RISORGIMENTO E RESISTENZA Il problema dei rapporti tra

annuncio pubblicitario
L
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RISORGIMENTO
GLI
u l fe r e t t i
E RESISTEN ZA
ARTO M
Il problema dei rapporti tra Risorgimento e Resistenza (i) è, anzitutto, di definizione e di periodizzazione sia del Risorgimento sia della
Resistenza : è evidente che protraendo il termine finale del Risorgimento
potremmo persino risolvere la Resistenza nel Risorgimento, come, a suo
tempo, da certa storiografia ufficiale, era stato risolto nel Risorgimento il
Fascismo, o, meglio, questo era stato considerato l’erede legittimo e diretto,
lo sviluppo logico e ineluttabile di quello. E che ci fosse qualcosa di vero
(per quanto urtante possa a taluno apparire) in questa affermazione, ba­
sterebbero a provarlo certi metodi di governo, certi aspetti dell’attività
della classe dirigente borghese (2) nella realizzazione dello stato nazionale
unitario e poi nella conservazione del potere di classe, che ritroviamo nel
Fascismo, come un giovane storico inglese, il Mack Smith, ha osservato,
in nome non del socialismo ma del liberalismo. Il problema è semplice­
mente eluso colla contrapposizione pseudo-dialettica (ma efficace sul ter­
reno pratico) « Risorgimento-Antirisorgimento » a suo tempo escogitata
dal Salvatorelli, e cioè mettendo dalla parte degli eletti taluni uomini e
fatti del Risorgimento e taluni « resistenti », dalla parte dei reprobi altri.
Che si trattasse di pseudo-dialettica basterebbe a dimostrarlo il fatto che,
in sede di storiografia applicata al Risorgimento, la separazione dei « buo­
ni » dai « cattivi » operata dal Salvatorelli conduceva diritti diritti al1
(1) Per un orientamento sommario, anche bibliografico, rimando a P. ALATRI, R i­
sorgimento, Italia unitaria e fascismo, in « Itinerari », nn. 3-4. Per un aspetto
pratico della questione vedi la mia comunicazione al convegno milanese del 1952
sui problemi metodologici della storiografia della Resistenza (in « Il Movimento di
Liberazione in Italia », 1953).
(2) Quando si parla di borghesia, proletariato ecc., qualora non si creda, come
pretendevano i positivisti fautori delle dottrine organicistiche, alla reale esistenza delle
rispettive entità collettive, ci s ’intende riferire ai borghesi, ai proletari, individui
reali esistiti o esistenti, presi nel loro insieme. E ’ , però, facile scambiare le metafore
o le astrazioni per realtà esistenziali: di qui l’opportunità di farne discreto uso.
Assistiamo, invece, in molti pseudo-marxisti, a giochetti, anche con pretese dialet­
tiche, imperniati su di esse e all’attribuzione ad esse di comportamenti, azioni, di­
segni ecc. ancor più difficili dà controllare, in sede di storiografia documentata, delle
interpretazioni freudiane dei sogni : questi, almeno, hanno una realtà psicologica,
mentre le astrazioni di cui quegli storici scrivono sono fantasmi evanescenti di facile
manipolazione e arrendevolissimi ai voleri dello storico, che può loro attribuire i più
stupefacenti piani, progetti, « complessi » psicologici collettivi ecc. ecc.
Risorgimento e Resistenza
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misconoscimento della funzione di tanta parte della classe dirigente subai'
pina, esasperato in un libretto del Salvatorelli stesso, mentre fu ricono'
sciuta da un altro resistente, dal Rosselli; e che, in sede di storia della
Resistenza, quel criterio si rivela ugualmente unilaterale, cioè arbitrario.
E oggi, infatti, non si parla più di Resistenza tutt’uno col Risorgi'
mento, anche se gli argomenti e la materia per accostamenti suggestivi
non mancano, e si preferisce distinguere varie fasi nella storia contempo'
ranea d’Italia: Risorgimento sino al 1870, Italia unitaria o post'risorgi'
mentale sino alla prima guerra mondiale, Fascismo e, parallelamente al
Fascismo e sempre più ferma ed efficiente via via questo precipitava nella
catastrofe, Resistenza. Quindi Resistenza e Fascismo sono termini correla'
tivi; di entrambi, come di ogni altro elemento e vicenda storici, possiamo
trovare i precedenti, e, in certi casi, meglio diremmo « età del Risorgi'
mento », che non Risorgimento, senz’altro, perchè il termine R isorgim ento
(ossia il moto risorgimentale) comporta implicitamente l’adozione di
un criterio di scelta definitorio o qualificatorio, stabilito il quale già tutto
è risolto (ossia non esiste più il problema), mentre l’espressione « età del
Risorgimento » comporta soltanto la scelta di un criterio cronologico, oramai ovvio tra gli studiosi.
