Conferenza scuola Dimitri del 8 marzo 2009, Verscio Il movimento all'origine del pensiero nell'uomo Prof. Dieter Schürch L’uomo è un essere pensante e sembra distinguersi da altri esseri viventi per la sua capacità di creare nella sua mente forme astratte. Nel corso dei secoli l’origine del pensiero ha attirato l’interesse di molti studiosi e di molti filosofi. La sua natura impalpabile e la sua capacità di creare mondi immaginari, lontani da qualsiasi rapporto con la realtà, hanno fatto pensare a una illuminazione divina. Solo un essere che porta in sé l’idea di infinito sarebbe all’origine del pensiero umano. L’uomo nella sua finitezza conserverebbe in sé tracce di colui che l’avrebbe creato. E’ questa un’ipotesi che ha conservato nel tempo tutta la sua attualità e nessuna ricerca scientifica è stata, sino ad oggi, in grado di smentirla o di confermarla. Ma nella ricerca della verità di ciò che può aver dato origine al pensiero si sono affacciate anche ipotesi che hanno rinunciato al “soffio” della volontà divina. La convinzione che il rapporto con il reale attraverso i nostri sensi possa essere sufficiente per spiegare l’astrattezza del pensiero appartiene a correnti filosofiche che hanno ispirato in modo importante la ricerca scientifica sul comportamento umano. In questo flusso di idee si iscrive la vasta gamma di studi e di costrutti ipotetici che considerano la traccia, i segni, lasciati nel cervello dai sensi come la chiave per spiegare la nostra capacità di ricostruire un mondo distinto da quello reale. Se con l’approccio che considera il divino all’origine di tutto ciò che noi siamo rischiamo di vanificare la ricerca scientifica della verità, con l’approccio empirico si raccoglie la sfida che consiste nell’ entrare nel merito di una realtà che crediamo possa gradualmente essere rivelata. Questa parte di preambolo ci serve per dire che non è nostra intenzione ignorare secoli di storia di una tematica che si ripresenta a intervalli regolari con tutta la forza del mistero e per dire che non è nostra intenzione addentrarci in un insieme di correnti e di speculazioni di natura filosofica. È, al contrario, nostra intenzione muoverci su un terreno meno speculativo, limitandoci a riflettere su un insieme di scoperte e di conoscenze che riguardano lo sviluppo, la crescita dell’uomo. L’uomo dalla nascita all’età adulta Abbiamo parlato di “sviluppo”, chiediamoci per quale ragione esso dovrebbe essere rivelatore di ciò che è la tematica al centro della nostra attenzione di oggi. A dire il vero non è da molto che lo studio dell’essere umano, in modo particolare l’osservazione dei suoi primi istanti di vita, sono al centro della ricerca. Per molto tempo, e ancora oggi , si è considerata l’infanzia l’età dell’imperfezione in rapporto ad un certo modello di adulto. Dal punto di vista educativo solo il rigore e una certa severità avrebbero permesso di modellare l’uomo all’immagine dell’adulto. 1 Agli inizi dello scorso secolo Freud aveva intuito che la causa di molti comportamenti, di molti pensieri inspiegabili, avevano un’origine remota in esperienze precoci. In Freud compare il ruolo e l’importanza della storia di vita. Dal buio di un inconscio abitato da fantasmi in Freud si prelude alla luce di una oggettività razionale. In Freud l’azione è presente come “atto” che sottostà all’impulso di un desiderio che ignora il fine. Per il padre della psicoanalisi l’uomo è continuamente vittima di un’illusione che consiste nel credere di avere il controllo sull’ agire mentre, in realtà, è continuamente spettatore di una discrepante attività motoria e mentale che esula dalla sua capacità di controllo. L’immagine di un uomo che si batte per contenere, per orientare gli impulsi di un mondo interiore che gli sfugge in continuazione, ha fortemente pregnato la lettura psicologica del comportamento nel secolo scorso. In psicanalisi non