Parlare di un`opera come Décade è certamente un`impresa ardua

Parlare di un’opera come Décade è certamente un’impresa ardua per qualsiasi buon
recensore. Un’esperienza talmente difficile e ambigua nel suo genere da non poter essere
descritta con termini certi: è un disco di musica, ma allo stesso tempo non lo è. E’ una
raccolta di poesie, ma allo stesso tempo non lo è. Troppo subdola per poter essere bollata
come elettronica minimale. Non così originale e provocatoria da poter essere definita come
musica sperimentale al 100%. Spiazza, ma non ferisce. Si lascia ascoltare, ma solo a patto di
centellinare ogni singolo secondo di ciascun brano. Un esperimento lodevole, ambizioso,
forse troppo ambizioso, ma di cui non è poi così semplice stabilire la riuscita o meno.
L’esito finale di questo disco, a conti fatti, non stupisce, considerate le tre anime che vi si
celano dietro. Cominciamo da Anne-James Chaton: uno dei più originali poeti
contemporanei viventi, ama definirsi un “poeta del suono”, denominazione più che calzante,
dal momento che è la sua poesia a modellare la musica che accompagna la recitazione, e non
viceversa, come spesso accade. Ha scritto testi per band come gli Innocent X e i The Ex, di
cui Andy Moor è il chitarrista, e con il quale Anne-James avrà modo di intessere più di una
volta proficui sodalizi artistici.
Per poter capire chi sia Andy Moor (da non confondersi con un altro Andy Moor distante anni
luce dal chitarrista in questione, vale a dire quello trance), sarà d’uopo illustrare brevemente
la musica dei The Ex: si tratta di quanto di più bizzarro e inusuale ci sia in circolazione, in
virtù di un’ardita fusione sonora tra post punk e no wave (corrente artistica contemporanea la
cui musica è basata sul ricorrente uso di ruvidi suoni atonali e la predilezione alla struttura del
suono anziché alla melodia, una sorta di feroce critica contro un grande mainstream musicale
spasmodicamente alla ricerca del motivetto orecchiabile a tutti i costi).
Ai due, nel 2009, si aggiunge il musicista elettronico Alva Noto, già conosciuto per i lavori
realizzati in coppia con quel mostro sacro della musica sintetica nipponica che risponde al
nome di Ryuichi Sakamoto. Una minimale ben fatta, non glielo si nega, ma niente di
trascendentemente criptico dal punto di vista stilistico.
Décade è generato quindi dallo sforzo congiunto di tre artisti provenienti dai background più
disparati, uniti solo dal sottile filo rosso dell’arte con la A maiuscola, quell’arte capace di
abbattere ogni barriera e distruggere qualsiasi convenzione. Ma se già i lavori precedenti del
duo Chaton-Moor si contraddistinguevano per una marcata inclinazione verso l’ipnotismo e
l’essenzialità portata all’estremo, la componente elettronica introdotta da Alva Noto in questo
lavoro accentua tali caratteristiche, ma in una maniera forse più prevedibile di quel che ci si
poteva aspettare.
Mi soffermerò brevemente sull’aspetto prettamente musicale del disco, in quanto secondario
rispetto al grande disegno dell’opera. Suoni pizzicati, picchiati con violenta brevità, che
creano un tappeto sonoro più che adeguato alla voce recitante e volutamente monotona di
Chaton, si alternano ad altri più sostenuti e lunghi, ma solo per sfociare in un narcotismo
ancora più accentuato e, per certi versi opprimente. Un sound molto “sporco”, basato
interamente sull’improvvisazione (com’è tradizione nei lavori di Chaton), che qui in
particolare risente molto delle influenze elettronico-minimali di Noto, che purtroppo, per
quanto talentuoso che sia, difetta di quell’elemento “inopinato” proprio di Moor e Chaton, col
risultato che non sempre il binomio minimal-arte contemporanea promosso dal disco riesce ad
esplicarsi sempre con fare armonioso (in effetti nell’album sono presenti stilemi sonori
facilmente ravvisabili in artisti tutt’altro che di nicchia, Ricardo Villalobos su tutti).
Il fulcro di Décade, ormai lo si è capito, non è tanto la musica in sé, aspetto sì di secondo
piano ma tutt’altro che marginale o, peggio, effimero, ma le poesie che Anne-James Chaton
recita, con lo stesso flemma di un monaco buddhista in meditazione nell’atto di enunciare dei
mantra. Mantra fatti di oggetti, nomi, parole tenute insieme da un denominatore comune.
Quelle che infatti, a un ascolto superficiale, sembrano delle lunghe e noiose liste della spesa,
in realtà celano delle piccole opere di arte concettuale, e l’ascoltatore arguto se ne avvede se,
e solo se, all’azione uditiva somma quella intellettuale. Un esempio su tutti è sicuramente il
brano “US Border”, in cui Chaton legge una serie di parole del tipo “name, last name, middle
name, surname, religion, date of birth…”. Per comprendere il senso di tale sequenza,
bisognerà necessariamente rifarsi al titolo della canzone, US Border, cioè “confini americani”.
Solo allora si arriverà a capire che il brano intende essere un rimando storico alla grande
immigrazione statunitense che ha caratterizzato il secolo corso, ma anche ad Angel Island, e
di conseguenza ad alcune delle pagine più buie della storia americana. E per estensione, alla
condizione del migrante, considerato individuo non in virtù dei suoi sentimenti, ma di qualche
freddo e asettico dato anagrafico stampato su un pezzo di carta.
Ormai l’avrete certamente capito: Décade non è un album di facile ascolto, non è il disco che
mettereste volentieri sul vostro stereo in macchina, né l’album che vorreste ascoltare
comodamente seduti sul salotto di casa vostra. E’ un esercizio intellettuale impegnativo e non
sempre appagante. All’ascoltare decidere se raccogliere la sfida e prestarsi al gioco o se
rimanere in disparte e apprezzare l’album in virtù della sua seconda natura di disco di musica
elettronica (cosa che forse riuscirà più facile agli amanti di tutto ciò che è minimal, e
decisamente più difficile a tutti gli altri).
E’ chiaro come un’opera del genere esuli da qualsiasi giudizio di carattere unilaterale (quale
può essere, per l’appunto, una recensione nel senso tradizionale del termine), onde per cui
etichettarla come “bella” o “brutta” suonerebbe quantomeno arrogante, se non oltraggioso e
offensivo nei confronti dell’intricato lavoro svolto da questo inedito trio. A ciascuno di voi,
dunque, la sentenza definitiva.
Piccola polemica in calce: Dècade è facilmente reperibile su molti webstore, è spesso
catalogato in modo preoccupante come “musica elettronica” e i nomi di Chaton, Moor e Noto
figurano accanto a quelli di artisti come Slam e Kollektiv Turmstrasse. Se poi dicono che le
categorizzazioni pedisseque ammazzano la creatività, un motivo ci sarà pure!
(Emanuele Rizzuto)
http://www.radiobombay.it/ Italie july 2012