Non mi dilungo qui sulla ricerca dei precedenti del Fascismo e della
Resistenza atti addirittura ad ispirare parziali rovesciamenti, come si verifico a suo tempo, in sede più pratica che storiografica, nella celebre polemica Parri'Croce, rielaborata o semplicemente ripresa nelle polemiche tra
antifascisti di destra o di sinistra (3), e, consentite, anche da uomini di
generazioni diverse: a differenza di chi la sperimentò, chi non sperimentò
in modo compiuto (p. es. perchè nato negli ultimi anni di essa, o
dopo) la felice età giolittiana non poteva rimpiangerla perchè si trattava
di un bene mai da lui goduto personalmente e che, di conseguenza, non
avvertiva come perso; inoltre, anche se non troppo permeabile alla pròpaganda fascista, poteva apprezzare taluni progressi che sotto il Fascismo
furono compiuti in taluni campi della vita nazionale, sia pure a detri'
mento di altri, e coll’obnubilamento di valori umani fondamentali. Quei
« precedenti » mi paiono chiariti a sufficienza dagli scritti del Valeri, che
ha insistito, in polemica col Croce, sull’importanza, nel periodo 1870-1915,
di fronte alla tradizione « liberale » (cui possiamo facilmente rimproverare
molte pecche dei moderati, della « consorteria », molte acquiescenze e
complicità), di un insieme di individui, se non di una classe politica, sem­
pre più consapevoli ed esperti, che tentarono di legare in forme nuove le
masse lavoratrici o diseredate, di restituirle, diremo, all’umanità, e, in essa,
alla patria, quando non di dar loro una patria diversa da quella realizzata
falsamente in loro nome, certo col loro sacrificio. La celebrazione della
classe dirigente prefascista, cara al Croce, poteva servire da contravveleno
alle denigrazioni di essa compiute dal Fascismo, ma giustamente il Valeri,
scrivendo quasi vent’anni dopo il Croce, poteva considerare il primo Fa(3) L . L ombardo R adice, Antifascismo-rivoluzione e antifascismo-restaurazione, in
« Incontri », 1954.
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Luigi
Bulferetti
seismo, sino al 1925, tristo epilogo del post-Risorgimento, non senza re­
sponsabilità proprio del Croce e della sua parte.
Responsabilità denunciate dal Pepe a proposito della questione meri­
dionale, dialetticamente svuotata di significato (come la « questione so­
ciale ») dal Croce, poco prima che fosse dichiarata morta dal « Regime »
(I 934 ) (4)* Le om bre del periodo 18 7 1-19 15 non furono tutte ignote
neppure al Croce, osservarono il Maturi e lo Chabod, ma a troppe attribuì
scarsa importanza e altre, grossissime, non vide affatto o tacque.
Se poi volessimo indugiare sulle insufficienze dei liberali italiani oltre
che sul terreno sociale, su quello politico-diplomatico, potremmo agevol­
mente rintracciarne, collo Smith, persino nel Cavour, che, anziché creare
uno stato italiano nuovo, parve piuttosto voler annettere le nuove provincie
alle vecchie, e insistette sull’iniziativa del governo in contrapposizione a
quella parlamentare. Giudizi non nuovi, che troviamo nei mazziniani in
ogni momento, all’indomani del ’59 in molti lombardi, nel ’60 in molti
meridionali e poi nella sinistra e nella sinistra giovane desanctisiana (ha
notato il Passerin), e, infine, nei socialisti del sec. XIX (in particolare nel
Merlino) sino ai comunisti del sec. XX, da Gramsci a S. F. Romano.
Certo, attraverso le analogie, possiamo meglio apprezzare la conti­
nuità storica, le tradizioni, buone o cattive esse siano : dall’età del Risor­
gimento al Fascismo, dall’età del Risorgimento alla Resistenza.
Ma ha molta importanza, in sede storiografica, stabilire pure le diffe­
renze tra quei fenomeni che appaiono simili, mentre proprio il loro veri­
ficarsi a distanza di un secolo basterebbe, esso solo, a mettere in guardia
contro le troppo facili analogie. Limitiamoci a un esempio ricavato da una
materia solitamente non trattata dai risorgimentisti e che si presta a qual­
che considerazione, che esce, forse, dal terreno solitamente battuto. Intendo
riferirmi alle aspirazioni patriottiche nutrite da eletti ebrei italiani nell’età
del Risorgimento e durante il Fascismo, cioè durante la Resistenza.
Per l’età del Risorgimento conosciamo sufficientemente, grazie alle
numerose memorie lasciateci, per quanto in gran parte tuttora inedite, il
chierese saint-simoniano, poi mazziniano, infine democratico-massone, Da­
vid Levi; per il periodo fascistico, è stato recentemente pubblicato il diario
del torinese Emanuele Artom, antifascista come il padre Emilio e il fra­
tello Ennio, e giellista, studioso della storia degli ebrei in Italia, e quindi
anche di David Levi (5).
Quale la continuità e quali le differenze tra le aspirazioni risorgimentali
di un Levi e quelle degli Artom?
(4) Senza dubbio, sul piano logico, lo « svuotamento » operato dal Croce in
polemica col Fortunato, non faceva una grinza perchè la formulazione positivistica
era alquanto rozza, ma dobbiamo ascrivere a deficienza della storiografia etico-politica
il non averla rielaborata.
(5) Tre vite dall’ultimo '800 alla metà del ’900, Casa ed. Israel, 5714-1954. Come
a David Levi dedicai nel 1943 una saletta del Museo nazionale del Risorgimento,
così all’Artom dedicai nel 1947 un articolo su David Levi, poi ripubblicato in
Socialismo risorgimentale (Torino, 1949). Un ricordo di E. Artom scritto da un
antico suo professore, da S. Foa, Dopo io anni. L ’anno 1944, in « Lunario israeli­
tico per l’ anno dell’era ebraica 5714 », Torino.
