UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VERONA SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE UMANE E FILOSOFIA CORSO DI DOTTORATO IN SOCIOLOGIA E RICERCA SOCIALE Dottoranda Dott.ssa Magda Beverari Prof. Domenico Secondulfo I Comunicazione riflessiva: cibo “giusto” nel modo “giusto” Nel contesto di una valorizzazione innovativa dei prodotti e delle filiere agroalimentari, il processo di comunicazione e le possibili implicazioni che da esso ne derivano rivestono un ruolo determinante sia da un punto di vista di consumo che di produzione alimentare, ovvero di soggetto e struttura. (Elena Battaglino, 2007) Per coniugare il concetto di comunicazione contemporanea alla dimensione riflessiva, caratteristica quanto mai peculiare e rappresentativa del tempo in cui viviamo credo possa essere illuminante leggere quando descritto da Giorgio Trani, ovvero che: “Desiderare il desiderio, beninteso nell’Occidente consumista e per una porzione minima di umanità, è diventato l’approdo, ma anche la deriva, di chi, avendo tutto fatica a non volere più. Inappetenti per sazietà, abbiamo bisogno, per mantenere un alto livello di consumi, di crescenti quantità di emozioni e sogni. Di pubblicità appunto. Perché, dove c’erano oggetti e prodotti ci sono ora marche, nomi propri di merci, diventate presenze quasi umane.”1 Di tale affermazione possiamo trovare diverse autorevoli conferme, per esempio anche nella descrizione della “società opulenta” di Kenneth Galbraith o nella definizione del paradigma alimentare occidentale definito paradigma della “sazietà”. I modelli di consumo attuali hanno acquisito una tale portata da abbracciare ogni aspetto dell’esistenza, in un contesto di totale marketization dei processi di vita. (Bauman, 2005). 1 Giorgio Trani, Sedotti e Comprati: La pubblicità nella società della comunicazione, Elèuthera Editrice, Milano, 2002, p.7 II “La società dei consumi riesce a rendere permanente la nonsoddisfazione. Uno dei modi per ottenere tale effetto è denigrare e svalutare i prodotti di consumo poco dopo averli lanciati, con la massima enfasi possibile, nell’universo dei desideri dei consumatori. Ma un altro sistema, ancora più efficace, agisce lontano dalla ribalta, e consiste nel soddisfare ogni necessità/desiderio/bisogno in modo tale da non poter fare altro che dar vita a nuove necessità/desideri/ bisogni.”2 Il mercato si alimenta creando nuovi mercati, mercati che hanno la necessità di rendersi portavoce della propria nascita e dell’inevitabile dissoluzione, tutto ciò per garantirsi una, seppur effimera, sopravvivenza. La questione della comunicazione e degli studi di cui è oggetto in ambito agroalimentare è sicuramente più delicata, perché in tal caso si tratta di un settore merceologico che, seppure ben mistificato, è indissolubilmente legato alla sopravvivenza della specie. In ogni caso: “Come sostiene lo stesso Falk, oggi il pasto è diventato un fattore deritualizzato, ed il cibo è divenuto mera merce. Per molti versi, in realtà, esso è la merce per eccellenza.”3 Quindi, mentre se acquisto un paio di jeans di scarsa qualità ma con alta carica emozionale, nella peggiore delle ipotesi mi ritroverò senza jeans al primo lavaggio; se mi nutro di cibo avariato, ottenuto con ingredienti scadenti o proveniente da zone particolarmente inquinate, il rischio è di natura differente. Non a caso, nell’introduzione ad una recente ricerca sulla sociologia dell’alimentazione possiamo leggere: “Con riferimento al cibo, le pratiche sociali quotidiane, con la loro ricchezza che è sostanziata da una grande varietà di espressioni, ci lanciano due messaggi polari: il cibo come gusto e il cibo come 2 Zigmunt Bauman, Vita Liquida, Laterza, Bari, 2008, p.84 3 Guido Nicolosi, Lost Food, Comunicazione e cibo nella società ortoressica, p. 66 III rischio: Désirs et peurs alimentaires, come titola un recente volume francese.”4 E ancora: “Il ricorso ai dati rivela delle evidenze molte nette. Quali sono gli aspetti dei quali si tiene conto nelle scelte alimentari? La data di scadenza, con il suo 97% delle indicazioni, si colloca addirittura al secondo posto della graduatoria decrescente elaborata