2501-bis
Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento
“Nel caso di fusione tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo
dell'altra, quando per effetto della fusione il patrimonio di quest'ultima viene a costituire
garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti, si applica la disciplina del presente
articolo.
Il progetto di fusione di cui all'articolo 2501-ter deve indicare le risorse finanziarie previste per
il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione.
La relazione di cui all'articolo 2501-quinquies deve indicare le ragioni che giustificano
l'operazione e contenere un piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle
risorse finanziarie e la descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere.
La relazione degli esperti di cui all'articolo 2501-sexies, attesta la ragionevolezza delle
indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del precedente secondo comma.
Al progetto deve essere allegata una relazione della soggetto incaricato della revisione legale
dei conti della società obiettivo o della società acquirente.
Alle fusioni di cui al primo comma non si applicano le disposizioni degli articoli 2505 e 2505bis”.
*
Articolo introdotto dall’art. 6, d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, di riforma del diritto delle società
e modificato dall’art. 5, lett. ccc) del d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.
Articolo modificato dall’art. 31 del d. lgs. 39/2010.
IMPORTANZA ●●● – La riforma delle società ha inteso introdurre – rectius, legittimare –
nel nostro ordinamento le operazioni cosiddette di “merger leveraged buy out”, già in vigore
nella prassi aziendale con sostanziali problemi di compatibilità rispetto al divieto di
assistenza finanziaria di cui all’art. 2358 c.c.. Pur non sedando in maniera definitiva il
dibattito dottrinale e giurisprudenziale, la norma contribuisce ad adattare il sistema a tale
tipologia di operazione “a rischio”, predisponendo condizioni di legittimità a tutela dei soci
e dei creditori.
CONTENUTO – La norma innanzitutto – al primo comma – definisce la fattispecie di “fusione
a seguito di acquisizione con indebitamento” stabilendo poi, nei successivi commi, le
condizioni di legittimità di siffatta operazione con riferimento alle relazioni degli
amministratori, degli esperti e della società di revisione nonché espressamente escludendo la
possibilità di operare fusioni c.d. “semplificate”.
FONTI E SISTEMA – Per quanto concerne la funzione e la ratio della norma è opportuno fare
riferimento all’art. 7, lett. d) della legge delega per la riforma del diritto societario – l.
366/2001 nonché, a livello comunitario, alla direttiva 2006/68/CE.
Per l’operatività della norma, oltre agli altri articoli “tecnici” in tema di fusione –2501-ter,
quater, quinquies e sexies nonché 2505 e 2505-bis – non può omettersi il richiamo agli artt.
2357 e 2358 c.c.
1
QUESTIONI PRINCIPALI – Esatta definizione della fattispecie. Rapporto tra la fattispecie di
cui al primo comma dell’art. 2501-bis ed il c.d. “merger leveraged buy out”. Compatibilità con
il divieto di assistenza finanziaria, anche alla luce del “nuovo” art. 2358 c.c..
L’atteggiamento della giurisprudenza pre e post riforma.
GIURISPRUDENZA ESSENZIALE
Trib. Milano, 27 novembre 2008 (GMil., 2008, 11) - La norma dell'art. 2501 bis c.c., cristallizza, a
tutela dei soci di minoranza e dei creditori della target, i requisiti di liceità di una particolare operazione che potrebbe
prestarsi ad una elusione del divieto di cui all'art. 2358 c.c. in quanto ha in sé il rischio che l'acquirente delle quote ed
il finanziatore di questi contino sulla possibilità per il primo, una volta effettuato l'acquisto, di asservire attraverso la
fusione il patrimonio della società target al rimborso del debito contratto per l'acquisizione. Un debito preesistente,
non contratto in funzione dell'acquisizione, può comunque aggravare la posizione finanziaria netta del target dopo la
fusione, ma non dà titolo ai soci di minoranza o ai creditori di dolersi invocando la norma del 2501 bis c.c.; così come
non dà titolo di ricorrere alla norma l'ipotesi in cui il rischio del finanziatore sia interamente coperto da garanzie
collaterali fornite dallo stesso raider. Pertanto nelle operazioni in cui sia acquisito il controllo del target tramite un
finanziamento concesso a quello scopo alla società raider, la quale pianifichi la fusione con la target, si impone
l'adozione da parte degli amministratori di un procedimento di fusione "aggravato", poiché, secondo la stessa
disciplina voluta dal legislature con la norma di recente introdotta, e attraverso lo strumento della pianificazione,
soprattutto finanziaria, che si può discernere, nell'ambito del LBO, il lecito dall'illecito: l'operazione è legittima se il
progetto di fusione o gli altri documenti informativi depositati a corredo del progetto di fusione, contengono
informazioni adeguate ed attendibili circa la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie a garantire la continuità
dell'equilibrio finanziario della società target, e quindi il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante
dalla fusione (in tal caso la fusione è neutra dal punto di vista dell'equilibrio finanziario della target); se così non è, la
fusione potrebbe rivelarsi fonte di danno per i soci di minoranza e i creditori della società target, il cui patrimonio
potrebbe venire "asservito" al rimborso di un debito contratto per la sua acquisizione. In questi casi il danno si può
manifestare nella "incongruità" del rapporto di cambio, se ed in quanto il debito della controllante ha l'effetto di
deprimere in maniera illegittima - oltre, cioè i limiti di una "sostanziale conservazione" ovvero in maniera
"squilibrata" rispetto ai soci di maggioranza - il valore della partecipazione posseduta dai soci ante fusione.
Cassazione, 18 maggio 2006, n. 23730 (CP, 2007, 3256, con nota) - In tema di reati societari, a
seguito della sostituzione dell'art. 2630 c.c. per effetto d.lg. n. 61 del 2002, non costituisce illecito penale
l'operazione, inquadrabile nel più ampio schema del c.d. leveraged buy-out, con la quale, di una società operativa, sia
ceduto a credito parte del pacchetto azionario ad altra società, creata in modo strumentale per effettuare il detto
acquisto con previsione di indebitamento e al fine di compiere attività di gestione di interesse della prima, per poi
essere destinata alla fusione per incorporazione con la medesima e ripianare il debito con gli utili dell'attività posta in
essere. (In motivazione la Corte ha specificato che la condotta descritta potrebbe integrare il diverso reato ex art. 223,
comma 2, n. 2, l. fall. , quale "operazione dolosa", ove si dia prova che il leveraged buy-out attuato attraverso il
procedimento di fusione non era, al momento del suo avvio, sorretto da un effettivo progetto industriale).
Trib. Milano, 13 maggio 1999 (Soc., 2000, 75, con nota) - Non è configurabile un negozio in frode
alla legge con riferimento alla fusione, deliberata nell'ambito di un "leveraged buy out" fra la società acquirente e
quella acquisita se, al momento in cui tale negozio è sorto, sussistevano concrete ragioni imprenditoriali che lo
giustificavano (nella specie la sentenza valorizza il fatto che la fusione mirasse a rilanciare l'attività della società
acquisita - che gestiva "statisticamente" ippodromi - con un'attività di servizi proiettata verso il futuro - la gestione
delle scommesse - compatibile e sinergica, nonché in grado di generare consistenti flussi di cassa).
Trib. Milano, 27 ottobre 1997 (GI, 1998, 1440) - È configurabile la nullità della fusione tra società
qualora l'istituto sia utilizzato nell'ambito di un'operazione di "leveraged buy out" come strumento di elusione del
divieto di fornire garanzie per l'acquisto di azioni proprie; deve pertanto ritenersi sussistente il "fumus boni iuris" ai
fini della concessione del provvedimento di sospensione della deliberazione di fusione per incorporazione in una
società per azioni di altra società che, costituita per l'acquisizione del pacchetto di controllo della prima, aveva a tal
fine ottenuto consistenti finanziamenti presso banche depositarie di capienti liquidità della società incorporante.
