinare, a ogni effetto di legge, la conclusione di un contratto preliminare di
compravendita, effetto che si consegue se la promessa di acquisto è irrevocabile per un certo
periodo di tempo nell’arco del quale al proponente è data conoscenza dell’accettazione della
proposta in termini che risultano in linea con quest’ultima. Il termine fisso di registrazione (20
giorni) decorre dal momento in cui al proponente giunge l’accettazione in quanto esso segna il
perfezionarsi delle rispettive volontà negoziali. Tale conclusione vale anche nel caso le parti
decidano, per qualsiasi ragione, di riprodurre formalmente i contenuti essenziali del contratto
in una successiva scrittura preliminare. Non sono, invece, soggetti a obbligo di registrazione
altri tipi di scritture quali l’incarico di vendita conferito al mediatore (atto prodromico, non
conseguente all’attività mediatoria), la proposta di acquisto (atto prenegoziale), l’accettazione
della proposta che non sia sufficiente a determinare, a ogni effetto di legge, la conclusione di
un contratto preliminare in quanto divergente dalla proposta.
Agevolazioni “prima casa” e comunione fra coniugi
La disciplina agevolativa in oggetto può comporta significative limitazioni legate al regime di
comunione legale fra coniugi e, in taluni casi, anche con altri soggetti.
Sul punto la maxi-circolare ricorda che, in base alle richiamate condizioni, è possibile godere
dell’agevolazione “prima casa”:
- se si è titolari in comunione con soggetti diversi dal coniuge di diritti reali su immobili, anche
se situati nel comune in cui si intende procedere al nuovo acquisto, a condizione che non siano
stati acquistati fruendo dell’agevolazione;
- nel caso in cui due coniugi, in regime di comunione legale, acquistino un’abitazione ma solo
uno dei due possegga i requisiti per l’agevolazione “prima casa” in quanto, per esempio, l’altro
coniuge ha già fruito dell’agevolazione per un immobile acquistato prima del matrimonio: in tal
caso il beneficio si applica solo alla quota acquistata dal coniuge in possesso dei requisiti.
La circ. n. 18/E prosegue poi sottolineando che, in generale, l’acquisto agevolato effettuato da
uno dei coniugi in regime di comunione legale dei beni comporta l’esclusione dall’agevolazione
per entrambi i coniugi di tutti i successivi acquisti di case di abitazione (l’agevolazione è altresì
esclusa dalla titolarità, in comunione con il coniuge, di altra casa di abitazione nel territorio del
comune in cui si intende acquistare un nuovo immobile) e che, tuttavia, se il precedente
acquisto agevolato è stato effettuato da uno dei coniugi in situazioni che permettono di
escludere la comproprietà di cui all’art. 177 cod. civ., l’altro coniuge (quello, cioè, che non ha
fruito dell’agevolazione) può beneficiare del regime di favore per l’acquisto in comunione legale
di una casa di abitazione non di lusso per la quota a lui attribuita, nel rispetto delle altre
condizioni previste dalla normativa “prima casa”. Diversamente dal caso generale, infatti, in
quest’ultimo l’immobile in precedenza acquistato dal coniuge “A” (al ricorrere di una delle
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
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ipotesi previste dall’art. 179 cod. civ.) non è ricaduto nella comunione legale e pertanto non
preclude le agevolazioni a “B” per un successivo acquisto.
Agevolazioni che “B” potrà fruire, benché sull’importante punto la circolare non sia esplicita:
- sull’intero prezzo qualora faccia intervenire all’atto il coniuge “A” affinché renda dichiarazione
di conferma che l’acquisto ora effettuato da “B” non ricadrà nella comunione legale;
- sulla sola propria metà qualora “A” non intervenga all’atto cosicché l’immobile ricadrà nella
comunione legale e per la quota di “A” le agevolazioni non potranno essere nuovamente
fruite.(1)
Sul delicato e controverso tema degli acquisti in comunione merita di essere richiamata in
questa sede anche quella parte della giurisprudenza della Cassazione (ord. n. 15426/2009;
sent. n. 14237/2000) che ha, addirittura, affermato il principio - non ancora recepito
dall’Agenzia delle entrate - per cui, nel caso di acquisto di abitazione da parte di uno dei
coniugi in regime di comunione legale, l’altro ne diviene comproprietario (ex art. 177 cod. civ.)
con diritto alle agevolazioni fiscali “prima casa” anche se sprovvisto dei requisiti di legge,
sussistenti solo in capo al coniuge acquirente: ciò in base al rilievo che l’acquisto della
comproprietà di un bene da parte dei coniugi ex art. 177 cod. civ. si differenzia
ontologicamente dall’acquisto in comune del bene stesso, giacché colui che diviene proprietario
di metà del bene - acquistato dal coniuge (presumibilmente con denaro proprio) e da questi
fatto ricadere nella comunione legale - non si rende “ acquirente” dello stesso, ma lo riceve per
volontà della legge, con la conseguenza che detto coniuge non è tenuto al possesso dei
requisiti posti dalla norma sulle agevolazioni “prima casa”.
Nozione fiscale di impresa costruttrice
Una nozione di fondamentale importanza della fiscalità immobiliare è quella di “impresa
costruttrice”, da non confondere con la categoria delle imprese di costruzione. La maxicircolare ricorda che “imprese costruttrici”, dal punto di vista fiscale, sono quelle che realizzano
l’immobile direttamente con organizzazione e mezzi propri o avvalendosi di imprese terze per
la materiale esecuzione di tutti i lavori o di parte di essi, nonché quelle che anche
occasionalmente costruiscono o fanno costruire immobili per la successiva vendita. Rientrano
nella categoria anche le cooperative edilizie, a proprietà divisa e indivisa, tutte le imprese che
costruiscono immobili, anche in via occasionale (banche, compagnie di assicurazioni, altre
imprese), quelle che provvedono al “ripristino” dell’immobile in quanto lo acquistano ed
eseguono in proprio o fanno eseguire ad altri interventi di recupero edilizio o urbanistico e
successivamente lo rivendono o lo concedono in locazione prima della vendita, circostanza che
non fa venire meno la qualifica in discorso.
In sostanza, il requisito di impresa costruttrice, dal punto di vista fiscale, discende dalla
titolarità dell’abilitazione amministrativa (permesso di costruzione, DIA, SCIA ecc.) e non dalla
disponibilità di macchinari, attrezzature, maestranze che consentano all’impresa di effettuare
in proprio l’intervento edile: questi ultimi elementi non sono, infatti, necessari, potendo essere
acquisiti da terzi mediante contratti di appalto, noleggio e simili.
Cessione di fabbricati strumentali pertinenze di abitazioni
Affinché il vincolo pertinenziale rilevi occorrono due condizioni “civilistiche”, la prima
soggettiva, la seconda oggettiva:
- volontà del proprietario, o del titolare di un diritto reale sul bene principale, di porre la
pertinenza in un rapporto di strumentalità funzionale con il bene principale;
- destinazione durevole e funzionale della pertinenza a servizio od ornamento del bene
principale, ciò che rende necessario che i due beni siano ubicati in prossimità fra loro.
È inoltre necessario che il vincolo pertinenziale sia evidenziato nell’atto di cessione. Ove
ricorrano tali requisiti, non rileva la circostanza che bene principale e pertinenza siano oggetto
di uno stesso atto o di atti separati: alla cessione del bene strumentale pertinenziale si estende
la disciplina propria del bene principale, senza che, tuttavia, venga meno l’autonoma rilevanza
fiscale dell’operazione avente a oggetto la pertinenza. Pertanto, il trasferimento della
pertinenza deve essere trattato come se fosse un’abitazione e non un bene strumentale (ciò
che, invece, si verifica in assenza del rapporto di pertinenzialità) ma per l’imponibilità IVA della
pertinenza occorrerà che il cedente sia l’impresa costruttrice soggetto IVA e che la cessione
abbia luogo entro cinque anni dall’ultimazione o anche successivamente purché il cedente
esprima nell’atto l’opzione per l’IVA.
----(1) Così A. Busani, “Prima casa, bonus più facile per i coniugi”, Il Sole 24 ORE, 1° giugno 2013, pag. 16.
