Televisione e mercati rilevanti
9 aprile 2013
Relazione di chiusura del Presidente dell’AGCOM
“Televisione e mercati rilevanti”
9 Aprile 2013 – Auditorium AGCM-– Roma
Un minimo comune denominatore fra tutti gli interventi di riflessione che si sono succeduti
sul medium - tuttora - preferito dagli italiani può essere individuato nella
multidimensionalità che caratterizza oggi il media televisivo, il cui stesso perimetro non è
più di immediata definizione. Fino a pochi anni fa la tv era mono-dimensionale: era la tv
analogica-herziana (e quindi la concorrenza rilevava solamente intra-piattaforma), fruita
attraverso un device unico (il televisore, appunto) e declinata per canali/programmi (modello
lineare), offerta da soggetti integrati verticalmente (reti e servizi)... ora non è più così: la
spinta della tecnologia ha modificato il contesto di produzione e fruizione dei contenuti e
continua a modificarlo, senza soluzione di continuità.
La complessità crescente dei media di oggi (nuove piattaforme, nuove forme di contenuti,
nuovi operatori, nuovi fruitori) rende ancora più difficile la conciliazione tra i due obiettivi
sottintesi alla regolazione dei media:
la concorrenza (a livello “industria/impresa”) e
i diritti (a livello “cittadini/utenti finali”)
- obiettivi diversi, a volte complementari, a volte contrastanti. E la molteplicità delle
relazioni tra elementi (segmenti? mercati?) della Domanda e dell’Offerta rende l’azione del
regolatore più difficile ed esposta al rischio di errore, proprio perché di natura prospettica.
Questa difficile conciliazione interessa infatti in particolar modo L’Autorità che rappresento.
Mentre l’Autorità antitrust (che oggi ci ospita) può “permettersi” di effettuare una
valutazione incardinata sulla prevalenza di un valore dominante – quale la concorrenza AGCOM ha una vita assai più complicata: la concorrenza è uno strumento per il
raggiungimento del pluralismo dei mezzi di comunicazione. Per riprendere una categoria
giuridica – da giurista quale non sono – nell’attività dell’AGCOM la concorrenza è "bene
giuridico che da primario diventa strumentale al perseguimento ed alla garanzia di un altro bene
costituzionalmente garantito, il pluralismo nel sistema radiotelevisivo"1. Ciò perché non sempre
l'utilizzo delle regole antitrust può ritenersi sufficiente a realizzare l'obiettivo del pluralismo.
1
Cfr. A. FRIGNANI, E. PODDIGHE, V. ZENO-ZENCOVICH (a cura di), La televisione digitale: temi e
problemi. Commento al d. lgs 177/05 T.U. della Radiotelevisione, 2006, p. 258.
1
Alcuni esempi in questo senso sono dedotti dall’ordinamento normativo vigente,
rappresentato dal Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (TUSMAR):
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i limiti ai ricavi relativi al Sistema integrato delle Comunicazioni (SIC) sono
difficilmente giustificabili alla luce del puro diritto antitrust;
i cd tetti antitrust si applicano anche alle ipotesi di crescita interna di un’impresa.
L’esigenza di proteggere il pluralismo appare quindi ciò che ha spinto il legislatore a dettare
una disciplina di settore che si affianca a quella generale della legge 287/90 e che consiste in
una tutela che si intende “rafforzata” rispetto a quella tipica del diritto della concorrenza. Basti a
tal riguardo rilevare che l’art. 43 vieta non l’abuso di posizione dominante, ma la posizione
dominante tout court.
Lungo traiettorie che non per forza devono essere coincidenti, il rapporto tra tutela della
concorrenza e tutela del pluralismo diviene concreto proprio a partire dall’attività di
definizione dei mercati; guarda caso proprio il tema oggetto del convegno.