Risorgimento e Resistenza
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Il nonno di Emilio Artom, Elia Iacob, astigiano, nato nel 1808, era
un poco più giovane del padre di David Levi; il figlio di Elia, cioè il
padre di Emilio Artom, aveva, come David Levi, una grande ammirazione
per Napoleone I, emancipatore degli ebrei in Piemonte, ma, un po’ più gio­
vane di David Levi, e di famiglia ben più modesta, economicamente, non
aveva ugualmente lamentato le dolorose restrizioni imposte agli ebrei dai
Savoia restaurati, verso i quali nutriva sentimenti di devozione più spinti
di quelli dell’ultimo David Levi, nè aveva avuto la crisi socialistico-damocratica di questi, per quanto ugualmente infelice nell’adolescenza (6). Al
contrario, divenuto piccolo borghese con una vita di lavoro e di sacrifici,
da buon liberale moderato, avversava i socialisti, sicché il figlio di Emilio,
che, per di più, non aveva vissuto gli anni centrali del Risorgimento, a
volte accarezzava, giovanetto, ideali assolutistici che rendessero al re tutta
la sua autorità. Il suo antisocialismo (che forse lo portò ad essere ingenuamentre filo-fascista nel 1920) si conciliava perfettamente con i principi positivistico-evoluzionistici alla base della sua preparazione culturale: quel po­
sitivismo tenne lontano molto tempo Emilio Artom dagli ideali spirituali­
stici, sul terreno umanitario e religioso, di David Levi. Pur vagheggiando
un patriottismo piuttosto vecchio stampo (e, quindi, leggermente quaran>
tottesco; ma quella di quarantottesco è qualifica applicata a sentimenti, com­
portamenti ecc. post-risorgimentali!) (7), pur combattente valoroso e di­
gnitoso di quella che fu detta l’ultima guerra del Risorgimento (8), pur
nettamente consapevole della differenza tra patriottismo e nazionalismo
(« Non si vuole più festeggiare il 24 maggio come giorno della dichiara­
zione di guerra che ci portò alla vittoria con l’Austria e la Germania e che
diede all’Italia il confine delle Alpi [9], si vuole invece vedere in questa
data l’ inizio della rivoluzione fascista... E ’ curioso, che indipendentemente
dalle circostanze attuali che giustificano un’attenuazione del significato anti­
germanico della guerra — sebbene i quarantottisti e i liberali dell’epoca
del Risorgimento cantassero fin d’allora: ripassino l’Alpe e torneran fra­
telli — il significato rivoluzionario del 24 maggio sia stato affermato dai
nazionalisti: che differenza fra nazionalismo e patriottismo!») (io), pur
avendo perfettamente conciliato i sentimenti d’italianità con un profondo
attaccamento all’ebraismo (11) (e un certo rispetto al cristianesimo [12 ]
(6) Causa la segregazione dai coetanei cattolici e all’isolamento, « non seppe
mai correre »; si ricordi il commovente rammarico del fanciullo Levi, cacciato dai
coetanei cattolici.
(7) Vedi la contrapposizione tra i vecchi alpinisti « uomini dell’Ottocento », i
« quarantottisti della montagna » e i giovani colla loro « torbida mistica dell’alpi­
nismo » (o. c., p. 41), analoga, forse, in altro campo, a quei torbidi ideali che Emilio
Artom, durante la prima guerra mondiale aveva notato.
(8) A d essa un decreto luogotenenziale del 19 17, com’è noto, estese ufficialmente,
con autorità confortata dall'opinione pubblica più o meno indirizzata dalla propa­
ganda, il limite ad quem del Risorgimento.
(g) L ’ Artom aveva condiviso le idealità nazionali dell’irredentismo, come molti
ebrei triestini (o. c., pp. 43-54).
(10) O. c., p. 40.
