Un nuovo paradigma per il dialogo tra le scienze, la filosofia e le religioni Da un punto di vista metodologico, il dialogo tra il sapere scientifico, nelle sue diverse forme, l’indagine critica, proposta dalle filosofie, e le visioni del reale, di cui sono responsabili le religioni, esige la costruzione di un nuovo paradigma idoneo ad interpretare i segni dei tempi e le sfide della contemporaneità. Ciò in quanto la nostra società globalizzata dà luogo ad una situazione in cui le culture si incontrano e si scontrano in una dialettica post-moderna, suscettibile di una complessiva situazione di disorientamento; il che, come sappiamo, accade per effetto di una sostanziale delegittimazione delle categorie tradizionali. Si realizza così una crisi di identità dei fondamentali parametri su cui si basa la sistematizzazione dei bisogni e dei desideri vissuti dall’uomo nelle vicende esistenziali che caratterizzano la lotta per la sopravvivenza, nonché la strutturazione dei progetti di vita destinati a produrre le utopie per un mondo migliore. Ciò, in particolare, coinvolge i quattro parametri esistenziali della condizione umana, vale a dire, lo spazio, il tempo, la storia e la previsione. Infatti, il primo si concentra accorciando le distanze fino ad annullarle; il secondo si accelera fino a dissolversi nel tempo reale delle comunicazioni virtuali; il terzo perde importanza attraverso il confronto con le civiltà, per così dire astoriche, che si polarizzano sui problemi dell’attualità; il quarto, invece, viene destrutturato attraverso le diverse ipotesi catastrofiste che evidenziano il negativo, concentrandosi sull’idea della fine. In particolare, le questioni emergenti e, in certo senso, responsabili della crisi motivazionale, vissuta dalla civiltà odierna, riguardano specificamente le tradizionali soluzioni del rapporto tra ragione e fede, valide nell’ambito dei monoteismi tradizionali, i quali entrano in crisi alla luce di una cultura globalizzata in cui l’orizzonte dei problemi, divenendo planetario, realizza delle significative interferenze tra diacronia e sincronia. Di fatto, la cultura del villaggio globale determina una interferenza tra l’orizzonte della storia e quello della contemporaneità, in cui hanno luogo diverse interferenze e contaminazioni. Ciò in quanto sono venuti meno i confini dello spazio e del tempo che, separando i popoli e le civiltà, consolidavano l’ordine strutturale di ciascuna mentalità e di ciascuna visione del mondo. Infatti, la situazione odierna rende planetari tutti i problemi e, nell’accelerazione di ogni forma di comunicazione, annulla le distanze spazio-temporali secondo il modello virtuale del tempo reale che è di fatto un non-tempo, ottenuto attraverso l’ipertrofia del presente. Il confronto, perciò, pone sullo stesso piano il vicino e il lontano, sia nell’ambito geografico, sia nella situazione storica; questa emergenza produce la destrutturazione disgregante delle categorie strutturali che regolavano la base antropologica di ogni apertura al mondo. Tale frantumazione di tutti i confini pone in discussione, sul piano epistemologico, le relazioni logico1 strutturali degli sviluppi dialettici, di analisi e di sintesi; per cui, anche le due alternative del riduzionismo, basato sulla specializzazione della conoscenza scientifica, e dell’olismo, orientato a privilegiare le organizzazioni totalizzanti del reale, perdono il loro carattere di opposizioni autoescludentesi, a favore di una realtà divenuta incomprensibile alla luce dei comuni criteri di consapevolezza delle questioni che ci interrogano. Ciò si risolve in una situazione di frontiera, la quale o tematizza la catastrofe della fine e del dissolvimento di ogni certezza, nonché di ogni forma di razionalità, o, in chiave ottimistica, propone l’esigenza, urgente ed ineludibile, di formulare un nuovo paradigma epistemologico capace di ridare consistenza al futuro, in una comprensione delle sfide che caratterizzano il presente di ogni disagio e di ogni vissuto che inquieta la condizione umana. Il problema centrale che caratterizza questa rivoluzione culturale di tipo epistemologico, può essere formulato in una sintesi complessiva nel contesto della quale il problema di riferimento muove da una critica dell’antropocentrismo occidentale che concentra la cultura scientifica secondo lo schema epistemologico del riduzionismo. Quale alternativa a questa soluzione emergono le istanze transdisciplinari di una cultura olistica e sistemica della complessità. Emerge così l’urgenza di un passaggio dal riduzionismo all’olismo; il che però, se inizialmente indica una via di rinnovamento accettabile e soddisfacente, alla luce di un ulteriore approfondimento evidenzia la parzialità di questa iniziale soluzione. Pertanto, nella prospettiva delle teorie sistemiche della complessità, il riduzionismo e l’olismo sono destinati ad evidenziare un’intersezione ed un’integrazione in cui si creano le condizioni per una dialettica dinamica che fa interagire le due posizioni ora ricordate. L’individualità