Lo scenario sociale e politico - Bilancio Sociale

LO SCENARIO SOCIALE E POLITICO1
Cosa può caratterizzare il contesto sociale e politico italiano oggi, nel settimo anno della Grande Crisi inizia ta con l'esplosione della bolla finanziaria americana e poi diffusasi in Europa? Nel tentativo di rispondere a
questa domanda abbiamo cercato di considerare le ricadute sociali più preoccupanti della crisi economica e
l'elemento che trasversalmente segna la condizione presente e le prospettive a breve-medio termine della
vita degli italiani. La crescita della diseguaglianza, come una criticità grave del nostro tempo e delle dinami che economiche, ci è parsa la risposta più appropriata perché oltre a caratterizzare il movimento di molti
fattori della vita quotidiana, allo stesso tempo essa costituisce la base valoriale di un’ideologia della crescita
che, ci sembra, sia entrata in una crisi di legittimazione culturale, oltre che della sua evidenza economica.
Questa ideologia si fondava sul fatto che la diseguaglianza fosse un valore in sé, il motore dello sviluppo del le società mature. Si sosteneva che la capacità di incentivare la crescita indotta dalla concentrazione di capi tale in settori dinamici della società, avrebbe avuto come ricaduta una ampia diffusione di disponibilità di
reddito anche fra la parte meno abbiente della popolazione. Ipotesi questa che avrebbe reso meno impellente la necessità di politiche economiche contro la povertà. Di fronte però all'evidenza della crescita piutto sto della diseguaglianza in termini tanto di redditi che di capitali, la ricetta che i testi “sacri” dell'economia
tradizionale ha proposto era “più crescita!”.
Assistiamo oggi invece al drammatico fallimento di queste ricette economiche: globalmente osserviamo
come la crescita delle diseguaglianze si rifletta negativamente sui cambiamenti climatici, sulle crisi ambientali e sulla condizione sociale di milioni di persone.
Un recente rapporto di Oxfam, presentato alla vigilia del World Economic Forum di Davos, mette in evidenza
come le 85 persone più ricche del pianeta dispongano di un patrimonio equivalente a quello detenuto dal
50% della popolazione mondiale. “Working for the few”, questo il titolo del rapporto di Oxfam, evidenzia
come le normative nazionali e internazionali abbiano in questi anni favorito i più ricchi, indebolendo così
dall'interno i processi di democratizzazione e, di fatto, assurgendo la diseguaglianza a valore fondativo dello
sviluppo. Paradosso concettuale e pratico per un modello di governo come quello democratico che è anda to, quantitativamente, espandendosi e acquisendo consenso in tutto il mondo e che si fonda sul valore op posto, l'uguaglianza dei cittadini nei processi di rappresentanza istituzionale e politica.
La tendenza all'accentuazione delle diseguaglianze si registra nelle economie emergenti, come in India dove
il numero dei miliardari è aumentato di 10 volte nell'ultima decade grazie a politiche fiscali recessive e che,
al contempo, si trova agli ultimi posti nella graduatoria mondiale per l'accesso a una alimentazione sana. Le
cose non vanno meglio nelle democrazie mature: negli Stati Uniti il reddito dell'1% della popolazione più ricca è aumentato ai livelli più alti dalla Grande Depressione del '29, tanto da spingere il Presidente Obama ad
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Contributo di Simone Siliani, collaboratore della Fondazione Culturale Responsabilità Etica.
annunciare misure per aumentare la tassazione su questa quota di popolazione a fini redistributivi.
Proprio le politiche fiscali sono state gli strumenti della crescita della diseguaglianza: sempre il rapporto Oxfam evidenzia come dalla fine degli anni '70 la tassazione per i più ricchi sia diminuita in molti Paesi (29 sui
30 considerati).
Dunque, alla fine di diversi decenni di crescita, le teorie di moderazione della diseguaglianza attraverso le ri cette liberiste della crescita mostrano la corda. La crescita senza lavoro, caratteristica degli ultimi decenni di
sviluppo di nuove tecnologie informatiche e della torsione finanziaria dell'economia, presenta drammatiche
ricadute sociali.