dai ricercatori. I benefici alla salute si pongono subito sotto questa seconda scelta marcata (93,7% delle indicazioni). Questo item merita di essere brevemente commentato. Parrebbe infatti a prima vista un risultato opposto a quello che rubrichiamo come ‘ percezione sociale del rischio ’ ma esso è – guardando in profondità – la scelta del criterio selettivo della salubrità del cibo che non è altro che una delle tante pratiche attraverso le quali noi cerchiamo di allontanare il rischio di malattia e di malessere bio-fisico. Esso, nel linguaggio esperto, si costituisce, a rigor di termini, come gestione del rischio ma ha come premessa dell’azione una conoscenza, una consapevolezza, in breve una percezione.”5 Come osservato nella medesima ricerca da Stefano Nobile, la parola alimentazione deriva sicuramente da alimento, proveniente dal verbo alere, cioè nutrire, ma il sostentamento non esaurisce affatto la funzione del cibo. Il cibo ha costituito per lungo tempo un argomento di scarso interesse per la sociologia e le scienze umane in generale (ad eccezione delle discipline storiche), come se, un dettaglio così strettamente legato alla sfera corporea e soggettiva, potesse essere causa di imbarazzo o senso di colpa, per il legame così prossimo che intrattiene con la sfera fisica e materiale. Ciò non significa che non fosse presente, ma, da un lato: “lo sviluppo di una vera e propria sociologia dell’alimentazione è stato rallentato da un certo grossolano snobismo non solo per tutto ciò che ha il sapore del quotidiano, ma anche per tutto ciò che è legato alla sfera domestica e quindi, sulla scorta di un’eredità 4 Elena Battaglino, Il gusto riflessivo. Verso una sociologia della produzione e del consumo alimentare,cit., p.9 5 Elena Battaglino, Il gusto riflessivo. Verso una sociologia della produzione e del consumo alimentare,cit., p.12 IV ottocentesca difficile da eliminare, al lavoro femminile, di cui quello in cucina è certamente tra i più creativi.”6 Dall’altro lato: “la sociologia ha stentato non tanto ad accorgersi del carattere sociale dei nostri gusti in fatto di cibo o di come, attraverso la cucina vengano continuamente prodotte, riprodotte e modificate le identità sociali, quanto a tematizzare l’alimentazione come un oggetto di ricerca in quanto tale.”7 Oggi, grazie all’incontrastato dominio dei mezzi di comunicazione di massa e alla mercificazione globale di ogni aspetto della dimensione umana e sociale, è possibile analizzare il fenomeno più specificatamente, soffermandosi sull’oggetto di ricerca in quanto tale da molteplici punti di vista. Anche il campo alimentare (e in particolare la comunicazione che lo riguarda) è stato contaminato dallo “sfacelo di tutte quelle che finora erano ovvie e banali certezze”8 . “Nella modernità la scienza, prima di essere catapultata sotto i riflettori mediatici che tutto appiattiscono, rappresentava per l’uomo comune ‘lo scrigno delle certezze di un mondo divenuto precario e incontrollabile’ (Parini, 2006, p.61). Per converso, gli elementi che caratterizzano la modernità radicale sono invece riconducibili al venir meno della fiducia nella scienzatecnica, all’affermazione di valori post materialisti, al ritorno al valore della libertà in luogo di quello della sicurezza, alla diffusione del pensiero debole (Vattimo e Rovati, 1983) come effetto della fine delle grandi narrazioni, della crisi della ragione, del fallimento dello 6 Roberta Sassatelli, L’alimentazione, gusti, pratiche, politiche, RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA /a. XLV, n. 4, ottobredicembre 2004, p. 476 7 Idem, p. 475 8 Ulrick Beck, L’epoca delle conseguenze secondarie e la politicizzazione della modernità, in U. Beck, A. Giddens, S. Lash, Modernizzazione Riflessiva, Asterios Editore, Trieste, 1994, p. 29 V strutturalismo come ultima istanza di rendere intelligibili i meccanismi di opera e azione umana.”9 Da queste parole è possibile evincere che, caratteristica principale della modernità radicale o modernità riflessiva, sia uno stato di insicurezza globale, laddove la produzione di beni materiali si è dovuta confrontare con una quanto mai esorbitante quantità