Wittgenstein, Moore e lo Scettico - Digilander

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Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
Wittgenstein, Moore e lo Scettico1
Abstract. In questo lavoro cerco di fare due cose: (i) mostrare, seguendo la critica, come gli argomenti di
Moore contro l'idealismo e lo scetticismo siano recepiti e criticati da Wittgenstein in Della Certezza; (ii)
mostrare come accanto al cosiddetto argomento trascendentale se ne possa formulare un altro, che ha il
vantaggio, tra le altre cose, di risultare in continuità con l'atteggiamento anti-metafisico già presente nel
Tractatus e adottato dal positivismo logico.
Moore
Riporto qui un dialogo avuto con mia sorella dopo aver visto la luce accesa filtrare dalla porta
chiusa della sua stanza. Lei era con me in camera mia.
-Sei in camera tua?
-No.
-Allora perché c'è la luce accesa e la porta chiusa?
-Perché qualcuno l'ha lasciata accesa. Oppure l'ha accesa Emy.2
Dialoghi del genere non sono rari tra me e mia sorella, e non sempre sono finalizzati allo scherzo. Il
dialogo è assolutamente logico. Il nostro linguaggo è straordinario, perché sembra essere pronto
all'evenienza che i fenomeni quantistici si verichino anche a livello macroscopico e che i gatti
imparino ad accendere la luce da soli. Questo è il motivo per cui io e mia sorella, non importa se per
scherzo o facendo sul serio, non abbiamo trattato come ovvie un paio di proposizioni che forse
alcuni chiamerebbero hinge propositions nel senso di Wittgenstein3.
Infatti:
Giulia non può essere e non essere nella sua stanza.
e
La gatta Emy non può accendere la luce.
sono esempi di proposizioni che il “senso comune” riterrebbe immediatamente ovvie.
In due suoi famosi articoli G. E. Moore tentò di rispondere all'idealismo, secondo il quale gli oggetti
che ci circondano non hanno esistenza indipendente dalla nostra volontà. In A Defence of Common
Sense (1925) Moore fa appello al senso comune, assumendo la verità di alcuni truismi che
esprimerebbero la nostra visione di senso comune sul mondo. Tale visione è vera, e l'idealista non
può, da uomo, negare tali truismi, anche se tenta di farlo in sede filosofica. Egli è pertanto
incoerente. In Proof of an External World (Moore 1939) Moore cerca invece di provare la verità
della visione di senso comune, e lo fa in questo modo: mostra le sue due mani, le nasconde dietro la
schiena e afferma l'esistenza di due mani umane, e pertanto di oggetti esterni all'Io conoscente.
Ora, è da precisare che la prova di Moore non serve a molto contro l'idealista, perché presuppone
che le nostre mani continuino, per esempio, ad esserci quando noi non le guardiamo. Moore è però
consapevole del fatto che la sua prova non vale contro lo scettico, il quale dubita della realtà stessa
del mondo esterno.4 Moore non aveva infatti prove per sostenere, diciamo, di non stare sognando.
Un altro punto importante per Moore è che egli sosteneva di poter dire di sapere che davanti a lui ci
fosse la sua mano mentre la mostrava.
1
2
3
4
Tutta la prima parte del lavoro attinge da Coliva 2003.
Emy è la nostra gatta.
Cfr. Pritchard 2006.
E quindi afferma che noi non sappiamo che, per esempio, il mondo esterno esiste. Questo è il caso dello scetticismo
globale.
1
Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
Sapere
In Della Certezza5 (Wittgenstein 1969) Wittgenstein prende in considerazione le argomentazioni di
Moore criticandole. L'errore di Moore contro l'idealista (o lo scettico) sarebbe anzitutto di
fraintendere la grammatica del verbo sapere. Nella ricostruzione data da Malcolm 1949 la
grammatica di so che p richiede:
(i) che vi possa essere un dubbio;
(ii) che possa fornire ragioni per il mio sapere che p;
(iii) che sia possibile un'indagine che determini se si dà il caso che p.
A questi criteri dovremmo aggiungere criteri generali che Wittgenstein dà in Della Certezza: dire di
sapere che p ha senso in circostanze appropriate, nelle quali avrebbe anche senso dire di non sapere
che p. Considerare la negazione di una proposizione come test per la sua sensatezza (o della
sensatezza di un'espressione che in essa occorre) è una tecnica che risale al Tractatus.
Moore rispose a Malcolm dicendo che lui usa sapere in circostanze forse inappropriate, ma col suo
significato standard. Il problema è che per Malcolm e Wittgenstein il significato di un'espressione è
dato proprio dal suo uso in un gioco linguistico, per cui per essi non si può prescindere dalle
circostanze.