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Sommario 1. Questioni introduttive: leveraged buy out e assistenza finanziaria. – 2. Segue: il
quadro giurisprudenziale pre-riforma. – 3. Segue: cenni comparatistici. – 4. La fattispecie
descritta nel primo comma dell’art. 2501-bis: l’acquisizione del controllo. – 5. Segue:
l’indebitamento. – 6. Segue: effetti della fusione sul patrimonio della società acquisita. – 7.
Il contenuto del progetto di fusione. – 8. La relazione degli amministratori. – 9. La
relazione degli esperti. – 10. La relazione del revisore. – 11. Inapplicabilità degli articoli
2505 e 2505-bis c.c..
1. Questioni introduttive: leveraged buy out e assistenza finanziaria.
LEGISLAZIONE : Artt. 2358, 2501-bis, 2504-quater c.c. – art. 7, lett. D), l. 366/2001 – art. 1, dir. 2006/68/CE – art.
23, dir. 77/91/CE.
BIBLIOGRAFIA: Ardizzone, 2003 – Cacchi Pessani, 2006 – Montalenti, 1999, 2004 – Spolidoro, 2004 – Schlesinger,
2003 – Serrao D’Aquino, 2003 – Dolmetta, 2003 – Picone, 2003 – Perrino, 2004 – Salafia, 2006.
Il legislatore della riforma ha introdotto una disposizione specifica avente ad
oggetto la “fusione a seguito di acquisizione mediante indebitamento”, raccogliendo
l’indicazione contenuta nella relativa norma della legge n. 366 del 1 ottobre 2001
(“Delega al governo per la riforma del diritto societario”). All’analisi dell’articolo in
commento deve, pertanto, preludere un brevissimo accenno
al contenuto di
quest’ultima, giacché il legislatore delegante ha superato – quantomeno in parte – i
tradizionali limiti della disciplina generale della fusione, offrendo nuovi spunti e
rinnovate prospettive di tutela degli interessi dei soci di minoranza e dei creditori
(Cacchi Pessani, 2007, 31).
La lettera d), art. 7, della legge n. 366/2001 prevedeva che la riforma della
disciplina della fusione fosse ispirata al principio per cui
“le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo
dell’altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie,
di cui, rispettivamente, agli artt. 2357 e 2357 quater del codice civile, e del divieto di accordare
prestiti e fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all’art. 2358
del codice civile.”
(art. 7, lett. d, l. 366/2001)
Il nuovo art. 2501-bis c.c. ha ad oggetto – come da rubrica – le operazioni di
“fusione a seguito di acquisizione con indebitamento”, vale a dire le fusioni “tra società,
una delle quali abbia contratto debito per acquisire il controllo dell’altra, quando, per
effetto della fusione, il patrimonio di quest’ultima viene a costituire garanzia generica o
fonte di rimborso di detti debiti.”
Se, da un lato, il principio enunciato nella legge delega si atteggiava ad assoluta
clausola “liberatoria”, prevedendo che “le fusioni tra società, una delle quali abbia
contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra, non comportano violazione … del
divieto di accordare prestiti e fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni
proprie, di cui all’art. 2358 del codice civile”, il legislatore delegato ha, dal canto suo,
imposto determinate “condizioni cui la fusione in oggetto deve sottostare”.
Tuttavia, l’obiezione circa una “incoerenza” tra il nuovo art. 2501-bis c.c. e gli
obiettivi della delega deve essere smorzata dalla considerazione che l’art. 7 della legge
delega faceva parte di un disegno di riforma dell’intera disciplina della fusione
3
nell’ambito di un’ancora più ampia riforma del diritto societario, necessitando quindi
della predisposizione di strumenti idonei a tutelare i soci e i creditori della società
“bersaglio” da un indebitamento tale da mettere a rischio l’equilibrio economicofinanziario della società.
Il legislatore, peraltro, ha preferito evitare l’importazione letterale del concetto
anglosassone di leveraged buy out, anche se la definizione legislativa contenuta nel
primo comma dell’articolo – che effettivamente non copre tutte le operazioni che
rientrano nell’ampia accezione di leveraged buy out – tipizza inequivocabilmente il
meccanismo del c.d. merger leveraged buy out.
Un’autorevole dottrina (Montalenti, 2004, 2311) ha correttamente rilevato come
il legislatore della riforma abbia preferito procedere ad una legittimazione “controllata”
dell’operazione di merger leveraged buy out, accogliendo le osservazioni sollevate
prima della riforma da una parte della dottrina e della giurisprudenza, piuttosto che
“sdoganare” tout court il fenomeno, in tutte le sue eterogenee formulazioni.
Differentemente, altra parte della dottrina (Schlesinger, 2003, 706;, 33)
riconosce alla norma un carattere meramente interpretativo, idoneo a dirimere il
dibattito giurisprudenziale e dottrinale sorto con riferimento al divieto di cui all’art.
2358 c.c.. In altre parole, il legislatore, aderendo alla dottrina maggioritaria, avrebbe
chiarito che la fusione con acquisizione a seguito di indebitamento non integra
assistenza finanziaria (Cacchi Pessani, 2007).
Proprio la mancanza della deroga esplicita, prevista invece nella legge delega,
costituirebbe secondo altra dottrina (Serrao D’Aquino, 2003, 427; Perrino, 2004, 1946)
indice della volontà del legislatore delegato di restringere i casi di LBO leciti,
prevedendo espressamente nell’art. 2501-bis le condizioni cui le fusioni devono
sottostare per non integrare violazione dell’art. 2358 c.c.. Non manca però chi (Picone,
2003, 1405) ipotizza che il legislatore avrebbe effettivamente fatto proprio il contenuto
della legge delega, senza però riportarne espressamente il contenuto.
Più difficile, invece, concordare con chi (Ardizzone, 2003, 518) propone la
necessità di un sindacato di meritevolezza delle operazioni di fusione, che introdurrebbe
nuovi ed imprecisati limiti all’operazione, subordinando la validità della fusione a
meccanismi procedimentali e/o informativi e, soprattutto, declassando l’effetto dell’art.
2504-quater c.c. da reale a meramente risarcitorio.
In effetti, però, le problematiche in parola devono considerarsi “ridimensionate”
– se non addirittura superate – in conseguenza delle recentissime modifiche legislative
al divieto di assistenza finanziaria.
Innanzitutto, già l’art. 1, par. 6, della dir. 2006/68/CE aveva consentito agli Stati
Membri di permettere alle società di anticipare fondi, concedere prestiti e prestare
garanzie per l’acquisto di azioni proprie – pur nel rispetto di talune condizioni – avendo
rimosso il divieto di assistenza finanziaria stabilito dall’art. 23 della dir. 79/91/CE.
Ancor più rilevante, poi, rispetto alla fattispecie in commento, il nuovo testo
dell’art. 2358 c.c., sostituito, con decorrenza 30 settembre 2008, dall’art. 1, d. lgs. 4
agosto 2008, n. 142, proprio in attuazione della dir. 2006/68/CE.
Originariamente, infatti, l’art. 2358 c.c. disponeva che
“la società non può accordare prestiti, né fornire garanzie per l’acquisto o la
sottoscrizione delle azioni proprie.
La società non può, neppure per tramite di società fiduciaria, o per interposta persona,
accettare azioni proprie in garanzia”
(art. 2358 c.c. – vecchio testo)
4
mentre la nuova norma recita:
“la società non può, direttamente o indirettamente, accordare prestiti, né fornire garanzie
per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, se non alle condizioni previste dal presente
articolo.”
(art. 2358 c.c. – nuovo testo)
In sintesi, tali operazioni sono lecite se preventivamente autorizzate
dall’assemblea straordinaria, devono essere “accompagnate” da una relazione degli
amministratori che
“illustri, sotto il profilo giuridico ed economico, l’operazione, descrivendone le
condizioni, evidenziando le ragioni e gli obiettivi imprenditoriali che la giustificano, lo specifico
interesse che l’operazione presenta per la società, i rischi che essa comporta per la liquidità e
solvibilità della la società ed indicando il prezzo al quale il terzo acquisirà le azioni.