possiamo fare a meno di considerare la conoscenza di noi stessi come la ricerca di una ricostruzione storica, mai conclusa, del nostro percorso esistenziale. Vedremo anche in seguito come l’azione che non ha un fine strumentale possa, per molti aspetti, essere un mezzo sostanziale per conoscere sé e per conoscere parte del mondo sociale che ci circonda. Ma se la metodologia freudiana prende spunto dall’età adulta per risalire alle origini, con l’avvento della psicologia dello sviluppo, inaugurata soprattutto da Jean Piaget, ci si trova confrontati per la prima volta con l’osservazione delle fasi della vita, dalla nascita all’età adulta. Gli studi di Piaget hanno dato avvio ad una vastissima area di studi e di ricerche che hanno permesso di capire meglio la natura e l’origine del pensiero. E’ in relazione a questi esiti che proponiamo alcune riflessioni sul tema che ci interessa. Per prima cosa ci sembra doveroso includere qualsiasi approfondimento del tema di oggi nella dimensione storica: l’individuo è sempre il risultato di una storia. E nella storia includiamo la predisposizione genetica, la struttura biologica dell’organismo e il rapporto con l’ambiente. Se la condizione genetica e la biologia li dobbiamo considerare dati sui quali è possibile agire poco, ben diverso è il discorso che riguarda la formazione dell’individuo dalla nascita in poi. Cosa ne è del movimento e del pensiero alla nascita ? Esiste un pensiero senza il movimento, oppure esiste un movimento senza il pensiero ? Esistono conoscenze, saperi alla nascita, oppure tutto deve essere imparato ? Se l’imparare è importante, come si impara ? Come si impara il movimento, come si impara il pensiero ? Saperi antecedenti Come visto in precedenza vediamo di capire se esiste un’informazione, un pensiero che precede il nostro rapporto con il mondo. La risposta a questa domanda è chiaramente affermativa. L’uomo nasce dotato di un insieme strutturato di movimenti. Il movimento precede di gran lunga ogni altra forma di 2 manifestazione. Esso pre-esiste a ogni contatto con l’ambiente che circonda il bambino alla nascita. L’uomo è inizialmente corpo, movimento, espressione. Il suo pensiero è corpo e movimento, ma è anche sorriso e pianto. L’essere, l’agire e il pensare sono un tutt’uno; si interroga il bambino attraverso l’analisi del movimento. Si tratta di un movimento, di un pensiero che non conosce l’oggetto a cui esso si rivolge. Si direbbe un pensiero, un movimento che deve trovare l’oggetto. Ma è forse meglio dire che in parte l’uomo anticipa ciò che sarà l’oggetto; l’oggetto esisterà nella misura in cui esso entrerà a far parte dell’agire dell’uomo. Prendere, toccare, gettare sono movimenti, gesti, ma sono anche oggetti che si prestano ad essere presi, toccati, gettati, ecc.. La storia dell’uomo è la continua costruzione e ricostruzione dell’oggetto attraverso, per il tramite, dell’agire sulle cose, sulle persone e su se stesso. Ma qual è la funzione di quell’agire ? Come interpretare l’esistenza di meccanismi tanto complessi ? Oggi sappiamo che alla nascita esiste una “natura”, una forma di sedimentazione di un insieme di comportamenti che nella storia della specie hanno svolto una funzione. I movimenti iniziali, ma anche fondamentali dell’uomo, sono rivelatori di una storia nella quale la sopravvivenza della specie ha richiesto il collaudo di alcuni schemi comportamentali. Essi hanno avuto, in un remoto passato, la funzione di risposta al bisogno di sopravvivenza in un ambiente molto diverso da quello odierno. Aggrapparsi, superare l’ostacolo, succhiare, deambulare sono il risultato di apprendimenti fondamentali a cui è venuto a mancare con l’evoluzione della civiltà l’oggetto a cui erano destinati. Disapprendere per apprendere Quali sono le considerazioni che derivano da queste constatazioni iniziali ? Qual è l’insegnamento che si può ricavare per chi