Col senno di poi potremmo dire che Moore e Malcolm/Wittgenstein non si stavano accorgendo che
il loro diverbio sull'uso di sapere poneva le radici in due diverse concezione del significato.
Ma non è tutto qui. Ciò che Wittgenstein rimprovera a Moore nei primi paragrafi del Della
Certezza è l'uso mentalista che Moore fa di sapere. Usato come lo usa Moore, senza poter avere
criteri pubblici per la sua corretta applicazione, so che p diventa simile a sono convinto che p. E
questo fa collassare so che p in un credo che p.
I motivi per cui si può accettare l'enunciato “So che qui c'è la mia mano” sono altri, e riposano in
quello che viene a volte chiamato argomento trascendentale, che tratterò in seguito.
Ad ogni modo le critiche che Wittgenstein muove contro Moore sono sostanzialmente due: Moore
tratta il sapere come una convinzione; Moore non capisce la natura del dubbio scettico.
Dubitare
Anche la grammatica del dubitare6 ha le sue restrizioni, che corrispondono in modo simmetrico a
quelle di sapere. Per dubitare mi occorrono ragioni, e inoltre, dato che si può dubitare solo
all'interno di un gioco linguistico, il dubbio presuppone qualche certezza. Le certezze che devo già
avere per poter dubitare sono quelle che definiscono (delimitano) il gioco linguistico.
Chiariamo qui il punto. Se con un amico vedo un albero in lontananza che lui non distingue bene
perché ha perso gli occhiali, la mia asserzione “So che lì c'è un albero” ha una valenza empirica.
Qui intendo dire al mio amico che sono in grado di vedere bene. Ma quando Moore dice “So che
qui c'è una mano” lo fa con valenza filosofica. Il problema è che lui è convinto di poter rispondere
allo scettico con una proposizione empirica. Per cui le hinge propositions, quando usate nel loro
senso filosofico (e non in casi particolari) vengono ad essere il corrispettivo delle tautologie nel
Tractatus: con la differenza che siccome nel secondo Wittgenstein il significato è dato dall'uso, esse
sono sinnloss (sono casi estremi che mostrano i limiti del gioco linguistico) e unsinnig quando usate
5 Della certezza raccoglie annotazioni che Wittgenstein scrisse poco prima di morire, nel '51, dopo aver parlato a
lungo di Moore con Norman Malcolm. I due si trovavano particolarmente d'accordo sull'uso a loro avviso insensato
che Moore faceva del verbo sapere.
6 Ho usato qui il corsivo nel primo caso e non nel secondo per ricordare come in Wittgenstein il significato (e quindi
la sensatezza) di un'espressione è dato dalle regole costitutive che ne determinano l'uso. Tali regole sono costitutive
nel senso che delimitano il gioco linguistico (lo definiscono) senza farne parte. L'ultimo Wittgenstein ha
sicuramente ispirato Quine (e più tardi Davidson) nello sfumare i confini tra competenza linguistica e capacità di
muoversi nel mondo. Questo non vuol dire però che Wittgenstein avrebbe appoggiato Quine 1951: in Wittgenstein
si può, in un momento dato, tracciare una distinzione tra enunciati ordinari e hinge propositions.
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Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
malamente dai filosofi (da Moore quanto dallo scettico) che le credono ipotesi empiriche,
abbastanza o non abbastanza corroborate.7
La pars construens della proposta wittgensteiniana è allora il cosiddetto argomento trascendentale.
Come osservato in nota, la filosofia post-popperiana è probabilmente nata da alcune osservazioni
dell'ultimo Wittgenstein. Gli stessi interpreti del Della Certezza hanno a mio parere sopravvalutato
l'argomento trascendentale, che ora presenterò brevemente, prendendomi la libertà di trattarlo a mio
modo, dato che comunque anche su di esso la bagarre esegetica potrebbe riaprirsi su ogni punto.