Nella relazione gli amministratori attestano altresì che l’operazione ha luogo a
condizioni di mercato, in particolare per quanto riguarda le garanzie prestate e il tasso di interesse
praticato per il rimborso del finanziamento, e che il merito di credito della controparte è stato
debitamente valutato. La relazione è depositata presso la sede della società durante i trenta giorni
che precedono l’assemblea”
(art. 2358 c.c., terzo comma – nuovo testo)
e sono sottoposte all’ulteriore limite per cui:
“l’importo complessivo delle somme impiegate e delle garanzie fornite ai sensi del
presente articolo non può eccedere i limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili
risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato, tenuto conto anche dell’eventuale acquisto
di proprie azioni ai sensi dell’art. 2357.”
(art. 2358 c.c., sesto comma – nuovo testo)
Risulta evidente, come si accennava supra, che l’art. 2501 bis non è più l’unico
presidio per chi ipotizzava la liceità di tutte le – eterogenee – forme di leveraged buyout,
giacché le condizioni imposte dal nuovo art. 2358 c.c. per la liceità delle ipotesi di
“assistenza” descritte nel proprio primo comma possono considerarsi “disponibili” ed
attuabili a prescindere dal tipo di operazione programmata.
D’altronde, dalla lettura sistematica delle due norme emerge come principale
effetto della novella l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’art. 2501 bis che,
come sostenuto da autorevole dottrina, “deve applicarsi senza bisogno di alcun
adattamento” (Salafia, 2009, 579).
In questo senso si muove peraltro la previsione di cui all’ultimo comma del
nuovo art. 2358, che fa esplicitamente “salvo quanto previsto” dall’art. 2501 bis,
chiarendo espressamente che la rimozione del divieto assoluto di “assistenza
finanziaria” è applicabile anche nel caso di indebitamento nei confronti della “società
obiettivo” di una “fusione a seguito di acquisizione”.
In ogni caso, l’analisi della nozione di “fusione con acquisizione a seguito di
indebitamento”, che definisce l’ambito di applicazione della nuova disciplina e l’area di
tutela riconosciuta ai soci di minoranza e ai creditori, pare effettivamente sovrapponibile
allo schema tipico del merger leveraged buy out caratterizzato dal fatto che: a) una delle
società partecipanti alla fusione controlla l’altra; b) il controllo è stato acquisito
indebitandosi; c) per effetto della fusione il debito viene “traslato” sul patrimonio della
società acquisita, con la conseguenza che “il patrimonio [della società acquisita] viene a
costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti.”
5
2. Segue: Il quadro giurisprudenziale pre-riforma.
LEGISLAZIONE : Artt. 2501-bis, 2358, 2378, 1344 c.c.
BIBLIOGRAFIA: Arducci, Sparano 2006 – Picone, 2001 – Manzini, 2000 – Montalenti, 1999 – Spolidoro, 2000 –
Morello, 1996 – Ardizzone, 2003.
Negli anni precedenti alla riforma, la questione della liceità del leveraged buy
out ha interessato solo marginalmente la giurisprudenza, sia per il particolare contesto
degli assetti proprietari (laddove, infatti, tali operazioni hanno ad oggetto società con
una ristretta base azionaria, le possibilità di contestazioni, e dunque di giudizi, sono
assai ridotte) sia per l’“ostacolo” ad eventuali pronunce di illegittimità dell’operazione
costituito dalla disciplina dell’invalidità dell’atto di fusione (Adducci, Sparano, 2006,
148).
Un interessante operazione di merger leveraged buy out, posta all’attenzione
della giurisprudenza, riguardava invece una fusione inversa della società acquirente
nella società “bersaglio”, a seguito di una acquisizione effettuata con finanziamenti
esterni (Trib. Milano, decr. 27 ottobre 1997).
Il giudice istruttore individuò una violazione dell’art. 2358 c.c., ritenendo
“possibile che la fusione sia stata utilizzata come strumento di elusione del divieto di
cui all’art. 2358 c.c.”; in quanto, a detta dei giudice, “se l’interesse tutelato da questa norma non è
soltanto quello dell’integrità del capitale, ma anche quello di evitare che la società utilizzi mezzi
propri per condizionare il suo mercato azionario e il conseguente assetto organizzativo della
compagine sociale, il caso di specie sembra violare questo specifico interesse perché […] le
azioni proprie risultanti dalla fusione verrebbero immesse sul mercato borsistico ”
(Trib. Milano, decr. 27 ottobre 1997)
La successiva sentenza di merito del Tribunale di Milano, dopo aver affermato
che attraverso l’operazione di merger leveraged buy out
“in sostanza l’acquirente ottiene il finanziamento da chi confida nella bontà
dell’investimento prospettato, sfruttando l’effetto di leva finanziaria offerto dalla società da
acquisire”
(Trib. Milano, 13 maggio 1999)
ha riconosciuto che
“l’operazione in sè non presenta profili di illegittimità ed è anzi ampliamente usata sia
per consentire al management di acquisire una maggiore partecipazione nell’impresa, sia per
evitare il peso fiscale di una normale cessione d’azienda.”
(Trib. Milano, 13 maggio 1999)
Il Tribunale si è interrogato circa una possibile violazione indiretta del divieto di
cui all’art. 2358 c.c., rilevando che
“il risultato al quale si è pervenuti con l’operazione di fusione è stato infatti quello di far
gravare il debito contratto per acquisire la partecipazione sociale sulla società risultante dalla
fusione, e quindi ottenendo il risultato tipico del leveraged buy out”.
(Trib. Milano, 13 maggio 1999)
ed affermando, infine, la necessità di una concreta e puntuale indagine volta a
determinare se l’operazione di merger leveraged buy out, unitariamente considerata,
concretizzi o meno un negozio in frode alla legge.
6
Effettivamente tale rischio potrebbe presentarsi ogni qual volta la struttura del
merger leveraged buy out
“venga usata per aggirare lo specifico divieto di assistenza finanziaria disposto dal’art.
2358 c.c.” nondimeno “non è configurabile un negozio in frode alla legge con riferimento alla
fusione, deliberata nell’ambito di un leveraged buy out, fra la società acquirente e quella
acquistata se, al momento in cui tale negozio è sorto, sussistevano concrete ragioni imprenditoriali
che lo giustificavano”.
(Trib. Milano, 13 maggio 1999)
Nel caso concreto, dopo aver accertato la ragionevolezza dell’operazione di
fusione, il Tribunale di Milano la ritenne valida, atteso che
“un giudizio sull’opportunità della stessa non può essere certo demandato al giudice,
dovendo essere riservata la sfera della discrezionalità di impresa.”
(Trib. Milano, 13 maggio 1999)
Tuttavia secondo una parte della dottrina (Picone, 2001, 65;), la distinzione tra
merger leveraged buy out leciti ed illeciti sulla base della “ragione economica”
dell’operazione non convinceva, prestando il fianco ad interpretazioni idonee ad
ampliare eccessivamente la portata del principio. Peraltro secondo l’Autore, i giudici
non avevano individuato dei criteri su cui basare il giudizio di ragionevolezza,
fermandosi all’individuazione di una generica logica imprenditoriale sottostante.
Differentemente altro autorevole Autore (Montalenti, 1999, 2106), ha condiviso
la tesi prospettata dal tribunale, prevedendo che la fusione sia
“sorretta […] da reali ragioni economico finanziarie di concentrazione imprenditoriale
e, soprattutto, sia inserita in un quadro di patrimonializzazione della società acquirente idoneo ad
escludere che l’obiettivo primario dell’operazione consista nell’utilizzazione del patrimonio della
società acquisita per ripianare il debito contratto per l’acquisizione”.