(11) « Avrei voluto che qualunque fosse la residenza dei miei posteri essi avessero
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Luigi
Bulferetti
ovviamente da lui considerato, dal punto di vista morale, inferiore a quel­
lo) (13), in Emilio Artom è un effettivo punto di partenza quella patria ita­
liana che per David Levi fu un punto di arrivo, un ideale faticosamente
realizzato. In attesa della realizzazione dello stato nazionale italiano, David
Levi aveva trovato un rifugio nella famiglia, che per gli ebrei, dal tempo della
diaspora, è il santuario delle tradizioni etiche in senso lato, civili e reli­
giose a un tempo (14); poi la famiglia s’era pressoché rovinata — o almeno
così era a lui apparso — causa i provvedimenti reazionari di Carlo Alberto
e aveva cercato' di ricrearne le premesse coll’azione propriamente patriottica
e colla solidarietà verso i senza patria e verso i socialmente diseredati d’ogni
nazione. Al contrario Emilio Artom non aveva inizialmente sentito altret­
tanto vivo e doloroso il senso dell’isolamento, perchè sentiva la patria ita­
liana, colle sue istituzioni ancora fondamentalmente liberali (ma preveggentemente David Levi, appena raggiuntasi l’Unità, aveva denunciato la
fine del liberalismo), come la propria patria, nè attribuiva molta importanza
all’antisemitismo, considerato — negli anni nei quali in Italia taceva —
come un espediente machiavellico di talune potenze (15), mentre David
Levi, si era sentito estraneo anzi nemico dell’organismo politico-civile nel
quale viveva, e in esilio ben prima di varcare le Alpi. Furono le avvisaglie
delle persecuzioni nel 1938, la lotta di Mussolini e di Hitler contro la co­
siddetta « plutocrazia giudaico-massonica » a chiarire a Emilio Artom la
situazione, anzi a metterlo davanti a una situazione in certo modo nuova :
e infatti annotò che dall’antisemitismo avrebbe ricevuto un potentissimo
impulso l’ebraismo a trasformarsi in nazione-stato. Si ritornava, colla frat­
tura dell’unità morale tra i cittadini, coll’esasperazione dell’intolleranza oltre
che politica, razziale, alla situazione prequarantcttesca, aggravata, perchè
l’intolleranza razziale, nelle conseguenze pratiche, era più infame di quella
religiosa. Riappariva a Emilio Artom l’ideale, balenato a David Levi, della
nazione eletta, riunitasi finalmente per adempiere a una missione univer­
sale (16): « Se... gli Ebrei, ritornati per forza un popolo, saranno il model­
lo fra i popoli, e insegneranno in modo completo e diretto la morale che
osservato il più stretto collegamento fra di loro, mantenendo immutata la coscienza
della loro ebraicità e della loro italianità » (o. c., p. 69).
(12) « E venne la battaglia del Piave. Ricordo un campo pieno di resti della
battaglia ove trovai insieme un foglio di un libro da Messa e la pagina della Tefilà
contenente lo Scema’ . Non li raccolsi perchè lordi di sangue, ma li ricorderò sempre
quando sentirò parlare di hitleriani » (o. c., p. 58).
(13) Ma non appaiono approfondite le nozioni ch’egli aveva del cristianesimo
(cfr. o. c., p. 71), cui attribuiva l’origine dei sentimenti di odio che avrebbero creato
il bolscevismo, il totalitarismo e l’anarchia.
(14) Questo sentimento, già vivo in Emilio Artom agli inizi della prima guerra
mondiale (« quell’istinto patriarcale, che alcuni ritengono essenzialmente ebraico, che
mi faceva temere la morte finche non fui padre », o. c., p. 114 ; vedi anche pp. 90,
117 , 124), si sviluppa, parallelamente al rafforzamento del sentimento religioso (a
un tempo trascendente e politico), durante la « campagna razziale » del fascismo,
quando il figliuolo Ennio diceva con orgoglio — del quale si compiaceva il padre —
che in Torino soltanto due famiglie avevano conservato sino all’ ultima generazione
la conoscenza dell’ ebraico, e una era la loro.
(15) Cfr. o. c., p. 44.
Risorgimento e Resistenza
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hanno costrutto duemila anni fa e che finora fu solo insegnata in modo
necessariamente incompleto dal cristianesimo — intermediario fra Israele
e il mondo pagano — gli altri popoli non avranno a pentirsi del loro con­
tegno per il danno che ne è caduto su di loro, perchè anzi ne avran­
no avuto un vantaggio e il loro dolore sarà più puro, e sarà più nobile,
sarà più disinteressato, sarà più giusto, sarà più ebraico, perchè sarà
il dolore di chi si accorge di aver tratto vantaggio da una ingiustizia com­
messa. Quel dolore servirà ad affrettare il miglioramento dell’umanità ».
Sentimenti analoghi volsero David Devi al mazzinianesimo; lo sconvolgi­
mento provocato in Emilio Artom dalla morte tragica del promettente e
precocissimo figlio Ennio gli tolse l’interesse per le questioni del giorno (17)
e lo sollevò in un’atmosfera purissima di travaglio morale e di ascesi, verso
il dolore e la sapienza di Giobbe. Ma la fiaccola era già stata trasmessa ai
figli Ennio ed Emanuele, antifascisti da tempo (sebbene, sino al 1938, in
quella forma un po’ passiva di molti intellettuali), i quali s’avvantaggiavano
di una cultura umanisticamente ancor più raffinata, perchè formatisi nel
neo-idealismo, che non poteva essere inteso a fondo dal genitore, caustico
bollatore dei suoi evidenti difetti.
Intanto l’Italia compiva a ritroso il cammino del Risorgimento, e la
Resistenza s’alimentava di esperienze risorgimentali; ma è ben diversa la
situazione di chi compie un’esperienza da quella di chi adopera l’esperienza
altrui, sia pure ereditata o ricevuta come patrimonio spirituale.