Accade, tuttavia, che la paura della bancarotta di interi Paesi a fronte di elevati livelli di indebitamento pub blico, porti l'Unione Europea ad insistere su politiche di riduzione della spesa pubblica (austerità), giungen do così a considerare strutturale e “tollerabile” un livello di disoccupazione a due cifre, mentre altrove (ad
esempio negli USA), pur a seguito dell'utilizzo di ingenti somme di denaro pubblico per salvare gli istituti fi nanziari all'origine della crisi del 2008, si stanno attuando politiche pubblico di stimolo dell'economia con il
risultato di una significativa riduzione della disoccupazione.
Del resto, aumenta in Europa, e non solo, il fenomeno degli occupati poveri, della sottoccupazione e del nu mero di persone che vivono al disotto della soglia di povertà. Fenomeno preoccupante, anche per i sosteni tori della crescita senza qualità, ma che qui vogliamo evidenziare come ulteriore elemento di accentuazione
della diseguaglianza.
Osserviamo questo fenomeno anche in Italia: la recente diffusione dei dati relativi al 2012 dell'Indagine
biennale sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d'Italia segnala come proprio negli anni della crisi il
numero dei poveri sia andato aumentando: mentre nel periodo 2000-2006 il numero dei poveri era diminui to da 11,4 a 9,6 milioni di persone, nel periodo successivo 2006-2012 coincidente con il progressivo acuirsi
della crisi, questo numero è aumentato di 3,9 milioni, portando il numero complessivo di italiani poveri (che
percepiscono cioè meno del 60% del reddito mediano equivalente familiare, fissato al 2000 e incrementato,
per gli anni successivi, solo in base al tasso di inflazione) a 13,5 milioni.
Un incremento coerente con l'altro dato macroscopico che emerge da questi dati della Banca d'Italia relati vo proprio all'accentuarsi della dinamica della diseguaglianza: fra il 2008 e il 2012 il reddito degli italiani di minuisce, ma in modo più significativo per il 10% più povero della popolazione con un crollo del reddito di
circa il 25%. La diseguaglianza nella distribuzione del reddito si accentua nel periodo più intenso della crisi
proprio per una riduzione nelle famiglie con il reddito più basso, mentre le persone con redditi più alti lo
hanno sostanzialmente mantenuto seppure in termini assoluti. Ma l'effetto di questa dinamica dei redditi è
quello di un allargamento della forbice fra poveri e ricchi. Sono le persone che vivono del reddito derivanti
esclusivamente dal proprio lavoro a subire i colpi più duri della crisi.
La povertà, pure, è distribuita in modo ineguale lungo la penisola perché, se la quota dei poveri è complessi -
vamente pari al 14,1%, nel Mezzogiorno la percentuale raggiunge il 24,7%. Fra gli stranieri (nati all'estero e
residenti in Italia) la percentuale arriva al 30%. Sono dunque i più deboli – per reddito, per area geografica e
per nascita - a sopportare il peso maggiore della crisi innestata dal fallimento delle ricette della finanza glo bale e dell’ideologia della crescita: i più poveri pagano per i più ricchi.
Tale diseguaglianza non riguarda solo il reddito, ma più in generale la ricchezza delle famiglie italiane. Sem pre i dati di Banca d'Italia ci dicono che se consideriamo la ricchezza familiare netta come la somma delle attività reali (immobili, aziende, oggetti di valore) e delle attività finanziarie (azioni, titoli di Stato, depositi) al
netto delle passività finanziarie (debiti, mutui), questa tende a concentrarsi agli estremi: il 10% delle fami glie più ricche possiede nel 2012 il 46,6% della ricchezza familiare netta, mentre ne possedeva il 45,7% due
anni prima. La ricchezza si concentra: misurata con l'indice Gini, era il 60,7% nel 2008, il 62,3% nel 2010 e
arriva al 64% nel 2012.
Dall'altro lato aumentano le famiglie con ricchezza negativa nello stesso periodo: dal 2,8% al 4,1%. Crescono
anche le famiglie a rischio di default finanziario. Sono le famiglie che hanno una rata per il rimborso dei pre stiti che è superiore al 30% del loro reddito e che hanno reddito monetario inferiore alla media nazionale.
Erano il 10,1% nel 2010, ma nel 2012 sono salite al 13,2% delle famiglie indebitate, pari al 2,6% di tutte le
famiglie.
Dal Rapporto Annuale 2014 dell'ISTAT emergono diversi dati poco incoraggianti sulla situazione del Paese.
L'analisi demografica delle condizioni e delle tendenze dell'Italia evidenziano un Paese sempre più fragile
socialmente, in cui le diseguaglianze crescono complessivamente e il welfare state resta strutturalmente
inalterato e sempre più inabile a fronteggiare le nuove sfide che il combinato disposto di crisi economica e
cambiamenti demografici inducono.