(Montalenti, 1999, 2106)
Effettivamente, nell’ottica di verificare la “frode alla legge”, l’assenza di
ragione economica in un’operazione ben può atteggiarsi ad indizio di una elusione al
divieto di assistenza finanziaria. D’altronde il vecchio art. 2358 non faceva menzione
della necessità di una “incidenza negativa” dell’operazione sul patrimonio della società.
Tuttavia, non parrebbe opportuno chiedere al giudice di sostituirsi – in sostanza
– agli amministratori nel business judgement, rischiando peraltro di attribuire ad un
giudizio meramente imprenditoriale sui risultati della fusione – peraltro effettuato ex
post – il valore di parametro della liceità dell’operazione di merger leveraged buy out.
Sebbene la dottrina abbia a suo tempo accolto con molte perplessità
l’impostazione del Tribunale di Milano, tesa a valorizzare
l’elemento della
“ragionevolezza” della fusione come parametro di liceità dell’operazione, la richiesta
avanzata agli amministratori dalla nuova normativa, di indicare le ragioni che
giustificano l’operazione (sia dall’art. 2501 bis, 3° comma c.c., che dal nuovo testo
dell’art. 2358, 2° comma, c.c.), sembra oggi attribuire rilevanza non secondaria proprio
alla “giustificazione imprenditoriale” della fusione.
7
3. segue: cenni comparatistici.
LEGISLAZIONE : Artt. 2358 c.c. – Sect. 54, Companies Act 2006 – Sect. 151, 153, 330, Companies Act 1985 – art.
217-9, loi 537/66 – parr. 57, 71, AKTG – dir. 68/2008/CE; 77/91/CE.
BIBLIOGRAFIA: Easterbrook, Fischel, 1982 – Jensen, 1986 – Brudney, 1983 – Longstrath, 1983 – Schwartz, 1986 –
Lumdsen, 1987 – Morello, 1996 – Vernimmen, Quiry, Le Fur, 2005 – Hauschka, 1987 – Gondesen, 1989 – Kerber,
1989 – Lutter, 1989.
La dottrina statunitense è tradizionalmente divisa tra favorevoli e contrari alla
tecnica del leveraged buy out.
I primi (fra tutti Easterbrook, Fischel, 1982, 698) ne evidenziano gli effetti
positivi sul piano della ristrutturazione finanziaria delle società e dell’incentivo al
management, attraverso la prospettiva di guadagni personali, ad indirizzare le risorse
della società verso nuove iniziative, eventualmente anche in danno degli azionisti di
minoranza. Il leveraged buy out permetterebbe, inoltre, un impiego più efficiente delle
risorse finanziarie, attraverso l’acquisizione di imprese con elevato cash flow ma scarse
prospettive di crescita (Jensen, 1986, 323).
Tuttavia, più frequenti e – probabilmente – più convincenti risultano le posizioni
critiche.
In primis con riferimento ai minority shareholders si è sostenuto che nelle
operazioni di leveraged buy out il prezzo di cessione o liquidazione delle azioni di
questi risulta spesso – anche e soprattutto per via dei c.d. insider – inferiore al reale
valore .
Sotto questo profilo il leveraged buy out comprometterebbe il principio
dell’omogeneità di trattamento economico delle azioni e permetterebbe al management
di sottrarsi al fondamentale dovere di massimizzare il valore dell’impresa (Brudney,
1983, 1073).
Una possibile soluzione, secondo alcuni (fra tutti Longstreth, 1983, 34),
risiederebbe in una ammissibilità del leveraged buy out subordinata alla preventiva
concessione agli azionisti di minoranza della possibilità di valutare offerte alternative o
di effettuare proprie valutazioni, pur riconoscendo al management la possibilità di
“abortire” l’operazione, onde evitare di un mandatory sale ad acquirenti non graditi
(c.d. auction approach).
Nel corso degli anni le corti americane, in particolare quella del Delaware,
hanno sviluppato quale requisito di validità per le operazioni di leveraged buy out la
sussistenza di un business purpose (e cioè un reale scopo di affari).
Allo stesso modo, l’evoluzione della casistica giurisprudenziale statunitense ha
“partorito” il concetto di fraudulent conveyance, assimilabile al nostro “contratto in
frode alla legge” alimentando il dibattito sulla liceità o meno del leveraged buy out per
contrasto al principio della c.d. entire fairness.
Passando all’ordinamento inglese, è opportuno in primis constatare che la
normativa comunitaria sul divieto di financial assistance trae origine proprio dalla
section 54 del Companies Act del 1948.
L’originario divieto assoluto è stato tuttavia mitigato nel 1985. La section 151
del Companies Act del 1985 stabiliva infatti che “quando un soggetto sta acquistando o
ha intenzione di acquistare le azioni di una società, è fatto divieto alla società o ad una
qualsiasi delle sue controllate di fornire assistenza finanziaria, direttamente o
8
indirettamente, ai fini dell’acquisizione, prima dell’acquisizione o contemporaneamente
ad essa”.
La section 158 affermava inoltre che “quando un soggetto ha acquistato le
azioni di una società ed ha assunto obbligazioni, anche se per interposta persona, ai
fini dell’acquisizione, è vietato alla società ed alle sue controllate fornire assistenza
finanziaria per ridurre o estinguere le obbligazioni assunte”.
In assenza di una esplicita definizione legislativa del concetto di “financial
assistance”, la dottrina inglese vi ha tradizionalmente ricompreso qualsiasi attività posta
in essere dalla società “bersaglio” per assistere la società acquirente nell’acquisto delle
proprie azioni (Lumdsen, 1987, 54; Morello, 1996, 136).
Con il nuovo Companies Act 2006, nel rispetto della direttiva comunitaria
68/2008/CE il divieto di fornire assistenza finanziaria per l’acquisto delle proprie azioni
è stato abrogato, con decorrenza dal 1 ottobre 2008 per le private company e dal 1
ottobre 2009 per le public company.
La dottrina tedesca, che inizialmente sembrava voler ridurre il fenomeno della
“fremdfinazierte Auskauf von Gesellsharfern” (il leveraged buy out) ad una mera
evoluzione delle tecniche di Unternehmens Kauf (tecniche di acquisizione societaria)
(Hauschka, 1987, 2169), nel tempo ha indubbiamente approfondito la questione
(Gondesen, 1989, 201 – Kerber, 1989, 473).
In particolare, un’autorevole dottrina ha analizzato l’operazione di leveraged buy
out alla luce dei profili di illegittimità emersi nella casistica statunitense (breach of
fiduciary duty, disparità di trattamento tra le azioni e fraudolent conveyance),
sollevando non pochi dubbi sulla validità di questo istituto nell’ordinamento tedesco
(Lutter, 1989, 1).
Si è osservato, infatti, che l’art. 23, paragrafo I, della Direttiva Comunitaria
77/91/CE avrebbe una portata più ampia rispetto alla legge di recepimento tedesca
(paragrafo 71 AktG), e che pertanto la normativa nazionale dovrebbe considerarsi
contraria non solo ad operazioni in diretto contrasto con il precetto normativo, ma anche
ad operazioni “elusive”. Il medesimo autore ha peraltro individuato due possibili ipotesi
di illiceità dell’operazione nell’abuso del potere di rappresentanza e nella nullità delle
garanzie prestate da un terzo in mala fede.
4. La fattispecie descritta dal primo comma dell’art. 2501-bis: l’acquisizione
del controllo.
Legislazione : Artt. 2501-bis, 2359 c.c.
Bibliografia: Cacchi Pessani, 2007 – Picone, 2003 – Spolidoro, 2004 – Vicari, 2006 – Ardizzone, 2003
L'elemento principale della fattispecie risiede nella circostanza che una delle
società partecipanti alla fusione abbia preventivamente acquisito il controllo dell'altra.
La dottrina è concorde nel ritenere che per lo scopo citato rilevi sia il controllo
di diritto (art. 2359, comma 1, n. 1 c.c.), sia il controllo di fatto (art. 2359, comma 1, n.
