2501-bis Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento “Nel caso di fusione tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, quando per effetto della fusione il patrimonio di quest'ultima viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti, si applica la disciplina del presente articolo. Il progetto di fusione di cui all'articolo 2501-ter deve indicare le risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione. La relazione di cui all'articolo 2501-quinquies deve indicare le ragioni che giustificano l'operazione e contenere un piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle risorse finanziarie e la descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere. La relazione degli esperti di cui all'articolo 2501-sexies, attesta la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del precedente secondo comma. Al progetto deve essere allegata una relazione della soggetto incaricato della revisione legale dei conti della società obiettivo o della società acquirente. Alle fusioni di cui al primo comma non si applicano le disposizioni degli articoli 2505 e 2505bis”. * Articolo introdotto dall’art. 6, d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, di riforma del diritto delle società e modificato dall’art. 5, lett. ccc) del d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Articolo modificato dall’art. 31 del d. lgs. 39/2010. IMPORTANZA ●●● – La riforma delle società ha inteso introdurre – rectius, legittimare – nel nostro ordinamento le operazioni cosiddette di “merger leveraged buy out”, già in vigore nella prassi aziendale con sostanziali problemi di compatibilità rispetto al divieto di assistenza finanziaria di cui all’art. 2358 c.c.. Pur non sedando in maniera definitiva il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, la norma contribuisce ad adattare il sistema a tale tipologia di operazione “a rischio”, predisponendo condizioni di legittimità a tutela dei soci e dei creditori. CONTENUTO – La norma innanzitutto – al primo comma – definisce la fattispecie di “fusione a seguito di acquisizione con indebitamento” stabilendo poi, nei successivi commi, le condizioni di legittimità di siffatta operazione con riferimento alle relazioni degli amministratori, degli esperti e della società di revisione nonché espressamente escludendo la possibilità di operare fusioni c.d. “semplificate”. FONTI E SISTEMA – Per quanto concerne la funzione e la ratio della norma è opportuno fare riferimento all’art. 7, lett. d) della legge delega per la riforma del diritto societario – l. 366/2001 nonché, a livello comunitario, alla direttiva 2006/68/CE. Per l’operatività della norma, oltre agli altri articoli “tecnici” in tema di fusione –2501-ter, quater, quinquies e sexies nonché 2505 e 2505-bis – non può omettersi il richiamo agli artt. 2357 e 2358 c.c. 1 QUESTIONI PRINCIPALI – Esatta definizione della fattispecie. Rapporto tra la fattispecie di cui al primo comma dell’art. 2501-bis ed il c.d. “merger leveraged buy out”. Compatibilità con il divieto di assistenza finanziaria, anche alla luce del “nuovo” art. 2358 c.c.. L’atteggiamento della giurisprudenza pre e post riforma. GIURISPRUDENZA ESSENZIALE Trib. Milano, 27 novembre 2008 (GMil., 2008, 11) - La norma dell'art. 2501 bis c.c., cristallizza, a tutela dei soci di minoranza e dei creditori della target, i requisiti di liceità di una particolare operazione che potrebbe prestarsi ad una elusione del divieto di cui all'art. 2358 c.c. in quanto ha in sé il rischio che l'acquirente delle quote ed il finanziatore di questi contino sulla possibilità per il primo, una volta effettuato l'acquisto, di asservire attraverso la fusione il patrimonio della società target al rimborso del debito contratto per l'acquisizione. Un debito preesistente, non contratto in funzione dell'acquisizione, può comunque aggravare la posizione finanziaria netta del target dopo la fusione, ma non dà titolo ai soci di minoranza o ai creditori di dolersi invocando la norma del 2501 bis c.c.; così come non dà titolo di ricorrere alla norma l'ipotesi in cui il rischio del finanziatore sia interamente coperto da garanzie collaterali fornite dallo stesso raider. Pertanto nelle operazioni in cui sia acquisito il controllo del target tramite un finanziamento concesso a quello scopo alla società raider, la quale pianifichi la fusione con la target, si impone l'adozione da parte degli amministratori di un procedimento di fusione "aggravato", poiché, secondo la stessa disciplina voluta dal legislature con la norma di recente introdotta, e attraverso lo strumento della pianificazione, soprattutto finanziaria, che si può discernere, nell'ambito del LBO, il lecito dall'illecito: l'operazione è legittima se il progetto di fusione o gli altri documenti informativi depositati a corredo del progetto di fusione, contengono informazioni adeguate ed attendibili circa la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie a garantire la continuità dell'equilibrio finanziario della società target, e quindi il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione (in tal caso la fusione è neutra dal punto di vista dell'equilibrio finanziario della target); se così non è, la fusione potrebbe rivelarsi fonte di danno per i soci di minoranza e i creditori della società target, il cui patrimonio potrebbe venire "asservito" al rimborso di un debito contratto per la sua acquisizione. In questi casi il danno si può manifestare nella "incongruità" del rapporto di cambio, se ed in quanto il debito della controllante ha l'effetto di deprimere in maniera illegittima - oltre, cioè i limiti di una "sostanziale conservazione" ovvero in maniera "squilibrata" rispetto ai soci di maggioranza - il valore della partecipazione posseduta dai soci ante fusione. Cassazione, 18 maggio 2006, n. 23730 (CP, 2007, 3256, con nota) - In tema di reati societari, a seguito della sostituzione dell'art. 2630 c.c. per effetto d.lg. n. 61 del 2002, non costituisce illecito penale l'operazione, inquadrabile nel più ampio schema del c.d. leveraged buy-out, con la quale, di una società operativa, sia ceduto a credito parte del pacchetto azionario ad altra società, creata in modo strumentale per effettuare il detto acquisto con previsione di indebitamento e al fine di compiere attività di gestione di interesse della prima, per poi essere destinata alla fusione per incorporazione con la medesima e ripianare il debito con gli utili dell'attività posta in essere. (In motivazione la Corte ha specificato che la condotta descritta potrebbe integrare il diverso reato ex art. 223, comma 2, n. 2, l. fall. , quale "operazione dolosa", ove si dia prova che il leveraged buy-out attuato attraverso il procedimento di fusione non era, al momento del suo avvio, sorretto da un effettivo progetto industriale). Trib. Milano, 13 maggio 1999 (Soc., 2000, 75, con nota) - Non è configurabile un negozio in frode alla legge con riferimento alla fusione, deliberata nell'ambito di un "leveraged buy out" fra la società acquirente e quella acquisita se, al momento in cui tale negozio è sorto, sussistevano concrete ragioni imprenditoriali che lo giustificavano (nella specie la sentenza valorizza il fatto che la fusione mirasse a rilanciare l'attività della società acquisita - che gestiva "statisticamente" ippodromi - con un'attività di servizi proiettata verso il futuro - la gestione delle scommesse - compatibile e sinergica, nonché in grado di generare consistenti flussi di cassa). Trib. Milano, 27 ottobre 1997 (GI, 1998, 1440) - È configurabile la nullità della fusione tra società qualora l'istituto sia utilizzato nell'ambito di un'operazione di "leveraged buy out" come strumento di elusione del divieto di fornire garanzie per l'acquisto di azioni proprie; deve pertanto ritenersi sussistente il "fumus boni iuris" ai fini della concessione del provvedimento di sospensione della deliberazione di fusione per incorporazione in una società per azioni di altra società che, costituita per l'acquisizione del pacchetto di controllo della prima, aveva a tal fine ottenuto consistenti finanziamenti presso banche depositarie di capienti liquidità della società incorporante. 