Condividiamo, tra piazza Verdi e via Isonzo - almeno - la teoria economica alla base
dell’analisi. I mezzi di comunicazione di massa in generale, Internet inclusa, possono essere
infatti inquadrati nell’ambito della teoria dei mercati a due versanti (o a più versanti), un
framework di analisi che, nel tempo, si è rivelato solido e generale. Quello che rileva è proprio
il concetto di “two-sided market” riconducibile ad un “incontro” fra due gruppi
interdipendenti di utenti, ovviamente con l’accortezza di considerare il termine “mercato” in
senso non per forza coincidente con il concetto di mercato rilevante proprio della
terminologia antitrust. In questo senso, il termine “piattaforma” è più funzionale all’attività
regolamentare.
Dal punto di vista delle metodologie volte alla tutela del pluralismo, l’analisi dei mercati
delle comunicazioni sposta inevitabilmente l’accento sul versante dei consumatori / cittadini
e sul loro accesso ed uso dei mezzi di comunicazione di massa. In questo senso, il versante
pubblicitario è visto in un’ottica di risorse complessive attivabili del mezzo, sebbene
l’analisi, dalla nostra visuale, riguarda non solo la sostituibilità tra attività lungo tutta la
catena del valore, ma, in ultima analisi, la sostituibilità dei mezzi tra i consumatori per
accedere ai contenuti (sostituibilità che, peraltro, è da leggersi nell’ottica della
complementarietà e non dell’esclusione).
E’ lo stesso art. 43 del TU che, oltre ad elementi tipici delle metodologie antitrust [ricavi,
livello di concorrenza, barriere all’ingresso, dimensioni di efficienza economica delle imprese],
considera le audience dei media [ossia gli indici quantitativi di diffusione dei vari mezzi e delle
singole imprese] tra i criteri di valutazione nell’ambito dell’analisi volta all’individuazione dei
mercati rilevanti e della relativa valutazione delle eventuali posizioni dominanti. Un corredo
metodologico che completa, ai fini della tutela del pluralismo, la strumentazione antitrust.
2
L’ultimo intervento da parte dell’AGCOM in materia di identificazione dei mercati rilevanti
del SIC - questa è sempre la nostra cornice di riferimento - risale al 2010 (Delibera
555/10/CONS) e corrispondeva ad una fotografia in transizione del sistema informativo
nazionale. I mercati rilevanti erano stati individuati in:
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televisione in chiaro;
televisione a pagamento;
radio;
quotidiani;
periodici.
La tv era ancora il veicolo di gran lunga prevalente per l’informazione: copriva quasi il 90%
delle persone che si informavano attivamente in Italia; poi venivano i quotidiani col 61%.
Internet seguiva con il 20% (rilevazioni dei primi mesi del 2010). Nulla a che vedere con gli
Stati Uniti, ma neppure un fenomeno solo di nicchia2.
A ben vedere, nelle nostre analisi, il mondo Internet è stato per certi aspetti un convitato di
pietra:
i) ne abbiamo tenuto conto per la prima volta nell’analisi relativa al pluralismo informativo,
ii) ma non abbiamo quantificato completamente il fenomeno nella valorizzazione del SIC, e,
iii) come mercato rilevante in quanto tale, è stato inserito solo nell’editoria.
Infatti, nella formulazione del Testo unico vigente al momento dell’ultima analisi dei
mercati rientrava la mera editoria elettronica, che rappresenta solo un segmento di un più
ampio mercato riconducibile ad Internet, nella sua parte finale – e principale - di fruizione di
contenuti e servizi.
Già nel 2010 AGCOM evidenziava dunque come Internet rappresentasse “non solo un ambito
economico al momento unitario, ma anche il terzo mezzo di informazione per i cittadini italiani,
con un’assoluta valenza ai fini del pluralismo, sia attuale che, ancor più, prospettica” (Delibera
555/10/CONS). In questo senso, si suggeriva al Legislatore di ridefinire le aree economiche
rilevanti ai fini di un’analisi a tutela del pluralismo più conforme alle evidenze. La
dimensione economica, infatti, è preliminare all’individuazione dei mercati rilevanti ed
essenziale ad una valutazione delle forze competitive in gioco.
