Donato Matassino GENETICA E INDIVIDUALITÀ UMANA Clonazione e gestione del genoma Sulla spinta dell’emotività causata dalla notizia di poter clonare un essere vivente dall’organizzazione complessa quale un mammifero di grande mole, l’immaginario collettivo ha pensato immediatamente alla possibilità di clonare l’uomo con tutti i relativi problemi etici, determinando sia tanta curiosità che molta paura, specialmente per quanto concerne le possibilità di violare le basi della dignità umana. Indubbiamente, i vorticosi progressi della biologia sollecitano l’opinione pubblica a dubitare sia del significato che del valore, per il benessere fisico, psichico e sociale dell’uomo, del sapere e del progresso scientifico. Per inciso, si ricorda che la libertà della scienza ha il suo fondamento giuridico a livello di “rango costituzionale” (art. 33). Ritengo che il vivo interesse di conoscere (attitudine peculiare di uno scienziato) sia un elemento fondamentale proprio per la stessa dignità umana e per una sua sempre più marcata valorizzazione. In altre parole, la conoscenza ha un valore etico sempre superiore all’ignoranza. Pertanto, l’assiduo appassionato desiderio di sapere e il continuo progredire della conoscenza non sono assolutamente sindacabili dal punto di vista etico; viceversa, l’applicazione dei risultati della ricerca può essere orientata ad alterare gli equilibri di un sistema complesso come il pianeta “terra” e, quindi, può essere foriera di gravi effetti sugli essere umani come quelli causabili da gravi ingerenze e/o interferenze con la dignità umana. È a questo secondo livello che il problema etico si pone in tutta la sua valenza; ciò acquista sempre più rilevanza nella società in quanto ci avviamo velocemente verso una globalizzazione totale dell’attività antropica, ma con una forte accentuazione di una società a civiltà multiple quindi multiculturale, multietnica e multietica. Una forte accentuazione della multieticità può estrinsecarsi verso rapporti sempre “più virtuali” e sempre meno “virtuosi” fra ed entro la comunità di uomini. Trattasi di una tendenza che potrà essere foriera di gravi “guasti” nei rapporti sociali che potrebbero essere “irreversibili” per un lungo periodo di tempo. Da questa facile previsione scaturisce la necessità, da parte dell’uomo, di impegnare tutto il suo arsenale “culturale” per ridurre, in prima istanza, e per eliminare, in una seconda fase, gli effetti negativi del “virtualismo”. Questo virtualismo tende a sostituire il concetto di agorà con quello di Cyber Urbes, nel quale viene a mancare qualsiasi legame di tipo “geopsichico” e “culturale” con il territorio, quindi con la storia di ciascuno di noi inserito in un contesto sociale dinamico, ma fortemente ancorato alle tradizioni peculiari di un dato territorio. Vi è, pertanto, una tendenza che sta caratterizzando alcune società “opulente”, ma prive di tradizione, a realizzare vere e proprie città “clonate”1. 1. QUALCHE RIFLESSIONE CULTURALE Si può ritenere che esiste un rapporto primigenio tra uomo e natura; rapporto che li coinvolge reciprocamente, ma, per quanto mi riguarda, con un’attribuzione ontologica privilegiata all’uomo, se non di carattere “numinoso”. Questa visione è ampiamente giustificata anche dall’abissale differenza tra la vita dei viventi secondo la “natura” e la vita dei viventi secondo la “natura umana”; la seconda ha la capacità e il dovere di individuare nello spirito del pleròma, richiamato anche da san Paolo, la soluzione migliore del rapporto “uomo-natura”, in quanto l’uomo è portatore di una scienza “antica”: la sapienza2. Ritengo che la “specificità dell’uomo” non possa essere in discussione, anche se movimenti ecologisti, ambientalisti e animalisti tendono a una visione biocentrica in cui è compreso anche l’uomo. Pur riconoscendosi una qualche “soggettività” agli animali superiori, i “pretesi diritti” degli animali sarebbero privi del fondamento ontologico della “globalità”, per ciò non è pensabile di scomporre o frantumare il mondo dei diritti, perché se così fosse bisognerebbe proteggere (a esempio) il diritto della gazzella di non essere sbranata dal leone. Indubbiamente, l’uomo ha il dovere di assicurare all’animale, specialmente allevato, condizioni di benessere. Né è condivisibile quella corrente di pensiero meccanicistico che considera l’oggetto superiore a chi l’ha confezionato, per cui Anders qualifica quest’atteggiamento “vergogna prometeica”, quindi una sfida destinata al totale fallimento. Il binomio “futuro del cosmo-futuro dell’uomo” sarà sempre più inscindibile. Gli stessi maître à penser della scienza del Dio cristiano ritengono che qualsiasi violenza sulla natura “fa morire un pezzo di Dio” in senso figurato. Indubbiamente, immaginare il Dio cristiano come “coevolutore trascendente” è di una temerarietà unica, se non molto complessa, da quella nuova corrente di pensiero teologico che affronta in modo diverso dal passato l’evoluzione sia del cosmo che socio-culturale dell’uomo; evoluzione che, però, è un fine “intrinseco nello sviluppo dell’universo”; pertanto, non è il caso “a muovere le fila dell’evoluzione cosmica”. Questo nuovo modo di interpretare l’evoluzione dell’universo non vuole essere una maniera diversa di contrapposizione all’evoluzionismo darwiniano (mutazione, selezione e amplificazione)3. * Il testo di questa relazione è aggiornato a settembre 1999. 