L'idea è: lo scettico semplicemente sbaglia perché dubita dove non si può dubitare. Come abbiamo
visto infatti il dubbio presuppone qualche certezza (senza cardini la porta non gira), e la certezza si
fonda su un fondamento infondato: la pratica del gioco linguistico, che è un fatto. Essa si può solo
descrivere, non spiegare. Essa si mostra (nel senso del primo Wittgenstein) nel fatto che noi agiamo
presupponendo, magari implicitamente, la verità delle hinge propositions. Anzi, a dir la verità per
Wittgenstein non presupponiamo verità, perché noi non abbiamo conoscenza proposizionale delle
regole del gioco linguistico. Noi agiamo e basta, perché le regole di funzionamento del gioco le
abbiamo ereditate quando abbiamo ereditato il nostro linguaggio. Il 'noi' può essere inteso come
'noi'-persona o come 'noi'-umanità; tanto il linguaggio, pur nelle sue diverse manifestazioni, ci ha
sempre ingannati nella storia, e continua ad ingannarci sempre allo stesso modo.8
Lo scettico quindi agisce in modo insensato quando pone le sue domande scettiche: non si può
mettere in dubbio tutto dall'esterno del gioco linguistico. Se qualcuno mi dice “Non so di non stare
solo sognando.” egli sta tentando di dire una regola del gioco linguistico (che si può solo mostrare),
e cioè che il gioco del dubitare presuppone di non stare sognando. Perché se stessi sognando e lo
dicessi, le mie parole non si riferirebbero al mondo, ma rimarrebbero ambientate nel mio sogno.9
Questo mi sembra un modo migliore per presentare l'argomento trascendentale. Dico 'un modo
migliore' perché Wittgenstein potrebbe venire letto come se cercasse di fondare il senso comune su
proposizioni incrollabili.
La mia posizione invece è:
- Wittgenstein può sembrare fondazionalista ma non lo è, in quanto non vuole fondare
nessuna conoscenza o teoria, ma porre i limiti del nostro ragionare sano, oltre i quali stanno
le follie filosofiche dello scettico: noi conosciamo le nostre verità quotidiane anche senza
indagare il significato 'filosofico' di conoscere, e di sicuro non 'sappiamo' che il mondo
esterno esiste;
- può sembrare coerentista ma non lo è, perché egli pone a fondamento di un gioco
linguistico una pratica pubblica. Questo non lo rende coerentista per la verità (le hinge
propositions non sono propriamente vere) né per la giustificazione (sarebbe insensato dire
che la nostra pratica linguistica è giustificata dal gioco linguistico; lo è solo in senso
grammaticale, lo è per definizione);
- and last but not list:
l'argomento trascendentale non è un argomento, e per di più non è trascendentale. Non è un
argomento perché non abbiamo un metalinguaggio in cui formularlo: che lo scettico sia in errore è
un fatto, ma non è qualcosa che si può dimostrare10. Ma il punto più importante è il secondo: il nonargomento non è trascendentale. Vediamo perché.
Trascendentale, nel senso di Kant, quando usato come aggettivo si riferisce a qualcosa che ha a che
7 Probabilmente è da questa idea delle hinge propositions come limite e cardine del gioco linguistico, visto come
orizzonte del soggetto, che nasce il filone della nuova filosofia della scienza. Quine, Kuhn, Lakatos, Hanson
attingono a piene mani dalle sezioni più interne del Della Certezza.
8 Questo 'il linguaggio' sa fin troppo di Tractatus logico-philosophicus.
9 Cfr. Della Certezza, § 676. Una rielaborazione di questo argomento sarà presentata da Putnam con la famosa ipotesi
del cervello nella vasca.
10 Questo sembra un mio bassissimo trucco, ma non vedo come evitare questa conclusione.
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Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
fare con la possibilità stessa della nostra esperienza (o conoscenza). Qui 'nostra' si riferisce a un 'noi'
inteso come soggetto metafisico, o quantomeno a un 'qualunque essere razionale'. Ora, data la
pluralità dei giochi linguistici (e il fatto che in generale le hinge propositions mutano nel tempo)
Wittgenstein non può colpevolizzare lo scettico per il porre domande fuori da ogni regola di
grammatica e nello stesso tempo addurre un argomento trascendentale. Le hinge propositions,
come osservato da Stroll 199411, sono relativamente assolute12. Nel senso che finché una
proposizione è una hinge proposition essa funge da cardine, ma può cessare di esserlo (come è
successo con “Nessun uomo può andare sulla luna.”). Se proprio vogliamo trovare qualcosa di
trascendentale in Wittgenstein, dobbiamo cercarlo nel Tractatus.
Ad ogni modo, pur accettando che in Wittgenstein si trovi l'argomento trascendentale (ma non
accettando la sua denominazione), cercherò di formulare un argomento le cui radici sono altrettanto
ben fissate nel pensiero del filosofo austriaco.
Farò per il momento un'ipotesi.