2 Sommario 1. Questioni introduttive: leveraged buy out e assistenza finanziaria. – 2. Segue: il quadro giurisprudenziale pre-riforma. – 3. Segue: cenni comparatistici. – 4. La fattispecie descritta nel primo comma dell’art. 2501-bis: l’acquisizione del controllo. – 5. Segue: l’indebitamento. – 6. Segue: effetti della fusione sul patrimonio della società acquisita. – 7. Il contenuto del progetto di fusione. – 8. La relazione degli amministratori. – 9. La relazione degli esperti. – 10. La relazione del revisore. – 11. Inapplicabilità degli articoli 2505 e 2505-bis c.c.. 1. Questioni introduttive: leveraged buy out e assistenza finanziaria. LEGISLAZIONE : Artt. 2358, 2501-bis, 2504-quater c.c. – art. 7, lett. D), l. 366/2001 – art. 1, dir. 2006/68/CE – art. 23, dir. 77/91/CE. BIBLIOGRAFIA: Ardizzone, 2003 – Cacchi Pessani, 2006 – Montalenti, 1999, 2004 – Spolidoro, 2004 – Schlesinger, 2003 – Serrao D’Aquino, 2003 – Dolmetta, 2003 – Picone, 2003 – Perrino, 2004 – Salafia, 2006. Il legislatore della riforma ha introdotto una disposizione specifica avente ad oggetto la “fusione a seguito di acquisizione mediante indebitamento”, raccogliendo l’indicazione contenuta nella relativa norma della legge n. 366 del 1 ottobre 2001 (“Delega al governo per la riforma del diritto societario”). All’analisi dell’articolo in commento deve, pertanto, preludere un brevissimo accenno al contenuto di quest’ultima, giacché il legislatore delegante ha superato – quantomeno in parte – i tradizionali limiti della disciplina generale della fusione, offrendo nuovi spunti e rinnovate prospettive di tutela degli interessi dei soci di minoranza e dei creditori (Cacchi Pessani, 2007, 31). La lettera d), art. 7, della legge n. 366/2001 prevedeva che la riforma della disciplina della fusione fosse ispirata al principio per cui “le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli artt. 2357 e 2357 quater del codice civile, e del divieto di accordare prestiti e fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all’art. 2358 del codice civile.” (art. 7, lett. d, l. 366/2001) Il nuovo art. 2501-bis c.c. ha ad oggetto – come da rubrica – le operazioni di “fusione a seguito di acquisizione con indebitamento”, vale a dire le fusioni “tra società, una delle quali abbia contratto debito per acquisire il controllo dell’altra, quando, per effetto della fusione, il patrimonio di quest’ultima viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti.” Se, da un lato, il principio enunciato nella legge delega si atteggiava ad assoluta clausola “liberatoria”, prevedendo che “le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra, non comportano violazione … del divieto di accordare prestiti e fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all’art. 2358 del codice civile”, il legislatore delegato ha, dal canto suo, imposto determinate “condizioni cui la fusione in oggetto deve sottostare”. Tuttavia, l’obiezione circa una “incoerenza” tra il nuovo art. 2501-bis c.c. e gli obiettivi della delega deve essere smorzata dalla considerazione che l’art. 7 della legge delega faceva parte di un disegno di riforma dell’intera disciplina della fusione 3 nell’ambito di un’ancora più ampia riforma del diritto societario, necessitando quindi della predisposizione di strumenti idonei a tutelare i soci e i creditori della società “bersaglio” da un indebitamento tale da mettere a rischio l’equilibrio economicofinanziario della società. Il legislatore, peraltro, ha preferito evitare l’importazione letterale del concetto anglosassone di leveraged buy out, anche se la definizione legislativa contenuta nel primo comma dell’articolo – che effettivamente non copre tutte le operazioni che rientrano nell’ampia accezione di leveraged buy out – tipizza inequivocabilmente il meccanismo del c.d. merger leveraged buy out. Un’autorevole dottrina (Montalenti, 2004, 2311) ha correttamente rilevato come il legislatore della riforma abbia preferito procedere ad una legittimazione “controllata” dell’operazione di merger leveraged buy out, accogliendo le osservazioni sollevate prima della riforma da una parte della dottrina e della giurisprudenza, piuttosto che “sdoganare” tout court il fenomeno, in tutte le sue eterogenee formulazioni. Differentemente, altra parte della dottrina (Schlesinger, 2003, 706;, 33) riconosce alla norma un carattere meramente interpretativo, idoneo a dirimere il dibattito giurisprudenziale e dottrinale sorto con riferimento al divieto di cui all’art. 2358 c.c.. In altre parole, il legislatore, aderendo alla dottrina maggioritaria, avrebbe chiarito che la fusione con acquisizione a seguito di indebitamento non integra assistenza finanziaria (Cacchi Pessani, 2007). Proprio la mancanza della deroga esplicita, prevista invece nella legge delega, costituirebbe secondo altra dottrina (Serrao D’Aquino, 2003, 427; Perrino, 2004, 1946) indice della volontà del legislatore delegato di restringere i casi di LBO leciti, prevedendo espressamente nell’art. 2501-bis le condizioni cui le fusioni devono sottostare per non integrare violazione dell’art. 2358 c.c.. Non manca però chi (Picone, 2003, 1405) ipotizza che il legislatore avrebbe effettivamente fatto proprio il contenuto della legge delega, senza però riportarne espressamente il contenuto. Più difficile, invece, concordare con chi (Ardizzone, 2003, 518) propone la necessità di un sindacato di meritevolezza delle operazioni di fusione, che introdurrebbe nuovi ed imprecisati limiti all’operazione, subordinando la validità della fusione a meccanismi procedimentali e/o informativi e, soprattutto, declassando l’effetto dell’art. 2504-quater c.c. da reale a meramente risarcitorio. In effetti, però, le problematiche in parola devono considerarsi “ridimensionate” – se non addirittura superate – in conseguenza delle recentissime modifiche legislative al divieto di assistenza finanziaria. Innanzitutto, già l’art. 1, par. 6, della dir. 2006/68/CE aveva consentito agli Stati Membri di permettere alle società di anticipare fondi, concedere prestiti e prestare garanzie per l’acquisto di azioni proprie – pur nel rispetto di talune condizioni – avendo rimosso il divieto di assistenza finanziaria stabilito dall’art. 23 della dir. 79/91/CE. Ancor più rilevante, poi, rispetto alla fattispecie in commento, il nuovo testo dell’art. 2358 c.c., sostituito, con decorrenza 30 settembre 2008, dall’art. 1, d. lgs. 4 agosto 2008, n. 142, proprio in attuazione della dir. 2006/68/CE. Originariamente, infatti, l’art. 2358 c.c. disponeva che “la società non può accordare prestiti, né fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni proprie. La società non può, neppure per tramite di società fiduciaria, o per interposta persona, accettare azioni proprie in garanzia” (art. 2358 c.c. – vecchio testo) 4 mentre la nuova norma recita: “la società non può, direttamente o indirettamente, accordare prestiti, né fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, se non alle condizioni previste dal presente articolo.” (art. 2358 c.c. – nuovo testo) In sintesi, tali operazioni