1Cf. D. MATASSINO, La biodiversità base insostituibile per una produzione animale a misura d’uomo, in Atti del III Convegno Nazionale Biodiversità - Tecnologie - Qualità (Reggio Calabria, 16-17 giugno 1997), 29. 2 Cf. D. MATASSINO, La zootecnia in un parco, in Atti del Convegno Il parco come punto d’incontro di problematiche socio-economiche di un territorio, con particolare riferimento alla zootecnia (Tignale [Brescia], 6 giugno 1997, 9. 3 Cf. D. MATASSINO, Biodiversità e allevamento animale, Convegno su: ‘Zootecnia e parchi. Produzione di qualità e tutela dell’ambiente’ (Massa, 11-12 ottobre 1996), in Zootecnica e Nutrizione Animale 23 (1997) supplemento, 13. 2 Questa diversa interpretazione dell’evoluzione cosmica diventa sempre più interessante che non mera memoria dell’evoluzionismo biologico. Questa originalità si concretizza nell’intendere l’evoluzionismo cosmico in parallelo a quello antropico: l’uomo è una componente, fondamentale, del sistema e, pertanto, egli è l’artefice principe del cambiamento e partecipa attivamente alla realizzazione del progetto allestito dal “coevolutore trascendente”4. L’avvenire dell’uomo è fortemente legato a quello del cosmo; pertanto, la capacità al costruttivismo sia dell’uomo che degli altri esseri viventi è la “chiave di volta” per un armonico e sano evoluzionismo cosmico, quindi antropico. Ed ecco che si passa da un’interpretazione statica del cosmo a una dinamica: lo stesso Dio cristiano non è più un “creatore immobile”, ma il propulsore dei processi evoluzionistici del cosmo e nei quali l’uomo svolge un insostituibile ruolo di protagonista serio e consapevole del suo operato secondo le indicazioni di sant’Agostino: <l’uomo deve fruire (frui) dell’immensa risorsa che la natura pone a sua disposizione, ma non deve utilizzare (uti) questa ricchezza soltanto per sé>; pertanto, egli deve esercitare non il dominio del tiranno, ma quello del curatore e dell’amministratore sensibile ai messaggi e alle istanze che gli provengono dalla natura stessa per favorirla nel mantenimento di un equilibrio dinamico5. Tutto quello che finora abbiamo espresso conduce a una forte rivalutazione del pensiero del paleontologo filosofo gesuita padre Teilhard de Chardin: il cosmo tende a vitalizzarsi totalmente, la vita a umanizzarsi, l’uomo a ultraumanizzarsi, lo spirito a liberarsi della sua matrice materiale. Sulla base di questi principi cardini si deduce che l’uomo è la chiave della cosmogenesi, quindi dell’evoluzione globale dell’universo che si concretizza nel concetto finale che l’evoluzione cosmica fa perno su quella antropica diventando, così, cosciente di sé stessa6. La conflittualità, specialmente su base ideologica, è stata sempre foriera di eventi catastrofici; viceversa il dialogo e l’integrazione sono le condizioni necessarie, anche in biologia, per esaltare la “capacità al costruttivismo” di una biocenosi di cui l’uomo è parte integrante. Bisogna innescare processi comportamentali antropici tendenti a unire e a integrare gli interventi, più che a dividerli, al fine di perseguire il raggiungimento, grazie a percorsi dinamici spazialmente e temporalmente, di obiettivi comuni; obiettivi che non possono essere racchiusi in una mera visione teleonomica monodiana della vita sul pianeta terra, né in una semplicistica visione teleologica del cosmo, figurativamente identificabile con un vero e proprio caleidoscopio di realtà e di organizzazione. Un pericolo incombente è che questa attenzione dovuta possa facilmente sfociare in prospettive ideologiche. L’ideologia nella sua coniatura da parte del filosofo francese A.L.C. Destutt de Tracy, è un progetto di pensiero, elaborato a tavolino, al fine di 4 Cf. ivi. 5 Cf. D. MATASSINO, Il ruolo del germoplasma autoctono nell’ecosistema culturale, in Atti del Convegno Progetto ambiente 1992 (Colle Sannita [Benevento], 14-15 febbraio 1992), Impariamo dalla natura, L’Allevatore, 48 (1992), 17, 18. 6 Cf. MATASSINO, Biodiversità e allevamento animale, in Atti del Convegno ‘Zootecnia e parchi. Produzione di qualità e tutela dell’ambiente’ (Massa, 11-12 ottobre 1996), Zootecnica e Nutrizione Animale, 23 (1997) supplemento, 13. 3 spiegare e di chiarire fatti reali e di modificarli secondo un tracciato ritenuto razionale. Da qui l’aggettivazione scientifica della ragione e la pretesa di oggettività e di verità inconfutabili, con conseguente disprezzo per la realtà quando questa non collima con la propria teoria o tesi7. Il sacerdozio dell’uomo di scienza, come dice Giovanni Paolo II, non può misconoscere la forza dell’istanza etica, pur nell’utilità della conoscenza dei meravigliosi meccanismi biologici che presiedono alla vita di relazione, qualunque sia il suo livello di organizzazione: da quello submolecolare a quello ecosistemico. È il singolo ricercatore che, responsabilmente e ineludibilmente, deve porsi l’istanza etica. Pertanto, per quanto mi riguarda, il trinomio “posso- -voglio-faccio” non è eticamente condivisibile; questa concezione, propria dello “scientismo tecnologico”, si basa sull’assioma che tutto ciò che è realizzabile sia eticamente lecito. Per quanto mi riguarda, auspico che tutta