Definiamo un tipo ideale di filosofo, chiamiamolo McH. Un filosofo che sostiene un'ipotesi X
esemplifica McH se:
1. non gli piace dare criteri sul come quest'ipotesi possa essere capita linguisticamente, o presa
in esame;
2. non gli piace dare criteri sul come potrebbe essere comprovata o refutata;13
3. maschera 1 o 2 dicendo che X può sempre valere in un mondo possibile diverso da quello
attuale.
1-3 sono condizioni singolarmente sufficienti e collettivamente necessarie per essere un McH.
Ora, il nostro McH è un tipo di filosofo molto generale, ma la mia domanda è: esso è un buon
candidato per essere considerato il vero bersaglio del Della Certezza (e degli altri periodi del
pensiero wittgensteiniano)?
Considerando il contesto filosofico in cui si muoveva Wittgenstein e alcuni passi delle sue opere, io
direi di sì. La preoccupazione di Wittgenstein non era tanto ribattere allo scettico in quanto tale (né
tantomeno a Moore, il cui sbaglio è stato solo di avere argomenti sbagliati o troppo deboli contro lo
scettico), ma tagliare le gambe a un certo modo di fare filosofia; a un certo modo di porre problemi
filosofici.
Sarebbe ora ridondante citare la concezione terapeutica della filosofia in Wittgenstein, per cui dirò
che la assumo14, e per illustrare ciò che intendo citerò alcuni passi che spero mostrino la mia idea
sulle radici della posizione witgensteiniana. Infine, darò il mio argomento trascendentale
alternativo.
Conoscere/citazioni
Carnap:
Quando i nominalisti e i realisti discutono sull'esistenza o meno dei numeri non dibattono sul fatto
che i numeri naturali siano definiti nel sistema di Peano. La risposta sarebbe banale. Essi
“[..] si riferiscono piuttosto al sistema stesso; perciò per loro la questione è esterna. [..] Supponiamo che un
filosofo dica: 'Credo che esistano i numeri come entità reali. Ciò mi dà il diritto di usare le forme linguistiche
della struttura dei numeri e di fare affermazioni semantiche sui numeri come designata dei numerali.' Il suo
11 Citato in Coliva 2003, p.145.
12 Stroll usa contingentemente assolute. L'idea è simile, ma in questo modo lui le relativizza rispetto a un mondo
possibile. Bisognerebbe relativizzarle rispetto a giochi linguistici e tempi. Il come questo potrebbe essere
formalizzabile usando la semantica dei mondi possibili sarebbe un altro interessante paio di maniche.
13 Detta in altri termini, McH non rende decidibili i predicati che compaiono in X.
14 Rimandando comunque per le radici della mia visione a Kenny 1982.
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Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
avversario nominalista risponde: 'Hai torto; i numeri non esistono. I numerali possono, certo, essere usati
come espressioni significanti, ma non sono nomi e non esistono entità da essi designate.' Non riesco a
concepire alcuna evidenza possibile che l'uno e l'altro possano ritenere pertinente, e che, se di fatto scoperta,
possa risolvere la controversia, o, almeno, ritenere più probabile dell'altra una delle due tesi opposte. [..]
Quindi mi trovo costretto a considerare la questione esterna come una pseudo-questione.” (Carnap 1950)
La disputa tra Moore e lo scettico sull'esistenza delle nostre mani cessa di avere un valore teoretico
e diventa piuttosto una disputa su un modo di esprimersi, anche se forse né un Moore né uno
scettico accetterebbero questa analisi. In termini wittgensteiniani, il vedere un mondo (come un
tutto) in un certo modo è una questione estetica. L'errore che Moore e lo scettico fanno è di non
rendersene conto. Essi pensano di litigare su una questione conoscitiva, mentre né Moore né lo
scettico conoscono, o sanno (in un senso interessante di sapere) le proposizioni che sostengono15.
Dubitare/citazioni
Un punto interessante del neopositivismo è che era consapevole di voler applicare i suoi criteri di
sensatezza non solo alle asserzioni, ma anche al questionare filosofico.
Schlick:
“[..] ciò che noi diciamo sul significato di asserzioni si applica al significato di problemi. Vi sono
ovviamente molti problemi cui gli esseri umani non possono dar risposta. Ma l'impossibilità di trovare la
risposta può essere di due tipi differenti. Se essa è puramente empirica [..] può essere giusto lagnarci del
nostro destino e della debolezza dei nostri poteri fisici e mentali, ma non si può mai dire che il problema è
assolutamente insolubile, e vi può essere sempre qualche speranza, almeno per le generazioni future. [..] Ma
cosa bisogna dire di quei problemi per cui è logicamente impossibile trovare una soluzione? [..] Non si
tratterebbe affatto di un autentico problema, ma solo di una successione di parole con un punto interrogativo
alla fine.