di beni immateriali, soprattutto in termini di informazione, cedimento del welfare state e preponderanza della questione del rischio. (Stefano Nobile, 2007). Possiamo dunque affermare che la modernizzazione riflessiva ha democraticamente distribuito il rischio (U. Beck, 1994), rischio che si distingue dal pericolo, perché il primo prodotto dall’uomo stesso nel corso della prima modernità il secondo presente da sempre in natura. (Luhmann, 1991). Potremmo dire che il rischio ci sovrasta. Quindi la seconda modernità è la sequenza imprevista, una forma di barbarie fabbricata dalla prima modernità, risultato della “somma di tutti gli sforzi per prevenirla”, quindi un ‘riflesso’, un effetto secondario, pensabile come reazione, concretizzata nella “capacità che la società ha di riflettere su se stessa”. (Stefano Nobile, 2008) “Nel campo dell’alimentazione questo discorso è perfettamente palpabile: mangiando, assumiamo nel nostro corpo qualcosa che vorremmo essere certi che non ci avveleni. Eppure, e torniamo alla modernizzazione riflessiva, oggi paghiamo il fio della radicalizzazione della modernità: allevamenti intensivi e colture agricole massicce hanno messo a nudo la fallibilità dello sfruttamento indiscriminato della tecnica.” 10 Per dirlo con altre parole, la conoscenza (in campo agroalimentare), che avrebbe dovuto liberare l’uomo dalla paura, è stata radicalizzata a tal punto da costituire essa stessa una minaccia, si è pertanto riflessivizzata. In tal senso si sono riflessivizzati anche gli stili alimentari e la comunicazione che li riguarda e sostiene. L’Institut pour la recherche en Marketing de l’Alimentation Sante ha condotto per conto dell’Università La Salle di Beauvais una ricerca sulla 9 Elena Battaglino, Il Gusto Riflessivo, cit., p. 128 10 Idem, p. 137 VI cacofonia alimentare, definita come “l’ensemble synchronique de discours concernant l’alimentation qui provoquent une dissonance cognitive”11 In pratica le informazioni contenute nella comunicazione destinata ai consumatori sono spesso diacroniche, e sovente possono trarre in inganno, il paesaggio mediatico della comunicazione alimentare e nutrizionale si presenta disordinato e assolutamente incapace di fornire indicazioni utili alle scelte del consumatore. Il processo di comunicazione che avrebbe dovuto costituire la prima fonte di informazione orientata al fruitore finale si rivela essere l’esatto opposto. Il consumatore si trova pertanto in balia di una miriade confusa di informazioni del tutto inutili al suo processo decisionale e spesso causa di scelte non in linea con il proprio modus vivendi. Informazioni che non fanno altro che sradicare i rapporti sociali dai loro «contesti locali di interazione» (Giddens, 1994, p.32), Giddens parla di sistemi esperti per indicare la realizzazione più propria di questa modalità; il sistema alimentare della seconda modernità deve essere analizzato e studiato in quest’ottica analitica (Nicolosi, 2007, p.36) che presuppone il concetto di fiducia come elemento essenziale per il buon funzionamento del sistema. “Ora, l’aspetto più rilevante, ai fini del nostro discorso, è dato dal fatto che buona parte di questi sforzi è di tipo comunicativo. Questo fatto implicitamente riconosciuto da Giddens quando poggia la sua analisi dei nodi d’accesso sulla sociologia di Goffman, è a mio avviso, decisivo. In realtà tutta la forza e/o la debolezza del sistema esperto dipendono dal funzionamento dei processi comunicativi che lo animano o lo investono. […] Infatti i media, specie quelli elettronici e telematici, sono in grado di influire sulla definizione della situazione aggirando i limiti materiali imposti dalle strutture fisiche e dalle distanze geografiche e temporali: abbattono, per ciò, le barriere comunicative costruite per mantenere la separazione tra scena e retroscena.” 12 La seconda modernità si caratterizza anche e soprattutto per l’onnipresenza pervasiva delle strategie di comunicazione in ogni ambito dell’attività umana, pertanto anche nell’alimentazione. 