l’umanità, sinergicamente e in modo determinante, contribuisca a costruire un futuro sempre più a “misura dell’uomo”, in quanto è la persona umana che va collocata al centro dell’universo, della società e della stessa scienza. In fondo, è il modello “personalista” che deve guidare qualsiasi azione dell’uomo. Solo una visione “personalista”, ben lontana da quella “monodiana” o da quella “pragmatista-utilitarista” o da quella “socio-biologica” sarà in grado di guidare le azioni umane in modo tale che queste abbiano sempre come fine l’uomo8. Dicevo recentemente9 che questo concetto “personalistico” è anche alla base dei suggerimenti forniti dal Comitato nazionale italiano per la Bioetica, anche se con alcune precisazioni sul momento in cui si determina l’identità individuale umana. Sostanzialmente, sulla base cronologica dello sviluppo embrionale vi sono due correnti di pensiero: (a) la vita della persona (essere umano) inizia in modo pienamente individuale all’atto della fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo, essendo in quel momento presenti tutte le informazioni genetiche in grado di attuare e condurre a termine il progetto di sviluppo della persona; questo progetto è realizzabile grazie a tre fondamentali eventi biologici: (i) la coordinazione dei geni strutturali e regolatori; (ii) la continuità nella formazione dell’organismo; (iii) la gradualità di attuazione di un progetto individuale unico che da una conformazione lineare (DNA) passa a una pluridimensionale (b) la vita della persona (essere umano) inizia, in modo pienamente individuale, successivamente alla fusione dei due gameti (maschile e femminile); in questo caso, il momento iniziale viene a coincidere, sostanzialmente, con una delle seguenti tre età dell’embrione: (i) a 6 giorni, in quanto dalla fecondazione al 6. giorno le cellule embrionali sono ancora “totipotenti”, quindi in grado ognuna di evolversi singolarmente 7 Cf. MATASSINO, Il ruolo del germoplasma autoctono nell’ecosistema culturale, in Atti del Convegno Progetto ambiente 1992 (Colle Sannita [Benevento], 14-15 febbraio 1992), in Impariamo dalla natura, L’Allevatore, 1992, 48 (17), 18. 8 Cf. ivi. 9 Cf. D. MATASSINO, Problematiche e applicazioni della clonazione degli animali in produzione zootecnica, in I Georgofili - Quaderni 1997, n. 6, Firenze (1998), 29. 4 in un individuo completo distinto da un altro; (ii) a 14 giorni, poiché a tale età si ha la comparsa di una “rudimentale” organizzazione di un sistema nervoso centrale; questa età può essere anticipata all’8.-9. giorno sulla base della differenziazione cellulare; (iii) a 18 giorni, in base alla considerazione sul tempo di comparsa della “placca neurale”, quindi sulla presenza di una natura razionale. Indubbiamente, sulla base della seconda linea di pensiero qualsiasi “uomo in embrione” diventa un vero e proprio oggetto. Oggi, l’“ingegneria tessutale” può individuare altre fonti di reperimento di cellule staminali “totipotenti” al di fuori dell’“uomo in embrione” evitando così il sorgere di gravi problemi etici. Sulla base del Documento n. 5 (12 gennaio 1999) del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, la “clonazione terapeutica” di un “uomo in embrione” (a) non può giustificare eticamente la manipolazione di un “uomo in embrione” in quanto non è “moralmente coerente” con il mezzo usato essendo inacettabile che un essere umano possa essere considerato e impiegato come un qualsiasi materiale biologico (b) snatura la funzione biologica dell’atto riproduttivo che è quello di generare un nuovo individuo (c) sconvolge totalmente la funzione genitoriale (d) comportando l’uccisione di un individuo umano, è in contrasto con quanto previsto persino dalla Convenzione europea sui Diritti dell’uomo e la biomedicina, la quale – anche se moralmente non è condivisibile – purtroppo prevede l’utilizzazione di embrioni in sovrannumero ottenuti con l’uso della tecnica della superovulazione e successiva inseminazione strumentale (e) introduce il deprecabile principio della discriminazione degli esseri umani sulla base dell’età della persona, rendendo legale il principio della discriminazione razziale, sopprimendo, quindi, il diritto di ogni essere umano di essere considerato (anche legalmente) come un membro paritario dell’umanità e sancendo l’attuazione di un “darwinismo sociale” (f) non può trovare legittimazione sulla base di scorciatoie semantiche nell’avere coniato il termine “corpo embrioide” per indicare un “uomo in embrione” ottenuto in vitro e, pertanto, candidato a essere distrutto per ricavarne “pezzi” di ricambio nella consapevolezza che si progetta di “generare, usare ed eliminare” un essere umano che dallo status di zigote è un individuo che inizia il suo cammino di “vivente” con un suo proprio e irripetibile progetto genetico (g) ha il dovere etico di individuare altri percorsi che siano immuni dall’uso dell’uomo in embrione come “oggetto biologico”; essendo l’uomo-ricercatore dotato d’infinita intelligenza e perspicacia in grado di affrontare e condurre studi ad hoc, specialmente con l’uso degli animali nel rispetto del loro stato di benessere. La “clonazione terapeutica” deve avere la forza intellettuale e morale di percorrere strade conformi alla dignità dell’essere