Un Paese che invecchia rapidamente, sia per la maggiore longevità che per la bassa natalità. Proprio in coin cidenza della crisi, dal 2008 si inverte il trend di crescita della natalità e della natalità iniziato nel 1995: nel
2013 sono stati iscritti all'anagrafe per nascita circa 515.000 bambini, cioè 64.000 di meno in cinque anni e
inferiori di 12.000 unità rispetto al minimo storico di nascite del 1995. Una “decrescita” che riguarda per la
prima volta anche le donne straniere, certamente segno di un miglioramento netto della qualità della loro
vita e di un diverso e più consapevole progetto migratorio, che quando né originato prevalentemente da
motivi di lavoro porta con sé anche una minore propensione ad avere figli. Tuttavia questa mutata condizione delle donne immigrate, unitamente al calo della dinamica migratoria in coincidenza con la crisi porterà
ad una repentina accentuazione del processo di invecchiamento della società italiana. Aumentano gli italiani
che espatriano e calano i rientri; si tratta per lo più di giovani che hanno perso la speranza di veder valoriz zate in patria le proprie competenze o anche semplicemente di poter trovare un lavoro che assicuri un mini mo di prospettiva. Si tratta di giovani talmente flessibili, così come il mantra della modernità e del cambia mento ha loro ripetuto in questi anni, che hanno deciso (o si sono trovati obbligati) di rinunciare ad un futu -
ro incerto in patria per tentare di costruirsene uno, forse altrettanto incerto ma almeno formativo, all'este ro. Di fronte ad una società sempre più destrutturata, con reti di protezione sociale a maglie sempre più lar ghe, in cui si sono voluti rappresentare i diritti (quello al lavoro dignitoso sarebbe pur sempre un diritto di
rango costituzionale) e garanzie come privilegi, chi ha qualche skill in più o maggiori energie date dalla condizione anagrafica è indotto ad emigrare.
All'altro estremo aumenta il numero delle famiglie ma diminuisce la loro dimensione: +7,6% il numero di famiglie fra il 2006 e il 2013, ma il numero medio dei loro componenti è sceso nel 2011 a 2,4. Le famiglie uni personali sono cresciute del 23,1% fra il 2006 e il 2013 e costituiscono oggi il 30,1% delle famiglie italiane. Il
48,7% di queste famiglie sono rappresentate da anziani ultra 65enni. Una tendenza che prepara ad una mi nore efficacia delle rete di parentela come elemento di sostegno e di aiuto nei momenti di difficoltà, che è
stata per decenni la caratteristica principale del sistema di protezione sociale italiano. L'ISTAT la definisce
una rete di parentela più stretta (come base numerica) e più lunga (perché in essa convivono più generazio ni). Ci sono più nonni che, in teoria, dovrebbero occuparsi di un numero minore di nipoti, ma il maggiore invecchiamento demografico fa sì che il carico di persone che hanno bisogno d'aiuto in questa rete sia maggiore della riduzione del numero dei figli.
Sarebbe dunque necessaria una riorganizzazione del sistema di welfare, dedicando più risorse e strumenti
alle politiche di conciliazione dei tempi di vita ed al sostegno alle famiglie con persone che hanno limitazioni
della propria autonomia. Saranno sempre di più gli anziani che avranno bisogno di sostegno nelle famiglie
italiane e l'aiuto vicendevole fra generazioni di madri (soprattutto) e figli su cui si è fondato per decenni il si stema di protezione sociale entrerà con ogni probabilità in crisi.
Popolazione più anziana e longeva, ma per questo con presenza crescente di disabili; famiglie monoreddito
o comunque con condizioni di precarietà lavorativa crescenti; ruolo maggiore delle pensioni (che hanno
mantenuto per lo più il loro potere d'acquisto) nel sostentamento del bilancio economico delle famiglie, che
è tuttavia più incerto e meno dinamico nel suo complesso; pensioni comunque più basse nel Sud del Paese
e per le donne. Tutto ciò disegna una società più fragile ed esposta a rischi di collasso, nella quale i rischi di
marginalità sociale, soprattutto per le persone più anziane, stanno crescendo.