Detto, fatto. La legge 16 luglio 2012 n.103 ha incluso nella valorizzazione del Sic - a partire
dal 2012 - tutte le aree economiche riconducibili ad internet (pubblicità on line, comprensiva
del search, dei social network nonché di quella operata attraverso dispositivi mobili). Il
prossimo anno, più o meno in questo periodo, avremo la prima fotografia completa delle
risorse economiche sviluppate dal sistema delle comunicazioni in Italia nel suo complesso incluso Google e dintorni: soggetti che da qualche tempo sono diventati delle superstar
antitrust, molto più del sempreverde Microsoft.
2
Rispetto all’editoria quotidiana, Internet, per la sua connotazione di media globale, presenta un dato di
specializzazione esattamente opposto: è una fonte rilevante per l’attualità internazionale e nazionale, meno per
quella locale.
3
La valorizzazione del Sic e delle sue aree3 assume una valenza di preliminare importanza
perché l’attrattività del mezzo (e dunque di un operatore) nella diffusione delle informazioni
– quindi la sua rilevanza in termini di contributo al pluralismo - dipende anche dalle
caratteristiche specifiche del mezzo, tra cui le risorse disponibili e destinabili dagli operatori
ad attrarre l’attenzione dei cittadini.
Qualche parola sull’ultima valorizzazione del SIC, relativa al 2011 e da poco conclusa. Non
certo uno stato di forma invidiabile del settore. Nel 2011, il valore complessivo del Sistema
Integrato delle Comunicazioni ha superato di poco i 20 miliardi di euro, rispetto ai 21
miliardi di euro circa raggiunti nell’anno 2010. Ciò equivale ad un decremento annuo pari al
3,7%, andamento negativo ancora più marcato di quello fatto registrare, nel 2011,
dall’intera economia nazionale. Vero è che si tratta ancora di una valutazione “parziale” del
mondo Internet, quello che più sta crescendo (nella nostra quantificazione abbiamo creato il
contenitore “Internet” che si riempirà però definitivamente solo il prossimo anno).
L’area radiotelevisiva rappresenta, con il 47,8% (pari a circa 9,7 miliardi di euro), l’ambito
con la maggiore incidenza sul totale delle risorse economiche. E tutto sommato “tiene”
rispetto all’anno precedente. Segue la stampa, quotidiana e periodica, con il 30,7%, pari a
circa 6,2 miliardi di euro (in calo del 2,6% rispetto all’anno prima; un calo costante che con il
passare degli anni assomiglia ad un’emorragia).
Al di là del perimetro disegnato dal dato normativo queste aree sono interessate da un
radicale percorso di profondo cambiamento che ne ridisegna i confini. Un esercizio utile di
definizione dei mercati dei media che sia utile corrisponde alla ricerca di una risposta
all’interrogativo di “cosa sia la televisione, oggi”. E quindi, quale il suo confine con la rete
Internet e cosa sta cambiando nella catena del valore e nelle modalità di fruizione. Le
difficoltà in questa ricerca – sia dal punto di vista concorrenziale che del pluralismo - sono
state ulteriormente sottolineate nella recentissima sessione dedicata dell’ultimo Global
Forum on Competition dell’OCSE dello scorso 1 marzo4.
Quello che rileva, infatti, non è solo l’offerta tecnologica ma anche il suo utilizzo reale. Detto
in altri termini, rileva la convergenza tecnologica che diviene convergenza di mercato, con
una chiara influenza sia sui modelli di offerta che su quelli di domanda). In Italia la fruizione
(la domanda) segue per ora con un po’ di distanza l’offerta perché scontiamo frizioni legate
all’anagrafe, alla cultura digitale, alla diffusione degli accessi a banda larga e ultra larga.
Questo fenomeno opera solo come un rallentamento, oppure è una barriera insormontabile in
una prospettiva di 3-5 anni che è tipica dell’analisi regolamentare? Il regolatore, comunque,
deve attrezzarsi per tempo, in termini di prospettive e strumenti, senza avere la sola tv
tradizionale nel mirino.