umano, quale individuo unico e irripetibile. Nell’ambito della problematica della “protezione dei diritti dell’uomo e del genoma umano” non è superfluo ricordare quanto suggerito dal Comitato Nazionale Italiano di Bioetica: <le applicazioni della ricerca in genetica debbono evitare ogni pratica eugenica contraria alla dignità o alla libertà della persona umana>. Inoltre, lo stesso Comitato 5 ritiene che è indispensabile chiarire il significato scientifico di “genoma umano” allo scopo di ridurre, se non evitare, confusioni semantiche. Pertanto, partendo da due definizioni di genoma: (a) se per genoma si intende l’insieme di tutti i geni contenuti nel DNA di una singola persona, si dovrebbe propriamente dire che tale genoma è patrimonio della persona e non dell’umanità, così come il contenuto di un libro è di chi l’ha scritto non di chi lo legge (b) se per genoma si intende la memoria storica di tutti i geni che, discendendo per generazioni, sono arrivati fino a noi, cioè ai miliardi di individui che compongono la nostra specie, allora si può dire che il genoma fa parte del patrimonio comune (intenso come ricchezza ereditata) dell’umanità, così come la letteratura, intesa come raccolta di tutto ciò che è stato scritto, è patrimonio comune che fa parte della nostra storia; sarebbe opportuno che il testo della dichiarazione dell’Unesco (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) recitasse: <Il genoma umano, inteso come insieme di tutte le varianti geniche che l’evoluzione della nostra specie ha conservato fino a noi, è una componente fondamentale del patrimonio biologico e culturale dell’umanità>. Questa definizione, a livello del singolo essere umano, dovrebbe recitare: <Il genoma di ogni individuo è il risultato di mutazioni geniche avvenute nella storia evolutiva dei suoi antenati. Le potenzialità genetiche di ciascun individuo, determinate dai geni, possono esprimersi in modo diverso a seconda dell’ambiente, dell’educazione e delle condizioni di vita>. Anche nel campo umano, ogni progresso conoscitivo, tecnico e operativo della biologia deve essere teleologicamente condizionato dalla irrinunciabile tutela della dignità, della libertà e di qualsiasi diritto della persona umana, grazie a norme di garanzia. Così come prevede la nostra Costituzione, è necessario valorizzare, sempre e congiuntamente, il diritto alla salute e il diritto all’equità nell’accesso alle risorse, fatto salve la dignità e l’autonomia della persona. La tutela di una specie, affinché non si estingua, è un dovere dell’umanità in quanto la variabilità biologica è la vera ricchezza del pianeta terra (e un domani del cosmo?). Ciò, in campo umano, significa assenza di qualsiasi discriminazione fra gli individui. L’identità individuale può non coincidere con l’identità genetica (gemelli monozigotici), almeno sulla base delle tecniche di laboratorio oggi disponibili, ma questa differenza non inficia il concetto di individualità personale, pur con i predetti “distingui”. Come detto in precedenza, indubbiamente, in una società multietica, multietnica, multiculturale, cioè a civiltà multiple l’interpretazione ontologica delle conoscenze biologiche dell’embrione risente delle opzioni morali ed etiche di colui che interpreta l’ontogenesi embrionale. 2. LA CLONAZIONE La clonazione, come tutte le biotecniche innovative (BI) riguardanti la gestione di un genoma, comporta forti implicazioni connesse alla visione teleologica del cosmo, che – 6 come già detto – figurativamente è identificabile con un vero e proprio caleidoscopio di realtà e di organizzazione. Presumibilmente, il teleologismo e la teleonomia monodiana saranno direttamente e/o indirettamente influenzati. È noto che il termine “clonazione” deriva da “clone” cioè germoglio, pollone e che in biologia è la riproduzione agamica, naturale o non, di individui (uni - e pluricellulari) di organi, di tessuti e di cellule, presumibilmente tutti/e identici/che geneticamente. Nel caso di una molecola o di un gene si usa, normalmente, il termine di clonaggio. La moltiplicazione di singole molecole aventi determinate specificità di azione costituisce uno dei mirabili processi usati oggi (e forse ancora più nel futuro) per ottenere forti innovazioni di prodotti da utilizzare direttamente o da destinare alla produzione, a esempio, di farmaci nuovi in grado di ridurre o di eliminare l’azione di agenti patogeni. Questi ultimi sono caratterizzati da una continua e inesorabile variazione; quindi, necessità di ostacolare questo “evoluzionismo” con l’individuazione di sempre nuove molecole terapeutiche. La produzione di queste molecole da parte dell’uomo avviene grazie al processo “evoluzione molecolare guidata” (EMG). Questo processo segue, praticamente, le stesse fasi che caratterizzano l’evoluzionismo darwiniano: individuazione delle mutazioni, scelta delle mutazioni utili, moltiplicazione di queste ultime. Infatti, in laboratorio è possibile prendere in esame ben 1013 differenti molecole alla volta. La diversità è la condizione necessaria per una intensa EMG. Questa diversità è risultato di una “naturale produzione” di copie di una sequenza di RNA, in quanto durante il processo replicativo si verifica qualche errore, quindi ottenimento di molecole diverse dalla molecola