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Immobili

IPE e APE: cambiano le regole
Angelo Pesce, Ivan Meo Consulente Immobiliare,n. 933, 15 luglio 2013
Il D.L. 63/2013 ha quale principale funzione quella di recepire definitivamente la dir. n.
2010/31/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla prestazione energetica nell’edilizia.
Il fine principale della direttiva europea è quello di promuovere l’efficientamento energetico
degli edifici, sulla base delle condizioni locali e climatiche esterne nonché delle prescrizioni
relative al clima degli ambienti interni e dell’efficacia sotto il profilo dei costi. Con l’avvenuto
recepimento, viene definita anche la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche
dell’immobile nel suo complesso e delle unità immobiliari singole. Relativamente alla normativa
sulla certificazione energetica, il decreto rivede la procedura inerente l’attestazione della
prestazione energetica (art. 6) da allegare agli atti di compravendita e locazione, al fine di
renderla uniforme sul territorio nazionale (ove alcune regioni avevano già legiferato in merito).
Il nuovo strumento fornirà anche raccomandazioni per il miglioramento dell’efficienza
energetica.
Per quanto riguarda il vecchio Attestato di certificazione energetica (ACE), il decreto aveva
previsto di non eliminarlo del tutto se conforme alla precedente dir. n. 2002/91/CE, ma di
consentirne comunque la predisposizione al fine di semplificare il successivo rilascio della
prestazione energetica. Tuttavia, secondo una recentissima sentenza della Corte di Giustizia
europea (13 giugno 2013), che ha ritenuto l’Italia inadempiente nel recepimento della dir. n.
2002/91/CE sul rendimento energetico nell’edilizia, questo attestato dovrebbe risultare non
regolamentare. Ricordiamo che la dir. n. 2002/91/CE doveva essere recepita da tutti gli Stati
membri dell’Unione entro il 4 gennaio 2006 e l’Italia in particolare aveva adottato, ai fini del
recepimento, il D.Lgs. 192/2005 nonché il D.M. 26 giugno 2009, “Linee guida nazionali per la
certificazione energetica degli edifici”.
In base a tale sentenza (riquadro 1 a pag. 1189) il recepimento non è avvenuto in maniera
completa: la deroga prevista nella legislazione nazionale per la consegna di un attestato
relativo al rendimento energetico in caso di locazione di un immobile ancora privo dello stesso
al momento della firma del contratto, non rispetta la dir. n. 2002/91, la quale non contempla
una simile deroga (art. 7, par. 1). (1) Oltretutto, anche il sistema di autodichiarazione da parte
dello stesso proprietario in caso di edifici con rendimento energetico molto basso, si pone in
contrasto con quanto previsto dalla dir. n. 2002/91 (art. 7, par. 1 e 2, e art. 10). (2) Per tali
ragioni la Corte UE ha condannato l’Italia per non aver correttamente recepito la direttiva UE,
sul rendimento energetico degli edifici, dichiarando illegittime l’autodichiarazione sui bassi
consumi e la mancata consegna alla firma del contratto di compravendita.
Che cos’è l’IPE
L’IPE, cioè l’Indice di prestazione energetica, rappresenta uno dei dati che deve riportare
obbligatoriamente la certificazione energetica dell’immobile utile alla vendita dell’edificio a
norma.
È la misura il consumo totale di energia primaria per il riscaldamento invernale (in regime
continuo per 24 ore) riferito all’unità di superficie utile o di volume lordo, espressi
rispettivamente in kWh/mq anno o kWh/mc anno. Molto semplicemente, l’IPE ci dà
informazioni circa la quantità di energia necessaria per riscaldare o raffreddare un edificio che
spesso dipende dalla sua struttura, dall’isolamento e dagli impianti di cui si fa uso. A un indice
più basso corrisponde un consumo di energia più basso e, quindi, una prestazione energetica
migliore.
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Di solito, i certificati riportano l’indice di Prestazione energetica globale (EPgl), che rifletterà la
somma dei seguenti elementi:
- EPi (fabbisogno di energia primaria per la climatizzazione invernale - riscaldamento);
- EPacs (fabbisogno di energia primaria per la preparazione dell’acqua calda sanitaria);
- EPe (fabbisogno di energia primaria per la climatizzazione estiva - raffrescamento);
- Eill (fabbisogno di energia primaria per illuminazione).
Dal risultato emergono le caratteristiche energetiche dell’edificio. A oggi, l’EPgl riportato nel
Certificato energetico tiene conto solo del fabbisogno energetico per il riscaldamento e la
produzione di acqua calda, vale a dire solo i primi due elementi. In ragione del valore dell’EPgl,
in sede di certificazione energetica, l’immobile viene classificato sulla base di una scala di
classe energetica che sintetizza il grado di efficienza dell’immobile in termini alfabetici (da A+
fino alla classe G).
L’IPE dovrà riportare indicazioni precise rispetto a una serie di voci che sintetizziamo
nella tabella 1.
Per far sì che l’IPE risulti più basso, lì dove i consumi di energia sono in realtà piuttosto alti, è
necessario intervenire sull’involucro edilizio, così come sugli impianti e quindi è possibile:
- realizzare un cappotto esterno per migliorare l’isolamento dell’involucro;
- sostituire i vecchi infissi con altri ad alta prestazione isolante, dotati di vetro camera per
evitare dispersioni di calore;
- coibentare il tetto e i solai disperdenti;
- installare una caldaia a condensazione o un impianto dotato di pompa di calore;
- installare sistemi a energia rinnovabile.
TABELLA 1
L’Indice di prestazione energetica dovrà indicare:
- la prestazione energetica globale dell’immobile, sia in termini di energia primaria
totale che di energia primaria non rinnovabile;
- la classe energetica definita sulla base dell’IPE globale dell’edificio espresso in
energia primaria non rinnovabile;
- la qualità energetica dell’edificio, cioè la capacità dello stesso di ridurre i consumi
energetici per il riscaldamento e il raffrescamento calcolato sulla base degli indici di
prestazione termica;
- i valori dei requisiti minimi di efficienza energetica vigenti a norma di legge;
- i valori di emissione di CO2;
- i valori di energia esportata;
- l’indicazione degli interventi necessari per l’innalzamento delle prestazioni
energetiche dell’immobile, con la valutazione economica degli stessi;
- i risultati di eventuali diagnosi energetiche comprovanti la necessità di interventi
volti all’efficientamento e le informazioni legate agli incentivi di carattere
finanziario.
L’APE
Altra novità introdotta dal decreto è la rivisitazione della procedura relativa all’APE,
Attestazione di prestazione energetica, da allegare agli atti di compravendita o locazione:
- nei casi di vendita o di nuova locazione di un immobile (o di una singola unità immobiliare), il
proprietario deve presentare l’APE all’acquirente o locatario sin dall’inizio delle trattative di
vendita/ locazione e rilasciarlo a procedura ultimata (a oggi, prima della sentenza della Corte
di Giustizia CE del 13 giugno scorso, era consentito sfruttare l’ACE, ove fosse già presente,
valido e conforme alla precedente dir. n. 2002/91/CE).
- per gli edifici in fase di costruzione, l’attestato deve riportare la futura prestazione energetica
dell’immobile, che diverrà attestato definitivo al termine dei lavori ed è compito del costruttore
redigerne una copia;
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- lo stesso dicasi per gli immobili sottoposti a ristrutturazioni importanti.
Sanzioni
Il mancato rilascio dell’attestato è sanzionabile con multe che vanno da € 3.000 a € 18.000 in
caso di vendita e da € 300 a € 1.800 in caso di locazione. Le sanzioni sono previste anche nel
caso di omessa indicazione dei parametri energetici nell’annuncio di compravendita o locazione
(da € 500 a € 3.000), e nel caso di false o con conformi dichiarazioni da parte dei tecnici
abilitati al rilascio dell’attestato (da € 700 a € 4.200).
Nella tabella 2 riportiamo quanto previsto dal decreto in caso di mancato rispetto delle norme
relative all’APE.