e la totalità si inseriscono, dunque, in una relazione omnicentrica in cui il reale appare strutturato in un modello di interazioni realizzato secondo la topica delle scatole cinesi, dove il ruolo di contenente e di contenuto è destinato a scambiarsi secondo la direzionalità prospettica di osservazione del reale stesso. Di conseguenza, le gerarchie si trasformano e i parallelismi integrano le direzioni gerarchiche in una situazione che, nel contempo, si modifica per effetto di varie interferenze, realizzate di volta in volta da forze centrifughe e centripete. Pertanto, in questo quadro dinamico e complesso, l’individualità e la totalità indicano dei punti di vista provvisori dipendenti dall’angolo prospettico a partire dal quale si orienta lo sguardo critico dell’osservatore. In questa vicenda, difficilmente configurabile in una rappresentazione ben definita, la comunicazione ed il dialogo rappresentano, sul piano della complessità-coscienza, quanto determina le strutture della socializzazione in un perfetto parallelo di ciò che accade al di sotto del livello della coscienza ad opera del gioco casuale dell’interferenza tra le forze. Su un piano etico-valoriale, ma anche socio-dialettico delle culture, la questione si polarizza sul dialogo tra scienza, filosofia e religioni, per stabilire un orizzonte di confronto e di incontro, 2 orientato all’individuazione di un nuovo paradigma culturale per il futuro. E’ così evidente che la questione, inizialmente caratterizzata sul piano epistemologico, è destinata poi a trasferirsi sul piano valoriale investendo direttamente gli orizzonti etico-religiosi delle culture; per cui la presa di coscienza della situazione odierna supera anche la tradizionale distinzione tra quanto è di competenza del conoscere e quanto invece dell’agire. In definitiva, potremmo dire che il paradigma non esaurisce il suo compito sul piano epistemologico, poiché è destinato a realizzare i suoi effetti proprio in quell’orizzonte umanistico che appare oggi trascinato in una profonda crisi di identità alla luce delle filosofie esistenziali. In particolare, per ciò che riguarda il compito della filosofia che, come noto, fino ad oggi appare come l’asse portante della cultura umana, il problema in esame affonda le sue radici, come di consueto, nella situazione centrale della modernità, vale a dire, nel nucleo prospettico della cosiddetta ragione illuministica. Infatti, non va dimenticato che la questione, dal punto di vista filosofico, muove kantianamente dai possibili prolegomeni ad ogni metafisica futura che voglia porsi come scienza relativamente ai limiti ontologici del problema cosmologico, del problema antropologico e del problema teologico. Ancora una volta, la prospettiva kantiana indica la via critica dell’individuazione dei limiti e delle possibilità, tanto dell’ambito teoretico, quanto di quello etico, in una situazione in cui il trascendentale, per un certo periodo, accompagna la ragione illuministica in una difficile via nella quale i suoi sentieri interrotti riescono ad evitare, per lo meno fino a un certo punto, il rischio della caduta nella ragione strumentale. In seguito, come sappiamo, la prospettiva ermeneutica, nel suo innesto sulla fenomenologia, riesce, per dirla con P. Ricoeur, a superare, attraverso il conflitto delle interpretazioni, il doppio limite della finitezza esistenziale nella consapevolezza che il trascendentale ci abbandona ed i simboli danno a pensare. Con questo ultimo tentativo che, come sappiamo, salva, per lo meno in linea di principio, l’istanza ontologica, si aprono le soglie delle sfide che conducono al pensiero post-moderno, quindi, alla situazione di frontiera che esige, appunto, un nuovo paradigma per il futuro dell’autoconsapevolezza esistenziale dell’uomo. Quindi, da un punto di vista filosofico, si delinea un itinerario capace di superare la modernità nella definizione heideggeriana dell’età delle visioni del mondo a favore di una autoconsapevolezza della positività critica del limite, da ritenersi non come un impedimento, bensì come una possibilità. In questo quadro prospettico, caratterizzato dall’uso regolativo e non cognitivo delle tre idee – cosmologica, psicologica e teologica fondamentali sopraindicate - vengono in questione i tre ambiti di riferimento della conoscenza scientifica, della critica filosofica e delle visioni religiose. Ci troviamo così, ancora una volta, nella necessità di evidenziare, con Kant, i confini del conoscere e il carattere rappresentativo del fenomeno; ciò, di fatto, da un lato, si risolve nell’integrare le 3 conoscenze fornite dalle scienze della natura attraverso le scienze umane prodotte secondo l’intuizione husserliana in base all’atteggiamento naturale ma, dall’altro, ci troviamo nelle condizioni di porre in luce il limite del discorso filosofico a favore di uno spazio che non impegna la persuasione, bensì la testimonianza in cui emerge il primato esistenziale del decidere e dell’agire secondo i punti di vista valoriali delle dottrine