Il Rapporto ISTAT evidenzia proprio qui una persistente e preoccupante condizione di diseguaglianza sociale
nell'ambito della salute. Si tratta di diseguaglianze di genere, ma soprattutto di carattere economico: gli an ziani con risorse economiche scarse o insufficienti, che dichiarano di stare male e che hanno malattie croni che, sono il 30,2% nel 2012 ed erano il 28,6% nel 2005.
Quindi, accanto alla più generale contrazione del reddito delle famiglie, assistiamo all'aumento dei rischi di
marginalità sociale associati alla diseguaglianza economica. Il rischio di povertà ha raggiunto la percentuale
del 19,5% delle famiglie e si concentra in particolare nelle famiglie con minori, monoreddito, di operai, lavoratori in proprio o con persone in cerca di occupazione. Cresce anche il rischio di persistenza in povertà, che
nel 2012 è aumentato dell'11,8% rispetto al 2011 ed è fra i più alti in Europa (13,1% rispetto alla media UE
del 9,7%).
Ma la marginalità sociale, nella allocazione della spesa sociale italiana (che pure costituisce il 29,7% del PIL,
settima in Europa), è la Cenerentola. La spesa sociale italiana si concentra soprattutto nella previdenza
(52%), nella spesa per la salute (dove, con il 24,9% del totale, siamo tra gli ultimi Paesi in Europa), mentre
siamo penultimi per le risorse dedicate alle famiglie nella forma di sostegno al reddito a tutela della genito rialità, di assegni familiari, asili nido, assistenza domiciliare per famiglie numerose, strutture residenziali per
le famiglie con minori (4,8% complessivo della spesa sociale).
Per la disabilità l'Italia impegna il 5,8% della spesa della protezione sociale (pensioni di invalidità, inserimento lavorativo, servizi per l'integrazione e per strutture sanitarie): una delle percentuali più basse d'Europa.
Per il sostegno al reddito in caso di disoccupazione e per le politiche attive del lavoro e formazione (2,9%)
siamo quasi ultimi. Con lo 0,3% della spesa per la protezione sociale dedicato al contrasto alla povertà e
all'esclusione sociale e con lo 0,1% per l'abitare sociale, siamo invece decisamente fanalini di coda. Si contrae la spesa sanitaria e quella sociale; aumenta (seppur di poco) quella per le pensioni.
Riprende fiato, dignità e riconoscimento pubblico anche fuori dalla ristretta cerchia accademica, un intero fi lone di studi economici, sociologici, politologici sul tema. Primo fra tutti, naturalmente, il monumentale lavoro di Thomas Piketty, “Il capitale nel XXI secolo”, di valore per l'enorme mole di dati di cui ha fato uso per
considerare le dinamiche della diseguaglianza negli ultimi 250 anni e per l'approccio interdisciplinare che ne
fanno il lavoro più completo e imprescindibile sulla diseguaglianza. La tesi di Piketty, come noto, è che nei
Paesi sviluppati, il tasso di rendimento del capitale è stato sempre maggiore del tasso di crescita economica,
circostanza che porterà ad un aumento della disuguaglianza in termini di ricchezza e disponibilità di beni e
servizi. Per affrontare questo problema, Piketty propone di attuare una redistribuzione della ricchezza attraverso una tassa globale sulla ricchezza. Provvedimento di non facile concezione, oltre che attuazione, e per
il quale occorrerebbe una volontà politica vasta e forte che non appare alla vista.
Così forse oggi sarebbe necessario tornare al testo di Amartya Sen, “La diseguaglianza”, che pone una domanda fondamentale: “Eguaglianza di che cosa?”. Infatti, la misurazione della diseguaglianza dipende dalla
scelta delle variabili (reddito, ricchezza, accesso a servizi, ecc.). Dunque, in base a questa “variabile focale”
ed alle diverse caratteristiche degli individui e delle condizioni “ambientali” in cui questi si trovano ad agire,
è possibile registrare l'eguaglianza in termini di una variabile (ad esempio di tutti i cittadini davanti alla leg ge) e registrare grandi diseguaglianze in altri campi. A redditi tendenzialmente equi, possono corrispondere
condizioni di ricchezza assai diseguali. Per non parlare di parametri ben più complessi come la qualità della
vita o la felicità.