[..] L'idealista o il solipsista che dice: 'Io posso essere consapevole solo dei dati della mia coscienza' crede di
esprimere una verità necessaria e autoevidente che egli non potrebbe respingere in base a nessuna esperienza
possibile. [..] Non possiamo dire che questa asserzione dell'idealista sia falsa; essa è solo un altro modo di
adattare il nostro linguaggio alle nuove circostanze che abbiamo immaginato. [..]
La rappresentazione 'ingenua' del mondo, come lo vede l'uomo della strada, è perfettamente corretta; [..] la
soluzione dei grandi problemi filosofici consiste nel ritornare a questa visione originaria del mondo dopo
aver mostrato che i problemi sconcertanti derivano solamente da una descrizione inadeguata del mondo per
mezzo di un linguaggio difettoso.” (Schlick 1936)
Wittgenstein:
“Si sente sempre dire che la filosofia non fa progressi e che gli stessi problemi filosofici che preoccupavano i
Greci ci turbano ancora oggi. Ma la gente che dice così non capisce la ragione per cui debba essere così. La
ragione è che il nostro linguaggio è rimasto lo stesso e ci presenta gli stessi interrogativi. Finché c'è un verbo
essere che sembra funzionare come mangiare e bere; finché ci sono aggettivi come identico, vero, falso,
impossibile; finché la gente parla del passare del tempo e dell'estensione dello spazio, ecc.; finché tutto
questo accade, la gente si scontrerà sempre con le stesse difficoltà, e se ne starà a fissare qualcosa che
nessuna spiegazione sembra capace di eliminare... Leggo: '..i filosofi non sono più vicini al significato di
realtà di quanto lo fosse Platone..'. Straordinario! E' davvero notevole che Platone fosse andato così avanti!
O che non siamo stati capaci di andare oltre! E' successo perché Platone era tanto intelligente? (MS 213, 424,
citato in Kenny 1982)
“La filosofia è uno strumento utile soltanto contro le filosofie e contro il filosofo in noi.” (MS 219, 11, citato
15 Probabilmente dalla critica di Wittgenstein si salverebbe lo scettico pirroniano, quale è descritto da Sesto Empirico e
riportato da Klein 2005. Il pirroniano semplicemente sospende l'assenso su proposizioni non evidenti.
5
Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
in McFee 1996)
Carnap:
“Prendiamo come esempio il termine metafisico 'principio' (nel senso di principio ontologico). [..] Per
trovare il significato che la parola 'principio' ha in tale quesito metafisico, noi dobbiamo chiedere ai
metafisici in quali condizioni una proposizione della forma 'x è il principio di y' sarebbe vera, e in quali
condizioni falsa. [..] Ma il metafisico ci dice di non voler intendere un rapporto empiricamente osservabile;
ché, altrimenti, le sue tesi metafisiche diventerebbero semplici proposizioni empiriche.” (Carnap 1932)
Sembra quindi di aver trovato dei candidati per McH. Quantomeno, negli incubi dei filosofi citati.
Infatti il realista e il nominalista che disputano sull'esistenza dei numeri e l'idealista di Schlick
ricadono sotto 2 (che per i neopositivisti equivale a 1), il metafisico di Carnap ricade sotto 2 e (in
questo caso dichiaratamente) sotto 116, mentre molti esempi scettici, come il genio maligno
cartesiano o il cervello in una vasca putnamiano ricadono sotto 3, perché assumono che non ci sia
modo per sapere di vivere in un'illusione.17
Nel caso particolare del tardo Wittgenstein dobbiamo aggiungere una clausola per poter trattare con
McH usando la nozione dei giochi linguistici. Credo infatti che la differenza tra il primo e il tardo
Wittgenstein su questo punto sia colmabile. Vediamo come.
'Ponte'
Secondo la mia visione, è come se nel Tractatus avessimo un unico grande gioco linguistico
(chiamiamolo GiocoT). Il problema che si pone Wittgenstein è che in questo GiocoT si aggirano dei
sedicenti filosofi che blaterano cose senza senso circa il numero di oggetti esistenti e circa il senso
del mondo. Come mostrare che i loro sono nonsensi?
Le cose che dicono (e le domande che pongono) sono senza senso perché essi ignorano le regole del
GiocoT, e le cose che dicono non seguono le regole.