Validità temporale
Viene fornita anche indicazione sulla validità temporale dell’APE che è di 10 anni al massimo,
subordinata al rispetto delle prescrizioni per le operazioni di controllo di efficienza energetica
degli impianti termici, comprese le eventuali necessità di adeguamento. Questo viene
aggiornato in concomitanza con eventuali interventi di ristrutturazione dell’immobile o della
singola unità immobiliare che ne migliorino la classe energetica. Tutti gli immobili dunque
dovranno essere dotati dell’Attestato, anche se nel nostro Paese la verifica della dotazione
avviene solo all’atto del trasferimento, che dopo la prima emissione avrà, come detto, una
validità di 10 anni, fatta eccezione per le seguenti categorie: edifici e monumenti protetti,
luoghi esclusivi di culto e attività religiose, costruzioni temporanee per destinazione d’uso
uguale o inferiore a due anni, edifici o parti di edifici isolati con meno di 50 mq ed edifici usati
meno di 4 mesi all’anno.
TABELLA 2 Periodicità dei controlli e sanzioni.
Costruttore
Proprietario, conduttore, amministratore
Tecnico professionista
Direttore dei lavori
Agenzia immobiliare
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La sanzione va da un minimo di €
3.000 fino a un massimo di €
18.000 per la mancata dotazione
dell’APE
all’atto
di
vendita
dell’immobile.
La sanzione va da un minimo di €
500 fino a un massimo di € 3.000
per la omessa indicazione dei
parametri energetici e per la
mancata
manutenzione
degli
impianti di climatizzazione.
La sanzione va da un minimo di €
700 fino a un massimo di € 4.200
per il mancato rispetto degli
schemi previsti dal decreto e nel
caso di false o con conformi
dichiarazioni.
La sanzione va da un minimo di €
1.000 fino a un massimo di €
6.000 per omessa presentazione
dell’asseverazione di conformità
alle opere e all’APE.
La sanzione va da un minimo di €
500 fino a un massimo di € 3.000
per
omessa
indicazione
dei
parametri energetici nell’annuncio
di compravendita o locazione
dell’immobile.
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Periodicità dei controlli per gli impianti
Così come previsto dal decreto del 16 aprile 2013, concernente i criteri generali in materia di
esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici, lì dove le
prescrizioni per le verifiche di efficienza energetica degli impianti non venissero rispettate,
l’APE decade il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è prevista la prima scadenza
non rispettata per le predette operazioni di controllo. Il decreto di recepimento ribadisce la
periodicità delle ispezioni per gli impianti di riscaldamento e di condizionamento d’aria, diverse
in base alla potenza degli stessi, e stabilisce anche le sanzioni per i mancati controlli
(tabella 3 ).
L’importanza di avere “le carte in regola”
Acquistare o vendere casa non è stato mai così difficile. Alla contrazione del mercato
immobiliare si aggiunge anche la difficoltà di avere tutta la documentazione in regola prima di
procedere alla vendita dell’immobile. Infatti, ricordiamo che per poter vendere sono necessari
e indispensabili i seguenti documenti:
- redazione tecnica di conformità catastale;
- la licenza di costruzione con agibilità;
- l’Attestato di prestazione energetica (APE). A queste certificazioni indispensabili e obbligatorie
si aggiungono altri documenti:
- le dichiarazioni di conformità degli impianti;
- le eventuali certificazioni di libera commerciabilità degli immobili a prezzo libero o vincolato;
- la dichiarazione da parte dell’amministratore di condominio che chi vende sia in regola con il
pagamento delle spese condominiali;
- la fideiussione decennale indennitaria da parte del costruttore per gli immobili di nuova
costruzione.
TABELLA 3 Periodicità dei controlli e sanzioni.
Impianti di riscaldamento con caldaie di potenza sup. a 20
kW
Impianti di condizionamento d’aria di potenza sup. a 12 kW
Impianti di riscaldamento con caldaie di potenza è sup. a
100 kW
Impianti di riscaldamento con caldaie gas
Sanzioni
Controlli periodici di efficienza
energetica
inviato
dal
manutentore
o
dal
terzo
responsabile
Ispezione ogni 2 anni
Ispezione ogni 4 anni
In caso di mancata ispezione, il proprietario o da € 500 a € 3.000
l’amministratore è sanzionabile
L’operatore incaricato del controllo e manutenzione, che non da € 1.000 a € 6.000
provvede a redigere e sottoscrivere il rapporto di controllo
tecnico, è sanzionabile
La regione o l’ente locale responsabile dei controlli, è tenuto a veri.carne la regolarità e, in
caso di mancanze, deve sanzionare i soggetti interessati e darne comunicazione alla Camera di
Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di appartenenza per i provvedimenti
disciplinari conseguenti.
Il mercato del Bollino Verde a rischio truffa
Secondo i dati divulgati, il patrimonio edilizio privato può essere paragonato, dal punto di vista
strutturale, a un vero colabrodo visto che in molte case in cui viviamo, hanno ancora caldaie
antiquate, infissi e serramenti inadeguati e dispersioni termiche smisurate. Inoltre, gli edifici
sono responsabili di una grossa fetta dei consumi energetici che si aggira sul 33% del totale.
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
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Ma al danno si aggiunge la beffa perché si è messo in moto un vero mercato delle certificazioni
energetiche “facili”. Perché in Italia si può avere un certificato energetico low cost senza alcun
problema e nessuna garanzia di qualità. In qualche caso, possono bastare anche solo € 50:
senza neanche il sopralluogo. Su questo fenomeno, molte associazioni di consumatori
ovviamente hanno lanciato l’allarme.
Quale sarà l’impatto sul mercato immobiliare
Secondo una prima valutazione effettuata da una primaria agenzia immobiliare, che ha sedi in
tutta Italia, fino all’entrata in vigore del decreto, gli annunci immobiliari che riportano
l’indicazione energetica sono solo il 4%. Si precisa, inoltre, che la maggior parte degli immobili
sul nostro territorio nazionale, ovvero circa l’80% circa, appartiene alla classe energetica F.
Tali dati confermano anche le stime della Federazione degli agenti immobiliari, che sottolinea
come la metà degli annunci degli immobili che riportano la certificazione energetica siano
relativi a case nuove e quindi realizzate alla luce delle nuove normative. Non sono mancate le
critiche in merito all’inserimento di questo nuovo obbligo in quanto rischia di trasformarsi in un
ulteriore trauma per un mercato già in ginocchio.
Da ultimo va anche comunicato l’orientamento espresso dall’ufficio legale di Confedilizia,
secondo cui: «le norme introdotte dal D.L. 63/2013 non sono di immediata applicazione in
quanto il nuovo testo di legge prevede l’emanazione di un decreto interministeriale per
l’adeguamento del precedente provvedimento sulla documentazione energetica, fissando criteri
e contenuti obbligatori del nuovo Attestato di prestazione energetica».
Di conseguenza, pur dopo l’emanazione del D.L. entrato in vigore, deve ritenersi che debbano
continuare a osservarsi le previgenti norme nazionali o regionali. Infine, si ricorda che la
direttiva europea prevede che gli Stati membri possano rinviare fino al 31 dicembre 2015
l’applicazione delle disposizioni concernenti la messa a disposizione e consegna degli Attestati
di prestazione energetica. Secondo il presidente di Confedilizia Corrado Sforza Fogliani,
sarebbe auspicabile che «il Parlamento, in sede di conversione del decreto legge imposto
dall’UE, si avvalga di questa facoltà concessa dalla normativa europea».
RIQUADRO 1
Sentenza della Corte europea di Giustizia C345/12, sez. X, del 13.6.2013 «La
Repubblica Italiana, non avendo previsto l’obbligo di consegnare un attestato
relativo al rendimento energetico in caso di vendita o di locazione di un immobile,
conformemente agli articoli 7 e 10 della direttiva 2002/91/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2002, sul rendimento energetico
nell’edilizia, e avendo omesso di noti.care alla Commissione europea le misure di
recepimento dell’articolo 9 della direttiva 2002/91, è venuta meno agli obblighi a
essa incombenti in forza degli articoli 7, paragra. 1 e 2, e 10 di detta direttiva,
nonché 15, paragrafo 1, della medesima, letti in combinato disposto con l’articolo 29
della direttiva 2010/31/ UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio
2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia».