3
Compito cui AGCOM adempie ogni anno per obbligo di legge.
4
OECD Global Forum on Competition, Session II. Competition Issues in Television and Broadcasting (1 March
2013, Paris) - http://www.oecd.org/competition/globalforum/programmeanddocuments.htm#S2.
4
In linea di principio, la convergenza rende possibile una concorrenza tra piattaforme, tanto
più significativa se il multi-homing (ossia l’utilizzo di più piattaforme da parte di uno o
entrambi i versanti del mercato: consumatori ma anche inserzionisti) ha bassi costi.
Altrimenti la convergenza da sé non produce una reale concorrenza ma tende alla
concentrazione (la struttura del mercato guarda caso tipica delle tv analogica). L’insuccesso
dell’Iptv in Italia è un esempio. Ciò solleva il tema, fra gli altri, dell’importanza di un
mercato Europeo unico per i contenuti, mentre esso è ancora frammentato per le regole sui
diritti televisivi; ciò riduce la possibilità di raggiungere adeguate scale di distribuzione.
Ancora: un freno concorrenziale, oltre alla esclusività dei diritti, è la diffusione di tecnologie
proprietarie che limitano la fruizione multipiattaforma (i cosiddetti “walled gardens”).
La convergenza regolamentare invece è ancora di là da venire. Un framework regolamentare
unico che includa il più possibile degli aspetti regolamentati in ottica convergente è
inevitabilmente un traguardo che viene dopo gli assestamenti del mercato. Ma un regolatore
convergente – qual è AGCOM dalla nascita, in anticipo sul mainstream regolamentare - può
essere efficace in un contesto di regolamentazione non ancora convergente?
Da una parte abbiamo il package comunitario sulle comunicazioni elettroniche (reti e
piattaforme), dall’altra la Direttiva SMAV (i contenuti media) ma anche la direttiva sul
commercio elettronico (ovvero il mondo Internet, i provider, il diritto d’autore). Tre pezzi
che penso rimarranno disgiunti ancora per un po’ nonostante un fervente interesse
scientifico e culturale al riguardo. I tempi delle riflessioni importanti a Bruxelles sono
giustamente ponderati. Strumenti e metriche per quanto riguarda reti e contenuti
rimangono dunque nettamente separati e più o meno necessitati di mantenimento / ammodernamento. Pensiamo agli obblighi diversi cui sono soggetti operatori come Telecom Italia,
Mediaset e Google, giusto per fare un esempio.
Questo disallineamento integra una ulteriore difficoltà di intervento per il regolatore, perché
i mercati nel frattempo corrono e il bisogno di regolamentazione nei media (e di
aggiornamento della stessa) non cala (al massimo si redistribuisce tra area della concorrenza
e area dei diritti; un tema di grande attualità per i regolatori, la cui trattazione però oggi ci
porterebbe troppo lontano).
Dunque se la multidimensionalità – fattor comune degli interventi di oggi - richiama la
complessità, la complessità implica mancanza di informazioni e incertezza: per il mercato,
per gli investitori, per gli utenti… e a maggior ragione anche per il regolatore, che – e non è
un paradosso - ha tra i suoi obiettivi proprio quello di ridurre l’incertezza sul mercato.
Ci troviamo dunque ad operare in un contesto di inevitabile “mancanza di conoscenza” e di
“incertezza”. Con un curioso vincolo di azione: quanto più nelle nostre decisioni tendiamo ad
anticipare le dinamiche della convergenza tanto più corriamo il rischio di condizionarla con
un intervento non neutrale; quanto più invece siamo ancorati ad una visione classica del
5
mondo della televisione tanto più rischiamo di non cogliere appieno il portato concorrenziale
e pluralista della convergenza in atto e di distorcerne le dinamiche.
Consci delle difficili prove che ci attendono, ci stiamo muovendo lungo due percorsi paralleli,
favorendo – per quanto nel nostro potere - le condizioni di competizione infrastrutturale
infra-piattaforma (politica dello spettro) e inter-piattaforma (promozione dello sviluppo
delle reti di nuova generazione) monitorando i mercati della filiera media e investendo sulla
crescita del bagaglio generale di conoscenza e di strumentazione.