11 www.iremas.org (Institute pour la Recherche en Marketing de l’Alimentation Santé) 12 Guido Nicolosi, Lost Food, cit. p.39-40 VII Dal momento che già Feuerbach si era pronunciato sull’identità tra mangiare ed essere, (siamo ciò che mangiamo) ci risulta sempre più difficile comprendere i caratteri più peculiari della nostra esistenza in pietanze di cui spesso non conosciamo assolutamente nulla, nel peggiore dei casi neppure lo stretto contenuto nutritivo. Anche nutrirsi, come del resto tutto l’insieme di pratiche che regolano l’agire umano è diventato uno specchio frammentato di una società eccedente nei consumi di oggetti e relazioni, il cibo infatti non ha più un referente di significato che lo caratterizzi come originale, è un frammento come tanti. Nutrirsi di alimenti schizzofrenici porta alla frammentazione dell’identità, l’alimento viene infatti incorporato e rappresenta il mondo esterno, è caratterizzato quindi da una consistente componente simbolica. “Per rispondere a tale profondo sentimento di incertezza sono state sviluppate due strategie finalizzate a ridonare al cibo l’identità perduta: l’etichettatura (tracciabilità, garanzia d’origine ecc.) e la narrazione pubblicitaria. L’idea qui avanzata consiste nel fatto che entrambe cercano di dare risposta alla privazione arrecata agli uomini e alle donne dal fatto di dover mangiare oggetti astratti (i prodotti alimentari moderni) realizzando una forma artificiale di comunicative re-embedding.”13 Attraverso ‘discorsi’ e ‘marche’ il cibo ritrova la propria identità perduta, la comunicazione svolge la funzione di anagrafe del prodotto-cibo, assicura un nome, un significato e attraverso la narrazione il cibo torna ad avere un registro identitario definito. Presso il Dapsi (Dipartimento d’analisi dei Processi Politici Sociali e Istituzionali) e nell’ambito della cattedra di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Catania si è svolta un’analisi per indagare le variazioni avvenute all’interno del discorso pubblicitario 13 Idem, cit. p.43 VIII sulcibo. A seguito di un’indagine effettuata con il metodo socio-semiotico14 14 Sviluppo del quadrato semiotico di Floch. “Si tratta di un modello a quattro quadranti ciascuno dei quali definito dall’opposizione di due categorie concettuali: ‘relativo’/ ‘assoluto’ e ‘oggettivo’/ ‘soggettivo’. Le categorie semantiche così delineate vengono rappresentate graficamente attraverso l’incontro di quattro piani (oggettivo, soggettivo, relativo, assoluto) in grado di originare la definizione dei quattro quadranti in questione (figura) Il regime posizionale si concentra sulle qualità intrinseche ed oggettive del prodotto, l’autenticità detiene un valore assoluto, la pubblicità corrispondente è quella d’identità tra ciò che è e ciò che si dice (Ferraro 1998); il regime causale si concentra sui valori legati all’efficacia, alla forza, all’energia e al potere, le regole e la misurazione hanno valore assoluto, la dieta rappresenta la figura emblematica, la pubblicità corrispondente è di tipo informativo (Ferraro 1999); il regime prospettico privilegia l’esclusività, l’elitarietà, l’unicità, rimanda a prodotti di nicchia e di lusso, la pubblicità corrispondente in questo caso è quella personalizzante (Ferraro 1998); il regime multiprospettico presenta l’interazione e l’integrazione di diverse prospettive, la pubblicità che ne segue è di tipo seduttivo. IX (modello di Guido Ferrero) è emerso che la narrazione pubblicitaria ha subito dei cambiamenti importanti in corrispondenza di altrettanto importanti “passaggi cronologici topici” (Nicolosi, 2008). In conclusione l’analisi della comunicazione su stampa ha evidenziato che a seguito di eventi particolarmente significativi (es. BSE) è avvenuto dapprima uno spostamento da una discorsività razionale ad una ti tipo mitologico, inoltre la comunicazione causale da un punto di vista contenutistico si ibrida con quella posizionale, per il regime causale diminuisce la preponderanza del benefit energia e subentra quello di salute/ sicurezza. “La comparsa di frequenti casi di ibridazione evidenzia che la pubblicità, di fronte al fenomeno di diffusione delle ansie alimentari, nella foga della guerra comunicativa, sembra forzare la tradizionale X distinzione tra pensiero mitico e pensiero scientifico e concretizzare, così, in un unico atto testuale, ciò che Levi-Strauss aveva riconosciuto: la loro comune essenza ordinatrice.” 