----(1) Dir. n. 2002/91/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio sul rendimento energetico nell’edilizia. All’art. 7, par. 1,
è scritto: «Gli Stati membri provvedono a che, in fase di costruzione, compravendita o locazione di un edificio,
l’attestato di certificazione energetica sia messo a disposizione del proprietario o che questi lo metta a disposizione del
futuro acquirente o locatario, a seconda dei casi. La validità dell’attestato è di dieci anni al massimo».
(2) Dir. n. 2002/91/CE. Art. 7, par. 2: «L’attestato di certificazione energetica degli edifici comprende dati di
riferimento, quali i valori vigenti a norma di legge e i valori riferimento, che consentano ai consumatori di valutare e
raffrontare il rendimento energetico dell’edificio. L’attestato è corredato di raccomandazioni per il miglioramento del
rendimento energetico in termini di costi-benefici. L’obiettivo degli attestati di certificazione è limitato alla fornitura di
informazioni e qualsiasi effetto di tali attestati in termini di procedimenti giudiziari o di altra natura sono decisi
conformemente alle norme nazionali». Art. 10: «Gli Stati membri si assicurano che la certificazione degli edifici e
l’elaborazione delle raccomandazioni che la corredano nonché l’ispezione delle caldaie e dei sistemi di condizionamento
d’aria vengano effettuate in maniera indipendente da esperti qualificati e/o riconosciuti, qualora operino come
imprenditori individuali o impiegati di enti pubblici o di organismi privati».
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Casi pratici
 Immobili
 MEDIAZIONE IMMOBILIARE
D. Un agente immobiliare ha proceduto a far visitare un immobile ad un potenziale acquirente,
il quale gli ha firmato anche l'attestazione della visita effettuata. A distanza di pochi mesi si
scopre che il medesimo potenziale acquirente ha effettivamente acquistato quell'immobile
(riservandosi solo la nuda proprietà e cedendo l'usufrutto al figlio) però per il tramite di
un'altra agenzia immobiliare, peraltro non facendone menzione nell'atto pubblico di
compravendita. L'agente immobiliare ha diritto comunque alle provvigioni (era
contrattualmente previsto il 3% del prezzo di compravendita) e, in caso affermativo, in quale
misura (considerando che il "potenziale acquirente" ha acquistato soltanto la nuda proprietà).
La circostanza che non sia stato lui a portare a conclusione l'affare, può incidere sull'entità
delle eventuali provvigioni dovute in suo favore? A quali conseguenze va incontro l'acquirente
per la dichiarazione mendace nell'atto pubblico?.
----R. Nel caso prospettato il potenziale acquirente che ha visitato l'immobile per il tramite di un
agente immobiliare, successivamente lo acquista per il tramite di un'altra agenzia immobiliare.
Si richiede pertanto se spetti comunque al primo agente una provvigione. In base a quanto
disposto dall'art. 1755 c.c. "il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti se
l'affare è concluso per effetto del suo intervento". Il successivo art. 1758 c.c. inoltre
espressamente prevede che laddove l'affare sia concluso con l'intervento di più mediatori,
ognuno di essi ha diritto ad una quota della provvigione. Invero, ai fini del riconoscimento della
provvigione al mediatore, l'art. 1758 c.c. sancisce che a tal scopo risulta necessario un mero
"intervento". Detto intervento può peraltro considerarsi avvenuto in base a quanto esposto
poiché l'appartamento è stato comunque fatto previamente visitare al potenziale acquirente da
parte del primo agente immobiliare e quindi sussiste un rapporto di causalità tra il successivo
acquisto e la conoscenza del fatto che tale immobile fosse posto sul mercato per il tramite del
primo agente. Inoltre, l'inciso "intervento" della norma richiamata rende ammissibile un
contributo causale anche in forma susseguente od antecedente e non necessariamente
contestuale alla conclusione dell'affare. Alla luce di quanto esposto pertanto, risultando in
concreto il nesso causale apportato dal primo agente immobiliare, quest'ultimo ha un diritto
alla provvigione ex art. 1758 c.c. che dovrà essere calcolata in misura del contributo
effettivamente fornito dallo stesso. (Sul tema. cfr. Cass., sez. III, sent. n. 1507/07;
orientamento confermato da Cass., sez. III, sent. n. 16157/2010). La circostanza che il
"potenziale acquirente" ha acquistato soltanto la nuda proprietà non incide sul diritto del primo
agente a vedersi riconosciuta la propria percentuale di provvigione. Quanto alle possibili
conseguenze dell'acquirente per la dichiarazione mendace nell'atto pubblico, si rammenta che
l'atto pubblico di compravendita ha la funzione tipica di trasferire un bene mobile o immobile
da un soggetto all'altro, previa corresponsione del prezzo, ma non quella di attestare la verità
delle dichiarazioni dei contraenti in ordine alle loro qualità personali. In merito, la Cassazione
ha recentemente avuto modo di chiarire che non integra il reato di falsità ideologica commessa
dal privato in atto pubblico, ex art. 483 c.p., la condotta di colui che dichiari falsamente al
notaio in sede di redazione di un atto pubblico di donazione di avere usucapito alcuni immobili
oggetto della donazione in quanto detto atto, destinato a trasferire la proprietà dei beni donati
al donatario, non è, invece, destinato a provare la verità dei fatti dichiarati dal donante (Cfr.
Cass., Sez. V, 4 dicembre 2007 - 4 febbraio 208, n. 5365, CED 239110).
(Raffaele Cusmai, Il Sole 24 ORE- Codice degli Immobili Risponde, 8 luglio 2013)
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
42

REQUISITI COMMERCIABILITÀ IMMOBILE
D Quali sono i requisiti che garantiscono ad un immobile la legittimità urbanistica e quindi la
sua commerciabilità?
---R. Per determinare i requisiti minimi di regolarità urbanistica senza i quali gli stessi debbono
ritenersi totalmente abusivi, e come tali incommerciabili, occorre distinguere tra edifici costruiti
prima del 1 settembre 1967 ed edifici costruiti dopo tale data. Nel primo caso gli immobili sono
sempre commerciabili. Pertanto, verificata l'anteriorità di effettiva costruzione a tale data il
requisito sostanziale di validità degli atti notarili sussiste sempre, per una sorta di regolarità
urbanistica ex lege ai fini della commerciabilità dei beni. Nel caso invece di edifici costruiti dopo
il 1 settembre 1967 deve trattarsi di fabbricati realizzati sulla base di un progetto debitamente
approvato con rilascio dei prescritti provvedimenti autorizzativi (licenza edilizia, concessione
edilizia o permesso di costruire a seconda dell'epoca di costruzione) ovvero sulla base di
denuncia di inizio attività (nei casi di cui all'art. 22, c. 3, T.U. in materia edilizia o di cui all'art.
1 comma 6 legge 443/2001, nei casi ci si sia avvalsi della D.I.A. in alternativa alla prescritta
concessione edilizia). Tuttavia, il tutto non può esaurirsi, sia per i fabbricati ante '67 che per i
fabbricati post '67, alla sola vicenda costruttiva originaria in quanto anche interventi successivi
alla costruzione e successivi al 1° settembre 1967, possono comunque incidere sulla validità
delle contrattazioni, posto che l'art. 46 comma 5 bis del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico in
materia edilizia) nell'ampliare l'obbligo delle menzioni necessarie ai fini della validità degli atti,
ha dato rilevanza, ai fini della commerciabilità, anche agli interventi di ristrutturazione ex art.
10 primo comma lett. c) D.P.R. 380/2001 (Testo Unico in materia edilizia).
(http://www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com)

TRASFERIMENTO VANO DA UNITÀ IMMOBILIARE ADIACENTE
D. Una società è divenuta proprietaria di tre unità immobiliari abitative nel 2011 con
l'intenzione di ristrutturare. A causa della crisi decide di non effettuare l'intervento e di
rivendere. Trova tre famiglie di acquirenti con esigenze diverse che decidono di acquistare
determinate porzioni. Per poter procedere agli atti di acquisto vengono presentate le variazioni
catastali per scorporare un vano da un'unità ed accorparlo a quella adiacente.
Contestualmente, in base alle direttive imposte dalla circolare dell'agenzia del territorio,
vengono accatastate a parte un deposito ed una tettoia che prima erano accorpati come
accessori alle unità immobiliari abitatative. Riassumendo: non sono variate il numero di unità
immobiliari, non sono state eseguite opere, non vi è stato un "reale" cambio di destinazione
d'uso. Era necessario avere da parte del comune qualche provvedimento amministrativo?