intende formare, educare ? Cosa ne è del pensiero in rapporto al movimento ? In primo luogo l’uomo non si presenta come una scatola vuota. Esso è dotato di una struttura comportamentale (movimenti) che è, in parte, un sapere innato. Sin dall’inizio della vita, ed anche in seguito, abbiamo sempre a che fare con conoscenze che pre-esistono. L’individuo non è una scatola nella quale si inietta un sapere esterno alla sua persona. Da quanto precede deriva che, in secondo luogo, ogni cambiamento nel modo di essere dell’individuo presuppone inizialmente la conoscenza del suo sapere antecedente. Se osserviamo il nostro modo di camminare, di sedere, di guardare, di ridere, vediamo che ogni singolo porta in sé una sua inconfondibile caratteristica. Il primo problema dell’apprendimento è come affrontare il sapere consolidato che ogni singolo individuo porta in sé; ogni apprendimento è, inizialmente, una forma di disapprendimento di ciò che si sa. In terzo luogo il movimento è il linguaggio iniziale a cui risponde l’ambiente fisico e sociale. La risposta ambientale è un’ attribuzione di significato: gioia, fame, desiderio, tristezza, bisogno…. Alla forma primitiva innata si sovrappone una struttura interpretativa che varia da 3 cultura a cultura. Nella momento in cui l’attribuzione di significato è anche del bambino – vedi espressione del riso a cui il bambino risponde con il riso – ci si trova confrontati con la prima forma simbolica del pensiero. Il pensiero Il pensiero iniziale, totalmente integrato nell’azione, si trasforma in simbolo, in immagine, nel momento in cui allude, evoca, l’azione. Il sorriso prelude ad uno stato di gioia di qualche cosa che può essere imminente o che rievoca qualche cosa che è stato. E’ questa la prima forma di pensiero distinto dall’azione. Nel movimento si nascondono infinite varianti del sentire e dell’essere all’interno di un spazio e di un tempo. Nella storia precoce dell’individuo non si può dimenticare che il corpo e il movimento sono le prime forme di comunicazione con l’Altro. Il significato è stato attribuito da chi ci ha accolti, noi abbiamo imparato a inserirci in tale sistema di attribuzioni. L’attribuzione è già, per sua natura, simbolica in quanto traduce qualche cosa di fisico in significato. Il significato è, a sua volta, una tessera di storia su ciò che siamo e che saremo. In questo andirivieni tra società e individuo si compie l’acculturazione. Nel processo di cambiamento e di apprendimento osservabile durante lo sviluppo si pone la domanda sul come, sul cosa, spinga l’individuo a trasformare ciò che è, ciò che sà per assimilare altri modi di essere, altri saperi. Le emozioni Il motore che attiva le risorse motorie e mentali dell’individuo, sin dalla nascita, sono le emozioni. Le emozioni sono una costante di tutta la vita, esse sono il ponte tra la nostra natura biologica e le regole di un mondo sociale e culturale. In una situazione d‘esame sentiamo il respiro, il battito del cuore, il calore del nostro corpo e, al tempo stesso, attiviamo le nostre risorse mentali per far fronte a una prova, a un ambiente dal quale dipende una parte della nostra collocazione sociale. Gli stati emotivi sono infiniti con infinite sfumature. Le emozioni possono consolidare il sentimento di completezza del proprio io, così come possono provocare stati disgreganti, stati di squilibrio. Le emozioni svolgono l’importante funzione di ponte tra uno stato interno all’individuo e il mondo umano, sociale, che lo circonda. Le emozioni sono il nostro primo linguaggio. Il loro canale preferenziale è il corpo, la postura, l’espressione del viso, la gestualità. L’attribuzione di significato visto in precedenza è innanzitutto emotiva, si risponde al riso in modo automatico, il riso si diffonde a macchia d’olio, prende il sopravvento sulla nostra 4 volontà di controllo della postura, del nostro portamento. Lo