Teniamo presente che il GiocoT è un (il) gioco linguistico molto complesso, ed è già dato.18
Se un filosofo dice: "Ecco la domanda fondamentalissima! Ed essa è la più difficile da affrontare:
l'Essere è sbirulo o no? E se lo è, cosa ne segue? Perché è chiaro che si danno solo due possibilità:
che lo sia o che non lo sia, e in entrambi i casi il nostro domandare è chiamato a impegnarsi sul
disvelamento della risposta".
Il problema è che discorsi del genere i filosofi ne fanno spesso. Voglio dire, li facevano spesso ai
tempi di Wittgenstein.
Il filosofo di cui sopra potrebbe tranquillamente essere il metafisico di Carnap, e quindi un perfetto
esempio di McH.
Il metafisico usa parole che non appartengono al vocabolario (Essere, sbirulo), non usa le regole del
gioco (né ne dà altre) e si prende gioco del prossimo pretendendo dagli altri che essi perlomeno
intuiscano l'Essere e la Sbirulità.
Della Certezza
Se questa mia ricostruzione del GiocoT è, entro i limiti che qui ci proponiamo, accettabile, allora ho
costruito un ponte in più tra il Wittgenstein ispiratore di Schlick e Carnap e il secondo (o terzo)
16 Possiamo dirlo perché almeno in questo caso il 'metafisico' ha un nome e un cognome: Martin Heidegger.
17 Ribadiamo qui che l'obiettivo di Cartesio e Putnam è in realtà antiscettico. Dretske 1971, citato in Klein 2005 e in
Pritchard 2006, descrive l'ipotesi scettica in modo simile al mio punto 3.
18 Non si può decidere arbitrariamente di non seguire le regole, più di quanto io possa decidere di infrangere la legge di
gravità. O meglio, una differenza c'è: io posso anche parlare a vanvera. Ma allora starò cercando (al più) di cambiare
linguaggio, e quindi esco dal gioco. Ma nel GiocoT c'è solo un linguaggio.
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Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
Wittgenstein.
Ora, come ho già detto il mio obiettivo non è cercare in tutta l'opera wittgensteiniana tutte le prove
che mostrino come McH possa essere il bersaglio privilegiato del Nostro 19. Lascio giudicare al
lettore se la mia proposta può essere valutata positivamente (la proposto del GiocoT può essere un
piccolo passo in quella direzione). Quello che voglio fare qui è qualcosa di infinitamente più
modesto: cercare conferme della mia ipotesi nella prima parte Della Certezza.
I primi 16 paragrafi sono sostanzialmente un'analisi di sapere. Wittgenstein sostiene l'uso
specializzato del verbo e la differenza tra 'io so' e 'egli sa'. Da lì in poi, nei paragrafi
immediatamente successivi, profonde il suo impegno nel rispondere a McH. Più in dettaglio lo fa
in:
§§ 17, 18;
§ 19 : notiamo qui in particolare la somiglianza con Carnap 1932;
§ 20 : qui Wittgenstein rimprovera a Moore di non capire la natura del dubbio scettico. La risposta
di Moore non funziona perché tratta il dubbio dello scettico come se fosse un dubbio empirico,
mentre il dubbio dello scettico è di tipo metafisico nel senso di Carnap 1932, e in particolare è una
questione esterna nel senso di Carnap 1950;
§ 21 : qui critica Moore in quanto tratta sapere come una convinzione;
§ 23 : qui ribadisce la critica a Moore vista nel § 20. Contro lo scettico, Moore non serve a nulla. Lo
scettico infatti non concede nulla, per via della proprietà 3 di McH;
§ 24;
§§ 25-34 : qui riecheggiano le Ricerche, sul 'fondamento' delle regole;
§§ 36, 40 : questi paragrafi sono particolarmente importanti per la mia conclusione, in quanto
lasciano intravedere quello che qui chiamerò Principio Anti-McH (AM): per dire di avere
conoscenza proposizionale si deve esibire un criterio per rendere decidibile l'ipotesi che si sta
sostenendo.20
Wittgenstein non formula AM, ma a mio avviso AM si può formulare usando Wittgenstein e
nient'altro che Wittgenstein. La mia tesi è che questo principio metta a tacere McH. Attenzione:
essendo un principio lo si può solo assumere o no. Se lo assumiamo, rifiuteremo McH. Se no, no.
Un'obiezione prevedibile è: perché non tenere l'argomento trascendentale (che è invece un
argomento) e adottare un banale principio pragmatico? La risposta è semplice: perché Wittgenstein,
come i neopositivisti, lo adotta. Il cosiddetto argomento trascendentale in realtà:
o assume AM (in quanto lo scettico che si assume nell'argomento trascendentale pone i
suoi dubbi al di fuori di ogni gioco linguistico possibile, il che lo fa ricadere in 2 o in 3);
o, se non lo si vuole interpretare così, sicuramente è basato, anch'esso, sull'accettazione
di altre assunzioni tutt'altro che pacifiche, come l'idea che le regole del
nostro questionare poggino su giochi linguistici che si riducono a pratiche, a forme di
vita.