----R. Nel quesito si demanda se in seguito a determinati accatastamenti su degli immobili
abitativi, non essendo variato il numero di unità immobiliari, non essendo state eseguite opere
né essendovi stato un reale cambio di destinazione d'uso, risulti necessario ottenere comunque
da parte del Comune qualche tipo di provvedimento amministrativo. Nel caso in cui una
modifica dell'unità immobiliare comporti la variazione della sagoma dell'edificio, della
disposizione degli spazi interni o della destinazione d'uso, occorre effettuare una variazione
catastale in quanto tali circostanze modificano sia il classamento che la rendita catastale. L'art.
6, c.1, del D.P.R. 380/2001, così come modificato dalla legge 73/2010 ha previsto una serie di
attività definite di "edilizia libera" e quindi non assoggettate a titolo edilizio abitativo (DIA o
PDC). Al secondo comma della norma richiamata invece vengono previste una serie di attività
per le quali è stata prevista la previa comunicazione, anche per via telematica, dell'inizio dei
lavori da parte dell'interessato all'amministrazione comunale. Tuttavia, nonostante tale
comunicazione tali attività possono essere eseguite senza alcun titolo abilitativo. Tra le stesse,
rientrano, in base a quanto disposto alla lettera a) della norma richiamata "gli interventi di
manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), ivi compresa l'apertura di
porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali
dell'edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino
incremento dei parametri urbanistici". Nel caso di specie quindi, tali interventi non
necessitavano di un particolare provvedimento amministrativo da parte del Comune ma degli
stessi, in base a quanto sopra precisato, andava previamente comunicato l'inizio dei lavori al
Comune, anche per via telematica.
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
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(Raffaele Cusmai, Il Sole 24 ORE - Codice degli Immobili Risponde, 1 luglio 2013)
 Economia e fiscalità
 SGRAVIO FISCALE
D. In un condominio a prevalenza unita non abitative per lavori straordinari quale aliquota iva
si deve applicare del 21% o del 10%?
----R. Ai sensi dell'art. 3, co. 1, lett. b), D.P.R. 380/2001, la manutenzione straordinaria di altri
edifici, diversi da edifici a prevalente destinazione abitativa privata ovvero edifici residenziali
pubblici (quali alloggi pubblici, orfanotrofi, ospizi, brefotrofi pubblici), è soggetta ad Iva pari al
21%. Chiarito il discorso sul tema del regime IVA da applicare, è opportuno spendere qualche
parola su cosa si intende per lavori di manutenzione straordinaria. Questi ultimi riguardano le
opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti strutturali degli edifici, a patto
che non alterino i volumi, superfici delle singole unità abitative e la destinazione d'uso. Un
elenco non esaustivo di interventi di manutenzione straordinaria include. - sostituzione di
infissi esterni e serramenti o persiane con serrande, con modifica di materiale e di tipologia di
infisso; - realizzazione e adeguamento di opere accessorie come canne fumarie, centrali
termiche, scale di sicurezza, ascensori, ecc.); - consolidamento delle strutture nelle fondazioni
o in elevazione; - rifacimento di scale e rampe; - realizzazione di chiusure o aperture interne
che non modifichino lo schema distributivo delle unità immobiliari e dell'edificio; - realizzazione
di recinti, muri di cinta e cancellate; - interventi finalizzati al risparmio energetico.
Diversamente, nell'ipotesi di ristrutturazione edilizia, tutti gli edifici e le opere di
urbanizzazione sono soggetti ad Iva al 10%, se dipendenti da contratti di appalto, ovvero ad
Iva al 21%, se dipendenti da altre prestazioni d'opera. Si evidenzia che la ristrutturazione
edilizia è rivolta a trasformare, attraverso un insieme sistematico di opere, l'organismo edilizio
originano. Così, costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia, e non di manutenzione
straordinaria, l'accorpamento di più unità immobiliari o la realizzazione di mini-appartamenti al
posto di vecchi locali di maggiori dimensioni. Invece la costruzione o ricostruzione di un
soppa1co di modeste dimensioni ad uso deposito all'interno di un appartamento o di un
esercizio commerciale va di norma considerato opera di manutenzione straordinaria, non
comportando aumento di volume, né aumento della superficie utile, né modifica della
destinazione d'uso.
(Michele Brusaterra, Il Sole 24 ORE - Codice degli Immobili Risponde, 3 luglio 2013)

AGEVOLAZIONI SULLA CASA - ABBINATA 50%-65% PER INTERVENTI DIVERSI
D. Dal luglio 2012 ho iniziato i lavori di ristrutturazione di un casale, non ancora accatastato,
per il quale ho regolare permesso a costruire ed autorizzazione Asl. A giugno 2013 ho esaurito
il plafond di 96.000 euro tra pagamenti del 2012 e 2013. Ora devo sostituire gli infissi. Posso
utilizzare il bonus per il risparmio energetico?
----R. La risposta è affermativa. L’articolo 14 del Dl 63/2013 prevede la proroga della detrazione
Irpef/Ires per la riqualificazione energetica degli edifici esistenti (55%), che si applica nella
misura del 65% per le spese sostenute dal 6 giugno al 31 dicembre 2013, con esclusione degli
interventi di: sostituzione di impianti di riscaldamento con pompe di calore ad alta efficienza ed
impianti geotermici a bassa entalpia; sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a
pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria. Contestualmente, è prevista
la proroga della medesima detrazione, sempre nella misura del 65% per le spese sostenute dal
6 giugno 2013 al 30 giugno 2014 per gli interventi relativi a parti comuni degli edifici
condominiali (articoli 1117 e 1117-bis Codice civile) o che interessino tutte le unità immobiliari
di cui si compone il singolo condominio. Pertanto, anche per le spese di sostituzione degli
infissi, sino al 31 dicembre 2013, si applica la detrazione per gli interventi di risparmio
energetico, ivi compresi la sostituzione degli infissi che si cumula con la detrazione del 50%
sino a 96.000 euro (articolo 16 Dl 63/2013). Per il resto, nessun problema per il cumulo tra il
50% e il 65%. Nell’ipotesi di contestuale intervento di risparmio energetico ed edilizio su
fabbricato residenziale, il contribuente può fruire di entrambe le detrazioni del 50% e del 65%.
Il Dm 19 febbraio 2007 prevede espressamente che la detrazione del 55% (ora 65%) per gli
interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti non sia cumulabile con le
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
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agevolazioni previste da altre disposizioni di legge nazionale per i medesimi interventi (ad
esempio, la detrazione Irpef del 36%-50%). In tale ambito, la circolare 36/E/2007 ha chiarito,
tuttavia, che, stante la possibile sovrapposizione degli interventi di riqualificazione energetica
degli edifici con analoghi interventi agevolabili nell’ambito della detrazione Irpef del 36%-50%,
in tema di recupero edilizio abitativo, il contribuente può avvalersi per le medesime spese, in
via alternativa, dell’una o dell’altra agevolazione, nel rispetto della normativa specifica e degli
adempimenti previsti per ognuna di esse. Con la risoluzione 152/E/2007 è stato chiarito che
nel caso in cui, sullo stesso fabbricato abitativo, come nel caso di specie, siano eseguiti
interventi di ristrutturazione, già agevolati ai fini del 36%-50%, che comprendano anche lavori
diretti al risparmio energetico (sostituzione degli infissi), il contribuente può scegliere,
limitatamente a questi ultimi di applicare la detrazione del 65 per cento, a condizione che, per
le relative spese, il contribuente non abbia già fruito della detrazione del 36-50 per cento, e a
condizione che nella fattura rilasciata al contribuente vengano individuate specificamente le
spese relative ad uno o più interventi finalizzati al risparmio energetico, fermi restando in ogni
caso tutti gli adempimenti previsti per l'una e l'altra agevolazione. Pertanto, se si è già
raggiunto il limite massimo di spese rilevanti ai fini del 50%, è sempre possibile fruire del 65%
per la sostituzione degli infissi.
