Falso movimento nora assunte: una lunghezza senza pari, un uso diffuso della luce, l’assunzione di un operatore tra i migliori al mondo, un comparto tecnico che oggi definiremmo degno di un blockbuster, ma in realtà il valore dei tecnici di allora e del loro trovarsi tutti-nello-stesso-posto-contemporaneamente supera di gran lunga il circo (più mediatico che effettivo) che talvolta, oggi, si scatena intorno a una pellicola. Come se non bastasse, Pastrone chiama a raccolta anche Gabriele D’Annunzio, sostanzialmente per motivi d’immagine. Al poeta spetta il compito di scrivere le didascalie (la sceneggiatura, infatti, è di Pastrone stesso), nel modo tronfio e aulico che è solito usare quando vuol sconcertare con la sua bravura. È per merito del suo estro, però, se i personaggi hanno questi nomi. Quindi, se ancora oggi ricordiamo Maciste (!!!) e Cabiria (Nata dal fuoco), il merito è tutto del Vate. Quest’ultimo, poi, coinvolge anche il suo amico Ildebrando Pizzetti, un compositore al quale è affidata la scrittura della Sinfonia del fuoco, una partitura per orchestra da ambientarsi durante la sequenza del fuoco, cioè quando la piccola Cabiria sta per essere offerta in sacrificio al dio Moloch. La trama è contorta e avvincente al punto giusto. Cabiria è una bambina che prima scampa all’eruzione dell’Etna che distrugge Catania all’epoca della seconda guerra punica, poi è venduta come schiava ai cartaginesi che la vogliono sacrificare al dio Moloch. A questo punto intervengono i romani Fulvio Axilia e il fido aiutante Maciste (il gigantesco Maciste) che la salvano e fuggono. Passano gli anni, Annibale varca le Alpi, Scipione è in Africa con Fulvio Axilia. Quest’ultimo apprende che Cabiria è schiava di Sofonisba (la moglie di Massinissa, re dei numidi) e corre a salvarla di nuovo. E di nuovo c’è il grande Maciste ad aiutarlo. Le cifre finali fanno paura: 1 milione di lire in oro come costo complessivo (per un film dell’epoca la media era di 50mila lire), 3364 metri di pellicola finali (185 minuti ai quali andavano aggiunti due intervalli, quindi in totale il film durava circa 4 ore). E poi naturalmente c’era Maciste Il Forzuto, che ha il nome di Bartolomeo Pagano, uno scaricatore di porto di Genova che recita per tutto il film a torso nudo per mostrare i suoi muscoli. Cabiria è un ricettacolo d’innovazioni: dal fixité (un congegno brevettato dallo stesso regista, capace di evitare lo slittamento della pellicola) all’uso di lampade elettriche per aumentare i chiaroscuri. A questo proposito è necessario fare il nome di Segundo de Chomon, uno dei migliori operatori su piazza che si occupò sia della fotografia sia degli effetti speciali. La scena iniziale dell’eruzione dell’Etna, realistica e suggestiva, è opera sua. Ma la perizia tecnica si nota anche in un’altra sequenza importante: nella sequenza di Moloch un sacerdote apre e chiude una mano in primissimo piano con un gesto ieratico. Guardate quella scena. La mano è offuscata da una luce fuligginosa (qual è la luce di un tempio illuminato con fiaccole) e pare scolpita direttamente nell’ombra: un’ombra che sa di fumo e che sembra di un Caravaggio molto primitivo. E a proposito di effetti speciali il sito IMDB (Internet Movie DataBase www.imdb.com) ci ricorda che tra gli effettisti c’era un certo Eugenio Bava, pa- Nuove direzioni • n. 8 marzo-aprile 2012 26