madre e, pertanto, si ha “mutazione”. Tutto ciò conduce all’ottenimento di una popolazione eterogenea di molecole dalla quale selezionare le molecole utili e moltiplicarle successivamente. In altre parole, a ogni generazione insorgono nuove mutazioni. Attraverso la concertazione di gestione della mutazione, della selezione e dell’amplificazione è possibile ottenere stabilità della peculiarità di azione di una molecola “nuova”. La EMG si realizza grazie a un vero e proprio processo di “corsa a ostacoli molecolare”, poiché le macromolecole attuano una reale competizione fra di loro allo scopo di superare gli “ostacoli funzionali” posti dal ricercatore. La prima dimostrazione dell’“evoluzione darwiniana” in laboratorio si deve a Spiegelman e ai suoi collaboratori. Questi Autori hanno rilevato che la velocità di autoreplicazione di una molecola è funzione della dimensione di una molecola: vi è correlazione positiva fra tempo di autoreplicazione e dimensione della molecola. Questo comportamento dell’EMG in laboratorio è stato eliminato con apposite procedure, per cui l’autoreplicazione non è più funzione della lunghezza della sequenza. Un procedimento, ormai classico e universale, è la reazione a catena della polimerasi (polymerase chain reaction, PCR) scoperta da Mullis nel 1985. Grazie alla PCR, oggi è possibile attuare una vasta gamma di vincoli selettivi e quindi intensificare notevolmente l’EMG; inoltre, la conoscenza della sequenza di basi permette di individuare la/e proprietà funzionale/i di una determinata molecola; nota la funzione di una molecola, è possibile, poi, utilizzarla per ottenere altre molecole come quelle a due bracci: uno funzionale (esecutore di un determinato compito) e uno genetico (descrizione codificata della composizione funzionale). 7 Un vantaggio dell’EMG è quello di poter conservare all’infinito le diverse generazioni ottenute e utilizzarle, se necessario, al momento opportuno per ottenere nuovi catalizzatori, quindi innovazione nella/e proprietà strutturale/i e funzionale/i degli enzimi. Questa procedura viene chiamata “progettazione razionale degli enzimi”. Sulla base dei risultati dell’EMG, alcuni biochimici avanzano l’ipotesi che, grazie all’autoreplicazione, una molecola sarebbe un essere vivente e che tutta la vita esistente sul pianeta terra debba essersi evoluta da molecole aventi questa proprietà; molecole che sono state sottoposte continuamente a mutazione, a selezione e ad amplificazione da oltre 4 miliardi di anni. 2.1. Cenni storici sulla clonazione Per quanto riguarda il suo uso da parte dell’uomo, questo metodo di riproduzione risale nella notte dei tempi negli organismi vegetali (propaggini, talee…), mentre negli animali, specialmente in quelli di interesse zootecnico, è molto recente, anche se i primi tentativi – per quanto è dato oggi di sapere – risalgono al secolo scorso ma limitatamente ad animali usati per ricerche di laboratorio. Entro una linea clonale, tutti gli individui prodotti, stante l’utilizzazione delle attuali tecniche di tipizzazione genetica, possono essere ritenuti geneticamente identici, salvo se si siano verificate mutazioni e/o variazioni dovute all’effetto di fattori ambientali. Storicamente, i primi esperimenti di clonazione risalgono al 1885, ad opera di Chabry in Francia e Roux in Germania, che affrontano per primi il problema della simmetria e della asimmetria dell’uovo. In particolare, Chabry, lavorando sull’uovo di ascidia (tunicati), distrugge uno dei due primi blastomeri pungendolo con un ago di vetro e rileva che l’altro blastomero continua irregolarmente nello sviluppo dando origine a un individuo incompleto, quindi non vitale. Analogo risultato ottiene Roux, distruggendo con un ago caldo uno dei due primi blastomeri dell’uovo di rana. Nel 1890 Heape esegue con successo il primo esperimento di embryo transfer. Nel 1893 Driesch compie sulle uova di riccio di mare un’esperienza simile a quella di Roux, ma con una tecnica un pò diversa: invece di uccidere uno dei due primi blastomeri e lasciarlo in situ, separa i primi due blastomeri e, ottiene la formazione di due embrioni completi, sebbene di dimensioni minori rispetto a quelle di un embrione non clonato. Driesch chiama totipotenza la capacità dei blastomeri di dare origine a un embrione completo e sistema armonico equipotenziale ogni parte di embrione capace di regolarsi; egli, inoltre, attribuisce questa totipotenza a un non ben definito spirito vitale 10 (entelèchia) . Heider definisce regolazione questo fenomeno e uova regolative o isotrope quelle che lo manifestano. Nei pesci (Morgan, 1893 e 1896) si ottengono embrioni completi allo stadio di morula (4 blastomeri). 10 Entelèchia (o entelelècheia): (a) secondo Aristotele, è lo stato di perfetta attrazione raggiunto dalla sostanza in contrapposizione a “potenza”, (b) secondo Leibniz, è la sostanza individuale o “monade”, nel senso che essa ha in sé il perfetto fine organico del suo sviluppo; (c) in biologia, e per alcuni aspetti nel “vitalismo”, è il principio di “irriducibilità” (o teleologico, per certi versi) degli organismi viventi, anche i più semplici, all’azione di fattori – anche elementari – che obbediscono solamente a leggi fisiche e chimiche. 