15 Attorno a queste analisi si concentra l’indagine proposta da Guido Nicolosi sulla società da lui denominata ortoressica, ovvero ossessionata dal consumo di cibi “giusti”, “corretti”. Nicolosi ritiene che tale sindrome sia prepotentemente collegata e tre fenomeni specifici della modernità: «l’erosione della vincolatività delle norme che regolano la giusta dieta (indebolimento dell’ordine culinario), l’allontanamento, nella filiera alimentare, del produttore dal consumatore (opacità del cibo) e la chiusura simbolica in chiave individualistica del corpo umano.» (Nicolosi, 2008) Ciò che caratterizza da sempre la questione alimentare in maniera imprescindibile è il principio di assimilazione per incorporazione, ciò che è cambiato nel tempo è che la matrice di tale incorporazione da comunitaria è divenuta individualistica (anomica) (Nicolosi, 2008). È in questa passaggio che il corpo diviene «luogo geometrico per la riconquista del sé, tentativo di esplorazione sensoriale e, infine strumento per un contatto sociale vissuto come contatto narcisistico» (Nicolosi 2008) Secondo il sociologo finlandese Pasi Falk (1994) l’organizzazione sensoriale umana dipende dalle condizioni dell’ordine socio-culturale, non si tratta quindi di una costante biologica. Ciò significa che il corpo da totalmente aperto al mondo e alla comunità con cui si fondeva e quindi condivideva tutto, soprattutto il cibo, diviene un corpo chiuso (e solo?). “Sempre secondo Falk, infatti, l’erosione nel tempo, dei codici alimentari culturalmente condivisi ha implicato la valorizzazione dell’organo bocca come sito privilegiato del gusto e del giudizio (etico ed estetico) del singolo.”16 Ciò che rimane della dimensione collettiva pertanto è solamente la comunicazione garantita dalla conversazione dei commensali. Ma veniamo al punto che interessa maggiormente: 15 Guido Nicolosi, Lost Food, cit., p. 49 “Secondo Lèvi-Strauss, infatti, la grande differenza tra le due forme di ordinamento del mondo consiste nel fatto che il pensiero scientifico per risolvere un problema lo scompone; laddove il pensiero mitico si esprime come forma di pensiero totale (Lèvi-Strauss, 1978)” 16 Guido Nicolosi, Lost Food, cit., p. 63 XI “L’individualizzazione delle scelte alimentari è strettamente correlata alla diffusione generalizzata di strategie razionali di cura dell’alimentazione17; cui fa eco la proliferazione dei consigli della scienza nutrizionale e l’incremento dell’attenzione mediale riconosciuta al tema della “giusta alimentazione”. Nell’epoca del trionfo dell’individualismo il corpo deve rappresentare il fulcro del controllo (narcisistico) degli istinti e delle debolezze. A questo diktat neanche il corpo femminile che, a partire dagli anni ’70, parallelamente ai processi di emancipazione sociale e politica della donna, subisce una profonda trasformazione che ne sconvolgerà la matrice culturale: da riproduttiva a produttiva. […] E’ il trionfo della magrezza e della tonicità, simboli di produttività, contrapposti alle adiposità che marcavano il culto passato della fertilità. (Fischler, 2001). Ora il corpo moderno (individualizzato) di cui parla Falk è un corpo ideale, “nobile”, puro, autonomo e separato (dagli altri corpi). È un corpo kantiano opposto a quello grottesco descritto da Bakhtin (Benbow, 2003). Un corpo ossessionato dal controllo dei suoi orifizi. Seguendo l’analisi etimologica fatta da Mary Douglas, il corpo moderno è un corpo che aspira alla santità, intesa come separazione ed integrità: entrambi attributi della divinità (Douglas, 1993, 94-96). Un’aspirazione che possiamo verificare nell’incremento esponenziale della rilevanza attribuita al controllo dei confini del corpo.”18 C’è una sorta di ascetismo in questa concezione, una trasformazione radicale dei fini, ovvero, non si tratta più di soddisfare il desiderio di nutrire il proprio corpo con alimenti che possano risultare piacevoli al gusto; ora si tratta di tendere ad un modello che la società anomica ha stabilito essere quello di fitness nell’accezione che