Il concetto di eguaglianza non è un'idea vuota, purché vi corrispondono strategie e scelte politiche che siano
in grado di trasformarle in azioni concrete. È il caso delle recenti dichiarazioni del Presidente Obama duran -
te il discorso sullo State of the Union relative ad una manovra che l'Amministrazione intenderebbe adottare
per spostare quote di reddito dai più ricchi alle classe media, che in America ha subito i contraccolpi più duri
della crisi finanziaria, attraverso la leva fiscale. Si tratterebbe di 320 miliardi di dollari di nuove entrate, da
raccogliere attraverso un aumento al 28% (oggi è al 23,8%) della percentuale massima di tassazione sui capital gains, per le famiglie con un reddito annuale superiore ai 500.000 dollari. Verrebbe anche eliminato il
cosiddetto “trust-fund loophole”, una misura che permette ai più ricchi di evitare le tasse di successione attraverso il ricorso ai “trust-funds”. Infine, il piano prevederebbe una nuova imposta per le banche con beni
superiori ai 50 miliardi di dollari. Le nuove entrate così ricavate dovrebbero servire a finanziare agevolazioni
fiscali da 500 dollari per quelle famiglie in cui entrambi in genitori lavorano; nonché a triplicare le agevola zioni di imposta per coprire l’assistenza sanitaria ai bambini sotto i 5 anni. Inoltre sarebbero previste anche
misure per dotare di un piano pensionistico quei lavoratori non coperti dalle loro società, e sgravi fiscali ri volti ai giovani che frequentano il college. Una misura complessa, che affronta contemporaneamente il
tema delle diseguaglianze perché è da una moderazione di queste che intende reperire le risorse necessarie
per interventi di contrasto alla povertà.
Possiamo anche riferirci alle prime azioni concrete del nuovo governo greco di Alxeis Tsipras: il ripristino del le tredicesime per le pensioni basse e la reintroduzione del vecchio salario minimo a 751 euro (dai 586 attuali, imposti dalla Trojka) e il reintegro dei dipendenti pubblici licenziati “incostituzionalmente”.
In Italia, i famosi 80 euro mensili in busta paga approvati dal Governo, che pure hanno un effetto redistribu tivo, erano piuttosto motivati dalla necessità di dare uno stimolo ai consumi. Peraltro l'effetto in tal senso è
stato risibile, come ha sottolineato lo scorso gennaio l'ISTAT, spiegando che se gli 80 euro hanno dato un po'
di ossigeno alle tasche dei lavoratori dipendenti (+1,9% congiunturale), i consumi sono rimasti al palo sul trimestre precedente e solo in lieve aumento (+0,4%) su base annua. In ogni caso si è trattato di una misura
isolata e congiunturale che non ha inciso sensibilmente sul livello di diseguaglianza dei redditi e della ric chezza che, invece, ha continuato a crescere.
Vivere in una società in cui tendono ad accentuarsi le distanze in termini di disponibilità di reddito, di ric chezza posseduta, di possibilità di accesso a servizi di assistenza per evitare di scivolare (o di rimanere) in
condizioni di povertà, significa vivere in una società meno libera. L'eguaglianza è stata posta in contrasto
con l'esigenza di libertà per molti decenni: è il cuore del conflitto fra il pensiero libertario (concepito erroneamente come antiegualitario per la sua attenzione preponderante alla libertà) e il pensiero egualitarista
(dipinto come meno attento alla libertà perché concentrato sulla causa dell'eguaglianza). Oggi la società ita liana come quella globale ci presentano un nesso inscindibile, nella prassi quotidiana di milioni di persone,
fra l'eguaglianza di diritti e mezzi di sussistenza e la libertà di esercitare pienamente quei diritti, così come di
vivere una esistenza dignitosa a tal punto da essere liberi dal bisogno materiale e quindi liberi di vivere pie namente la propria individualità sociale e civile. Scrive Amartya Sen nel testo citato: “... il tema dell'egua-
glianza viene sollevato immediatamente come supplementare all'affermazione dell'importanza della libertà.
La proposta libertaria deve essere completata procedendo alla caratterizzazione della distribuzione dei diritti fra le persone”. L'Italia in cui viviamo oggi misura costantemente quanto le sempre più ineguali condizioni
di vita materiale degli italiani rendano sempre meno giusto questo Paese. Un Paese in cui vige l'ingiustizia
non può che essere un Paese meno libero.
La legalità responsabile2
Tra le tante caratteristiche del nostro Paese, un elemento di connotazione negativa agli occhi degli altri Stati
è quello legato alla presenza delle mafie e della corruzione.