sono lecite se preventivamente autorizzate dall’assemblea straordinaria, devono essere “accompagnate” da una relazione degli amministratori che “illustri, sotto il profilo giuridico ed economico, l’operazione, descrivendone le condizioni, evidenziando le ragioni e gli obiettivi imprenditoriali che la giustificano, lo specifico interesse che l’operazione presenta per la società, i rischi che essa comporta per la liquidità e solvibilità della la società ed indicando il prezzo al quale il terzo acquisirà le azioni. Nella relazione gli amministratori attestano altresì che l’operazione ha luogo a condizioni di mercato, in particolare per quanto riguarda le garanzie prestate e il tasso di interesse praticato per il rimborso del finanziamento, e che il merito di credito della controparte è stato debitamente valutato. La relazione è depositata presso la sede della società durante i trenta giorni che precedono l’assemblea” (art. 2358 c.c., terzo comma – nuovo testo) e sono sottoposte all’ulteriore limite per cui: “l’importo complessivo delle somme impiegate e delle garanzie fornite ai sensi del presente articolo non può eccedere i limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato, tenuto conto anche dell’eventuale acquisto di proprie azioni ai sensi dell’art. 2357.” (art. 2358 c.c., sesto comma – nuovo testo) Risulta evidente, come si accennava supra, che l’art. 2501 bis non è più l’unico presidio per chi ipotizzava la liceità di tutte le – eterogenee – forme di leveraged buyout, giacché le condizioni imposte dal nuovo art. 2358 c.c. per la liceità delle ipotesi di “assistenza” descritte nel proprio primo comma possono considerarsi “disponibili” ed attuabili a prescindere dal tipo di operazione programmata. D’altronde, dalla lettura sistematica delle due norme emerge come principale effetto della novella l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’art. 2501 bis che, come sostenuto da autorevole dottrina, “deve applicarsi senza bisogno di alcun adattamento” (Salafia, 2009, 579). In questo senso si muove peraltro la previsione di cui all’ultimo comma del nuovo art. 2358, che fa esplicitamente “salvo quanto previsto” dall’art. 2501 bis, chiarendo espressamente che la rimozione del divieto assoluto di “assistenza finanziaria” è applicabile anche nel caso di indebitamento nei confronti della “società obiettivo” di una “fusione a seguito di acquisizione”. In ogni caso, l’analisi della nozione di “fusione con acquisizione a seguito di indebitamento”, che definisce l’ambito di applicazione della nuova disciplina e l’area di tutela riconosciuta ai soci di minoranza e ai creditori, pare effettivamente sovrapponibile allo schema tipico del merger leveraged buy out caratterizzato dal fatto che: a) una delle società partecipanti alla fusione controlla l’altra; b) il controllo è stato acquisito indebitandosi; c) per effetto della fusione il debito viene “traslato” sul patrimonio della società acquisita, con la conseguenza che “il patrimonio [della società acquisita] viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti.” 5 2. Segue: Il quadro giurisprudenziale pre-riforma. LEGISLAZIONE : Artt. 2501-bis, 2358, 2378, 1344 c.c. BIBLIOGRAFIA: Arducci, Sparano 2006 – Picone, 2001 – Manzini, 2000 – Montalenti, 1999 – Spolidoro, 2000 – Morello, 1996 – Ardizzone, 2003. Negli anni precedenti alla riforma, la questione della liceità del leveraged buy out ha interessato solo marginalmente la giurisprudenza, sia per il particolare contesto degli assetti proprietari (laddove, infatti, tali operazioni hanno ad oggetto società con una ristretta base azionaria, le possibilità di contestazioni, e dunque di giudizi, sono assai ridotte) sia per l’“ostacolo” ad eventuali pronunce di illegittimità dell’operazione costituito dalla disciplina dell’invalidità dell’atto di fusione (Adducci, Sparano, 2006, 148). Un interessante operazione di merger leveraged buy out, posta all’attenzione della giurisprudenza, riguardava invece una fusione inversa della società acquirente nella società “bersaglio”, a seguito di una acquisizione effettuata con finanziamenti esterni (Trib. Milano, decr. 27 ottobre 1997). Il giudice istruttore individuò una violazione dell’art. 2358 c.c., ritenendo “possibile che la fusione sia stata utilizzata come strumento di elusione del divieto di cui all’art. 2358 c.c.”; in quanto, a detta dei giudice, “se l’interesse tutelato da questa norma non è soltanto quello dell’integrità del capitale, ma anche quello di evitare che la società utilizzi mezzi propri per condizionare il suo mercato azionario e il conseguente assetto organizzativo della compagine sociale, il caso di specie sembra violare questo specifico interesse perché […] le azioni proprie risultanti dalla fusione verrebbero immesse sul mercato borsistico ” (Trib. Milano, decr. 27 ottobre 1997) La successiva sentenza di merito del Tribunale di Milano, dopo aver affermato che attraverso l’operazione di merger leveraged buy out “in sostanza l’acquirente ottiene il finanziamento da chi confida nella bontà dell’investimento prospettato, sfruttando l’effetto di leva finanziaria offerto dalla società da acquisire” (Trib. Milano, 13 maggio 1999) ha riconosciuto che “l’operazione in sè non presenta profili di illegittimità ed è anzi ampliamente usata sia per consentire al management di acquisire una maggiore partecipazione nell’impresa, sia per evitare il peso fiscale di una normale cessione d’azienda.” (Trib. Milano, 13 maggio 1999) Il Tribunale si è interrogato circa una possibile violazione indiretta del divieto di cui all’art. 2358 c.c., rilevando che “il risultato al quale si è pervenuti con l’operazione di fusione è stato infatti quello di far gravare il debito contratto per acquisire la partecipazione sociale sulla società risultante dalla fusione, e quindi ottenendo il risultato tipico del leveraged buy out”. (Trib. Milano, 13 maggio 1999) ed affermando, infine, la necessità di una concreta e puntuale indagine volta a determinare se l’operazione di merger leveraged buy out, unitariamente considerata, concretizzi o meno un negozio in frode alla legge. 6 Effettivamente tale rischio potrebbe presentarsi ogni qual volta la struttura del merger leveraged buy out “venga usata per aggirare lo specifico divieto di assistenza finanziaria disposto dal’art. 2358 c.c.” nondimeno “non è configurabile un negozio in frode alla legge con riferimento alla fusione, deliberata nell’ambito di un leveraged buy out, fra la società acquirente e quella acquistata se, al momento in cui tale negozio è sorto, sussistevano concrete ragioni imprenditoriali che lo giustificavano”. (Trib. Milano, 13 maggio 1999) Nel caso concreto, dopo aver accertato la ragionevolezza dell’operazione di fusione, il Tribunale di Milano la ritenne valida, atteso che “un giudizio sull’opportunità della stessa non può essere certo demandato al giudice, dovendo essere riservata la sfera della discrezionalità di impresa.” (Trib. Milano, 13 maggio 1999) Tuttavia secondo una parte della dottrina (Picone, 2001, 65;), la distinzione tra merger leveraged buy out leciti ed illeciti sulla base della “ragione economica” dell’operazione non convinceva, prestando il fianco ad interpretazioni idonee ad ampliare eccessivamente la portata del principio. Peraltro secondo l’Autore, i giudici non avevano individuato dei criteri su cui basare il giudizio di ragionevolezza, fermandosi all’individuazione di una generica logica imprenditoriale sottostante. Differentemente altro autorevole Autore (Montalenti, 1999, 2106), ha condiviso la tesi prospettata dal tribunale, prevedendo che la fusione sia “sorretta […] da reali ragioni economico finanziarie di concentrazione imprenditoriale e, soprattutto, sia inserita in un quadro di patrimonializzazione della società acquirente idoneo ad escludere che l’obiettivo primario dell’operazione consista nell’utilizzazione del patrimonio della società acquisita per ripianare il debito contratto per l’acquisizione”. (Montalenti, 1999, 2106) Effettivamente, nell’ottica di verificare la “frode alla legge”, l’assenza di ragione economica in un’operazione ben può atteggiarsi ad indizio di una elusione al divieto di assistenza finanziaria. D’altronde il vecchio art. 2358 non faceva menzione della necessità di una “incidenza negativa” dell’operazione sul patrimonio della società. Tuttavia, non parrebbe opportuno chiedere al giudice di sostituirsi – in sostanza – agli amministratori nel business judgement, rischiando peraltro di attribuire ad un giudizio meramente imprenditoriale sui risultati della fusione – peraltro effettuato ex post – il valore di parametro della liceità dell’operazione di merger leveraged buy out. Sebbene la dottrina abbia a suo tempo accolto con molte perplessità l’impostazione del Tribunale di Milano, tesa a valorizzare l’elemento della “ragionevolezza” della fusione come parametro di liceità dell’operazione, la richiesta avanzata agli amministratori dalla nuova normativa, di indicare le ragioni che giustificano l’operazione (sia dall’art. 2501 bis, 3° comma c.c., che dal nuovo testo dell’art. 2358, 2° comma, c.c.), sembra oggi attribuire rilevanza non secondaria proprio alla “giustificazione imprenditoriale” della fusione. 7 3. segue: cenni comparatistici. LEGISLAZIONE : Artt. 2358 c.c. – Sect. 54, Companies Act 2006 – Sect. 151, 153, 330, Companies Act 1985 – art. 217-9, loi 537/66 – parr. 57, 71, AKTG – dir. 68/2008/CE; 77/91/CE. BIBLIOGRAFIA: Easterbrook, Fischel, 1982 – Jensen, 1986 – Brudney, 1983 – Longstrath, 1983 – Schwartz, 1986 – Lumdsen, 1987 – Morello, 1996 – Vernimmen, Quiry, Le Fur, 2005 – Hauschka, 1987 – Gondesen, 1989 – Kerber, 1989 – Lutter, 1989. La dottrina statunitense è tradizionalmente divisa tra favorevoli e contrari alla tecnica del leveraged buy out. I primi (fra tutti Easterbrook, Fischel, 1982, 698) ne evidenziano gli effetti positivi sul piano della ristrutturazione finanziaria delle società e dell’incentivo al management, attraverso la prospettiva di guadagni personali, ad indirizzare le risorse della società verso nuove iniziative, eventualmente anche in danno degli azionisti di minoranza. Il leveraged buy out permetterebbe, inoltre, un impiego più efficiente delle risorse finanziarie, attraverso l’acquisizione di imprese con elevato cash flow ma scarse prospettive di crescita (Jensen, 1986, 323). Tuttavia, più frequenti e – probabilmente – più convincenti risultano le posizioni critiche. In primis con riferimento ai minority shareholders si è sostenuto che nelle operazioni di leveraged buy out il prezzo di cessione o liquidazione delle azioni di questi risulta spesso – anche e soprattutto per via dei c.d. insider – inferiore al reale valore . Sotto questo profilo il leveraged buy out comprometterebbe il principio dell’omogeneità di trattamento economico delle azioni e permetterebbe al management di sottrarsi al fondamentale dovere di massimizzare il valore dell’impresa (Brudney, 1983, 1073). Una possibile soluzione, secondo alcuni (fra tutti Longstreth, 1983, 34), risiederebbe in una ammissibilità del leveraged buy out subordinata alla preventiva concessione agli azionisti di minoranza della possibilità di valutare offerte alternative o di effettuare proprie valutazioni, pur riconoscendo al management la possibilità di “abortire” l’operazione, onde evitare di un mandatory sale ad acquirenti non graditi (c.d. auction approach). Nel corso degli anni le corti americane, in particolare quella del Delaware, hanno sviluppato quale requisito di validità per le operazioni di leveraged buy out la sussistenza di un business purpose (e cioè un reale scopo di affari). Allo stesso modo, l’evoluzione della casistica giurisprudenziale statunitense ha “partorito” il concetto di fraudulent conveyance, assimilabile al nostro “contratto in frode alla legge” alimentando il dibattito sulla liceità o meno del leveraged buy out per contrasto al principio della c.d. entire fairness. Passando all’ordinamento inglese, è opportuno in primis constatare che la normativa comunitaria sul divieto di financial assistance trae origine proprio dalla section 54 del Companies Act del 1948. L’originario divieto assoluto è stato tuttavia mitigato nel 1985. La section 151 del Companies Act del 1985 stabiliva infatti che “quando un soggetto sta acquistando o ha intenzione di acquistare le azioni di una società, è fatto divieto alla società o ad una qualsiasi delle sue controllate di fornire assistenza finanziaria, direttamente o 8 indirettamente, ai fini dell’acquisizione, prima dell’acquisizione o contemporaneamente ad essa”. La section 158 affermava inoltre che “quando un soggetto ha acquistato le azioni di una società ed ha assunto obbligazioni, anche se per interposta persona, ai fini dell’acquisizione, è vietato alla società ed alle sue controllate fornire assistenza finanziaria per ridurre o estinguere le obbligazioni assunte”. In assenza di una esplicita definizione legislativa del concetto di “financial assistance”, la dottrina inglese vi ha tradizionalmente ricompreso qualsiasi attività posta in essere dalla società “bersaglio” per assistere la società acquirente nell’acquisto delle proprie azioni (Lumdsen, 1987, 54; Morello, 1996, 136). Con il nuovo Companies Act 2006, nel rispetto della direttiva comunitaria 68/2008/CE il divieto di fornire assistenza finanziaria per l’acquisto delle proprie azioni è stato abrogato, con decorrenza dal 1 ottobre 2008 per le private company e dal 1 ottobre 2009 per le public company. La dottrina tedesca, che inizialmente sembrava voler ridurre il fenomeno della “fremdfinazierte Auskauf von Gesellsharfern” (il leveraged buy out) ad una mera evoluzione delle tecniche di Unternehmens Kauf (tecniche di acquisizione societaria) (Hauschka, 1987, 2169), nel tempo ha indubbiamente approfondito la questione (Gondesen, 1989, 201 – Kerber, 1989, 473). In particolare, un’autorevole dottrina ha analizzato l’operazione di leveraged buy out alla luce dei profili di illegittimità emersi nella casistica statunitense (breach of fiduciary duty, disparità di trattamento tra le azioni e fraudolent conveyance), sollevando non pochi dubbi sulla validità di questo istituto nell’ordinamento tedesco (Lutter, 1989, 1). Si è osservato, infatti, che l’art. 23, paragrafo I, della Direttiva Comunitaria 77/91/CE avrebbe una portata più ampia rispetto alla legge di recepimento tedesca (paragrafo 71 AktG), e che pertanto la normativa nazionale dovrebbe considerarsi contraria non solo ad operazioni in diretto contrasto con il precetto normativo, ma anche ad operazioni “elusive”. Il medesimo autore ha peraltro individuato due possibili ipotesi di illiceità dell’operazione nell’abuso del potere di rappresentanza e nella nullità delle garanzie prestate da un terzo in mala fede. 4. La fattispecie descritta dal primo comma dell’art. 2501-bis: l’acquisizione del controllo. Legislazione : Artt. 2501-bis, 2359 c.c. Bibliografia: Cacchi Pessani, 2007 – Picone, 2003 – Spolidoro, 2004 – Vicari, 2006 – Ardizzone, 2003 L'elemento principale della fattispecie risiede nella circostanza che una delle società partecipanti alla fusione abbia preventivamente acquisito il controllo dell'altra. La dottrina è concorde nel ritenere che per lo scopo citato rilevi sia il controllo di diritto (art. 2359, comma 1, n. 1 c.c.), sia il controllo di fatto (art. 2359, comma 1, n. 2 c.c.) (Cacchi Pessani, 2007, 306 – Picone, 2003, 1416), escludendo, invece, l’ipotesi del controllo c.d. contrattuale (art. 2359, comma 1, n. 3 c.c.). 