ne fornisce Bauman. Ovvero, quella condizione per la quale il corpo gode di se stesso e degli obiettivi di perfezione che quotidianamente tenta di raggiungere. Per guanto fit possa divenire il corpo, non lo sarà mai abbastanza, non c’è un obiettivo prestabilito da raggiungere, l’obiettivo è infinito, perché ciascuno può diventare sempre più fit, quindi persiste sempre un’assenza di fitness alimentata dalla comunicazione globale da cui siamo sommersi. L’individuo della modernità riflessiva è ossessionato dunque dal non rispettare le regole imposte dalla società (da lui stesso creata), in campo 18 Guido Nicolosi, Lost Food, cit., p. 64 XII alimentare il grasso è divenuto il “casus belli” della guerra mediatica e culturale del nuovo secolo “Guerra che è semplicemente l’ennesima versione aggiornata della perenne contesa tra libertà e sicurezza, le due indispensabili e ambite caratteristiche (notoriamente difficili da conciliare) di qualsiasi vita umana sopportabile o desiderabile. L’ascesa della ‘questione grasso’ segue a stretto giro, e in modo scontato, la promozione del corpo del consumatore a obiettivo centrale di marketing e della cura del corpo a principale argomento di vendita dei prodotti di consumo.”19 La cura del corpo e la salute costituiscono naturalmente dei valori da perseguire, la questione che qui vuole essere puntualizzata è la concezione di cura del corpo e di salute che ha assunto le forme di una nevrosi culturale, che prende il nome di ortoressia. Guido Nicolosi sottolinea che per comprendere la società da lui definita ortoressica è necessario ricordare come il discorso cardine sia quello della dieta perfetta, identificata attorno agli anni ’50 nel regime alimentare mediterraneo. Assodata la questione che numerosi studi ed indagini hanno dimostrato la non esistenza di un preciso regime alimentare mediterraneo (fatta eccezione per il trinomio, vino, olio, pane), emerge che il «Mediterraneo, quindi, ha svolto una funzione utopica di non luogo senza tempo (fondamentalmente coincidente con l’immagine americana idealizzata dell’Italia meridionale) fondato sul rispetto dei principi di tradizione, frugalità e austerità (Fischler, 1996)» (Nicolosi , 2008) Ciò che si può dedurre è la crescita d’importanza che va assumendo la rassicurante idea di tradizione, che si contrappone all’immagine di progresso artificiale che ha dominato l’immaginario di un passato non troppo lontano. Sappiamo che la contrapposizione tra naturale e artificiale costituisce una forma assai rilevante di significazione che rimanda ad altre contrapposizioni simboliche caratteristiche della modernità. “Attorno al concetto di ‘naturale’ infatti, ruota un’articolata costellazione di concetti tutti riconducibili ad un unico sistema paradigmatico: originale, primitivo, vero, tradizionale, rurale, puro, incontaminato, saporito, bello, sano, buono ecc. Di contro il concetto 19 Zygmunt Bauman, Vita liquida, cit., p. 108 XIII di ‘artificiale’ rimanda a: culturale, moderno, urbano e civile, ma anche corrotto, malsano, brutto, insapore, cattivo, falso.”20 Non avere controllo sulla filiera da parte del consumatore, rende l’esperienza alimentare qualcosa di sconosciuto e per certi versi angosciante, ciò che un tempo rappresentava l’evoluzione da natura a cultura oggi è percepito sempre più come rischio per se stessi e per l’ambiente che ci ospita. Le strategie di Marketing e comunicazione hanno ben afferrato questo concetto e se ne servono prepotentemente nella costruzione del loro immaginario, e questo accade non solamente per prodotti alimentari destinati al mercato del Biologico, dello Slow Food o delle varie denominazioni d’origine ma anche per mercati che hanno sempre rappresentato esattamente la categoria semantica opposta. Mi riferisco alla nuova strategia di comunicazione adottata per esempio dalla catena McDonald France, che utilizza il concetto di Développement Durable per la promozione dei propri prodotti. Innanzitutto ha modificato i colori del proprio claim, lo sfondo è verde, il marchio è giallo. L’home page del sito internet dedicato riporta un’immagine di un cielo limpido, azzurro; il menù del sito è pulito, quasi scarno, come se non ci fosse edulcorazione nella comunicazione, ma soltanto il prodotto. Figura 1. Home page del sito www.mcdonalds.fr Lo stile dei caratteri utilizzati è lontano dall’idea di fast, sono caratteri classici, eleganti, che evocano addirittura la remota possibilità di una calligrafia manuale. 