Il problema nazionale italiano e quello nazionale ebraico sono strettamente congiunti e ugualmente sentiti in Ennio, come già in David Levi,
credente in « una più italiana e romana concezione della nazionalità » che
non fosse quella nazionalista (18), ma assai più avanzato di David Levi
nell’esperienza sionistica, critico quale era del sionismo alla Max Nordau
(che Ennio Artom paragonava agli inglesi del ’600 i quali si volgevano,
perseguitati, all’America cioè « a un paese che sarà materialmente utile
colonizzare, ma al quale non siamo legati dalla minima relazione intrinse­
ca ») perchè questi non sentiva la tradizione ebraica, la nazione culturale
ebraica che doveva ridiventare stato. Si compiacque Ennio di notare come
la festa di Scavu’oth 5699 coincidesse, il 6 sivan, col 24 maggio 19 39: due
ricorrenze dell’antico Israele e della Terza Italia coincidenti (19). Ma in
lui la coscienza storicistica era più profonda che non potesse accadere nel
Risorgimento: risorgimentale può essere una frase di questo genere: « Per
chi, come noi, ha dietro di sè una tradizione storica che supera i millenni
e di questa tradizione è erede superbo e consapevole... »; ma difficilmente
un ebreo della prima metà del sec. XIX avrebbe potuto uscire, per adattare
(17) Cfr. l’atteggiamento e le reazioni di fronte al 25 luglio e all’8 settembre
(ib., pp. 118 , 121).
(18) lb., p. 14 1.
(19) lb., p. 154: « Fra i numerosi atti di giustizia che la [prima] guerra mon­
diale, provocò, due sono particolarmente importanti per noi: uno
delle terre irredente d’ Italia, in cui da mezzo secolo le popolazioni
fra tutti gli ebrei, che non mancavano mai nelle .opere di giustizia,
ansia l’ora in cui si sarebbe compito il nostro Risorgimento; l’altro
di un focolare ebraico in Palestina ».
è la liberazione
italiane, e primi
attendevano con
è la costituzione
Luigi
Bulferettí
le norme giuridiche del vecchio testamento alle esigenze della vita mo­
derna, in una professione storicistica come la seguente : « la legge è im­
mutabile perchè ogni generazione può falsarne il senso letterale, interpre­
tarla a suo modo » (20). Il suo richiamo al liberalismo del Risorgimento è
alquanto superficiale (« Finche gli italiani si commuoveranno al pensiero
della rivoluzione compita dai loro bisnonni per dare istituzioni liberali al
loro paese, non ogni speranza sarà perduta per l’Italia ») (21), ed è piut­
tosto un omaggio a quella contrapposizione polemica Risorgimento liberaleAntirisorgimento fascista di cui si compiaceva in quello stesso tempo la
propaganda di certo antifascismo. In realtà non crede più, come, d’altra
parte, i suoi coetanei più evoluti e più intelligenti e più preparati, nel libe­
ralismo dei « liberali puri » (22) e crede piuttosto che « ogni convinzione
ferma e vivamente sentita è necessariamente intollerante ». La morte lo
colse ventenne e non potè svolgere ulteriormente la questione. Ci si mise
Emanuele, temperamento affatto diverso, spirito più ironico che specula­
tivo, più critico che sistematico, il quale nelle « Mie Prigioni » apprezzava
l’ elemento famigliare più che quello politico, e rimproverava ai liberali le
vecchie polemiche.
Intanto l’Italia aveva perso finanche gli elementi più appariscenti delle
realizzazioni risorgimentali, e cioè la stessa unità territoriale : coll’invasione
della Sicilia eravamo in certo modo ritornati al periodo precedente la spe­
dizione dei Mille, e dopo 1*8 settembre avevamo arretrato ancora; si può
dire, per dirla con Emanuele Artom, che non esistesse più un’ « Italia ita­
liana ». Il riprodursi di situazioni analoghe poteva riproporre considera­
zioni analoghe a quelle prospettate nell’età del Risorgimento, non soltanto
per un’azione della realtà oggettiva sugli spiriti, ma per associazioni di
idee quasi spontanee (23).
A Emanuele, studioso della storia d’Israele e della storia d’Italia (24),
cultore, in particolare, della storia del Risorgimento {25), l’esperienza risor­
gimentale era sempre innanzi: partigiano1 volontario dopo l'8 settembre
nelle formazioni di « Giustizia e Libertà » (la libertà e la giustizia aveva
cantato David Levi), dopo la grande confusione creata da un’incursione
tedesca, meditava tristemente quei « quattro brutti versi che nel carnevale
18 21 una maschera disse a Carlo Alberto:
L ’Italia è quercia antica
dal tempo rovesciata.
I passeri col becco
tentano rialzarla invan ».
(20) lb., p. 148. Acutissime le osservazioni circa il problema dell’ esegesi biblica
in relazione alle necessità del sionismo (p. 142).
(21) p. 158.
(22) p. 164.
(23) Lo spirito storicisticamente educato è tanto più facile ad associazioni del
genere, che sono piuttosto suggestioni.
(24) Preparava un’ampia storia degli ebrei in Italia.
(25) Raccoglieva appunti sulla « storiografia dell’ Italia antica e di Roma durante
il Risorgimento » (o. c., p. 170). Sono conservati in copia, con altri ricordi, nel­
l ’archivio del Museo nazionale del Risorgimento.
