Per contenere la povertà bisogna investire

POVERTÀ
Per contenere la povertà bisogna investire
Ma com’è che i poveri diventano sempre più
poveri e i ricchi sempre più ricchi? E come sta la
classe media in Svizzera? Lo abbiamo voluto
chiedere all’economista Chistian Marazzi.
intervista a cura di Franco Plutino
Quali sono i meccanismi economici e politici
principali che concentrano la ricchezza in un
numero sempre minore di mani?
Il processo in base al quale la ricchezza è distribuita in modo squilibrato tra le classi sociali si spiega
alla luce delle nuove forme di organizzazione della
produzione di beni e servizi, delle logiche di finanziarizzazione e di globalizzazione dell'economia. È
un processo che inizia all'inizio degli anni '80 e che,
da allora in poi, ha generato una crisi dopo l'altra,
crisi che, a loro volta, producono sempre nuove
esclusioni e povertà. Sul fronte della produzione
della ricchezza, la flessibilizzazione del lavoro è
all'origine della precarietà occupazionale e reddituale di una massa crescente di cittadini alle prese
con l'insicurezza del posto di lavoro e l'opacità del
proprio futuro. La finanziarizzazione dell'economia, ossia la crescente centralità dei mercati finanziari nel determinare il finanziamento della crescita economica, è l'altro lato oscuro del nuovo capitalismo e delle sue nuove povertà. È a causa della
finanziarizzazione che il risparmio collettivo mondiale è stato dirottato sui mercati borsistici parallelamente al forte ridimensionamento dello Stato
sociale, impedendo a quest'ultimo di ridistribuire
la ricchezza creata secondo criteri sociali. Le rendite pensionistiche sono state pesantemente intaccate dalla logica della finanza di mercato, che premia i grandi investitori e penalizza i ceti medi e
medio-bassi. Infine, la globalizzazione, con l'entrata sulla scena mondiale dei paesi emergenti, ha
avuto effetti molto pesanti sui salari nei paesi ricchi, creando il fenomeno dei working poor e spostando interi comparti della produzione in paesi
dove il costo del lavoro è molto basso e lo Stato
sociale particolarmente debole.
Perché la classe media si è impoverita, e perché
questo appare come segnale di declino di un
paese evoluto?
L'impoverimento della classe media va di pari
passo con i cambiamenti delle strategie di contenimento della spesa pubblica da parte degli Stati
sociali occidentali. Le politiche sociali da universali si sono in questi ultimi anni trasformate in poli-
tiche selettive, mirate essenzialmente sui "veramente poveri", i poveri al di sotto delle soglie di
reddito fissate istituzionalmente sulla base di criteri puramente amministrativi. Il ceto medio ha
dovuto di conseguenza fare affidamento al mercato per garantire la sua stabilità economica e finanziaria, indebitandosi e investendo, direttamente o
indirettamente, i propri risparmi in borsa. Le politiche di sgravio fiscale, vero e proprio cavallo di
battaglia del neoliberismo, non hanno garantito il
benessere del ceto medio, mentre hanno ridotto le
entrate fiscali e, dunque, la redistribuzione della
ricchezza. Il risultato netto è stato un abbassamento generale del benessere sociale.
Come lottare contro il processo d'impoverimento tramite
nuove forme di redistribuzione del reddito? E perché ricchi e
potenti dovrebbero stare al gioco?
Il modo più efficace per contenere la povertà è fare investimenti
nella formazione, nella ricerca, nei settori economici emergenti
come la produzione di energie alternative, la cultura e il tempo libero. Lo Stato può e deve fare molto, ma occorre uscire dalla visione
stretta secondo cui lo Stato deve abbandonare il suo ruolo socioeconomico finalizzato alla ridistribuzione della ricchezza per favorire l'economia di mercato. Il "meno Stato, più mercato" non ha
mantenuto le promesse, e oggi ci troviamo confrontati con forme
di povertà trasversali che arrischiano di cronicizzarsi, ciò che farà
crescere in modo improduttivo il debito pubblico. I ricchi e i potenti staranno al gioco dal momento in cui si renderanno conto che la
rabbia popolare minaccia la legittimità del loro potere.
Come misurare la qualità della vita ora che il PIL/pro-capite non
è ritenuto attendibile? Questa qualità si può considerare bene
economico?
La qualità della vita, di cui la felicità è l'unità di misura, è certamente un bene economico nella misura in cui è il risultato di scelte politiche strategiche incentrate sulla crescita a lungo termine della ricchezza. Maggiore responsabilità sociale all'interno delle imprese,
politiche del lavoro garanti della stabilità occupazionale e salariale,
investimenti a lungo termine nell'infanzia e nella famiglia, sono
questi gli assi lungo i quali si può superare la tirannia del Pil.
Christian Marazzi, economista, professore alla Supsi (Scuola universitaria professionale) di Lugano.Tra le
sue innumerevoli pubblicazioni vi
sono anche studi sulla povertà in
Ticino e in Svizzera.
il dialogo I/10
11