2 c.c.) (Cacchi Pessani, 2007, 306 – Picone, 2003, 1416), escludendo, invece, l’ipotesi
del controllo c.d. contrattuale (art. 2359, comma 1, n. 3 c.c.).
9
Alcune correnti dottrinali, peraltro, hanno sostenuto che il concetto di controllo
di cui all’art. 2501 bis c.c., in mancanza di una specifica previsione, non possa
assimilarsi alla nozione di cui all’art. 2359 c.c., risultando più opportuna una
definizione più ampia ed elastica di controllo, anche considerando leggi speciali
disciplinanti i singoli settori (Spolidoro, 2004, 233).
Inoltre, la nozione di cui all’art. 2359 c.c. non regolamenta altre fattispecie di
indubbio rilievo applicativo, quale ad esempio il concetto di “controllo congiunto” di
cui alla legislazione antitrust.
A livello letterale l’art. 2501 bis c.c. richiede che una delle due società
partecipanti alla fusione abbia contratto debiti per l’acquisto dell’altra e che la fusione
comporti la traslazione sul patrimonio della società acquisita di un debito legato, sul
piano generico e funzionale, ad una vicenda che riguarda la circolazione di una
partecipazione di controllo, non essendo – invece – richiesto che dal trasferimento di
questa partecipazione derivi un mutamento effettivo del controllo della società acquisita
(Cacchi Pessani, 2007, 55).
Tuttavia questa tesi è stata criticata in quanto, sul piano della ratio della
disciplina, anche il merger leveraged buy out realizzato infra-gruppo solleva le stesse
questioni sotto il profilo della tutela dei creditori e dei soci di minoranza; la genericità
della legge delega non permette di chiarire alla base del nuovo art. 2501-bis c.c. vi sia la
necessità di dare maggiore efficienza e certezza al mercato.
In ogni caso, la norma viene ritenuta applicabile anche alle operazione di merger
leveraged buy out realizzate infra-gruppo.
Più complessa, invece, l’ipotesi in cui lo scopo dell'operazione di merger
leveraged buy out sia di rendere più solida la posizione di controllo.
Il tema è tuttora oggetto di dibattiti dottrinali.
Alcuni Autori hanno sostenuto che il senso letterale della norma escluderebbe
l’ipotesi in cui controllo della società preesista all'inizio dell’operazione di merger
leveraged buy out (Spolidoro, 2004, 238).
Questa posizione è stata criticata da altra dottrina (Cacchi Pessani, 2007, 58 –
Ardizzone, 2003, 480), che ha rilevato come le operazioni di consolidamento del
controllo incidano in maniera rilevante sulla proprietà della società target e sollevino
esigenze di tutela degli interessi dei creditori e dei soci di minoranza analoghe a quelle
che sono alla base del nuovo art. 2501-bis c.c..
In effetti, anche un’operazione di “consolidamento” potrebbe comportare lo
spostamento di un debito nel patrimonio della società “bersaglio” ed un vincolo di
destinazione a servizio di detto debito sui flussi di cassa futuri della società “bersaglio”,
sollevando la questione della ragionevolezza dell’uso della leva finanziaria.
Potrebbe risultare opportuno, peraltro, applicare la disciplina in parola anche alle
ipotesi in cui si realizzi un incremento “qualitativo” del controllo, ad esempio passando
dal controllo di fatto a quello di diritto.
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5. Segue: l’indebitamento.
Legislazione : Artt. 2501-bis, 2358 c.c.
Bibliografia: Montalenti, 2004 – Ardizzone, 2003 – Picone, 2003 – Morano, 2005.
Il secondo elemento caratterizzante della fattispecie di “fusione con acquisizione
a seguito di indebitamento” è l’esistenza, nel “passivo” della società controllante, di un
debito contratto per l'acquisizione del controllo dell'altra società partecipante alla
fusione.
A tal fine è sufficiente che le somme utilizzate per l'acquisizione del controllo
appartengano a terzi, a qualunque titolo – compresi i prestiti derivanti da obbligazione e
le somme erogate “fuori capitale” dai soci in vista dell’acquisizione. Non è necessario,
infatti, che si tratti di un mutuo di scopo, né che il collegamento funzionale tra debiti e
acquisto del controllo sia esplicitato in un contratto sottostante.
Parte della dottrina, sottolineando la chiarezza della norma nell’indicare un
rapporto causa-effetto tra debito e acquisizione, ne privilegia un’interpretazione
rigorosa, ritenendola applicabile ogni qualvolta un debito, ancorché sorto
indipendentemente da un progetto di acquisizione o successivamente ad essa, sia in
concreto finalizzato alla sua realizzazione (Montalenti, 2004, 2319).
Se la durata del finanziamento si atteggia ad elemento “neutro” rispetto alla
norma in esame (Ardizzone, 2003, 486), il silenzio di questa non elide invece i dubbi
circa la rilevanza del lasso temporale che intercorre fra l'indebitamento, l'acquisizione e
l'operazione di fusione.
Potrebbe, semplicemente, tentarsi il ricorso alla ratio della disposizione in
parola, chiedendo prova che il debito sia stato contratto per procedere all'acquisto del
controllo e sottolineando la rilevanza non già del titolo del negozio o della
conformazione delle clausole, quanto del “disegno unitario” e dell'indebitamento al
quale vanno incontro a seguito della fusione la società acquirente e la società
“bersaglio” (Ardizzone, 2003, 486).
Altro Autore (Picone, 2003, 1413) sostiene l’assoluta irrilevanza del lasso di
tempo che intercorre fra il momento dell’acquisizione e l'effettiva fusione; a condizione
che il debito, al momento della fusione, non sia stato interamente rimborsato.
Quanto all’aspetto “quantitativo” del debito, pare opportuno schierarsi sul
versante dell’assoluta irrilevanza di tale profilo ai fini della configurazione della
fattispecie in parola.
D’altronde, la norma richiama quale ulteriore elemento costitutivo della
fattispecie la circostanza che il patrimonio della società acquisita venga a “costituire
garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti”, non prevedendo limiti quantitativi
né in generale profili dimensionali.
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6. Segue: effetti della fusione sul patrimonio della società acquisita.
Legislazione : Artt. 2501-bis, c.c..
Bibliografia: Cacchi Pessani, 2007 – Montalenti, 1999
L’unico elemento costitutivo della fattispecie ad essere stato aggiunto dal
legislatore delegato rispetto alla legge delega consiste nella circostanza che, per effetto
della fusione, il patrimonio della società acquisita venga “a costituire garanzia generica
o fonte di rimborso” del debito contratto per la sua acquisizione.
La dottrina, tuttavia, risulta divisa circa l’indispensabilità di tale elemento ai fini
della configurazione della fattispecie.
Una prima corrente sostiene che la legge si sia limitata a descrivere la tipica
conseguenza della confusione fra patrimoni societari e, dunque, della fusione,
attribuendo alla norma valenza meramente descrittiva (Cacchi Pessani, 2007, 60).
Altra parte della dottrina è critica verso questa visione. Se così fosse, infatti, il
legislatore si sarebbe limitato a indicare due requisiti: che l’acquirente abbia contratto
debiti e che il patrimonio della società controllata venga a costituire garanzia generica di
tali debiti.
Sarebbe possibile, altresì, soffermarsi sull’entità del debito e sostenere che la
fusione con la società “bersaglio” sia una conseguenza necessaria ogni qual volta
l'indebitamento eccessivo porti la società debitrice a non poter rifondere il debito se non
col supporto del patrimonio della società acquisita (Montalenti, 1999, 2107).
Tale linea interpretativa presuppone tuttavia una lettura del concetto di
patrimonio come “attivo patrimoniale”, in coerenza con l’art. 2740 c.c. , dovendo il
debito contratto dalla società acquirente eccedere l’attivo patrimoniale, al netto del
valore delle azioni della società bersaglio detenute, situazione peraltro frequente nelle
operazioni di MLBO.