8 Nelle uova di anfiosso la totipotenza del blastomero è limitata allo stadio di due cellule (Wilson 1893 e Conklin, 1933). Uova regolative sono fonite da alcuni celenterati, in cui i blastomeri isolati da una morula allo stadio di 16 cellule, sono ancora capaci di sviluppare individui completi (Zoia, 1895). Herlitzka (1896) ottiene, dai due primi blastomeri di un embrione di tritone, separati con un’ansa di capello, due embrioni completi, ma di dimensioni inferiori a un embione non clonato. Nei nemertini il blastomero, isolato da un embrione a 4 cellule, evolve in larva completa (Wilson, 1902; Yatsu, 1903; Zeleny, 1904). Nel 1923, sempre su tritone, Spemann e Ruud dimostrano che lo sviluppo di due embrioni completi dai due primi blastomeri dell’uovo interessa solo il 60% dei casi e che nel restante 40% uno dei due blastomeri si sviluppa fino a embrione completo e l’altro non raggiunge la fase di gastrula. A risultati non differenti giungono Montalenti e Maccagno nel 1935 operando su uova di lampreda. Sempre Spemann, dimostra che si possono ottenere due embrioni completi anche allo stadio di gastrula. Tra i mammiferi la poliembrionia è un evento regolare in alcuni armadilli del genere Tatusia: da un solo uovo fecondato si sviluppano da 4 a 8 embrioni con amnios intercomunicanti, ma contenuti in un unico corion. Le prime osservazioni su questo mammifero si possono far risalire a Newmann e Patterson (1910) e Fernandez (1913). Gemellarità monovulari sono descritte da Corner (1922) e Streeter (1923) nel maiale ed esse derivano dalla divisione del nodo embrionale prima della formazione dell’amnios. Probabilmente, anche nell’uomo la gemellarità monovulare potrebbe verificarsi secondo una modalità simile a quella descritta per alcuni armadilli. Nei mammiferi la gemellarità si può avere già allo stadio di embrione con due blastomeri, come riferiscono Huber (1915) in Mus norvegicus, Nicholas e Hall (19331934) in ratto, e Seidel11 in coniglio. Nel 1936, Spemann suggerisce l’uso della clonazione somatica negli animali: impiantare il nucleo (carioplasto) di una cellula differenziata in un ovulo (citoplasto), previa asportazione del nucleo dell’ovulo. Le tecniche per eseguire questa clonazione sono perfezionate da Briggs e King12, operando su rana (Rana pipiens), usando nuclei di cellule della blastula e oociti “riceventi” enucleati attivati. Con queste ricerche viene dimostrato che le cellule della blastula sono totipotenti, in quanto si hanno girini a termine vivi, funzionali e diploidi nel 60% dei trasferimenti effettuati. L’uovo a mosaico o anisotropo, a differenza di quello regolativo, è considerato come una struttura differenziata in vari territori, ciascuno dei quali è già determinato verso un dato destino; ciò significa che tali territori embrionali, anche se tolti dalla posizione che normalmente occupano nell’embrione, si differenziano come se fossero rimasti in situ. Tipiche uova anisotrope sono quelle di ctenofori, di molluschi e di ascidia; nell’uovo di Dentalium, prima della segmentazione, si distinguono una zona equatoriale pigmentata e due calotte polari chiare, una al polo animale, l’altra al polo vegetativo; 11 F. SEIDEL, Die Entwicklungspotenzen einer isolierten Blastomere des Zweizellenstadiums im Säugetierei, in Naturwissenschaften, 39 (1952), 355. 12 R. BRIGGS - T.J. KING, Transplantation of living nuclei from blastula cells into enucleated frogs” eggs, in Proceedings of the National Academy of Sciences of theUnited States, 38 (1952), 455. 9 quest’ultima, alla prima segmentazione, passa tutta in un blastomero e costituisce il cosiddetto lobo polare. Se si separano i primi due blastomeri, si ottiene da quello provvisto di lobo polare una larva completa, dall’altro una larva priva del mesoderma. I termini “regolativo” e “a mosaico” non dovrebbero, però, essere considerati due categorie separate; piuttosto essi sono i due poli di un continuum, per cui alcune specie sono più a mosaico o più regolative di altre. Si è giunti alla conclusione che non esistono uova simmetriche e il grado di asimmetria (anisotropia) subisce una variazione spazio-temporale nel corso dello sviluppo: essa è minore prima della fecondazione e aumenta dopo la fecondazione. Pertanto, la localizzazione delle sostanze organo-formative, cioè la determinazione dei vari abbozzi, è un processo graduale che si stabilizza nel corso dello sviluppo, in vari tempi secondo le diverse specie. Si può quindi parlare di uno stadio regolativo e di uno stadio a mosaico. In alcune uova l’asimmetria è già fissata prima della fecondazione, in altre si stabilisce dopo di questa, più o meno tardi allo stadio di sviluppo al quale si effettua lo splitting. Ciò spiega i risultati contraddittori ottenuti dagli esperimenti di separazione dei blastomeri. Le sostanze organo-formative sono disposte simmetricamente intorno all’asse polare, ma in modo diverso lungo quest’asse; ciò potrebbe spiegare il perché i primi 4 blastomeri sono totipotenti, nel senso che appena compaiono le divisioni secondo piani equatoriali, i blastomeri perdono la loro totipotenza. L’uovo di mammifero sembra comportarsi come uovo “regolativo”: Seidel13 (1952), distruggendo mediante agopuntura uno dei due blastomeri di un embrione di coniglio, ottiene da quello sopravvivente sviluppo normale. Utilizzando lo