Quindi, se noi vogliamo rispondere allo scettico, adottare AM è più proficuo che adottare
l'argomento trascendentale. La mia idea è che Wittgenstein li adotti entrambi. Un'osservazione che
si può fare in favore di Wittgenstein è che restando nel suo 'sistema' (sia nel GiocoT che nel Della
Certezza) AM risulta molto più fondato di quanto non lo sia nel neopositivismo. I neopositivisti
avevano infatti bisogno di assumere, come versione di AM, il principio di verificazione, che portò
più guai che altro (sostanzialmente per due difetti: si può autoconfutare e usa la vaga 21 nozione di
verificazione). Wittgenstein può invece fondare AM sul fatto che la conoscenza proposizionale si
19 Per il motivo banale che sarebbe, almeno in questa circostanza, un'impresa impossibile.
20 Anche lo scettico in genere sostiene un'ipotesi. E cioè che noi non sappiamo che il mondo esterno esiste.
21 Meglio: facilmente fraintendibile.
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Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
basa su qualcosa che proposizionale non è (la 'grammatica' dei nostri concetti, intesa come insieme
di pratiche), per cui se esistesse una teoria-Wittgenstein AM ne sarebbe un teorema. Sarebbe infatti
banalmente derivabile che un dubbio genuino è un dubbio per cui è stato dato un criterio di
risoluzione. Il dubitare deve avere conseguenze pubbliche, dice Wittgenstein, altrimenti è un parlare
vuoto.
In altre parole, non esiste gioco linguistico su questa terra (e mai esisterà, per via della proprietà 3
di McH) per il quale i dubbi dello scettico siano sensati.
Del resto ho potuto constatare che alcuni spunti di questa mia lettura pseudo-neopositivista del
Della Certezza non sono nuovi: Clarke 197222 distingue infatti tra discorso ordinario ( plain talk) e
discorso filosofico. Nel discorso ordinario le condizioni di sensatezza sottostanno a restrizioni
dettate dal contesto d'uso. Il discorso filosofico invece astrae, ponendo domande che esulano dai
contesti d'uso, e permettendo quindi le domande dello scettico.23 Ora, per Clarke il discorso
filosofico è un piano legittimo.
Usando questa terminologia, la mia tesi si può quindi formulare dicendo che per Wittgenstein (per il
quale non si può astrarre dal contesto d'uso) il discorso filosofico non è legittimo. E se è così, allora
ne segue che per Wittgenstein (e, se io ho ragione sul 'ponte', anche per i neopositivisti e per il
Tractatus) solo i dubbi ordinari sono legittimi. Le hinge propositions e le loro negazioni saranno
invece sinnloss nel senso del Tractatus. E, se interpretate come proposizioni empiriche, saranno
unsinnig, assieme alle questioni poste da McH.
Una cosa interessante che segue da tutto ciò è che Wittgenstein renderebbe conto anche
dell'accezione di insensato che usiamo nel linguaggio quotidiano. Nella concreta pratica linguistica
una questione è insensata se per esempio è futile o incomprensibile (Qual è il peso medio dei
viennesi il cui numero telefonico finisce col 3?)24. Wittgenstein sembra avere un'idea di sensatezza
molto vicina a questa (e sappiamo il motivo: per la stragrande maggioranza dei casi, il significato è
l'uso). Questo spiegherebbe il dialogo con cui ho aperto il lavoro. A quanto pare Wittgenstein ha
ragione: in molti casi il significato di un'espressione è il suo uso nel gioco linguistico. Negli altri
casi invece il significato letterale ci serve per stare pronti, perché un giorno i gatti impareranno ad
accendere la luce.
Appendice: un dialogo
Wittgenstein, lo Scettico e Moore davanti a Cambridge.
M: Che bella giornata di sole!
S: Bella, vero, ma cosa ne sai che sia anche reale?
M: Cosa vuoi dire? C'è il sole, vedi?
S: Sì, ma sei sicuro che l'erba che vedi sia lì davvero?
M: Ma certo. Ovvio, da qui potrei sbagliarmi sulla consistenza dei fili d'erba, ma guarda! Vengo più
vicino e li tocco. Ecco! Ne ho preso uno in mano. E' umido, è verde, profuma.