9 Alcune correnti dottrinali, peraltro, hanno sostenuto che il concetto di controllo di cui all’art. 2501 bis c.c., in mancanza di una specifica previsione, non possa assimilarsi alla nozione di cui all’art. 2359 c.c., risultando più opportuna una definizione più ampia ed elastica di controllo, anche considerando leggi speciali disciplinanti i singoli settori (Spolidoro, 2004, 233). Inoltre, la nozione di cui all’art. 2359 c.c. non regolamenta altre fattispecie di indubbio rilievo applicativo, quale ad esempio il concetto di “controllo congiunto” di cui alla legislazione antitrust. A livello letterale l’art. 2501 bis c.c. richiede che una delle due società partecipanti alla fusione abbia contratto debiti per l’acquisto dell’altra e che la fusione comporti la traslazione sul patrimonio della società acquisita di un debito legato, sul piano generico e funzionale, ad una vicenda che riguarda la circolazione di una partecipazione di controllo, non essendo – invece – richiesto che dal trasferimento di questa partecipazione derivi un mutamento effettivo del controllo della società acquisita (Cacchi Pessani, 2007, 55). Tuttavia questa tesi è stata criticata in quanto, sul piano della ratio della disciplina, anche il merger leveraged buy out realizzato infra-gruppo solleva le stesse questioni sotto il profilo della tutela dei creditori e dei soci di minoranza; la genericità della legge delega non permette di chiarire alla base del nuovo art. 2501-bis c.c. vi sia la necessità di dare maggiore efficienza e certezza al mercato. In ogni caso, la norma viene ritenuta applicabile anche alle operazione di merger leveraged buy out realizzate infra-gruppo. Più complessa, invece, l’ipotesi in cui lo scopo dell'operazione di merger leveraged buy out sia di rendere più solida la posizione di controllo. Il tema è tuttora oggetto di dibattiti dottrinali. Alcuni Autori hanno sostenuto che il senso letterale della norma escluderebbe l’ipotesi in cui controllo della società preesista all'inizio dell’operazione di merger leveraged buy out (Spolidoro, 2004, 238). Questa posizione è stata criticata da altra dottrina (Cacchi Pessani, 2007, 58 – Ardizzone, 2003, 480), che ha rilevato come le operazioni di consolidamento del controllo incidano in maniera rilevante sulla proprietà della società target e sollevino esigenze di tutela degli interessi dei creditori e dei soci di minoranza analoghe a quelle che sono alla base del nuovo art. 2501-bis c.c.. In effetti, anche un’operazione di “consolidamento” potrebbe comportare lo spostamento di un debito nel patrimonio della società “bersaglio” ed un vincolo di destinazione a servizio di detto debito sui flussi di cassa futuri della società “bersaglio”, sollevando la questione della ragionevolezza dell’uso della leva finanziaria. Potrebbe risultare opportuno, peraltro, applicare la disciplina in parola anche alle ipotesi in cui si realizzi un incremento “qualitativo” del controllo, ad esempio passando dal controllo di fatto a quello di diritto. 10 5. Segue: l’indebitamento. Legislazione : Artt. 2501-bis, 2358 c.c. Bibliografia: Montalenti, 2004 – Ardizzone, 2003 – Picone, 2003 – Morano, 2005. Il secondo elemento caratterizzante della fattispecie di “fusione con acquisizione a seguito di indebitamento” è l’esistenza, nel “passivo” della società controllante, di un debito contratto per l'acquisizione del controllo dell'altra società partecipante alla fusione. A tal fine è sufficiente che le somme utilizzate per l'acquisizione del controllo appartengano a terzi, a qualunque titolo – compresi i prestiti derivanti da obbligazione e le somme erogate “fuori capitale” dai soci in vista dell’acquisizione. Non è necessario, infatti, che si tratti di un mutuo di scopo, né che il collegamento funzionale tra debiti e acquisto del controllo sia esplicitato in un contratto sottostante. Parte della dottrina, sottolineando la chiarezza della norma nell’indicare un rapporto causa-effetto tra debito e acquisizione, ne privilegia un’interpretazione rigorosa, ritenendola applicabile ogni qualvolta un debito, ancorché sorto indipendentemente da un progetto di acquisizione o successivamente ad essa, sia in concreto finalizzato alla sua realizzazione (Montalenti, 2004, 2319). Se la durata del finanziamento si atteggia ad elemento “neutro” rispetto alla norma in esame (Ardizzone, 2003, 486), il silenzio di questa non elide invece i dubbi circa la rilevanza del lasso temporale che intercorre fra l'indebitamento, l'acquisizione e l'operazione di fusione. Potrebbe, semplicemente, tentarsi il ricorso alla ratio della disposizione in parola, chiedendo prova che il debito sia stato contratto per procedere all'acquisto del controllo e sottolineando la rilevanza non già del titolo del negozio o della conformazione delle clausole, quanto del “disegno unitario” e dell'indebitamento al quale vanno incontro a seguito della fusione la società acquirente e la società “bersaglio” (Ardizzone, 2003, 486). Altro Autore (Picone, 2003, 1413) sostiene l’assoluta irrilevanza del lasso di tempo che intercorre fra il momento dell’acquisizione e l'effettiva fusione; a condizione che il debito, al momento della fusione, non sia stato interamente rimborsato. Quanto all’aspetto “quantitativo” del debito, pare opportuno schierarsi sul versante dell’assoluta irrilevanza di tale profilo ai fini della configurazione della fattispecie in parola. D’altronde, la norma richiama quale ulteriore elemento costitutivo della fattispecie la circostanza che il patrimonio della società acquisita venga a “costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti”, non prevedendo limiti quantitativi né in generale profili dimensionali. 11 6. Segue: effetti della fusione sul patrimonio della società acquisita. Legislazione : Artt. 2501-bis, c.c.. Bibliografia: Cacchi Pessani, 2007 – Montalenti, 1999 L’unico elemento costitutivo della fattispecie ad essere stato aggiunto dal legislatore delegato rispetto alla legge delega consiste nella circostanza che, per effetto della fusione, il patrimonio della società acquisita venga “a costituire garanzia generica o fonte di rimborso” del debito contratto per la sua acquisizione. La dottrina, tuttavia, risulta divisa circa l’indispensabilità di tale elemento ai fini della configurazione della fattispecie. Una prima corrente sostiene che la legge si sia limitata a descrivere la tipica conseguenza della confusione fra patrimoni societari e, dunque, della fusione, attribuendo alla norma valenza meramente descrittiva (Cacchi Pessani, 2007, 60). Altra parte della dottrina è critica verso questa visione. Se così fosse, infatti, il legislatore si sarebbe limitato a indicare due requisiti: che l’acquirente abbia contratto debiti e che il patrimonio della società controllata venga a costituire garanzia generica di tali debiti. Sarebbe possibile, altresì, soffermarsi sull’entità del debito e sostenere che la fusione con la società “bersaglio” sia una conseguenza necessaria ogni qual volta l'indebitamento eccessivo porti la società debitrice a non poter rifondere il debito se non col supporto del patrimonio della società acquisita (Montalenti, 1999, 2107). Tale linea interpretativa presuppone tuttavia una lettura del concetto di patrimonio come “attivo patrimoniale”, in coerenza con l’art. 2740 c.c. , dovendo il debito contratto dalla società acquirente eccedere l’attivo patrimoniale, al netto del valore delle azioni della società bersaglio detenute, situazione peraltro frequente nelle operazioni di MLBO. Se così non fosse, d’altronde, il patrimonio della società controllante sarebbe tale da garantire autonomamente il debito. Non può omettersi di rilevare, tuttavia, che ammettere la rilevanza dell'entità dell'indebitamento finirebbe per “agganciare” la liceità di una “fusione a seguito di acquisizione con indebitamento” ad un parametrio “quantitativo” che la norma, dal canto suo, non pare aver voluto richiamare. 