etiche e delle proposte religiose. La situazione delineata pone in rilievo come il primato della filosofia, nel porre ordine nelle questioni che sono alla base del nostro lavoro, non è di ordine teoretico, bensì critico, in quanto si esplica nel disciplinare l’uso della ragione per trovare gli strumenti più adeguati allo scopo di realizzare le condizioni di un dialogo che è poi la risposta ad una sfida finalizzata a garantire il futuro della nostra cultura. Sono questi i problemi di fondo che caratterizzano il tentativo dialogico di una unificazione culturale, all’interno della quale è necessario ed opportuno recuperare gli specifici nodi problematici nei quali orientare la ricerca nei campi specializzati di competenza dei partecipanti a questo progetto culturale. Quanto delineato costituisce l’apporto della riflessione speculativa per individuare i limiti e le possibilità di una cultura transdisciplinare che vuole essere appunto la condizione privilegiata per una proficua collaborazione di ricerca, facendo lavorare insieme prospettive, punti di vista e metodologie diverse. Il problema non è quello di privilegiare una teoria sulla quale lavorare, bensì l’altro consistente nel far operare insieme più teorie, alla luce del principio ermeneutico così formulato da Ricoeur: Studiare di più per comprendere meglio. La riflessione compiuta in queste pagine ha lo scopo di porre in evidenza l’importanza etica dello stare insieme che realizza una teleologia culturale, in cui il conoscere non è subordinato all’intervento tecnico e la ricerca stessa non è mascherata dall’ideologia, apparentemente asettica, della neutralità del sapere scientifico. Del resto, come più volte riconosciuto, lo scopo, in gran parte non solo etico ma anche educativo, delle nostre forme di collaborazione, è orientato al dialogo come valore supremo di un’etica democratica, fondata sul rispetto personalistico dei diritti umani, anche se la persona non va concepita come una monade individualistica, bensì come un centro di energie spirituali aperto al mondo, agli altri e a Dio; ciò in una predisposizione orientata a valorizzare il momento comunitario della comunicazione intersoggettiva. Su questo piano, ci rendiamo conto che il rispetto della libertà prospettica dei partecipanti ci costringe a trovare l’espediente epistemologico adatto allo scopo di favorire il dialogo in un paradigma, per quanto più possibile generale, aperto ad accogliere le diverse proposte di lavoro. Se questo potrebbe apparire il limite del progetto di collaborazione, ciò in ogni caso, permette comunque di arricchire l’indagine con l’adesione originale delle singole proposte inoltrate dai partecipanti. 4 Nell’orizzonte delineato, occorre riconoscere che, in particolare, l’uso metodologico del paradigma ricoeuriano del conflitto delle interpretazioni si propone di favorire una ricerca transdisciplinare, orientata al dialogo ed alla integrazione delle prospettive coinvolte, tanto sul piano epistemologico, quanto su quello etico. Così, ancora una volta dal punto di vista metodologico, possiamo sottolineare il tendenziale, quindi solo in parte, superamento del riduzionismo a favore dell’olismo; quanto detto va preso in considerazione nel senso così precisabile nel presupposto che il quadro di riferimento è dato dal superamento della ragione analitica che trova nel riduzionismo il suo massimo sviluppo nella modernità. In questa prospettiva, le vie della razionalità si orientano ad una ulteriorità rispetto sia alla ragione conoscitiva, sia alla ragione strumentale, per giungere ad una ragione ermeneutica, aperta al paradigma olistico. Perciò, con le dovute integrazioni e correzioni che abbiamo precedentemente indicato, possiamo giungere alla conclusione per cui il paradigma olistico e sistemico delle teorie della complessità appare sempre di più idoneo all’ interpretazione di una cultura dialogica, capace di confrontare i risultati di una ragione conoscitiva con quelli di una razionalità aperta al mistero, quale necessario presupposto del recupero della trascendenza, in vista di una ulteriorità di tipo religioso. La prospettiva indicata è dunque orientata ad una unificazione della cultura capace di comprendere la relazione tra ragione e fede, nel rispetto delle diverse forme di razionalità e delle differenti espressioni della fede religiosa. Ciò in quanto la conoscenza umana, nell’ambito scientifico, è delimitata dalla condizione esistenziale del soggetto finito che esige il rispetto per il mistero e la disponibilità a salvaguardare l’apertura all’ulteriorità della trascendenza. Pertanto, possiamo giungere a questa conclusione: è facile vedere che i sentieri interrotti, delineati in queste considerazioni introduttive, sono intenzionati, in senso fenomenologico, ad una visione dialogica del reale, capace di coinvolgere il sapere scientifico, le interpretazioni filosofiche e le visioni religiose, in una forma di collaborazione suscettibile di recuperare l’unificazione dinamica delle culture a confronto. Aurelio Rizzacasa 5