Il fenomeno mafioso è radicato storicamente dall'Unità d'Italia, con una presenza pulviscolare che risale al
1500. La stratificazione della criminalità ha senz'altro inquinato il mercato e contaminato le Istituzioni, agen do a livello economico e culturale.
Come ci ricorda la Corte dei Conti, crisi economica e corruzione procedono di pari passo in un circolo vizio so, nel quale l’una è causa ed effetto dell’altra. Il Presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, all’inau gurazione dell’anno giudiziario nel febbraio 2015, ha infatti ricordato che "l’illegalità ha effetti devastanti
sull’attività di impresa e quindi sulla crescita. Il perdurare a lungo di condizioni di bassa crescita, se non di
stagnazione, oltre a moltiplicare le difficoltà di gestione del bilancio pubblico e quindi di implementazione
degli interventi necessari per affrontare la crisi, predispone un terreno favorevole a fenomeni di mala gestio
e di corruzione”.
Durante il 2014 sono state condotte molte operazioni di forze di polizia e magistratura, che hanno smasche rato la presenza criminale anche in contesti prima ritenuti immuni, con una compenetrazioni tra mafie,
massoneria e politica: il fenomeno ha costituito per molti un brusco risveglio, mentre per tanti altri si è trat tato di una triste conferma.
Vale la pena sottolineare come alcune aree siano state infestate dal virus criminale, generando un impasto
tra economia reale e legale ed economia fittizia e illegale, talvolta dissolvendo l'una nell'altra. In questo con testo di crisi, la disponibilità pressoché illimitata di denaro frutto di narcotraffico e di altri traffici illeciti (rifiuti, armi, estorsioni in primis) rende facile l'aggancio tra clan mafiosi e imprese.
Neanche il settore della cooperazione sociale, a lungo ritenuto immune da queste penetrazioni, ne è esente: è il caso della Cooperativa 29 Giugno, emerso con prepotenza grazie all'operazione Mafia Capitale, scattata a inizio dicembre, con la quale sono cadute le pie illusioni di immunità. È stato un duro colpo anche per
chi, come Banca Popolare Etica, ha creduto nell'operosità di queste realtà, da decenni impegnate per il rein serimento lavorativo di persone detenute e per generare benessere verso soggetti svantaggiati, come rom e
migranti. È però importante distinguere tra chi delinque e chi, all'interno delle stesse realtà, porta avanti
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Contributo di Francesca Rispoli, componente del Consiglio di Amministrazione di Banca Popolare Etica.
con dedizione il proprio lavoro: “distinguere per non confondere”, come ci insegna don Luigi Ciotti. È dunque
giusto portare in salvo tutto ciò che di buono è stato creato e alimentato con cura nel corso di decenni,
onde evitare di penalizzare un settore, quello della cooperazione sociale, che ha un'importanza vitale nella
gestione della cosa pubblica e che subisce oggi attacchi da più fronti.
Sotto il profilo dell'aggressione economica delle mafie, durante lo scorso anno sono stati condotti migliaia di
sequestri di beni alla criminalità organizzata, di mobili e immobili. Non c'è giorno in cui i mezzi di comunicazione non diano notizia di qualche sequestro o confisca, in ogni angolo d'Italia. Un patrimonio enorme che
fa fatica ad essere riutilizzato, anche a causa della scarsità di risorse a disposizione dell'Agenzia nazionale
per i beni sequestrati e confiscati. Un bacino di ricchezza che purtroppo non si riesce neanche a quantifica re: gli ultimi dati parlano di oltre 11.000 beni immobili confiscati, ma non si ha contezza dei sequestri e delle
somme di denaro, che risultano pertanto indisponibili e giacciono in un limbo fantasma. Tale bacino potrebbe davvero costituire l'asso nella manica nei confronti della criminalità organizzata e della crisi economica.
In Parlamento sono ora in esame diverse proposte di riforma dell'iter di riutilizzo dei beni, anche aziendali,
che speriamo possa al più presto dare concreti risultati. Tra le proposte è bene ricordare quella lanciata con
la Campagna ideata dalla CGIL “Io riattivo il lavoro”, che ha visto l'adesione di numerose sigle e il coinvolgimento di decine di migliaia di cittadini.