(Marco Zandonà Marco, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 1° luglio 2013)

AGEVOLAZIONI SULLA CASA - LO SCONTO PER I MOBILI A LAVORI IN CORSO
D. Mia figlia ha ristrutturato la prima casa di abitazione negli anni 2008-2009 e sta
recuperando il 36% per interventi di recupero del patrimonio edilizio per dieci anni, perciò sino
all'anno 2018.Vorrei sapere se il decreto legge 63 del 4 giugno 2013, che prevede sconti del
50% in dieci anni per acquisto di mobili, si può applicare in caso di acquisto di una cucina
componibile del valore di circa 12.000 euro.
----R. Si ritiene che la risposta sia negativa. L’articolo 16, comma 2, del Dl 63/2013 prevede che,
ai contribuenti che fruiscono della detrazione per le ristrutturazioni delle abitazioni (detrazione
del 50% sino a 96.000 euro), venga altresì riconosciuta una detrazione dall'imposta lorda, fino
a concorrenza del suo ammontare, nella misura del 50 per cento delle ulteriori spese
documentate per l'acquisto di mobili finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di
ristrutturazione. La detrazione di cui al presente comma, da ripartire tra gli aventi diritto in
dieci quote annuali di pari importo, è calcolata su un ammontare complessivo non superiore a
10.000 euro (detrazione massima pari a 5.000 euro, da recuperare in 10 rate di 500 euro, in
sede di dichiarazione dei redditi). La detrazione ricalca quella già in vigore sino al 31 dicembre
2009 (allora pari al 20% da recuperare in 5 anni) e introdotta dall’articolo 2 del Dl 5/2009,
convertito nella legge 33/2009 e oggetto di una specifica circolare da parte dell’agenzia delle
Entrate (35/E del 16 luglio 2009) cui è possibile far riferimento in attesa dell’emanazione di
nuove indicazioni dell'Agenzia. Si può quindi ritenere che l’agevolazione spetti in favore dei
contribuenti persone fisiche che, dal 6 giugno 2013, abbiano in corso interventi di recupero
edilizio su singole unità immobiliari residenziali, per i quali è stata richiesta la detrazione del 50
per cento. Si ritiene, infatti che non necessariamente debba trattarsi di lavori iniziati da tale
data, ma che sia sufficiente che a tale data i lavori non siano ultimati. Viceversa, se
l’intervento è già stato ultimato al 6 giugno 2013, come nel caso di specie (si tratta di
intervento eseguito nel 2008-2009) la detrazione per l’acquisto dei mobili non compete.
(Marco Zandonà Marco, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 1 luglio 2013)

AGEVOLAZIONI SULLA CASA - L'IMPIANTO ELETTRICO SI RIFÀ CON IL BONUS
DEL 50%
D. Volendo rifare l'impianto eletttrico completo e a norma della prima casa, mio fratello può
fruire dello sconto del 65 per cento?
----R. La risposta è negativa. Il rifacimento dell’impianto elettrico non fruisce della detrazione del
65%, ma di quella del 50%. L’articolo 14 del Dl 63/2013 prevede la proroga della detrazione
Irpef/Ires per la riqualificazione energetica degli edifici esistenti, che si applica nella misura del
65% per le spese sostenute dal 6 giugno al 31 dicembre 2013, con esclusione degli interventi
di: sostituzione di impianti di riscaldamento con pompe di calore ad alta efficienza ed impianti
geotermici a bassa entalpia; sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di
FIAIP News24, Numero 1 - Luglio 2013
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calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria. La detrazione si applica solo per gli
interventi di risparmio energetico e non anche per il rifacimento dell’impianto elettrico.
Viceversa, si rende applicabile la detrazione del 50% prevista per le ristrutturazioni edilizie
dall’articolo 16 bis del Tuir 917/1986 e dall’articolo 16 del Dl 63/2013.
(Marco Zandonà Marco, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 1 luglio 2013)

IL 65% PER I CONDIZIONATORI CON POMPA DI CALORE
D. In relazione al nuovo Dl 63/2013, gradiremmo sapere se l'acquisto di determinati beni,
purché sempre in sostituzione di uno pre-esistente, può beneficiare della detrazione al 65 per
cento. I beni in questione sono: climatizzatori, inverter, climatizzatori a pompa di calore. È
corretto ritenere che i climatizzatori di qualsiasi tipologia beneficino della detrazione al 50 per
cento, se nell'ambito ristrutturazione edilizia?Infine, i fari a led, a nostro avviso, non godono di
alcuna agevolazione. Abbiamo ragione?
----R. Per i condizionatori l'agevolazione del 65% è concessa solo se si tratta di strumenti con
pompa di calore. Anche per il 2013 è possibile, per il contribuente, beneficiare
dell’agevolazione del 50% (articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, e articolo 16 del Dl
63/2013) per le ristrutturazioni edilizie, relativamente alle opere finalizzate al risparmio
energetico. Il 50 per cento, infatti, si rende applicabile anche agli interventi di questo tipo, con
particolare riguardo all’installazione di impianti basati sull’impiego di fonti rinnovabili di
energia, e anche in assenza di opere edilizie. Non è, pertanto, necessario che contestualmente
vengano eseguiti altri lavori di ristrutturazione. Il semplice acquisto di fari a led non fruisce
della detrazione del 50 per cento. Viceversa, la realizzazione di un nuovo impianto elettrico, o
la realizzazione di nuovi punti luce a integrazione di un impianto già esistente, con fari a led,
rientra nell’ambito applicativo delle agevolazioni fiscali.
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE - L'Esperto Risponde, 8 luglio 2013)

REQUISITI DI TRASMITTANZA PER IL BONUS INFISSI DEL 65%
D. Sono proprietario di un villino a due piani. Ho intenzione di sostituire, in tutto o in parte, le
finestre esistenti (che sono in legno e vetri semplici) con finestre di altro materiale, con vetri
doppi o tripli. È possibile fruire della detrazione Irpef del 65 per cento? In caso di risposta
affermativa, desidererei sapere qual è l'iter da seguire e quali sono i documenti occorrenti.
----R. La sostituzione degli infissi fruisce della detrazione del 65% per la riqualificazione energetica
degli edifici (articolo 14 del Dl 63/2013), a condizione che gli stessi rispettino i requisiti di
trasmittanza termica stabiliti nell’allegato B al Dm 11 marzo 2008 (articolo 1, comma 3, ultimo
periodo, del Dm 19 febbraio 2007).Per quanto riguarda gli adempimenti da seguire, il
contribuente deve, in primo luogo, acquisire l’asseverazione di un tecnico abilitato che certifichi
il rispetto dei citati requisiti di trasmittanza termica (può essere il produttore o, se di tratta di
infissi realizzati da falegname, un tecnico abilitato, ex articolo 7, commi 1-bis e 2, del Dm 19
febbraio 2007). Circa l’ulteriore documentazione tecnica richiesta, è da evidenziare che,
nell’ipotesi di sostituzione delle finestre e infissi in singole unità immobiliari (definizione in cui
rientra anche il villino monofamiliare), non è più necessario acquisire l’attestato di
qualificazione/certificazione energetica dell’edificio (articolo 5, comma 4-bis, del Dm 19
febbraio 2007) e che, per la scheda informativa dei lavori, può essere utilizzato lo schema
contenuto nell’allegato F al citato Dm 19 febbraio 2007 (che può essere compilato
direttamente dal contribuente, non essendo più richiesta la firma del tecnico abilitato). Una
volta acquisita l’asseverazione (o, in sua sostituzione, la certificazione dei produttori degli
elementi), che deve essere necessariamente conservata ed esibita in caso di eventuale
accertamento fiscale, il contribuente dovrà inviare all’ Enea (tramite il programma informatico
disponibile sul sito internet www.acs.enea.it) la sola scheda informativa dei lavori realizzati,
entro i 90 giorni successivi all’ultimazione dell’intervento (da intendere coincidente con la data
del "collaudo" delle nuove finestre, risoluzione 244/E/2007). Per ulteriori dettagli, si rinvia alla
guida al 55% pubblicata su www.agenziaentrate.it.