7. Il contenuto del progetto di fusione. Legislazione : Artt. 2501-bis, 2501-ter. Bibliografia: Cacchi Pessani, 2007 – Picone, 2003 – Bernardi, 2003. Il secondo comma dell’art. 2501-bis c.c. prevede che gli amministratori includano, nel progetto di fusione di cui all’art. 2501-ter, l’indicazione delle risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione. Il progetto, dunque, oltre a descrivere le fasi e le caratteristiche 12 dell'operazione deve contenere le informazioni circa la sostenibilità economico finanziaria della stessa. Il nuovo art. 2501-bis c.c. ha l'obiettivo di colmare, o quantomeno ridurre, l’asimmetria informativa che, prima della riforma, separava i promotori e i finanziatori dell’operazione di merger leveraged buy out dai soci di minoranza e dai creditori sociali della società “bersaglio”. In dottrina è stato rilevato che “obbligazioni risultanti dalla fusione” debbono essere considerate tutte quelle obbligazioni cui la nuova società dovrà fare fronte per tutto il periodo necessario all’estinzione del debito contratto per acquisire il controllo, o degli altri debiti contratti per rifinanziare o estinguere il primo (Cacchi Pessani, 2007, 86 – Picone, 2003, 1418). A differenza della disciplina generale sulle fusioni di cui all’art. 2501-ter c.c., la norma in esame richiede che gli amministratori indichino all'interno del progetto di fusione le risorse necessarie per far fronte all'intera situazione debitoria risultante dalla fusione, tenendo quindi conto anche della totalità dei debiti che la società aveva prima dell'operazione. Col termine “risorse finanziarie”, la letteratura aziendalistica tradizionalmente indica sia le disponibilità liquide di cassa e presso banche (più gli altri depositi immediatamente prelevabili senza rischio di mutamento di valori), sia il capitale circolante netto. Nel dettato normativo dell'art. 2501-bis c.c., pertanto, il concetto di “risorse finanziarie” va inteso come “tutta la liquidità necessaria per far fronte all'indebitamento dovuto alla realizzazione dell’operazione”. Nel progetto di fusione sarà quindi necessario individuare le fonti endosocietarie dalle quali proverrà detta liquidità, ipotizzando finanziamenti extrasocietari solo nel caso in cui si tratti di somme che non costituiranno debiti per la società risultante dalla fusione. Nella stesura del progetto, in ogni caso, gli amministratori dovranno indicare e descrivere le “risorse finanziarie” in maniera sufficientemente analitica da permettere agli “esperti” di cui all’art. 2501-sexies un giudizio ragionevole sull'operazione di fusione. 8. La relazione degli amministratori. Legislazione : Artt. 2501-bis, 2501-quinquies, 2358. Bibliografia: Spolidoro, 2000 – Cacchi Pessani, 2007 – Picone, 2003 – Fabbrini, Carriere, 2003 – Morano, 2005. Il terzo comma dell’art. 2501-bis c.c. dispone che la relazione degli amministratori ex art. 2501-quinquies deve: a) “indicare le ragioni che giustifichino l’operazione”; b) “contenere un piano economico e finanziario con indicazione delle risorse finanziarie”; c) descrivere gli “obiettivi che si intendono raggiungere”. (Art. 2501-bis, c.c.) L’inserimento nella relazione degli amministratori delle “ragioni che giustificano l’operazione” ha sollevato un dibattito circa l’accoglimento o meno, da 13 parte del legislatore, della tesi antecedente alla riforma che subordinava la liceità del merger leveraged buy out alla presenza di “valide ragioni industriali”. Come già rilevato supra, tuttavia, già prima della riforma tale orientamento era stato respinto dalla maggioranza della dottrina, giacché in contrasto con le esigenze di protezione dei soci e dei creditori della società “bersaglio” (Spolidoro, 2000, 84), ed ancor più duramente ha subito critiche a seguito della riforma (Cacchi Pessani, 2007, 89). L’art. 2501-bis, comma 3 non fa riferimento alla natura delle “ragioni dell’operazione” che devono essere indicate nella relazione degli amministratori: non è dunque possibile ritenere che le uniche ragioni da indicare a pena di illegittimità siano quelle di carattere “industriale”, circostanza che peraltro smentirebbe l’efficacia interpretativa dell’intervento del legislatore delegante, il quale ha chiarito che non è possibile collegare la legittimità di un merger leveraged buy out alla ragionevolezza delle motivazioni industriali alla base dell’operazione. Peraltro, descrivendo quale fattispecie tipica di fusione il merger leveraged buy out, il legislatore ha espressamente inteso legittimare operazioni di fusione che, avendo come principale finalità quella di traslare sul patrimonio della società “bersaglio” il debito contratto per acquisirne il controllo, non hanno, per definizione, una propria ed autonoma motivazione industriale, essendo necessariamente dirette a realizzare obiettivi di natura finanziaria. Può dunque concludersi che le “ragioni che giustificano l’operazione” che gli amministratori devono riportare nella loro relazione debbono riguardare non già – e non solo – la fusione (come previsto per tutte le fusioni ex art. 2501-quinquies c.c.), ma il complesso delle attività di indebitamento-acquisizione-fusione (Picone, 2003, 1429). D’altronde il legislatore delegato ha inteso garantire un adeguato livello di informazione in merito al complessivo progetto di merger leveraged buy out, al fine di consentire ai vari stakeholder di valutare l’intera operazione, composta da: indebitamento, fusione e rimborso del debito; e di permettere ai soci di elaborare una consapevole decisione prima di procedere alla deliberazione di fusione. Alla luce di quanto sin qui esposto, parrebbe doversi concordare con chi ha sostenuto che le “ragioni che giustificano l’operazione” “devono, in definitiva, individuarsi nelle ragioni che hanno sostenuto i promotori nell’iniziativa di acquisire il controllo della target attraverso il ricorso al debito” (Fabbrini, Carriere, 2003, 28). La relazione degli amministratori deve inoltre contenere “un piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle risorse finanziare e l’indicazione degli obiettivi che si intendono raggiungere”. Con riferimento al “piano economico e finanziario”, la dottrina è unanime nel ritenere che debba trattarsi di un business plan composto dal piano industriale, da quello finanziario e da un’analisi di sostenibilità che il promotore ha predisposto e condiviso con i finanziatori in vista dell’operazione (Cacchi Pessani, 2007, 93). Per quanto riguarda, invece, l’indicazione della “fonte delle risorse finanziarie”, è legittimo dubitare se si tratti di una semplice ripetizione di quanto già indicato dagli amministratori nel progetto di fusione, ovvero se l’indicazione della “fonte” richieda un quid pluris, nel senso di dover includere qualsiasi fatto, atto, o attività della società che generi liquidità utilizzabile per il rimborso del debito contratto per l’acquisizione. 