Risorgimento e Resistenza
51
Effettivamente eravamo ritornati, per alcuni motivi, alla Restaurazione,
all’Italia espressione geografica, all’Italia invasa da stranieri, ora in maggioranza tedeschi, coi suoi cospiratori, certo più evoluti, colle sue bande (il vec­
chio sogno del Bianco — rinnovato persino1 nominativamente — , dei Gentilini e di tanti altri], certo più numerose, meglio armate e ai Savoia destreggiantisi tra alleati d’oriente e di occidente. Ma non insisto sulle analo­
gie, nelle quali, poi, è troppo facile vedere le differenze, perchè sia il caso
di soffermarsi a esporle. Ritroveremmo persino certi sentimenti tipici della
Restaurazione: l’attaccamento alla «piccola patria», al Piemonte (26), una
delle entità distrutte dalla Rivoluzione e risorta nella Restaurazione. Tem ­
peramento meno facile agli entusiasmi, ai sentimentalismi di un David
Levi, Emanuele analizzava il problema della stessa essenza dell’Ebrai­
smo (27), e, dapprima sionista alla maniera di Pinsker, i suoi « entusiasmi
nazionalistici... altro non furono se non una rapidissima vampata »; talvol­
ta era addirittura assillato dal dubbio che lo stesso ebraismo (non il solo
sionismo, aspetto politico di quello, e, a suo parere, di sapore un po’ nazio­
nalistico) non avesse più una consistenza logica nell’odierna « civiltà scien­
tifica » la quale « distrugge l’ebraismo e tende le braccia all’ebreo. Spiega
le leggi e chiede: perchè devi seguire dei riti che hanno perduto la loro
ragione attiva? Il tuo sentimento ebraico è solo originato dalla educazione,
il tuo rispetto per le norme è suscitato da riflessi condizionati » (28). In al­
tri momenti accoglieva l’ebraismo come una tradizione, e ogni tradizione,
diceva, « merita di essere coltivata in quanto ha di buono : è un ottimo
freno all’imprudenza ideologica e al rilassamento del costume: tutte le so­
lidarietà devono essere rispettate, e lo stato moderno, dalla rivoluzione fran­
cese in poi, ha avuto il torto di distruggerle o almeno sminuirle » (29);
altro pensiero degno dei teorici migliori della Restaurazione. Altre volte,
invece, s’entusiasmava sull’ebreo « popolo della moralità », popolo della
più passiva ma anche della più attiva fra le storie di tutte le genti (30), e
ricordo che egli mi spiegò efficacemente la dignità d’essere ebreo. Un po’
per temperamento critico, un po’ perchè, come studioso, era più trascinato
dall’interesse estetico o storico che da quello -politico, sottoponeva, staccato,
a freddo esame il concetto e il sentimento di ebraismo, del quale voleva
scrivere la storia: ci auguriamo che anche i frammenti, gli appunti o gli
abbozzi di questo lavoro vedano la luce. L ’altezza del suo cuore e della
sua mente gli consentì talvolta di scrivere frasi profetiche, e il suo atteg­
giamento tra i non troppo colti, ma spontanei, compagni di banda io fece
(26) O. c., p. 172.
(27) « Non è una religione, perchè molti Ebrei si considerano tali senza credere
in Dio o credendovi in modo diverso dalla teologia ebraica, dato che questa ci sia;
non è una razza, perchè gli etnologi affermano il contrario; non è una patria, perchè
noi ci sentiamo legati alla terra di nascita; è una quarta cosa unica fra gli uomini;
siamo avvinti da una tradizione, come lo si può essere da una solidarietà di fede,
di sangue o di luoghi; appunto perchè è unico al mondo non ha un nome comune,
che serve per indicare le entità dello stesso genere » (ib.).
(28) lb., p. 182.
(29) lb., p. 173.
(30) lb.
Luigi
52
Bulferetti
paragonare a un profeta d’Israele (31). L ’avversione ai Savoia (dei quali
prevedeva sicura la fine) {32) lo portava alla soluzione repubblicana, ma
paragoni chi vuole il repubblicanesimo giellista a quello mazziniano nsorgimentale o ripreso' dai « repubblicani storici », alcuni dei quali avevano le
idee tanto chiare da finire repubblichini. Spirito superiore, non suscettibile
di lasciarsi trascinare da miti, ironizzava su taluni « difetti che rendono
tradizionalmente antipatico l’ebreo » a proposito di un signore X, ebreo
antisemita, « pigro, sofistico, trasandato », nè credeva ai clichés dell’agio^
grafia risorgimentale; come rifuggiva dalla pseudo-estetica marxistica, così
riteneva sinceramente brutti taluni versi risorgimentali, ma chiudeva il
diario del 1943 coll’annotazione: « Domani comincia l’anno decisivo. Nel
secolo scorso' si sarebbe detto :
O compagni sul letto di morte,
o fratelli su libero suol! » (33).
Uomo di una generazione già afflitta dalla retorica patriottarda, rea­
giva coll’ ironia o confessando il bisogno d’un lavacro realistico: « esprimo
sempre questi motivi egoistici e pratici della necessità di gettarci tutti dalla
parte delle bande e taccio quelli ideali : non so bene perchè, ma mi vergo­
gno di parlarne. Forse tanti anni di retorica patriottica e politica inibiscono
di parlare di questi argomenti con fresca e spontanea semplicità. Eppure in
questo campo' si fanno grandi progressi. Il misticismo del secolo scorso
causa ed effetto insieme del concetto romantico e mazziniano delle nazioni
che hanno una missione da svolgere, è ormai tramontato. Non abbiamo,
che io sappia, poeti della rivoluzione, ma oggi nessuno oserebbe in questo
secolo di miscredenti predicare:
L ’unione e l’amore
rivelano ai popoli
le vie del Signore
(31) Predisse, p. es., il « pullulare di partigiani dell’ultima ora » (¿¡7., p. 232)
forse memore dei moltiplicati garibaldini e reduci dalle patrie battaglie.