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE - L'Esperto Risponde, 8 luglio 2013)
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
LE ATTESTAZIONI ENERGETICHE PER L'AGEVOLAZIONE DEL 65%
D. Nell'ambito del beneficio della detrazione fiscale del 55% per interventi di risparmio
energetico su involucro edilizio, tra i documenti da trasmettere ad Enea risulta contemplato
l'attestato di certificazione energetica rilasciato secondo i regolamenti degli enti locali oppure,
in sostituzione ed in assenza di tali regolamenti, l'attestato di qualificazione energetica
rilasciato secondo lo schema, allegato a, del decreto attuativo asseverato da un tecnico
abilitato; mi chiedo se, a prescindere dalle previsioni del Comune di appartenenza in materia di
rilascio di certificazione energetica su edifici, sia sufficiente trasmettere ad Enea direttamente
l'attestato di "qualificazione" asseverato dal tecnico, in modo da facilitare tale adempimento,
soprattutto nei tempi di rilascio, che sono più lunghi se il rilascio è a carico del Comune.
----R. La detrazione del 55%-65% (articolo 4 del decreto legge 201/2011, convertito in legge
214/2012, e articolo 14 Dl 63/2013), si rende applicabile anche per gli interventi su involucro
edilizio, come nel caso di specie. In particolare, la detrazione in tal caso è subordinata al
conseguimento, al termine dell’intervento, di una riduzione della trasmittanza termica utile U
delle strutture componenti l’involucro edilizio, in base ai valori riportati nelle tabelle di cui
all’allegato B del decreto 11 marzo 2008. Per tale categoria di interventi, il limite massimo di
detrazione, è pari a 60.000 euro. Entro 90 giorni dall’ultimazione dei lavori occorre ovviamente
inviare all’ Enea la prescritta documentazione (asseverazione, certificazione energetica e
scheda informativa sull’intervento, rilasciati dal tecnico abilitato, circolare 36/E del 2007, vedi
guida al 55% su www.agenziaentrate.it). Il recupero dell’importo detraibile avviene in 10 rate
di pari importo a partire dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui sono
stati eseguiti i pagamenti dell’intervento. A tal fine, l’asseverazione è distinta dalla
certificazione energetica dell’intervento che è l’unica che deve essere inviata all’ Enea, mentre
l’asseverazione è conservata dal contribuente. L'asseverazione da parte di un tecnico abilitato,
che attesta la rispondenza dell’intervento ai requisiti richiesti è un documento distinto dalla
certificazione, che deve contenere i dati generali dell'edificio, quelli relativi all'involucro edilizio
ed all'impianto di riscaldamento, i dati climatici e quelli relativi alle tecnologie di utilizzo delle
fonti rinnovabili (se presenti), i risultati della valutazione energetica e le indicazioni dei
potenziali interventi di miglioramento delle prestazioni energetiche.
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’esperto risponde, 24 giugno 2013)

LA RICOSTRUZIONE FEDELE E A DESTINAZIONE ABITATIVA
D. Sono in attesa di ottenere il permesso a costruire per un intervento di demolizione e fedele
ricostruzione di un edificio rurale. L'agenzia delle Entrate, con l'aggiornamento di maggio 2013,
« Ristrutturazioni edilizie/le agevolazioni fiscali» colloca nelle ristrutturazioni edilizie anche la
demolizione e fedele ricostruzione dell'immobile riferendosi, a mio parere, alla lettera d),
articolo 3, Dpr 389/01 e non menziona, sempre a mio parere, l'articolo 10, Dpr 380/01
«permesso di costruire».Quindi, la mia domanda è: con il permesso di costruire, il mio
intervento rientra nella ristrutturazione edilizia, con relativo beneficio fiscale?
----R. La risposta è affermativa, ma sempre a condizione che l’edificio risultante dopo la
demolizione sia comunque a destinazione abitativa (anche rurale). Nell’ipotesi di demolizione e
ricostruzione di un fabbricato con ampliamento di volumetria, è esclusa l’applicabilità della
detrazione del 50% (articolo 16 bis Tuir 917/86 e articolo 11 del Dl 83/2012, convertito in
legge 134/2012, e articolo 16 Dl 63/2013). Questi i chiarimenti forniti dall’agenzia delle
Entrate con la risoluzione n. 4/E del 4 gennaio 2011, che si è espressa a proposito
dell’applicabilità delle detrazioni del 36% in presenza di lavori di ristrutturazione ed
ampliamento, con o senza demolizione dell’edificio originario. In particolare, nell’ipotesi di
ristrutturazione con demolizione e ricostruzione, le citate agevolazioni competono «solo in caso
di fedele ricostruzione, nel rispetto di volumetria e sagoma dell’edificio preesistente»;
diversamente, in caso di demolizione e ricostruzione con ampliamento, le detrazioni non
spettano, «in quanto l’intervento si considera, nel suo complesso, una nuova costruzione».
Pertanto, la detrazione, nel caso di specie, si rende applicabile essendo in presenza di
demolizione con ricostruzione fedele. Sotto il profilo urbanistico, tuttavia, occorre verificare il
perché si è reso necessario un permesso di costruire, che in genere non è richiesto per gli
interventi di demolizione e ricostruzione con rispetto di sagoma e volumetria (fedele
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ricostruzione abilitata da una Scia o Dia). Probabilmente, il progetto di ricostruzione non è
proprio identico e quindi la necessità del permesso di costruire potrebbe evidenziare che si
tratta di ricostruzione non fedele e come tale non agevolato ai fini della detrazione del 50%.
Allo stesso modo, la detrazione potrebbe non essere applicata nell’ipotesi in cui si realizzi un
edificio a destinazione non abitativa.
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’esperto risponde, 24 giugno 2013)
 Certificazioni energetiche
 LEGGE SULLE CERTIFICAZIONI ENERGETICHE
D. Vorrei sapere maggiori informazioni in merito al decreto legge 4 Giugno 2013 n.63. Per
quanto riguarda quindi nella stipula dei contratti di locazione chiedo: è obbligatorio inserire la
clausola riguardante la classe energetica? il proprietario dell' immobile è obbligato ad avere
l'attestato di prestazione energetica alla stipula del contratto?
----R. Nel quesito viene richiesto se, in base al d.l. 63/2013 (recante "Disposizioni urgenti per il
recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio
2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia per la definizione delle procedure d'infrazione
avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale";
pubblicato in G.U. n. 130 del 5 giugno 2013), sia obbligatorio nella stipula di contratti di
locazione inserire la clausola inerente la classe energetica e se il proprietario dell'immobile sia
obbligato ad avere tale attestato alla stipula del contratto. La domande devono trovare risposta
affermativa in base rispettivamente all'art. 6, c.2, della normativa richiamata che dispone "Nel
caso di vendita o di nuova locazione di edifici o unità immobiliari, ove l'edificio o l'unità non ne
sia già dotato, il proprietario è tenuto a produrre l'attestato di prestazione energetica di cui al
comma 1. In tutti i casi, il proprietario deve rendere disponibile l'attestato di prestazione
energetica al potenziale acquirente o al nuovo locatario all'avvio delle rispettive trattative e
consegnarlo alla fine delle medesime; in caso di vendita o locazione di un edificio prima della
sua costruzione, il venditore o locatario fornisce evidenza della futura prestazione energetica
dell'edificio e produce l'attestato di prestazione energetica congiuntamente alla dichiarazione di
fine lavori". Il terzo comma della stessa norma stabilisce invece che nel nuovo contratto di
locazione di edifici o di singole unità immobiliari deve essere inserita una clausola apposita
"con la quale l'acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la
documentazione, comprensiva dell'attestato, in ordine alla attestazione della prestazione
energetica degli edifici".
(Raffaele Cusmai, Il Sole 24 ORE - Codice degli Immobili Risponde, 1 luglio 2013)
 Locazioni
 Un «buon» contratto difende dalla morosità
D. Quando si stipula un contratto di locazione, come è possibile essere certi che il conduttore
paghi il canone e le spese dovute? Per eventuali danni all'immobile, esiste qualche strumento
di "garanzia" ulteriore rispetto al deposito cauzionale? Esiste una "assicurazione" che paghi, in
ipotesi di inadempimento dell'inquilino, le spese legali sostenute dal proprietario per la
liberazione dell'immobile, il recupero del credito e il risarcimento di eventuali danni ai locali?