14 Passando agli “obiettivi che si intendono raggiungere”, la norma non chiarisce se debba trattarsi degli obiettivi della fusione in particolare, ovvero di quelli dell’intera operazione di MLBO. Nel primo caso dovremmo coerentemente ritenere lecite delle operazioni di fusione che perseguano esclusivamente finalità finanziarie/patrimoniali (integrazione del debito dell’acquirente con il patrimonio della società “bersaglio”) con l’unica premura costituita dall’obbligo per gli amministratori di indicare con chiarezza e trasparenza ai soci se la fusione persegua solamente finalità finanziarie ovvero anche industriali. Tuttavia, se ciò fosse vero non vi sarebbe differenza alcuna tra gli obiettivi in esame e la giustificazione richiesta in via generale per ogni tipo di fusione dall’art. 2501-quinques c.c.. La seconda ipotesi pare, dunque, preferibile. Nel caso in cui, tra la data in cui sono depositati il progetto di fusione e la relazione degli amministratori e la data dell’assemblea si verifichino rilevanti mutamenti in negativo delle circostanze a fondamento del piano economico e finanziario, gli amministratori non sarebbero tenuti a modificare le indicazioni contenute nel progetto e nella relazione, dal momento che la correttezza formale e sostanziale di detti documenti viene valutata alla data in cui essi sono resi pubblici. Rimarrebbe, comunque, in capo agli amministratori, il dovere di informare l’assemblea di eventuali circostanze sopravvenute che possano rendere inattuali le previsioni del piano economico e finanziario, e di sospendere il processo di stipulazione dell’atto di fusione nel caso in cui, successivamente alla data della delibera, l’operazione divenisse non più sostenibile sul piano finanziario. 9. La relazione degli esperti. Legislazione : Artt. 2501-bis, 2501-sexies. Bibliografia: Bianchi, 2002 – Marchetti, 1991 – Picone, 2003 – Sacchi, 2006. Il legislatore ha voluto ampliare le competenze degli esperti chiamati a valutare la congruità dell'operazione di “fusione a seguito di acquisizione con indebitamento”, indicando come presupposto la valutazione della sostenibilità dell'operazione, non solo rispetto al mercato, ma anche rispetto ai soci e creditori della società “bersaglio”. La previsione mira ad impedire operazioni che risultino, poi, finanziariamente sconvenienti, chiedendo all'esperto un controllo preventivo dell'operazione di merger leveraged buy out, con particolare attenzione agli interessi dei soci e dei creditori della società “bersaglio”. Sembra dunque che il legislatore abbia inteso introdurre un criterio valutativo già noto nel panorama giurisprudenziale (Cass. 3 maggio 2002, n. 6337 – Cass. 24 novembre 2000, n. 15189), valorizzando i canoni di “probabilità” e di “normalità” (in contrapposizione all’“eccezionalità”) degli eventi, nell’ambito di un’analisi preventiva esercitata sulla base di criteri squisitamente tecnici, nonché di concetti e metodi provenienti dalla scienza aziendalistica. 15 Con riferimento al contenuto della relazione, facendo riferimento alla norma di cui all’art.2501-sexies c.c. emerge quale oggetto la congruità del rapporto di cambio. E' opinione diffusa che, nelle fusioni “normali”, null’altro debba intendersi ricompreso nell'oggetto della relazione, non potendo gli esperti esprimere alcuna valutazione sulle ragioni giuridiche o economiche della fusione, ed in genere alcun parere sul progetto di fusione nel suo complesso, e dovendosi essi esprimere solo in merito ai metodi seguiti per la determinazione del rapporto di cambio proposto dagli amministratori e sui valori risultanti dall’applicazione degli stessi (Bianchi, 2002, 291). Va sottolineato, peraltro, che l'incongruità del rapporto di cambio eventualmente “eccepita” dagli esperti nella propria relazione, non vincolerebbe in nessun modo l'assemblea riguardo al voto per la fusione (Marchetti, 1991, 35). L’articolo in esame assegna agli esperti un ulteriore compito, che nulla ha a che vedere con il rapporto di cambio, chiedendo loro di attestare la ragionevolezza delle “risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione”, elevando l'autorevolezza e la rilevanza della relazione degli esperti rispetto ad un mero giudizio o parere (Picone, 2003, 1436). L'attestazione, tuttavia, comporterebbe una dichiarazione di scienza, esulando dal compito – di natura prettamente valutativa – che l'esperto solitamente compie nel redigere la relazione. Gli esperti dovranno, pertanto, nella relazione, giudicare la ragionevolezza, l’adeguata prudenzialità, la congruità e la “non arbitrarietà” delle valutazioni compiute dagli amministratori delle due società nelle rispettive relazioni. Gli esperti non dovranno entrare nel merito delle scelte effettuate dagli amministratori, né compiere una propria, autonoma, analisi di sostenibilità, riformulando la proiezione dei flussi di cassa attesi elaborata dagli amministratori, ma solo limitarsi ad esaminare la condotta degli stessi, di cui solo essi rimarranno responsabili, evitando “sovrapposizioni” di ruoli. Dall’analisi letterale del dettato normativo – “la relazione degli esperti… attesta la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del secondo comma” – non è del tutto chiaro se gli esperti debbano o meno analizzare anche il piano economico e finanziario redatto dagli amministratori. In merito è stato sostenuto (Picone, 2003, 1437) che non sarebbe logico che gli esperti si disinteressassero del piano economico-finanziario redatto dagli amministratori, giacché documento essenziale per valutare la “ragionevolezza” dell'operazione. Non manca, tuttavia, chi afferma che l’attestazione dell’esperto debba avere ad oggetto non la ragionevolezza e l’attendibilità del piano nel suo complesso, ma le assunzioni di base poste a suo fondamento (Sacchi, 2006, 170). Nell’ottica di valutare la ragionevolezza dell’operato degli amministratori, gli esperti dovranno necessariamente esprimersi sulla coerenza dei dati contabili utilizzati a fondamento delle affermazioni di sostenibilità del debito rispetto ai dati storici di bilancio delle società, senza tuttavia effettuarne una revisione contabile; sulle proiezioni reddituali, patrimoniali e finanziarie; sulla corretta applicazione delle assunzioni poste dagli amministratori a base della proiezione di generazione di liquidità; sulla corretta e prudente applicazione dei metodi adottati dalla prassi aziendalistica per la previsione dei flussi di cassa. 16 10. La relazione della società di revisione. LEGISLAZIONE : Artt. 2501-bis, 2501-sexies, 2409-bis. BIBLIOGRAFIA: Bianchi, 2002 – Morano, 2003 – Picone, 2003 – Sacchi, 2006 – Montalenti, 2004. Ardizzone, 2003 – Reboa, 2003 – Cacchi Pessani, 2007. Il quinto comma dell’art. 2501-bis c.c. prevede che “al progetto di fusione sia allegata una relazione del soggetto incaricato della revisione legale dei conti della società obiettivo o della società acquirente.” La norma, novellata dall’art. 31 del d. lgs. 39/2010, originariamente riservava tale relazione alla “società di revisione incaricata della revisione contabile obbligatoria” dando adito, peraltro, a dubbi interpretativi relativamente al suo ambito di applicazione. In ogni caso, oltre che chiarire i suddetti dubbi, il legislatore sembra aver voluto confermare la necessità un duplice controllo rispetto alla sostenibilità finanziaria dell’operazione di merger leveraged buy out (Reboa, 2003, 1234). Siffatto controllo “incrociato” sull’operazione sarebbe possibile solamente tenendo separate la figura dell’esperto, di cui all’art. 2501-bis comma quarto c.c., da quella della società di revisione, di cui al comma quinto, laddove però, per le società quotate, l’art. 2501-sexies – disponendo che “se la società è quotata sui mercati regolamenti l’esperto è scelto fra le società di