Xenopus laevis (rana), King e Briggs14 dimostrano che: (a) l’uso di nuclei di blastula è efficace (girini normali che si nutrono) nell’80% degli impianti (b) l’impianto di nuclei di cellule da girini a stadi successivi di sviluppo (gastrula, morula, bottone codale, presenza del cuore) perde rapidamente efficacia; infatti, allo stadio di bottone codale i nuclei trasferiti provenienti da cellule somatiche sono incapaci di dirigere lo sviluppo normale fino allo stadio di girino; inoltre, questi Autori riferiscono che il mancato sviluppo a termine di girini funzionali si concretizza nell’ottenimento di soggetti con varie anomalie o aberrazioni. Numerose ricerche, sempre sulle rane15 evidenziano che vi è una forte diversità di risposta al trasferimento nucleare a seconda della specie e del genere ed entro la specie e 13 SEIDEL, Die Entwicklungspotenzen einer isolierten Blastomere des Zweizellenstadiums im Säugetierei, in Naturwissenschaften, 39 (1952), 355. 14 T.J. KING - R. BRIGGS, Serial transplantation of embryonic nuclei, in Cold Spring Harbor Symposia on Quantitative Biology, 21 (1956), 271. 15 Cf. J.B. GURDON, The developmental capacity of nuclei taken from intestinal epithelial cells of feeding tadpoles, in Journal of Embryolology and Experimental Morphology, 10 (1962), 622; ID., Transplanted nuclei and cell differentiation, in Scientific American, 219 (1967), (6), 24; ID., Egg cytoplasm and gene control in development, in Proceedings Royal Society London [Biology], 198 (1977), 211; J.B. GURDON - V. UEHLINGER, “Fertile” intestinal nuclei, in Nature, 210 (1966), 1240; M.A. DI BERNARDINO-T.J. KING, Development and cellular differentiation of neural nuclear transplants of known kariotypes, in Developmental Biology, 29 (1967), 385; J.B. GURDON - R.A. LASKEY - O.R, REEVERS, The developmental capacity of nuclei transplanted from keratinized cells of adult frogs, in 10 il genere a seconda del tessuto usato, quindi vi sarebbe una marcata specificità genetica e, dentro questa, una elevatissima specificità tissutale. Per quanto concerne i mammiferi, il trasferimento nucleare viene applicato per la prima volta da Bromhall16 nel coniglio. A partire dagli anni ‘80, le ricerche in questo campo sono fortemente incrementate, specialmente sui bovini17 e sugli ovini18 allo scopo di rendere routinale l’uso di questa biotecnica ai fini di aumentare la velocità del miglioramento genetico delle prestazioni riproduttive e produttive degli animali in produzione zootecnica. Nella specie suina si annoverano pochi esperimenti di trasferimento nucleare19. Nel topo sono descritti alcuni esperimenti di clonazione20. Journal of Embryology and Experimental Morphology, 34 (1975), 93; R.G. MCKINNEL, Cloning. Nuclear transplantation in Amphibia, Minneapolis 1978; R. BRIGGS, Genetics of cell type determination, in International Review of Cytolology, 9 (1979), supplemento, 107. 16 J.D. BROMHALL, Nuclear transplantation in the rabbit egg, in Nature, 258 (1975), 719. 17 J.M. ROBL - R. PRATHER - W. EYESTONE - F. BARNES - D. NORTHEY - B.GILLIGAN - N.L. FIRST, Nuclear transplantation in bovine embryos, in Theriogenology, 25 (1986), 189; J.M. ROBL - R. PRATHER - F. BARNES - W. EYESTONE - D. NORTHEY - B.GILLIGAN - N.L. FIRST, Nuclear transplantation in bovine embryos, in Journal of Animal Science, 64 (1987), 642; R.S. PRATHER - F.L. BARNES - M.M. SIMS - J.M. ROBL - W.H. EYESTONE - N.L. FIRST, Nuclear transplantation in the bovine embryo: assessment of donor nuclei and recipient oocyte, in Biology of Reproduction, 37 (1987), 37, 869; K.R. BONDIOLI - M.E. WESTHUSIN - C.R. LOONEY, Production of identical bovine offspring by nuclear transfer, Theriogenology, 33 (1990), 165; D.E. MAREK - J.H. PRYOR - T.H., WHITESELL C.R. LOONEY, Nuclear trasplantation in the bovine: effect of donor embryo age on subsequent embryo production, in Theriogenology, 33 (1990), 283; M.E. WESTHUSIN - M.J. LEVANDUSKI - R. SCARBOROUGH - C.R. LOONEY - K.R. BONDIOLI, Viable embryos and normal calves after nuclear transfer into Hoechst-stained enucleated demi-oocytes of cows, in Journal of Reproduction and Fertility, 95 (1992), 475; S.L. STICE - C.L. KEEFER, Multiple generation bovine embryo cloning, in Biology of Reproduction, 48 (1993), 715; S.L. STICE - C.L. KEEFER - L. MATTEWS, Bovine nuclear transfer embryos: oocyte activation prior to blastomere fusion, in Molecular Reproduction and Develoment, 38 (1994) , 61. 18 S. M. WILLADSEN, Nuclear transplantation in sheep, Nature, 320 (1986), 63; L. C. SMITH - I. WILMUT, Influence of nuclear and cytoplasmatic activity on the development in vivo of sheep embryos after nuclear transplantation, in Biology of Reproduction, 40 (1989), 1.027; P. LOI - D. MATASSINO M. LUCIA - J. BOYAZOGLU - P.CAPPAI, Production of genetically identical offsprings in sheep by nuclear transplantation, in Proceedings of VII Congress on University and Biotechnology Innovation (Genova, July 15-16, 1996), 82; P. LOI - S. BOYAZOGLU - S. LEDDA - S. NAITANA - P. CAPPAI I.WILMUT - S. CASU, Embryo cloning in sheep: work in progress, in Theriogenology, 4 ( 1997), 1. 19 J.M. ROBL - N.L. FIRST, Manipulation of gametes and embryos in the pig, in Journal of Reproduction and Fertility, 33 (Supplemento) (1985), 101; R.S. PRATHER - M.M. SIMS - N.L. FIRST, Nuclear transplantation in early pig embryos, in Biology of Reproduction, 41 (1989), 414. 