Se così non fosse, d’altronde, il patrimonio della società controllante sarebbe
tale da garantire autonomamente il debito.
Non può omettersi di rilevare, tuttavia, che ammettere la rilevanza dell'entità
dell'indebitamento finirebbe per “agganciare” la liceità di una “fusione a seguito di
acquisizione con indebitamento” ad un parametrio “quantitativo” che la norma, dal
canto suo, non pare aver voluto richiamare.
7. Il contenuto del progetto di fusione.
Legislazione : Artt. 2501-bis, 2501-ter.
Bibliografia: Cacchi Pessani, 2007 – Picone, 2003 – Bernardi, 2003.
Il secondo comma dell’art. 2501-bis c.c. prevede che gli amministratori
includano, nel progetto di fusione di cui all’art. 2501-ter, l’indicazione delle risorse
finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante
dalla fusione. Il progetto, dunque, oltre a descrivere le fasi e le caratteristiche
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dell'operazione deve contenere le informazioni circa la sostenibilità economico
finanziaria della stessa.
Il nuovo art. 2501-bis c.c. ha l'obiettivo di colmare, o quantomeno ridurre,
l’asimmetria informativa che, prima della riforma, separava i promotori e i finanziatori
dell’operazione di merger leveraged buy out dai soci di minoranza e dai creditori sociali
della società “bersaglio”.
In dottrina è stato rilevato che “obbligazioni risultanti dalla fusione” debbono
essere considerate tutte quelle obbligazioni cui la nuova società dovrà fare fronte per
tutto il periodo necessario all’estinzione del debito contratto per acquisire il controllo, o
degli altri debiti contratti per rifinanziare o estinguere il primo (Cacchi Pessani, 2007,
86 – Picone, 2003, 1418).
A differenza della disciplina generale sulle fusioni di cui all’art. 2501-ter c.c., la
norma in esame richiede che gli amministratori indichino all'interno del progetto di
fusione le risorse necessarie per far fronte all'intera situazione debitoria risultante dalla
fusione, tenendo quindi conto anche della totalità dei debiti che la società aveva prima
dell'operazione.
Col termine “risorse finanziarie”, la letteratura aziendalistica tradizionalmente
indica sia le disponibilità liquide di cassa e presso banche (più gli altri depositi
immediatamente prelevabili senza rischio di mutamento di valori), sia il capitale
circolante netto.
Nel dettato normativo dell'art. 2501-bis c.c., pertanto, il concetto di “risorse
finanziarie” va inteso come “tutta la liquidità necessaria per far fronte all'indebitamento
dovuto alla realizzazione dell’operazione”.
Nel progetto di fusione sarà quindi necessario individuare le fonti endosocietarie
dalle quali proverrà detta liquidità, ipotizzando finanziamenti extrasocietari solo nel
caso in cui si tratti di somme che non costituiranno debiti per la società risultante dalla
fusione.
Nella stesura del progetto, in ogni caso, gli amministratori dovranno indicare e
descrivere le “risorse finanziarie” in maniera sufficientemente analitica da permettere
agli “esperti” di cui all’art. 2501-sexies un giudizio ragionevole sull'operazione di
fusione.
8. La relazione degli amministratori.
Legislazione : Artt. 2501-bis, 2501-quinquies, 2358.
Bibliografia: Spolidoro, 2000 – Cacchi Pessani, 2007 – Picone, 2003 – Fabbrini, Carriere, 2003 – Morano, 2005.
Il terzo comma dell’art. 2501-bis c.c. dispone che la relazione degli
amministratori ex art. 2501-quinquies deve:
a) “indicare le ragioni che giustifichino l’operazione”;
b) “contenere un piano economico e finanziario con indicazione delle risorse
finanziarie”;
c) descrivere gli “obiettivi che si intendono raggiungere”.
(Art. 2501-bis, c.c.)
L’inserimento nella relazione degli amministratori delle “ragioni che
giustificano l’operazione” ha sollevato un dibattito circa l’accoglimento o meno, da
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parte del legislatore, della tesi antecedente alla riforma che subordinava la liceità del
merger leveraged buy out alla presenza di “valide ragioni industriali”.
Come già rilevato supra, tuttavia, già prima della riforma tale orientamento era
stato respinto dalla maggioranza della dottrina, giacché in contrasto con le esigenze di
protezione dei soci e dei creditori della società “bersaglio” (Spolidoro, 2000, 84), ed
ancor più duramente ha subito critiche a seguito della riforma (Cacchi Pessani, 2007,
89).
L’art. 2501-bis, comma 3 non fa riferimento alla natura delle “ragioni
dell’operazione” che devono essere indicate nella relazione degli amministratori: non è
dunque possibile ritenere che le uniche ragioni da indicare a pena di illegittimità siano
quelle di carattere “industriale”, circostanza che peraltro smentirebbe l’efficacia
interpretativa dell’intervento del legislatore delegante, il quale ha chiarito che non è
possibile collegare la legittimità di un merger leveraged buy out alla ragionevolezza
delle motivazioni industriali alla base dell’operazione.
Peraltro, descrivendo quale fattispecie tipica di fusione il merger leveraged buy
out, il legislatore ha espressamente inteso legittimare operazioni di fusione che, avendo
come principale finalità quella di traslare sul patrimonio della società “bersaglio” il
debito contratto per acquisirne il controllo, non hanno, per definizione, una propria ed
autonoma motivazione industriale, essendo necessariamente dirette a realizzare obiettivi
di natura finanziaria.
Può dunque concludersi che le “ragioni che giustificano l’operazione” che gli
amministratori devono riportare nella loro relazione debbono riguardare non già – e non
solo – la fusione (come previsto per tutte le fusioni ex art. 2501-quinquies c.c.), ma il
complesso delle attività di indebitamento-acquisizione-fusione (Picone, 2003, 1429).
D’altronde il legislatore delegato ha inteso garantire un adeguato livello di
informazione in merito al complessivo progetto di merger leveraged buy out, al fine di
consentire ai vari stakeholder di valutare l’intera operazione, composta da:
indebitamento, fusione e rimborso del debito; e di permettere ai soci di elaborare una
consapevole decisione prima di procedere alla deliberazione di fusione.
Alla luce di quanto sin qui esposto, parrebbe doversi concordare con chi ha
sostenuto che le “ragioni che giustificano l’operazione”
“devono, in definitiva, individuarsi nelle ragioni che hanno sostenuto i promotori nell’iniziativa di acquisire
il controllo della target attraverso il ricorso al debito”
(Fabbrini, Carriere, 2003, 28).
La relazione degli amministratori deve inoltre contenere “un piano economico e
finanziario con indicazione della fonte delle risorse finanziare e l’indicazione degli
obiettivi che si intendono raggiungere”.
Con riferimento al “piano economico e finanziario”, la dottrina è unanime nel
ritenere che debba trattarsi di un business plan composto dal piano industriale, da quello
finanziario e da un’analisi di sostenibilità che il promotore ha predisposto e condiviso
con i finanziatori in vista dell’operazione (Cacchi Pessani, 2007, 93).
Per quanto riguarda, invece, l’indicazione della “fonte delle risorse finanziarie”,
è legittimo dubitare se si tratti di una semplice ripetizione di quanto già indicato dagli
amministratori nel progetto di fusione, ovvero se l’indicazione della “fonte” richieda un
quid pluris, nel senso di dover includere qualsiasi fatto, atto, o attività della società che
generi liquidità utilizzabile per il rimborso del debito contratto per l’acquisizione.
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Passando agli “obiettivi che si intendono raggiungere”, la norma non chiarisce se
debba trattarsi degli obiettivi della fusione in particolare, ovvero di quelli dell’intera
operazione di MLBO.