Al primo tipo di intervento è riconducibile, ad esempio, il bilanciamento nella destinazione
dello spettro al broadcasting e alla banda larga mobile che contraddistingue la posizione
dell’AGCOM nell’assegnazione delle frequenze disponibili in banda televisiva per sistemi di
radiodiffusione digitale terrestre. Ovvero, la famosa gara per le frequenze televisive che è in
via di definizione dopo un’importante interlocuzione – sebbene complessa - con Bruxelles.
Ma su questa linea si collocano anche gli interventi regolamentari che questo Consiglio sta
mettendo a fuoco per promuovere investimenti e diffusione delle nuove reti in fibra ottica
(diversi sono attualmente in consultazione pubblica).
Nel secondo tipo di intervento, il filone di empowerment conoscitivo, rilevano le indagini
conoscitive, che consentono un proficuo scambio con gli attori e gli studiosi dei mercati
interessati ed un confronto con le autorità gemelle a livello internazionale. Ne ricordo tre.
In primo luogo, quella appena conclusa sul settore della raccolta pubblicitaria (Delibera
551/12/CONS) che, dal punto di vista concorrenziale, ha messo in evidenza l’esistenza di
fallimenti del mercato nazionale dei servizi di intermediazione pubblicitaria legati sia agli
assetti competitivi, sia alla struttura delle relazioni negoziali. In particolare, è emerso un
elevato e crescente livello di concentrazione in cui si inserisce un sistema di relazioni
triangolari tra inserzionisti, centri media e broadcaster che non favorisce l’efficienza del
funzionamento del mercato; anzi appare suscettibile di produrre effetti restrittivi. Un
corollario importante dell’indagine è l’istituzione di un osservatorio annuale sulla Pubblicità,
ricco di informazioni quantitative, la cui prima edizione è da poco stata resa pubblica sul
nostro sito.
Ma ci sono anche due recenti iniziative dell’AGCOM che riguardano l’avvio di due indagini
conoscitive mirate.
Una concerne il settore dei servizi internet e sulla pubblicità on line: l’indagine è volta ad
approfondire le dinamiche di mercato in entrambi i versanti del settore, la struttura
dell'intera filiera produttiva, i modelli economici e finanziari sottostanti le nuove
piattaforme digitali, nonché le eventuali criticità nella struttura concorrenziale (Delibera
39/13/CONS). Riteniamo che un approfondimento conoscitivo dei servizi innovativi diffusi
attraverso il web, fra cui la vendita di pubblicità on line, sia essenziale per acquisire elementi
informativi utili ad una futura valutazione rigorosa e puntuale della consistenza e dinamica
delle dimensioni degli stessi.
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In parallelo stiamo svolgendo anche un’analisi sulla connected tv (Delibera 93/13/CONS), che
ha un taglio inevitabilmente “in verticale” sul media televisivo. Analizza infatti la modalità
di diffusione dei contenuti attraverso reti con protocollo IP che vedono lo sviluppo di nuovi
servizi convergenti offerti da operatori del settore delle comunicazioni prima storicamente
separati. In questo caso il focus sarà sulle imprese del web che interagiscono riconfigurando
l’offerta dei contenuti, le modalità di consumo da parte dell’utenza, i diversi modelli di
business adottati dalle imprese. Il passaggio al controllo della pubblicità e dei contenuti, è
immediato.
Sono solo primi esempi di attività del nuovo Consiglio Agcom; ma sottolineano quanto
crediamo, in definitiva, che un regolatore convergente possa essere efficace nella sua azione
anche senza una regolamentazione pienamente convergente se investe sulla conoscenza dei
mercati e cerca di coglierne le tendenze su basi solide. A volte ci riuscirà, a volte meno. E’ il
costo ineliminabile della regolazione ex ante in un contesto di incertezza.
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