20 Guido Nicolosi, Lost Food, cit., p.72 XIV Figura 2. Esempio di stile calligrafico “McDonalds: un produit pour chaque envie” recita il claim relativo alla descrizione dei prodotti disponibili che vengono presentati come un allettante “Découvrir notre carte”. Nel menù in alto inoltre è possibile trovare le sezioni “manger équilibré”, del resto è unanimemente noto, dopo “King Size Me” che McDonalds propone sempre e solo cibi nel religioso rispetto della razione giornaliera consigliata, ma anche “Sortir in famille” (si spiega da sé) e “côté environnement” dove è possibile conoscere le iniziative in favore della sostenibilità ambientale, come la riduzione del consumo d’acqua, di energia elettrica, la pulizia delle strade, la politica di riciclo degli imballaggi. Addirittura è nato un blog a questo scopo consultabile all’indirizzo internet www.mcdonalds-environnement.fr che si occupa solo ed esclusivamente di temi rilevanti per la sostenibilità ambientale in riferimento alle strategie produttive di McDonalds France. XV Nel mese di Maggio 2009 è stato intervistato Eric Gravier, vice presidente delle Pubbliche Relazioni e dello Sviluppo Sostenibile di McDonald France, che ha fatto della sostenibilità l’asso strategico per promuovere in maniera vincente un mercato attaccato su molti fronti e a dire il vero, un facile bersaglio. (cfr Bauman, 2008) Inizialmente, di primo acchito, ad un’analisi superficiale, tutto questo sarebbe potuto sembrare solamente un’abile mossa di Greenwashing 21, ma non è così. Una delle domande che viene posta è la questione in termini di tempo, ovvero da quando McDonald ha iniziato ad interessarsi di sviluppo sostenibile, la sincera risposta è che il tutto è iniziato negli anni ’90, con la riduzione e la modifica degli imballaggi, da contenitori isotermici si è passati a scatole in cartone riciclato:“pour des questions de coût d'abord, puis pour des raisons esthétiques, les préoccupations environnementales 21 Neologismo creato per indicare l’appropriazione indebita di virtù ambientaliste da parte di aziende, entità politiche od organizzazioni finalizzata alla creazione di una immagine positiva anche a seguito di reali impatti ambientali negativi. XVI sont venues au fil du temps.”22,oggi una delle priorità è l’eliminazione degli imballaggi, la diminuzione dei gas responsabili dell’effetto serra e quindi diminuire il numero di rifiuti23 . Lo sviluppo sostenibile riguarda anche le condizioni di lavoro dei salariati24, la formazione, le prospettive di evoluzione, la diversità, ma anche le relazioni con i fornitori e le qualità nutrizionali dei prodotti. Un’altra questione rilevante è il perché della scelta di comunicare attraverso questi soggetti, la risposta è che è difficile avere una grande marca senza una grande impresa, è ancora più difficile amare un marchio che non si comporta bene, per questo motivo è necessario comunicare attraverso i propri comportamenti e pratiche aziendali, una sorta di istituzionalizzazione al fine di conseguire legittimità dove anche la sostenibilità è divenuta una merce. Altre questioni riguardano il cibo stesso, la questione della provenienza (quindi della tracciabilità della filiera) è molto importante, ma per il momento, gli approvvigionamenti non possono essere limitati solamente agli allevamenti francesi, perché sono insufficienti, ma comunque non si esce dalle frontiere europee; il biologico invece è proibitivo per una questione di budget. Riassumendo il tutto attualmente la politica di McDonalds France la possiamo riassumere con le battute finali dell’intervista ad Eric Gravier : «Nous travaillons sur la mise en place d'une communication 22 www.strategie.fr 23 «Con la crisi ecologica si è diffusa la consapevolezza che le istituzioni della prima modernità, quella della società industriale, in particolare la tecnica e l’industria, non possono controllare molte delle conseguenze che hanno determinato» (Beck, 1994) 24 «si sta aprendo un nuovo, profondo abisso tra i proprietari del posto di lavoro e dei mezzi di produzione, da una parte, e l’esercito crescente dei non più sfruttati, senza lavoro (retribuito), dall’altra.»