Nel primo caso dovremmo coerentemente ritenere lecite delle operazioni di
fusione che perseguano esclusivamente finalità finanziarie/patrimoniali (integrazione
del debito dell’acquirente con il patrimonio della società “bersaglio”) con l’unica
premura costituita dall’obbligo per gli amministratori di indicare con chiarezza e
trasparenza ai soci se la fusione persegua solamente finalità finanziarie ovvero anche
industriali.
Tuttavia, se ciò fosse vero non vi sarebbe differenza alcuna tra gli obiettivi in
esame e la giustificazione richiesta in via generale per ogni tipo di fusione dall’art.
2501-quinques c.c..
La seconda ipotesi pare, dunque, preferibile.
Nel caso in cui, tra la data in cui sono depositati il progetto di fusione e la
relazione degli amministratori e la data dell’assemblea si verifichino rilevanti
mutamenti in negativo delle circostanze a fondamento del piano economico e
finanziario, gli amministratori non sarebbero tenuti a modificare le indicazioni
contenute nel progetto e nella relazione, dal momento che la correttezza formale e
sostanziale di detti documenti viene valutata alla data in cui essi sono resi pubblici.
Rimarrebbe, comunque, in capo agli amministratori, il dovere di informare
l’assemblea di eventuali circostanze sopravvenute che possano rendere inattuali le
previsioni del piano economico e finanziario, e di sospendere il processo di stipulazione
dell’atto di fusione nel caso in cui, successivamente alla data della delibera,
l’operazione divenisse non più sostenibile sul piano finanziario.
9. La relazione degli esperti.
Legislazione : Artt. 2501-bis, 2501-sexies.
Bibliografia: Bianchi, 2002 – Marchetti, 1991 – Picone, 2003 – Sacchi, 2006.
Il legislatore ha voluto ampliare le competenze degli esperti chiamati a valutare
la congruità dell'operazione di “fusione a seguito di acquisizione con indebitamento”,
indicando come presupposto la valutazione della sostenibilità dell'operazione, non solo
rispetto al mercato, ma anche rispetto ai soci e creditori della società “bersaglio”.
La previsione mira ad impedire operazioni che risultino, poi, finanziariamente
sconvenienti, chiedendo all'esperto un controllo preventivo dell'operazione di merger
leveraged buy out, con particolare attenzione agli interessi dei soci e dei creditori della
società “bersaglio”.
Sembra dunque che il legislatore abbia inteso introdurre un criterio valutativo
già noto nel panorama giurisprudenziale (Cass. 3 maggio 2002, n. 6337 – Cass. 24
novembre 2000, n. 15189), valorizzando i canoni di “probabilità” e di “normalità” (in
contrapposizione all’“eccezionalità”) degli eventi, nell’ambito di un’analisi preventiva
esercitata sulla base di criteri squisitamente tecnici, nonché di concetti e metodi
provenienti dalla scienza aziendalistica.
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Con riferimento al contenuto della relazione, facendo riferimento alla norma di
cui all’art.2501-sexies c.c. emerge quale oggetto la congruità del rapporto di cambio.
E' opinione diffusa che, nelle fusioni “normali”, null’altro debba intendersi
ricompreso nell'oggetto della relazione, non potendo gli esperti esprimere alcuna
valutazione sulle ragioni giuridiche o economiche della fusione, ed in genere alcun
parere sul progetto di fusione nel suo complesso, e dovendosi essi esprimere solo in
merito ai metodi seguiti per la determinazione del rapporto di cambio proposto dagli
amministratori e sui valori risultanti dall’applicazione degli stessi (Bianchi, 2002, 291).
Va sottolineato, peraltro, che l'incongruità del rapporto di cambio eventualmente
“eccepita” dagli esperti nella propria relazione, non vincolerebbe in nessun modo
l'assemblea riguardo al voto per la fusione (Marchetti, 1991, 35).
L’articolo in esame assegna agli esperti un ulteriore compito, che nulla ha a che
vedere con il rapporto di cambio, chiedendo loro di attestare la ragionevolezza delle
“risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società
risultante dalla fusione”, elevando l'autorevolezza e la rilevanza della relazione degli
esperti rispetto ad un mero giudizio o parere (Picone, 2003, 1436).
L'attestazione, tuttavia, comporterebbe una dichiarazione di scienza, esulando
dal compito – di natura prettamente valutativa – che l'esperto solitamente compie nel
redigere la relazione.
Gli esperti dovranno, pertanto, nella relazione, giudicare la ragionevolezza,
l’adeguata prudenzialità, la congruità e la “non arbitrarietà” delle valutazioni compiute
dagli amministratori delle due società nelle rispettive relazioni.
Gli esperti non dovranno entrare nel merito delle scelte effettuate dagli
amministratori, né compiere una propria, autonoma, analisi di sostenibilità,
riformulando la proiezione dei flussi di cassa attesi elaborata dagli amministratori, ma
solo limitarsi ad esaminare la condotta degli stessi, di cui solo essi rimarranno
responsabili, evitando “sovrapposizioni” di ruoli.
Dall’analisi letterale del dettato normativo – “la relazione degli esperti… attesta
la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del
secondo comma” – non è del tutto chiaro se gli esperti debbano o meno analizzare
anche il piano economico e finanziario redatto dagli amministratori. In merito è stato
sostenuto
(Picone, 2003, 1437) che non sarebbe logico che gli esperti si
disinteressassero del piano economico-finanziario redatto dagli amministratori, giacché
documento essenziale per valutare la “ragionevolezza” dell'operazione.
Non manca, tuttavia, chi afferma che l’attestazione dell’esperto debba avere ad
oggetto non la ragionevolezza e l’attendibilità del piano nel suo complesso, ma le
assunzioni di base poste a suo fondamento (Sacchi, 2006, 170).
Nell’ottica di valutare la ragionevolezza dell’operato degli amministratori, gli
esperti dovranno necessariamente esprimersi sulla coerenza dei dati contabili utilizzati a
fondamento delle affermazioni di sostenibilità del debito rispetto ai dati storici di
bilancio delle società, senza tuttavia effettuarne una revisione contabile; sulle proiezioni
reddituali, patrimoniali e finanziarie; sulla corretta applicazione delle assunzioni poste
dagli amministratori a base della proiezione di generazione di liquidità; sulla corretta e
prudente applicazione dei metodi adottati dalla prassi aziendalistica per la previsione dei
flussi di cassa.
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10. La relazione della società di revisione.
LEGISLAZIONE : Artt. 2501-bis, 2501-sexies, 2409-bis.
BIBLIOGRAFIA: Bianchi, 2002 – Morano, 2003 – Picone, 2003 – Sacchi, 2006 – Montalenti, 2004.
Ardizzone, 2003 – Reboa, 2003 – Cacchi Pessani, 2007.
Il quinto comma dell’art. 2501-bis c.c. prevede che “al progetto di fusione sia
allegata una relazione del soggetto incaricato della revisione legale dei conti della
società obiettivo o della società acquirente.”
La norma, novellata dall’art. 31 del d. lgs. 39/2010, originariamente riservava
tale relazione alla “società di revisione incaricata della revisione contabile obbligatoria”
dando adito, peraltro, a dubbi interpretativi relativamente al suo ambito di applicazione.
In ogni caso, oltre che chiarire i suddetti dubbi, il legislatore sembra aver voluto
confermare la necessità un duplice controllo rispetto alla sostenibilità finanziaria
dell’operazione di merger leveraged buy out (Reboa, 2003, 1234).
Siffatto controllo “incrociato” sull’operazione sarebbe possibile solamente
tenendo separate la figura dell’esperto, di cui all’art. 2501-bis comma quarto c.c., da
quella della società di revisione, di cui al comma quinto, laddove però, per le società
quotate, l’art. 2501-sexies – disponendo che “se la società è quotata sui mercati
regolamenti l’esperto è scelto fra le società di revisione” – renderebbe possibile una
sovrapposizione di ruoli.