---R. Per evitare quanto più possibile l'instaurazione di procedimenti di sfratto per morosità, i
proprietari hanno dovuto ricorrere sempre più spesso a forme di "garanzia".
CLAUSOLE DA INSERIRE
Ma, per quanto riguarda il puntuale pagamento dei canoni, la prima regola per il locatore è
quella di predisporre un "buon" contratto di affitto. In particolare, occorre inserire pattuizioni
chiare e tassative circa il pagamento del canone e delle spese accessorie, il numero delle rate,
con relativa scadenza, i mezzi di pagamento (assegno, bonifico bancario o contante), il luogo
del pagamento, le conseguenze dell'inadempimento dell'inquilino. Il pagamento del
corrispettivo e delle spese costituisce infatti una delle obbligazioni principali del conduttore, a
norma dell'articolo 1587 del Codice civile.
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Circa la scelta del numero delle rate di canoni e spese, occorre distinguere tra locazioni
abitative e locazioni cosiddette "a uso diverso". Per le locazioni abitative, disciplinate dalla
legge 431/1998, le parti possono liberamente determinare il numero delle rate anticipate
(mensili, trimestrali, semestrali eccetera). Per le locazioni commerciali – tuttora vincolate dal
più rigido regime imposto dall'articolo 79 della legge 392/1978 – si registrano invece contrasti
giurisprudenziali. Secondo la sentenza della Cassazione 25 maggio 1992, n. 6247, «sono valide
le clausole di pagamento anticipato del canone annuo di locazione degli immobili urbani per
uso non abitativo, soggetti al regime della legge sul l'equo canone, non essendo applicabile il
divieto dell'articolo 11 di tale legge, che si riferisce esclusivamente al deposito cauzionale». Di
segno opposto, Cassazione 10 luglio 1996, n. 6274, secondo cui «nelle locazioni di immobili
urbani adibiti ad uso non abitativo è nulla la clausola che preveda il pagamento anticipato del
canone in misura superiore a tre mensilità».
Quanto al mezzo di pagamento, si privilegiano in genere il bonifico bancario – anche online – o
l'assegno. Perde "appeal" il contante, posto che per l'articolo 49, comma 1, del Dlgs 231 del 21
novembre 2007, in materia di antiriciclaggio, «è vietato il trasferimento di denaro contante...
quando il valore di trasferimento, è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro».
Nel contratto deve anche essere inserita una serie di clausole relative all'inadempimento del
conduttore al l'obbligazione di pagamento. È per esempio opportuna una clausola riproduttiva
del contenuto dell'articolo 5 della legge 392/1978, secondo il quale «...il mancato pagamento
del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel
termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due
mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'articolo 1455 del Codice
civile».
Per i contratti a canone concordato di cui all'articolo 2, comma 3, della legge 431/1998 e per
quelli transitori e per studenti universitari, di cui all'articolo 5 della stessa legge 431/1998,
valgono invece i contratti tipo allegati al Dm delle Infrastrutture e dei trasporti 30 dicembre
2002.
MANCATO PAGAMENTO
Nelle locazioni abitative, il conduttore – secondo la prassi prevalente nelle aule di Tribunale –
avrà diritto di chiedere al giudice il cosiddetto "termine di grazia", previsto dall'articolo 55 della
legge 392/1978, per sanare la morosità. Secondo parte della giurisprudenza infatti, gli articoli
5 e 55 della legge 392/1978 rimangono tuttora norme in stretta correlazione tra loro, e
inderogabili anche nel regime della legge 431/1998. In questo senso, il Tribunale di Palermo
(13 giugno 2001) ha ritenuto che «l'articolo 55 della legge 392 del 1978, inerente la sanatoria
giudiziale della morosità per le locazioni abitative, in quanto norma processuale, non è
derogabile a opera delle parti, nemmeno laddove il contratto sia stato stipulato sotto il vigore
della nuova legge 431 del1998».
Secondo taluni autori – a seguito dell'abrogazione del l'articolo 79 della legge 392/1978 per le
locazioni abitative – anche gli articoli 5 e 55 sarebbero ora derogabili da contrarie pattuizioni
contrattuali, quali quella della clausola risolutiva espressa per il mancato pagamento dell'affitto
o delle spese alla scadenza della rata. È comunque pacifico che i richiamati articoli 5 e 55 della
legge 392/1978 non operano con riferimento alle locazioni commerciali (si veda Cassazione, 31
maggio 2010, n. 13248). Per queste ultime, è opportuno l'inserimento di una clausola
risolutiva espressa, che preveda la risoluzione di diritto del contratto, secondo lo schema del
l'articolo 1456 del Codice civile, in caso di morosità del conduttore.
A evitare sorprese, sarebbe anche opportuno uno "screening" sull'inquilino, sul suo lavoro e sul
suo patrimonio, per verificarne la solvibilità.
Molti proprietari, invece, anche a causa degli obsoleti modelli contrattuali reperiti in rete,
rimangono ancorati alla richiesta del deposito cauzionale, previsto dall'articolo 11 della legge
392/1978 – norma tuttora vigente, anche se derogabile quanto alle locazioni abitative "libere"
– per il quale «il deposito cauzionale non può essere superiore a tre mensilità del canone. Esso
è produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni
anno». Il deposito cauzionale presenta limiti evidenti, il primo dei quali è la sua modesta entità
– tre mensilità del canone – rispetto ai tempi lunghi di un'azione di sfratto (10/12 mesi circa,
compresa la fase di esecuzione). Il secondo è il fatto di essere fruttifero di interessi legali,
spesso superiori a quelli bancari percepiti dal locatore.
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Infine, può anche essere chiesta al conduttore, in aggiunta al deposito cauzionale, una polizza
fideiussoria, cioè una fideiussione bancaria o assicurativa (si veda in proposito l'articolo a
fianco).
(Matteo Rezzonico, Il Sole 24 ORE – L’esperto risponde, 8 luglio 2013)

LOCAZIONE - IMMOBILE USO UFFICIO - RESIDENZA
D. Secondo la normativa edilizia posso richiedere la residenza nell'ufficio locato? Lo stesso è
fornito di regolare bagno. Vorrei fare di una stanza un monolocale con angolo cucina (leggi
attacco del gas). Le altre due stanze vorrei destinarle effettivamente a ufficio. Sia la
proprietaria sia il condominio sono d'accordo.
----R. Inquadramento
Nel caso sottoposto alla nostra attenzione, l'immobile risulterebbe concesso in locazione con un
contratto uso commerciale (uso ufficio) e, pertanto, a livello catastale risulterebbe registrato
nella categoria A10. Ciò detto, affinché l'interessato possa effettuare un regolare cambio di
residenza, è necessario che lo stesso sia preceduto da un cambio di destinazione d'uso
dell'immobile, dalla categoria catastale A10 alle categorie A3 o A4. Il cambio di destinazione
d'uso, che assicura la piena abitabilità, deve essere richiesto al Comune dove è sito l'immobile.
Viceversa, qualora l'immobile fosse stato accatastato come uso abitativo (A3-A4), in tal caso il
richiedente avrebbe potuto svolgere all'interno anche un'attività professionale, pur in assenza
di cambio di destinazione d'uso.
Giurisprudenza
Sul punto, è interessante segnalare che, secondo la giurisprudenza, l'affitto di un immobile con
destinazione ad abitazione civile/residenziale, a uso ufficio o studio professionale (o viceversa),
non è legittimo ed espone il locatore, tra l'altro, al rischio risoluzione del contratto e
risarcimento danni. Infatti, il difetto della concessione amministrativa necessaria per la legale
destinazione all'uso pattuito della cosa locata è tra i vizi che, escludendo o diminuendo in modo
apprezzabile l'idoneità della cosa locata all'uso convenuto, possono legittimare alla risoluzione
del contratto, a meno che il conduttore, a conoscenza dell'idoneità dell'immobile a realizzare il
suo attuale interesse, abbia accettato il rischio relativo all'impossibilità di utilizzarla (Cass. 5
novembre 2002, n. 15489).
Conclusioni
Il trasferimento della residenza necessita del cambio di destinazione d'uso. In caso contrario,
l'interessato abiterà all'interno dell'immobile abusivamente e in caso di controlli, potrà
incorrere in sanzioni pecuniarie.
(Studio Cusmai, http://www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com )
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