(Beck, 1994) XVII écologiquement responsable 25. Nous regardons ce qui peut être rapidement amélioré et ce qui prendra plus de temps.» Ora non stupisce che sugli imballaggi delle pietanze figurino galline ruspanti disegnate con il gesso bianco su una vecchia lavagna nera, sacchi in iuta contenenti patate di campo, cuori di lattuga fresca, formaggio Monterrey. Non stupisce neppure che, all’interno dei ristoranti della catena a Parigi vengano distribuiti opuscoli informativi dal titolo “Tout Savoir sur la nutrition” che divulgano informazioni sulla corretta alimentazione e sui contenuti nutritivi delle pietanze firmate McDonald. 25 «L’ecologia ambientale contemporanea è nata principalmente come reazione a un’evidente capacità distruttiva dell’uomo. Ciò nonostante, la nozione stessa di “ambiente”, se paragonata a quella di “natura”, segnala una transizione molto profonda. L’ambiente, che non sembra nulla più che un parametro indipendente dell’esistenza umana, è in realtà l’opposto: è la natura completamente trasfigurata dall’intervento umano. Cominciamo a parlare di “ambiente” soltanto una volta che la natura, come la tradizione, si è dissolta. […] La socializzazione della natura significa molto più del semplice fatto che il mondo naturale porta sempre più visibili i segni delle ferite inflittegli dall’umanità. È da molto tempo che l’azione umana lascia il proprio marchio sull’ambiente fisico: la stessa invenzione dell’agricoltura significa rimozione dell’ecosistema naturale allo scopo di creare un habitat in cui gli esseri umani possano coltivare le piante o pascolare gli animali che vogliono.»(Giddens, 1994) XVIII Questa nuova forma di comunicazione, da me anticipata nella mia tesi di laurea26 , si applica quanto mai appropriatamente alla società delle conseguenze secondarie: chi l’avrebbe mai detto che McDonald sarebbe potuto diventare l’avanguardia reale di uno sviluppo sostenibile nella comunicazione agroalimentare? Nella mercificazione globale e collettiva, nella tensione tra piacere e obiettivo da raggiungere, è possibile davvero capitalizzare la sostenibilità? 26 « Il sistema pubblicitario, che pullula, inquina, devasta e rapina vie di comunicazione, mezzi di trasporto, stazioni, stadi, spiagge, appropriandosi di tutto lo spazio fisico e mentale della collettività potrebbe essere lo stesso mezzo che promuove, implementa e produce una gestione responsabile delle risorse reduci dal nostro saccheggio incontrollato. Si potrebbe proporre (se non è già stato fatto) una sorta di marketing responsabile, o, per un effetto d’impatto lo si potrebbe chiamare Marketing del rifiuto, nel senso di una promozione sistematica di tutte quelle merci dotate di testamento, per poter morire serene donando i loro organi a qualcuno che attende solo di riceverli.» XIX Bibliografia G. Nicolosi, Lost Food, comunicazione e cibo nella società ortoressica, Ed.it, Catania, 2007, p.36 E. Battaglino, Il Gusto Riflessivo:verso una sociologia della produzione e del consumo alimentare, Bonanno Editore, AcirealeRoma, 2007, p.23 G. Trani, Sedotti e Comprati: La pubblicità nella società della comunicazione, Elèuthera Editrice, Milano, 2002, p.7 Z. Bauman, Vita Liquida, Laterza, Bari, 2008, p.84 U. Beck, A. Giddens, S. Lash, Modernizzazione Riflessiva, Asterios Editore, Trieste, 1994, p. 29 R. Sassatelli, L’alimentazione, gusti, pratiche, politiche, RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA /a. XLV, n. 4, ottobredicembre 2004, p. 476 XX M. Douglas, Purezza e Pericolo, Bologna, Il Mulino, 1993 C. Lévi-Strauss, Il Pensiero Selvaggio, Milano, Il Saggiatore, 1966 N. Luhmann, Sociologia del Rischio, Milano, Bruno Mondadori, 1996 F. Braudel, Il Mediterraneo, lo spazio, la storia, gli uomini, la tradizione, Milano, Bompiani, 1992 P. Falk,The Consuming Body, London, Sage, 1994 www.iremas.org www.strategie.fr www.mcdonalds.fr XXI