Tale conseguenza potrebbe essere evitata ritenendo che per le società quotate la
nomina dell’esperto sia sempre di esclusiva competenza del Presidente del Tribunale, al
fine di rafforzare l’indipendenza del revisore, limitando il cumulo di incarichi “extra
audit”(Bianchi, 2002, 15).
Altra dottrina (Picone, 2003, 1445 – Ardizzone, 2003, 509) non vede invece
ostacoli al fatto che la medesima società di revisione agisca sia nella qualità di esperto
(attestando la ragionevolezza del piano) sia nella qualità di revisore ai sensi del quinto
comma dell’art. 2501 bis c.c..
Con riferimento al contenuto della relazione, la norma non chiarisce se si tratti di
una vera e propria “revisione contabile” (ma in tal caso non si comprenderebbe quale sia
l’oggetto: se l’ultimo bilancio della società, la situazione patrimoniale di fusione, etc.),
ovvero di una diversa, ulteriore relazione avente ad oggetto la “ragionevolezza delle
informazioni contenute nel progetto di fusione” (ma in tal caso essa rischierebbe di
sovrapporsi alla relazione dell’esperto).
In merito è stato sostenuto (Morano, 2003, 958) che la relazione in parola
avrebbe proprio la funzione di duplicare l’attestazione della ragionevolezza delle
indicazioni contenute nel progetto di fusione effettuata dell’esperto.
Potrebbe ritenersi, infatti, che se il legislatore delegato ha inteso indirizzare
l’attenzione del revisore verso la sostenibilità finanziaria dell’operazione, vi sarebbero
in effetti diversi – ed opportuni – profili di “sovrapposizione” con il compito
dell’esperto che, ai sensi del quarto comma dello stesso articolo, è esplicitamente
incaricato di “attestare la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di
fusione”, con particolare attenzione “alle risorse finanziarie previste per il
soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione” (Reboa, 2003,
1237) .
Altra dottrina ritiene, invece, che la relazione del revisore abia ad oggetto il
mero controllo contabile della situazione patrimoniale di fusione (Picone, 2003, 1444),
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non essendo possibile richiedere alla società di revisione un nuovo giudizio sulla
ragionevolezza delle previsioni effettuate dagli amministratori in ordine alla
sostenibilità del debito, giudizio già sottoposto al vaglio dell’esperto.
Il revisore, pertanto, avrebbe il compito di offrire un riscontro circa
l’attendibilità contabile dei dati in esame, con particolare riferimento alla verifica
contabile dei valori degli asset posseduti dalle società, eventualmente utilizzabili per il
reperimento delle risorse finanziare necessarie a ripianare il debito contratto per
acquisire la società “bersaglio” .
Tuttavia, in tale ipotesi occorrerebbe stabilire se il soggetto incaricato della
revisione debba valutare la situazione contabile della sola società con cui intrattiene
abituali e obbligatori rapporti di audit, ovvero se il suo compito si estenda a tutte le
situazioni contabili delle società partecipanti alla fusione. Il dato letterale e quello
logico sembrerebbero condurre a quest’ultima ipotesi, non essendo giustificabile una
richiesta di intervento solamente parziale.
Quest’ultima impostazione è stata criticata da chi (Cacchi Pessani, 2007, 105 –
Montalenti, 2004, 2322) ha sostenuto che i dati contabili contenuti nelle situazioni
patrimoniali di fusione hanno natura meramente informativa e solo eventuale rispetto
all’aspetto più rilevante dell’operazione di merger leveraged buy out, cioè la
sostenibilità finanziaria dell’operazione.
In questa prospettiva, dunque, oggetto della relazione del soggetto incaricato
della revisione sarebbero i dati contabili posti a fondamento delle previsioni contenute
nel piano economico e finanziario dell’operazione di merger leveraged buy out.
Peraltro, è stato rilevato che la relazione del revisore riguarderebbe la
ragionevolezza del piano economico e finanziario “nel suo complesso” (Sacchi, 2006,
107), in ciò differenziandosi dalla valutazione dell’esperto, che avrebbe ad oggetto
solamente la ragionevolezza delle motivazioni poste a fondamento del piano economico
e finanziario.
Siffatto rilievo, tuttavia, è contestato da chi (Cacchi Pessani, 2007, 108) osserva
che anche l’attestazione dell’esperto – stando al dato letterale – riguarderebbe il piano
“nel suo complesso”, dovendo ricomprendere le “risorse finanziarie previste per il
soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione”.
11. Inapplicabilità degli articoli 2505 e 2505-bis c.c..
Legislazione : Artt. 2501-bis, 2501-ter, 2501-quarter, 2501-sexies, 2505, 2505-bis.
Bibliografia: Cacchi Pessani, 2007 – Magliulo, 2005 – Scognamiglio, 2003 – Ferri, Guizzi, 2006 – Ardizzone, 2003
– Morano, 2003.
Nei casi di incorporazione di società interamente possedute ovvero possedute
almeno al novanta per cento, l’art. 2501-bis, comma 6, prevede che le disposizioni di
cui agli artt. 2505 e 2505 bis c.c non siano applicabili alle operazioni di “fusione con
acquisizione a seguito di indebitamento” .
L'intento del legislatore sembrerebbe quello di evitare l'attribuzione al consiglio
d'amministrazione dell’autonoma competenza di deliberare su una fusione “a rischio”.
Nel richiamare l’art. 2501-sexies c.c., peraltro, l’art. 2501-bis esclude altresì che possa
essere omessa la relazione dell’esperto circa la congruità del rapporto di cambio.
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La dottrina maggioritaria (Cacchi Pessani, 2007, 110 – Magliulo, 2005, 88)
osserva che, nel caso in cui la società acquirente proceda all’incorporazione di una
società interamente posseduta, in effetti non sia necessario inserire nella relazione il
rapporto di cambio, che in concreto non esiste. La relazione dovrebbe, quindi, occuparsi
solo della ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione.
D’altronde l’obiettivo della norma parrebbe proprio quello di evitare che le due
relazioni (degli esperti e degli amministratori) atte a giustificare l'operazione sul piano
economico-finanziario vengano omesse (Scognamiglio, 2003, 902 – Ferri, Guizzi, 2006,
242).
Altri, differentemente, (Ardizzone, 2003, 513) sottolineano che l'esperto è
chiamato a confermare nella propria relazione una valutazione che non deve essere
considerata autonoma rispetto al giudizio di ragionevolezza, ma, piuttosto, quale suo
presupposto valutativo: la valutazione dell’esperto dovrebbe pertanto contenere anche
un’analisi circa il valore del capitale economico e netto delle società partecipanti alla
fusione.
Deve osservarsi, peraltro, che l’art. 2501-bis c.c. non esclude l’applicazione
degli artt. 2501-ter ultimo comma e 2505-quater c.c.. Può dedursi, evidentemente, che
anche alle operazioni di “fusione a seguito di acquisizione con indebitamento” si
applichi la norma secondo la quale i soci possono rinunciare all’unanimità al termine
dei trenta giorni tra la data dell’iscrizione del progetto di fusione nel registro delle
imprese e la data dell’assemblea. Quest’ultima norma, infatti, è posta nell’esclusivo
interesse dei soci – anche perché, a ben vedere, decorrendo il termine per l’opposizione
dalla data di iscrizione della delibera di fusione nel registro imprese, non si
configurerebbero lesioni agli interessi dei creditori.
Qualora le società partecipanti alla fusione non siano S.p.A., i tempi previsti per
il deposito pre-assembleare della documentazione di fusione e per l’opposizione
possono essere ridotti della metà, ferma restando la relazione dell'esperto, che in tal caso
resta obbligatoria. D’altronde quest’ultima previsione, atteggiandosi a norma di
carattere generale, deve ritenersi applicabile a tutte le operazioni di merger leveraged
buy out, a prescindere dal tipo di società coinvolte nella fusione (Morano, 2003, 958).
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