Un importante traguardo tagliato nel 2014 riguarda la legge relativa al voto di scambio politico-mafioso. In fatti la Campagna “Riparte il futuro”, lanciata nel 2013 da Gruppo Abele e Libera, aveva posto come primo
obiettivo la riforma dell'articolo 416ter: dopo molte controversie e modifiche al testo di legge, la scorsa
estate vi è stata l'approvazione definitiva. Seppur in attesa di un bilanciamento delle pene tra i diversi reati
mafiosi, che possa ripristinare le precedenti condanne oggi rese più lievi con la modifica, è stata finalmente
inserita la dicitura di “altra utilità”, in affiancamento allo scambio solo economico in cambio di preferenze
elettorali. Un passo avanti importante in un cammino ancora lungo.
Tra i fenomeni culturali emersi con prepotenza durante il 2014, uno spazio particolare l'ha ricoperto il cosid detto “uso folkloristico delle mafie”, vale a dire quelle azioni di marketing che utilizzano nomi, loghi, simboli
che richiamano la criminalità organizzata e che vengono ritenuti buon viatico commerciale, moltiplicatore di
affari. Esempi in tale ambito sono le catene di ristoranti echeggianti Il Padrino, le t-shirt con i boss di Romanzo Criminale e le feste in discoteca a tema mafioso. A costo di risultare rigidi e privi di senso dell'umorismo,
è importante affermare l'impossibilità in qualunque forma di rendere positivi dei segni che sono e devono
essere percepiti come esclusivamente negativi.
Ciò non toglie invece che si possa, nell'ambito di una studiata opera di destrutturazione dell'immaginario
collettivo, mettere in ridicolo la costruzione simbolica sulle mafie, al fine di spogliare dall'aurea mitologica
alcuni personaggi: si pensi allo straordinario lavoro fatto dal giovane gruppo di comunicazione dal nome The
Jackal, che durante quest'anno con i brevi filmati “Gli effetti di Gomorra sulla gente” è riuscito a smontare
l'imperturbabilità degli attori della serie tv di straordinario successo, rendendoli goffi e dunque spezzando
quella dinamica di fascinazione.
In questo contesto uno spazio centrale assume la scuola, come luogo di formazione primaria capace di ge nerare una nuova cultura improntata al senso di giustizia, in un'ottica di corresponsabilità. È perciò necessa rio continuare a puntare sul lavoro con gli studenti e con gli insegnanti, centrandolo sul bene comune e sulla
necessità di farsi carico di percorrere il cammino della legalità democratica.
L'attenzione di tutti e la capacità di agire nel proprio quotidiano, con gesti apparentemente piccoli ma rivo luzionari, sono una parte importante di risposta alla prevaricazione criminale. Se oggi siamo arrivati a questo livello di compenetrazione, è perché per troppo tempo si è creduto che questa partita potesse essere
giocata solo in un altro campo, quello della politica e della macroeconomia.
Invece le mafie si siedono a tavola con noi, imponendo le forniture alimentari o le videoslot al bar sotto
casa; conquistano terreno giorno dopo giorno e usando gli strumenti che il libero mercato mette nelle loro
mani: solo una logica di corresponsabilità può portare le forze, economiche, sociali, politiche, istituzionali,
finanziarie, a fare muro contro le consorterie criminali. Sia il Censis sia la Commissione Parlamentare sul fe nomeno della contraffazione, ci hanno consegnato dei dati incontrovertibili: in tempo di crisi il consumatore
è portato a orientare la propria spesa verso il mercato illegale, scegliendolo liberamente per poter attutire il
ridotto potere d'acquisto. Una scelta personale che ha delle ricadute globali, perché alimenta il circuito cri minale e sommerso, generando ricchezza illecita e depauperando ulteriormente il mercato legale.
Per incidere socialmente contro le mafie, oltre alla scuola, un impegno culturale importante è quello ricoperto dalla formazione avanzata: in questo campo hanno investito anche Banca Etica e la Fondazione Cultu rale Responsabilità Etica, stringendo un accordo con il Master in Analisi, Prevenzione e Contrasto della Criminalità Organizzata e della Corruzione di Pisa. Un accordo che dà la possibilità di acquisire strumenti di lettura del dato criminale, particolarmente utili in un contesto in cui le nuove forme di malaffare di insediano
sotto spoglie legali.
L'Italia non può permettersi di arrendersi alla presenza del malaffare e della corruzione: deve anzi puntare i
piedi per risollevarsi con forza, a partire dalle migliori energie in circolazione.
"Ciascuno per quello che può, ciascuno per quello che sa", come diceva Paolo Borsellino.