Simonide di Ceo I Dioscùri salvano Simonide dal crollo della reggia

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Simonide di Ceo
I Dioscùri salvano Simonide dal crollo della reggia di Skopas (incisione antica)
Vita
Originario di Iùli, nell’isola di Ceo, Simonide nacque intorno al 557 a.C. I dettagli della sua biografia
sono largamente oscuri, ma la sua carriera di professionista della poesia corale più tarda seguì il
canovaccio comune a tanti poeti di quel periodo, da Anacreonte a Ibico a Bacchilide e Pindaro:
trascorse infatti l'intera esistenza alla corte dei tiranni.
Sappiamo che fu attivo ad Atene presso la corte del tiranno Ipparco (figlio di Pisistrato), e che dopo la
morte di questi (514 a.C.) si trasferì presso la corte degli Alèvadi e degli Scòpadi della Tessaglia. Fu di
nuovo ad Atene dopo la battaglia di Maratona (490 a.C.) e venne preferito ad Eschilo per la
composizione del canto per i caduti nello scontro; durante tale permanenza nella città attica divenne
amico del leader democratico radicale Temistocle.
Il poeta raggiunse la considerevole età di 90 anni: trascorse l'ultima parte della sua vita presso la corte
siracusana di Ierone, aprendo la strada al nipote Bacchilide e procurando, pare, non poche seccature al
rivale Pindaro. Morì appunto in Sicilia (a Siracusa o ad Agrigento) nel 469 a.C.
Opere
Simonide fu prolifico autore di epinìci (canti celebrativi per le vittorie atletiche), epicèdi (famoso il
lamento dell’eroina Danae, abbandonata insieme al figlioletto Perseo alla deriva sui flutti), ditirambi
(le fonti registrano ben 56 vittorie in competizioni poetiche dedicate a tale specialità), elegie,
epigrammi, encòmi, inni, forse peani, e, stando ad una notizia dell’enciclopedia bizantina Suda (X d.C.),
perfino tragedie. Di tale cospicua produzione rimangono circa 200 frammenti fra canti corali e brani
elegiaci, notevolmente arricchiti da una recente scoperta papiracea del 1992; invece l’ottantina di
epigrammi attribuiti a Simonide nell’Antologia Palatina è probabilmente spuria.
Già la tradizione biografica antica ha colto l’aspetto di rottura rappresentato da Simonide in termini di
sociologia letteraria: egli è in effetti uno tra i primi ad assumere, con ostentato disincanto, il ruolo di
professionista prezzolato al servizio di occasionali committenti sia pubblici che privati, e quindi
disponibile a far propri i valori e le prospettive ideologiche confacenti alla commissione ricevuta,
portando così alle estreme conseguenze l'abbandono della paidèia aristocratica intimamente legata
con la lirica più antica. Se da una parte questo aspetto della personalità simonidea infastidì alquanto i
contemporanei (e può risultare urtante anche per noi), dall'altro lato esso non è altro che l'esplicito
smascheramento di quello che era già implicito nell'atteggiamento di tutti i lirici del VI secolo:
arroccarsi su posizioni di difesa dell'aristocrazia di sangue e dei suoi valori culturali sembra non avere
più alcun senso in un periodo in cui il potere è saldamente nelle mani di tiranni e per di più i lirici
stessi sono diventati cortigiani e parassiti. Tanto vale approfittare fino in fondo dei vantaggi che la
situazione può offrire.
Fu così che Simonide si guadagnò presso gli antichi la fama di cinico opportunista.
La sua fama di avidità e spregiudicatezza diventò pressoché proverbiale; particolarmente celebre un
aneddoto narrato da Aristotele: quando il tiranno Anàssila di Reggio commissionò a Simonide un
epinicio per la sua vittoria in una gara con le mule, il poeta rifiutò, dicendosi non disposto a cantare
animali così volgari; allora Anassila alzò considerevolmente l’offerta, e Simonide trovò subito il modo
di nobilitare le umili cavalcature in un carme che iniziava così: «Salute, o figlie dei cavalli dai piedi di
vento!».
L’originalità e la spregiudicatezza simonidee possono essere riconosciute anche sul piano tematico: vi
sono ementi di tacita o aperta critica all’etica tradizionale e all’ideologia aristocratica, per esempio
nella contestazione all’idea di "perfezione morale" che aveva da sempre costituito l’incarnazione dei
valori nobiliari; ad essa Simonide oppone l’ideale di una vita onesta e senza colpe, consapevolmente
inserita nel contesto della polis e non mirante a un’eccezionalità del tutto individuale. Simonide
preannuncia poi toni e temi della Sofistica nell’esplicita professione di relativismo che, mettendo in
forse la distinzione fra ciò che è bello e ciò che è turpe, mina la stessa base ideologica di
quell’aristocrazia che Pindaro tornerà a cantare secondo i canoni etici tradizionali.
Simonide inventore della mnemotecnica
A Simonide è attribuita l'invenzione della mnemotecnica o tecnica della memorizzazione, una serie di
strategie che venivano insegnate nelle scuole dell'antichità per allenare la memoria dei discepoli e per
abituarli a servirsi principalmente di questo insostituibile mezzo, che è alla base dell'intelligenza
umana. La tecnica da lui elaborata permetteva di imprimere i dati nella memoria tramite la fissazione
di alcuni punti di riferimento visivi.
Tale notizia è legata ad un aneddoto relativo al soggiorno di Simonide presso il sovrano tessalo
Skopas: a quanto si racconta, il re rinfacciò al lirico di aver dedicato troppo spazio all'esaltazione di
Càstore e Pollùce in un suo componimento, rifiutandosi di pagargli per intero il compenso, e lo invitò
ad esigere dalle due divinità la metà della cifra pattuita. Proprio in quel momento, a Simonide fu
comunicato che due giovani lo attendevano fuori dalla reggia: mentre egli andava ad accoglierli, il
palazzo crollò, seppellendo tra le macerie lo stesso Skopas con i suoi commensali.
Risultò impossibile riconoscere i morti, i cui volti erano rimasti sfigurati; Simonide allora si offrì di
identificarli, avendo perfettamente memorizzato il posto che essi occupavano attorno alla tavola.
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