stato emotivo si impadronisce della nostra mente. Sappiamo che il pensiero non è mai totalmente estraneo allo stato emotivo in quanto esso ha avuto origine nella culla della comunicazione emotiva. Postura e movimento Postura, atteggiamento, mimica, movimento, azione, stati mentali, comunicazione sociale, sono elementi di una catena che rende lo studio del corpo e delle sue potenzialità espressive un terreno nel quale si assiste ad una continua rigenerazione del pensiero. Proviamo ad addentrarci in questa parte del nostro essere al mondo. Ciò che noi consideriamo movimento è la parte manifesta di un insieme di condizioni che trovano origine in un corpo mentale e fisico. Senza corpo non può esserci movimento. E’ interessante notare come il corpo vivente debba, prima di ogni altra cosa, combattere le forze gravitazionali: la postura è in primo luogo una risposta alle forze gravitazionali che spingono qualsiasi corpo verso terra. Cadere, far cadere, alzarsi, sdraiarsi, andare a testa alta, essere curvi… sono altrettanti comportamenti che dicono qualche cosa sul modo di essere dell’individuo in rapporto allo spazio gravitazionale. Ma la postura è anche, e soprattutto, ciò che collega il biologico al sociale e il sociale al culturale. La postura del corpo, prima ancora del movimento, esprime lo stato della persona. L’analisi del percorso esistenziale dell’uomo mostra l’importanza che ha per noi la presenza del corpo dell’Altro. La fusione, la simbiosi amorosa può creare sensazioni dolorose di mancanza di una parte di sé nel momento in cui avviene un distacco dal proprio partner. Kurt Lewin ha mostrato come le posture sono linguaggi inconsci che hanno il potere di attirare e di respingere le persone all’interno di uno spazio sociale. In altre parole la postura richiama altre posture, le mimiche suscitano altre mimiche, lo stato tonico si traduce sempre, e anche, in stato mentale, così come lo stato mentale si trasforma in postura e in atteggiamento. Sappiamo che esiste una specie di imitazione reciproca che si diffonde in modo informale attraverso un processo induttivo che, a sua volta, può caratterizzare un certo “clima sociale”. Persone che lavorano in armonia favoriscono un clima di armonia il quale, a sua volta, amplia le capacità immaginative, creative e di pensiero. Le situazioni di apprendimento informale sono il più potente fattore di crescita e di sviluppo. Noi non possiamo fare a meno di ripercorrere, in continuazione, gli schemi dei primi rapporti sociali, rapporti che presuppongono forme di immedesimazione nell’espressione corporea dell’altra persona. Abbiamo visto come la postura esprime, comunica, lo stato tonico in cui si trova l’individuo e, per riflesso, è un potente strumento di conoscenza cognitiva della condizione psicologica 5 dell’Altro. Ma questa continua interazione psicofisica tra noi e gli altri è perciò anche uno strumento di conoscenza di noi stessi. Dal movimento al pensiero Il movimento è lo stato tonico che si trasforma in movimento. Stare per parlare non vuol ancora dire parlare, ma significa mettere in condizione il corpo affinché possa emettere suoni articolati secondo certe regole. In rapporto alla nascita del pensiero l’imitazione reciproca è anche ciò che ci consente di costruire l’immagine di ciò che noi non vediamo di noi stessi. La ripetizione imitativa si interiorizza e diviene esperienza mentale. L’ esperienza mentale è l’evocazione di un movimento, di un’espressione, di un’immagine che abbiamo visto o che stiamo per vedere. Ogni esperienza mentale ha bisogno di un supporto simbolico che sappia richiamare/evocare la situazione non presente. Lo stesso movimento può diventare simbolo nel momento in cui diviene gesto: il gesto del saluto, il gesto dell’interrogarsi, il gesto della follia… Non tutto ciò che è gestuale ha una corrispondenza nella parola, nel linguaggio. L’emotività