(32) La fine dei Savoia è così delineata con tocchi precisi il 14 agosto 1943:
« Della guerra è responsabile la monarchia. Bisogna che duri sino alla pace, perchè
è giusto che solo la monarchia sottoscriva la sconfitta. Così deve essere. N el secolo
scorso, caduto Napoleone, i Savoia avevano qualche seguito in Piemonte, in Sarde­
gna, erano odiati in Liguria, sconosciuti nel resto della penisola. 11 loro prestigio
nazionale derivò dall’essersi acquistati, a torto o a ragione, la gloria di aver reso
l ’ Italia libera, unita, indipendente. Ora, tollerando il fascismo, anzi sostenendolo e
favorendo l’adesione di ceti medi militari e conservatori e approfittandone coll’accet­
tazione delle corone d’ Etiopia, di Albania e di Croazia, la Casa di Savoia ha perduto
ogni sua benemerenza, e per di più l’ ha perduta nella prima metà del sec. X X , al­
l ’epoca in cui nella maggior parte degli Stati europei sono crollate le monarchie,
travolte dalla violenza delle lotte politiche e sociali e delle guerre, dal sorgere delle
dittature, dal movimento unificatore del continente, da questa rapidissima civiltà
moderna che rende secoli gli anni e distrugge le più vetuste tradizioni, tra cui questo
estremo relitto del feudalismo medioevale » (ib., p. 194).
(33) Ib., p. 228.
Risorgimento e Resistenza
53
oppure
E vi dico in verità:
Quando il popolo si desta
Dio si mette alla sua testa
La sua folgore gli dà » (34).
Eppure, notava, « con quell’evangelico : in verità, il lato deteriore di
questo misticismo, cioè la teoria eroica di d’Annunzio è apertamente criticata ».
In un « secolo di miscredenti » la fede dev’essere ancor più fondata e
robusta per trionfare: ed Emanuele Artom credeva fermamente nei valori
dei Risorgimento : « l’Emancipazione degli ebrei fu un elemento del Ri­
sorgimento italiano ed ebbe perciò i suoi precursori nel sec. XVIII, le sue
origini nella Rivoluzione francese, il suo compimento con il compimento
dell’unità e dell’indipendenza nazionale. E ’ pur risaputo che i principali
artefici della liberazione dell’Italia furono fervidi assertori dei diritti degli
Ebrei e che gli Ebrei stessi contribuirono all’unificazione della Penisola con
quello slancio unanime che gli stessi scrittori antisemiti hanno dovuto' ri­
conoscere e che invano cercano di limitare e svisare con artificiose sofisti­
cherie » (35). Era perfettamente consapevole della necessità di un lar­
ghissimo fronte, e di marciare d’intesa coi comunisti se non altro1 contro i
Savoia e i reazionari (36), ma non cadeva nel tranello di quegli universa­
lismi ideologici così facili a sorgere, consapevolmente o inconsapevolmente,
spontaneamente o artificialmente, nella lotta, e a trasformare in mito, in va­
lore universale, in ideale, ciò che è soltanto mezzo adatto a far raggiungere
l’obiettivo pratico di un gruppo. L ’opposto si verificò col socialismo bor­
ghese di David Levi e con tanti altri socialismi risorgimentali. Borghesi si
sentivano gli Artom, ma borghesi seri, e come avevano apprezzato gli
ideali dell’Intesa e quelli Societari (37), così sdegnavano la viltà di coloro
che, borghesi o non, pseudo antifascisti, non vergini di servo encomio, ora
erano facili al codardo1 oltraggio1 contro il Fascismo caduto. Ammirava Ema­
nuele il coraggio e la dedizione dei lavoratori, che, in gran numero, com­
battevano il tedesco invasore : 1*8 settembre più che all’Italia di Novara il
suo pensiero andava alla rivoluzione russa, sia pure con qualche preven­
zione borghese.
Fatto nuovo, anche questo, della classe lavoratrice all’avanguardia
della lotta nazionale, mentre, nel Risorgimento, l’iniziativa apparteneva al­
la classe superiore. Frutto dell’elevazione, anche materiale, del proletariato,
verificatasi sopratutto dopo l’Unità e dopo la decadenza della classe diri­
gente risorgimentale, e della persistente validità di taluni ideali risorgimen­
tali, ma interpretati in modo nuovo, dal momento che, propugnati da altri
ceti, non potevano non servire ad altri scopi.
Ho desiderato proporre l’esempio concreto di rappresentanti di due
(34)
(35)
(36)
(37)
lb.,
lb.,
lb.,
lb-,
pp. 218-9.
p. 246.
p. 236.