S: Questo lo dici tu. Potrebbe non essere erba.
M: Hai ragione. Ma lo è! L'ho spezzata, perde liquido. La posso accostare alle labbra e fischiare.
Guarda...
S: Non ho bisogno di guardare. Va bene, fischia, ma..
22 Citato in Coliva 2003.
23 Infatti per Clarke, come per Stroud 1984, Moore ha ragione contro lo scettico solo dal punto di vista del discorso
ordinario.
24 L'esempio è usato da Carnap 1932.
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Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
M: Hai ragione, effettivamente potrebbe essere un qualcos'altro travestito da erba. Aspetta, ne porto
un campione a un botanico dell'università. Aspettami un attimo.
[Un'ora dopo]
M: Ecco, come dicevo. Non c'è più alcun dubbio. E' erba.
S: Questo lo dite tu e il botanico.
M: Beh, chi dovrebbe dirlo? Per me è erba ciò che è verde, è umido e che i botanici dicono che è
erba..
S: Ma non capisci, la mia domanda è più fondamentale... Vieni qui. Tu vorresti forse dirmi che sai
che qui c'è un albero?
M: Sì, so che questo è un albero.
S: E io invece dico che tu non hai buone ragioni per crederlo.
M: Beh, certo, da lontano effettivamente avrei potuto sbagliarmi. Ma ora sono qui, e posso dire che
so che questo è un albero.
Lo Scettico diventa ancora più serio, si stringe nella sua tunica e nel suo cappuccio nero, e un lampo
attraversa i suoi occhi.
S: Stolto! Non capisci il senso del mio questionare. La domanda fondamentalissima e inevitabile
che io pongo è: sai davvero che qui c'è un albero?
M: Se intendi chiedermi se ho davanti una pianta che tutti chiamano albero, e che ha certe proprietà,
e che vedo e tocco, ti rispondo di sì.
S: Doppiamente stolto! E tu ti fidi di come gli altri chiamano le cose?! Non sai che gli altri
sbagliano?
M: Ma non si può sbagliare qui. Ne sono certo, questo è un albero.
W: In effetti sei uno stupido, George.
S: Chi..?!
[Wittgenstein era comparso. Probabilmente veniva dall'università lì dietro di loro, ma non l'avevano
sentito arrivare.]
W: Ma cosa state facendo? State davanti a un albero e litigate?
M: Lui dice che io non so che qui cè un albero. Ma io lo so!
W: Quello che dite non ha senso.
[I due cominciarono a protestare vivamente.]
M: So che qui davanti ho un albero!! Ne sono certo!! Ne sono convinto!! Lo sento chiaro e forte
dentro di me!!
W: Sì, George, ti capisco, ma non cedo che lui si accontenti di questo. Non sei un gran filosofo se
non lo capisci e continui a dargli retta.
S: Stolti! Non capite? Un genio maligno potrebbe averci ingannato tutti!
M: Ma non vedo geni maligni!
S: Potrebbe essere invisibile.
M: Ma ci accorgeremmo della sua presenza.
S: Potrebbe essere lontano nell'universo.
M: Ma nessun astronomo ha mai visto geni in giro.
S: Potrebbe essere onnipotente, onnisciente, racchiuso in un'altra dimensione, immensamente
malvagio e astuto, e tale che se mai un fisico scoprisse la sua dimensione lui potrebbe spostarsi in
un'altra ancora, e..
M: ..E questo potrebbe essere uno schiaffo! <SCIAF!> Ora sei convinto dell'esistenza della mia
mano? O ne vuoi un altro così ne diventi certo?!..
W., girandosi verso la telecamera: Vedete? Questo è quello che fanno di solito i filosofi. Per me due
che stanno davanti a un albero, vedendolo entrambi benissimo, e si mettono a litigare sul sapere e
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Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
sull'esistenza sono due idioti. Poi, fate un po' voi..
In quel mentre un contadino del villaggio vicino passa di lì e chiama W, mentre M e S continuano la
scazzottata: Professore, cosa succede qui? Serve una mano?
W: No, grazie Henry. Stiamo solo facendo filosofia.
Bibliografia:
M. Andronico- D. Marconi- C. Penco (a cura di) (1988), Capire Wittgenstein, Marietti.
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Pasquinelli (1969).
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T. Clarke (1972), The Legacy of Skepticism, <The Journal of Philosophy>, pp. 754-769.
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Penco (a cura di) (1988).
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Matteo Casu - Relazione per il corso di Epistemologia. A.A. 2006/07
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G. E. Moore (1939), Proof of an External World, in G. E. Moore (1959).
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