revisione” – renderebbe possibile una sovrapposizione di ruoli. Tale conseguenza potrebbe essere evitata ritenendo che per le società quotate la nomina dell’esperto sia sempre di esclusiva competenza del Presidente del Tribunale, al fine di rafforzare l’indipendenza del revisore, limitando il cumulo di incarichi “extra audit”(Bianchi, 2002, 15). Altra dottrina (Picone, 2003, 1445 – Ardizzone, 2003, 509) non vede invece ostacoli al fatto che la medesima società di revisione agisca sia nella qualità di esperto (attestando la ragionevolezza del piano) sia nella qualità di revisore ai sensi del quinto comma dell’art. 2501 bis c.c.. Con riferimento al contenuto della relazione, la norma non chiarisce se si tratti di una vera e propria “revisione contabile” (ma in tal caso non si comprenderebbe quale sia l’oggetto: se l’ultimo bilancio della società, la situazione patrimoniale di fusione, etc.), ovvero di una diversa, ulteriore relazione avente ad oggetto la “ragionevolezza delle informazioni contenute nel progetto di fusione” (ma in tal caso essa rischierebbe di sovrapporsi alla relazione dell’esperto). In merito è stato sostenuto (Morano, 2003, 958) che la relazione in parola avrebbe proprio la funzione di duplicare l’attestazione della ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione effettuata dell’esperto. Potrebbe ritenersi, infatti, che se il legislatore delegato ha inteso indirizzare l’attenzione del revisore verso la sostenibilità finanziaria dell’operazione, vi sarebbero in effetti diversi – ed opportuni – profili di “sovrapposizione” con il compito dell’esperto che, ai sensi del quarto comma dello stesso articolo, è esplicitamente incaricato di “attestare la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione”, con particolare attenzione “alle risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione” (Reboa, 2003, 1237) . Altra dottrina ritiene, invece, che la relazione del revisore abia ad oggetto il mero controllo contabile della situazione patrimoniale di fusione (Picone, 2003, 1444), 17 non essendo possibile richiedere alla società di revisione un nuovo giudizio sulla ragionevolezza delle previsioni effettuate dagli amministratori in ordine alla sostenibilità del debito, giudizio già sottoposto al vaglio dell’esperto. Il revisore, pertanto, avrebbe il compito di offrire un riscontro circa l’attendibilità contabile dei dati in esame, con particolare riferimento alla verifica contabile dei valori degli asset posseduti dalle società, eventualmente utilizzabili per il reperimento delle risorse finanziare necessarie a ripianare il debito contratto per acquisire la società “bersaglio” . Tuttavia, in tale ipotesi occorrerebbe stabilire se il soggetto incaricato della revisione debba valutare la situazione contabile della sola società con cui intrattiene abituali e obbligatori rapporti di audit, ovvero se il suo compito si estenda a tutte le situazioni contabili delle società partecipanti alla fusione. Il dato letterale e quello logico sembrerebbero condurre a quest’ultima ipotesi, non essendo giustificabile una richiesta di intervento solamente parziale. Quest’ultima impostazione è stata criticata da chi (Cacchi Pessani, 2007, 105 – Montalenti, 2004, 2322) ha sostenuto che i dati contabili contenuti nelle situazioni patrimoniali di fusione hanno natura meramente informativa e solo eventuale rispetto all’aspetto più rilevante dell’operazione di merger leveraged buy out, cioè la sostenibilità finanziaria dell’operazione. In questa prospettiva, dunque, oggetto della relazione del soggetto incaricato della revisione sarebbero i dati contabili posti a fondamento delle previsioni contenute nel piano economico e finanziario dell’operazione di merger leveraged buy out. Peraltro, è stato rilevato che la relazione del revisore riguarderebbe la ragionevolezza del piano economico e finanziario “nel suo complesso” (Sacchi, 2006, 107), in ciò differenziandosi dalla valutazione dell’esperto, che avrebbe ad oggetto solamente la ragionevolezza delle motivazioni poste a fondamento del piano economico e finanziario. Siffatto rilievo, tuttavia, è contestato da chi (Cacchi Pessani, 2007, 108) osserva che anche l’attestazione dell’esperto – stando al dato letterale – riguarderebbe il piano “nel suo complesso”, dovendo ricomprendere le “risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione”. 11. Inapplicabilità degli articoli 2505 e 2505-bis c.c.. Legislazione : Artt. 2501-bis, 2501-ter, 2501-quarter, 2501-sexies, 2505, 2505-bis. Bibliografia: Cacchi Pessani, 2007 – Magliulo, 2005 – Scognamiglio, 2003 – Ferri, Guizzi, 2006 – Ardizzone, 2003 – Morano, 2003. Nei casi di incorporazione di società interamente possedute ovvero possedute almeno al novanta per cento, l’art. 2501-bis, comma 6, prevede che le disposizioni di cui agli artt. 2505 e 2505 bis c.c non siano applicabili alle operazioni di “fusione con acquisizione a seguito di indebitamento” . L'intento del legislatore sembrerebbe quello di evitare l'attribuzione al consiglio d'amministrazione dell’autonoma competenza di deliberare su una fusione “a rischio”. Nel richiamare l’art. 2501-sexies c.c., peraltro, l’art. 2501-bis esclude altresì che possa essere omessa la relazione dell’esperto circa la congruità del rapporto di cambio. 18 La dottrina maggioritaria (Cacchi Pessani, 2007, 110 – Magliulo, 2005, 88) osserva che, nel caso in cui la società acquirente proceda all’incorporazione di una società interamente posseduta, in effetti non sia necessario inserire nella relazione il rapporto di cambio, che in concreto non esiste. La relazione dovrebbe, quindi, occuparsi solo della ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione. D’altronde l’obiettivo della norma parrebbe proprio quello di evitare che le due relazioni (degli esperti e degli amministratori) atte a giustificare l'operazione sul piano economico-finanziario vengano omesse (Scognamiglio, 2003, 902 – Ferri, Guizzi, 2006, 242). Altri, differentemente, (Ardizzone, 2003, 513) sottolineano che l'esperto è chiamato a confermare nella propria relazione una valutazione che non deve essere considerata autonoma rispetto al giudizio di ragionevolezza, ma, piuttosto, quale suo presupposto valutativo: la valutazione dell’esperto dovrebbe pertanto contenere anche un’analisi circa il valore del capitale economico e netto delle società partecipanti alla fusione. Deve osservarsi, peraltro, che l’art. 2501-bis c.c. non esclude l’applicazione degli artt. 2501-ter ultimo comma e 2505-quater c.c.. Può dedursi, evidentemente, che anche alle operazioni di “fusione a seguito di acquisizione con indebitamento” si applichi la norma secondo la quale i soci possono rinunciare all’unanimità al termine dei trenta giorni tra la data dell’iscrizione del progetto di fusione nel registro delle imprese e la data dell’assemblea. Quest’ultima norma, infatti, è posta nell’esclusivo interesse dei soci – anche perché, a ben vedere, decorrendo il termine per l’opposizione dalla data di iscrizione della delibera di fusione nel registro imprese, non si configurerebbero lesioni agli interessi dei creditori. Qualora le società partecipanti alla fusione non siano S.p.A., i tempi previsti per il deposito pre-assembleare della documentazione di fusione e per l’opposizione possono essere ridotti della metà, ferma restando la relazione dell'esperto, che in tal caso resta obbligatoria. D’altronde quest’ultima previsione, atteggiandosi a norma di carattere generale, deve ritenersi applicabile a tutte le operazioni di merger leveraged buy out, a prescindere dal tipo di società coinvolte nella fusione (Morano, 2003, 958). 19