P- 247-
54
Luigi
Bulferetti
generazioni del post-Risorgimento, e di una generazione risorgimentale,
assunte quindi attraverso individuate persone, in modo che dal loro di­
screto confronto scaturissero le analogie, ma anche i contrasti, tra il Ri­
sorgimento e la Resistenza. Tre quarti di secolo non passano invano:
i valori ideologici più alti, le esperienze storiche più approfondite non
tramontano del tutto, è certo, ma sono interpretati in modo diverso dalle
generazioni che si succedono (e non dimentichiamo che sotto il termine
« generazione » si nasconde una metafora, perchè s’inizia ad ogni istante
il giro d’anni col quale siamo soliti designare una generazione), nel preva­
lere di nuove culture corrispondenti a nuove classi sociali. Tra il senti­
mento di nazionalità e quello nazionalistico e imperialistico, tra lo spiri­
tualismo e il positivismo e il neo-idealismo (nè qui intendo stabilire esatti
paralleli) le differenze sono notevoli; non è possibile intenderle se non
si ammettono talune continuità, la cui radice è nell’attualità della storia,
cioè del passato. L ’attualità del Risorgimento nella Resistenza fu vivissima,
anche perchè i pochi decenni trascorsi apparvero più brevi causa l’involu­
zione prodotta dalla reazione politica. Ma la nostra coscienza storicistica
deve pure metterci in guardia contro i troppo facili accostamenti, contro
i contrabbandi verbali, e ci ammonisce che se nell’attualità del passato è il
principio della conoscenza storica, sotto le esigenze dell’azione, non ci si
può accontentare di conoscenze approssimative, di formule superficiali, di
accostamenti frettolosi, adatti soltanto a un agire ugualmente grossolano e
approssimativo.
Se a taluno piacerà, allo scopo di rammentare i ritorni, le coincidenze,
le continuità e la fortuna del Risorgimento nel periodo 1943-1945, adope­
rare l’espressione « secondo Risorgimento » quale sinonimo di « Resistenza »,
niente di male, mi pare, e condivido, al riguardo l’opinione dello Spini (38).
Mi sia lecito ripetere però quanto dissi nel convegno del 1952 dedicato ai
problemi metodologici della storiografia della Resistenza: un’idea suprema
accomuna Risorgimento e Resistenza, l’idea di libertà, che, crociana­
mente, ma anche un po’ metastoricamente, cioè metafisicamente, po­
tremmo dire l’eterna libertà, come si esprimono le lapidi che in Torino
ricordano coloro che per lei morirono. Ma lo storico vede l’eterno nel
tempo e più che sulle analogie deve soffermarsi sulle differenze: la libertà
che il Risorgimento seppe tradurre in pratica fu quella dei moderati e
quella dei liberali-liberisti, cioè la libertà ad uso della borghesia. Grande
cosa, indubbiamente, ma non tutta la libertà e cioè non la libertà di tutti,
non la libertà, per esempio, dei nullatenenti. A questa, è vero, pensò la
borghesia del Risorgimento e ne derivò un socialismo risorgimentale, ma,
di fatto, fu uno strumento della borghesia a favore di essa, salvo che in
alcuni pochi spiriti preveggenti, i quali dalla situazione storica contingente
seppero elevarsi a più alte considerazioni. La « patria » creata dal Risorgi­
mento, quando i proletari non avevano « patria », non riuscì anche
la patria di questi. Ma riconosciamo appartenere alle migliori cor­
renti culturali e ideologiche di quell’età, matrici dell’ « eredità del Risorgi(38) Della Resistenza come di un aspetto della storia d ’Europa, in « Il M ovi­
mento di Liberazione in Italia », gennaio 1953 cit.
Risorgimento e Resistenza
55
genio », la coscienza, talora embrionale, della necessità di allargare a tutti
i figli della nazione la patria, non come espediente di lotta, non per con­
servazione di una classe, ma per innalzamento di tutti a quella classe o,
meglio1, per l’abolizione di ogni classe. Lo Stato italiano costruito dal Ri­
sorgimento è sboccato in un regime, o, almeno, ha potuto essere conside­
rato come padre di un regime, che molti uomini della Resistenza hanno
combattuto per distruggerlo o per superarlo o, quanto meno, per miglio­
rarlo: ecco un altro motivo per non confondere senz’altro Risorgimento e
Resistenza.
Sarebbe possibile sviluppare il problema dei rapporti tra Risorgimento
e Resistenza riducendolo, come accennavamo a principio, a un raffronto tra
definizioni le quali, più si avvicinano, ossia più elementi hanno in comune,
più consentono il riavvicinamento di due termini sino al loro interscambio,
da noi recisamente negato appunto perchè gli elementi costitutivi ci ap­
paiono assai diversi, anche a prescindere — e non è poco, in sede di sto­
riografia — dall’elemento cronologico. L ’identificazione sarebbe lecita, a
nostro parere, soltanto facendo coincidere il Risorgimento —- contro la par­
tizione cronologica comunemente accettata — colla storia dell’Italia con­
temporanea, sino al 1945. Ma comprendete subito che, con molti buoni
argomenti, si potrebbe arrivare al 1946 o all’oggi, perchè, per via di ana­
logie e di altri processi mentali, si è fatto coincidere Risorgimento o Resi­
stenza colle forze attive della storia, col progresso, coi valori per noi più
positivi. Si è, in una parola, cambiato ancora una volta, quasi inconsape­
volmente, il contenuto della definizione di « Risorgimento » o della defini­
zione di « Resistenza ». Il che suole sovente accadere quando s’introducono
nella storiografia, o meglio, nella critica sulla storiografia, astrazioni ed entificazioni, cioè pseudo-concetti, cioè definizioni, e si esce, purtroppo non
sempre consapevolmente, dalla storiografia, che dovrebbe costruire concetti,
non pseudoconcetti.
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