trascende in continuazione le potenzialità del codice linguistico ed è anche per tale ragione che si ricorre alla costruzione di storie, alla composizione narrativa che sconfina nell’arte del raccontare e del raccontarsi. L’espressione artistica è la conquista di uno spazio che trascende, che amplia, i confini dell’io. Il gesto che prende forma attraverso una riflessione sull’esperienza emotiva è in grado di andare oltre il codice culturale. La sua natura è quella di una realtà che prende forma in uno spazio e in un divenire temporale irripetibili. Le repliche di una rappresentazione di danza su un palcoscenico non hanno mai le stesse caratteristiche. La gestualità così intesa è, per sua natura unica, in quanto unico è l’insieme del contesto sociale, culturale ed emotivo in cui essa si svolge. La struttura elementare Ma dopo aver descritto la natura dinamica del gesto e del pensiero e delle relazioni che intercorrono tra queste due importanti aree dell’essere umano, ci poniamo un ultimo interrogativo: esistono movimenti sostanziali, invariabili, che si ritrovano in tutte le fasi della vita ? Questa importante domanda ha risposte che non possono essere sviluppate in una conferenza come quella di oggi. In questa circostanza ci limitiamo a considerare la struttura che è alla base di qualsiasi riflesso: il ritmo. Cosa è sostanzialmente il ritmo ? Il ritmo è un movimento di andata e di ritorno che si ripete all’interno di un tempo dato, sempre nello stesso modo. 6 Il suo andamento ricorda la circolarità: si parte da un punto, si compie un movimento che modifica lo stato a cui segue un movimento che è in grado di riportare il tutto ad uno stato iniziale. Qual è l’interesse di questa parte del discorso ? Si può affermare che la struttura descritta la ritroviamo in tutte le manifestazioni del pensiero logico. Il ritorno mentale al punto di partenza è ciò che conferisce stabilità e certezza. Non è possibile immaginare un io, un corpo che consideriamo nostro, se fossimo continuamente confrontati con un mondo nel quale nulla può essere ricondotto a un punto iniziale. La ripetizione di strutture che sono in grado di riportare le trasformazioni introdotte dall’individuo allo stato iniziale risponde all’esigenza primaria di conferma del sé. Nella struttura elementare del ritmo si intravvede anche ciò che più tardi sarà la riflessione. La riflessione intesa come capacità di rifare mentalmente ciò che è stata l’azione. Ma ricordiamoci che la riflessione attinge sempre, in permanenza, al patrimonio motorio ed emotivo dell’azione. Conclusione Piaget considera il ritorno al punto di partenza lo schema di base che configura più tardi la natura del pensiero logico-matematico. Su di esso si innestano le infinite forme dell’espressione motoria e comportamentale che rendono il soggetto capace di immaginazione. La ricchezza di qualsiasi trasformazione comportamentale è un arricchimento dello schema riflessivo di base in quanto consente all’individuo di avvicinare qualche cosa che continuamente gli sfugge. Ma cosa gli sfugge ? Gli sfugge la reale natura del suo agire all’interno di una inconciliabile diade di cultura e di natura. La cultura comporta l’adozione di canoni comportamentali all’interno di un ordine simbolico dato, la natura comprende un potenziale, una predisposizione, che nessuna storia individuale riesce a portare alla luce in modo completo: noi avremmo potuto essere altro e altri. Del potenziale espressivo emerge sempre solo una piccola parte. Di questa parte solo un’esigua fetta è consapevole, il resto sfugge al nostro sguardo e al nostro modo di percepire. L’arte del movimento espressivo ed artistico è la ricerca emotiva e mentale di uno stato originale che spinge gli uomini a fare poesia e a produrre scienza. Ma l’arte del movimento è anche la ricerca di una conoscenza di ciò che siamo in una dimensione spaziale senza fine. 7 8