20 K. ILLMENSEE - P.C. HOPPE, Nuclear transplantation in Mus musculus: developmental potential of nuclei from preimplantation embryos, in Cell, 23 (1981), 9; J. MCGRATH - D. SOLTER, Nuclear transplantation in the mouse embryo using microsurgery and cell fusion, in Science, 220 (1983), 1300; ID., Nuclear transplantation in mouse embryos, in Journal of Experimental Zoology, 2281 (1983), 365; J.M. ROBL - B. GILLIGANCRITSER - N.L. FIRST, N.L., Nuclear transplantation in mouse embryos: assessment of recipient cell stage, in Biology of Reproduction, 34 (1986), 733; Y. TSOUDA - T. YASUI Y. SHIODA - D. NAKAMURA - T. UCHIDA - T. SUGIE, Full term development of mouse blastomere nuclei transplantated into enucleated two-cell embryos, in Journal of Experimental Zoology, 242 (1987), 147. 11 Una nuova “era” nella storia della clonazione ha avuto inizio con i primi successi nel trasferimento nucleare a partire da cellule somatiche fetali e adulte21 (clonazione somatica), con evidenti potenzialità applicative per la selezione degli animali d’interesse zootecnico e per la produzione di animali transgenici. Dal 1997, infatti, numerosi gruppi di ricerca hanno replicato l’esperimento di Wilmut e altri (1997), operando su varie specie e con vari tipi di cellula somatica22. Nella tabella I sono riportate le tappe principali della storia della clonazione. 2.2. Metodi e implicazioni biologiche A oggi, la produzione di cloni di mammiferi si ottiene con l’impiego di tre tecniche “classiche” e una “moderna”; (a) le prime sono: (i) splitting di un embrione (ii) trasferimento in un oocita enucleato (citoplasto) che funge da cellula ricevente di un nucleo (carioplasto) o di un blastomero o di una cellula staminale embrionale o di una cellula del bottone embrionale proveniente da opportune colture stabilizzate (iii) trasferimento diretto di un singolo blastomero in utero (b) la seconda è: (i) trasferimento di una cellula somatica “differenziata” in un citoplasto (oocita enucleato). 21 K. CAMPBELL - J. MCWHIR - B. RITCHIE - I. WILMUT, Sheep cloned by nuclear transfer from a cultured cell line, in Nature, 380 (1996), 64; I. WILMUT - E. SCHNIEKE - J. MCWHIR - A.J. KIND K.H.S. CAMPBELL, Viable offspring derived from foetal and adult mammalian cells, in Nature, 385 (1997), 810. 22 A.E. SCHNIEKE - A.J. KIND - K.RITCHIE, MYCOCK - A.R. SCOTT - M. RITCHIE - I. WILMUT -A. COLMAN - K.H.S. CAMPBELL, Human factor IX transgenic sheep produced by transfer of nuclei from transfected fetal fibroblasts, in Science, 278 (1997), 2130; J.B. CIBELLI - S.L. STICE - P. GOLUEKE - J.J. KANE - J.JERRY - C. BLACKWELL - F.A. PONCE DE LEON - J.M. ROBL, Cloned transgenic calves produced from nonquiescent fetal fibroblasts, in Science, 280 (1998), 1256; Y. KATO - T. TANI - Y. SOTOMARU - K. KUROKAWA - J. KATO - H. DOGUCHI YASUE - Y. TSUNODA, Eight calves cloned from somatic cells of a single adult, in Science, 282 (1998), 2095; X. VIGNON - P. CHESNÉ - D. LE BOURHIS - Y. HEYMAN - J.P. RENARD, Developmental potential of bovine embryos reconstructed with somatic nuclei from cultured skin and muscle fetal cells, in Theriogenology, 49 (1998), 392 (abstract); X. VIGNON - P. CHESNÉ - D. LE BOURHIS - J.P. FLECHON - Y. HEYMAN - J.P. RENARD, Developmental potential of bovine embryos reconstructed from enucleated matured oocytes fused with cultured somatic cell, in . Comptes Rendus de L’ Academie Des Sciences, 321 (1998), 735; T. WAKAYAMA - A.C.F. PERRY - M. ZUCCOTTI - K.R. JOHNSON - R. YANAGIMACHI, Full-term development of mice from enucleated oocyte injected with cumulus cell nuclei, in Nature, 394 (1998), 369; D.N. WELLS - P.M. MISICA - W.H. MCMILLAN - H.R. TERVIT, Production of cloned fetuses following nuclear transfer with cells from a fetal fibroblast cell line, in Theriogenology, 49 (1998), 330; D.N. WELLS - P.M. MISICA H.R. TERVIT, Production of cloned calves following nuclear transfer with cultured adult mural granulosa cells, in Biology of Reproduction, 60 (1999), 996; D.N. WELLS - P.M. MISICA - J.T. FORSYTH - M.C. BERG - J.M. LANGE - H.R. TERVIT - W.H. VIVANICO, The use of adult somatic cell nuclear transfer to preserve the last surviving cow of Enderby Island cattle breed, in Theriogenology, 51 (1999), 217; C. GALLI – R. DUCHI – R.M. MOOR – G. LAZZARI, Mammalian leukocytes contain all the genetic information necessary for the development of a new individual, in Cloning, 1 (1999), 3, 161. 12 1. Splitting di un embrione. Consiste nel taglio meccanico di un embrione allo stadio di morula adulta o di blastocisti giovane (5-6 giorni di età) per ottenere due emiembrioni (figura I). Tale separazione può essere eseguita, con esito positivo, anche all’interno della zona pellucida (ZP), cioè della membrana che avvolge l’embrione. La produzione di soggetti geneticamente identici mediante l’uso della bisezione degli embrioni23 permette, fra l’altro, di: (a) produrre gemelli monozigotici che rappresentano il modello biologico ideale per (i) lo studio delle interazioni genotipo-ambiente e delle influenze prenatali (interazione ricevente-embrione o feto) e (ii) poter anticipare e rendere più accurata la valutazione genetica del riproduttore (progeny test) (b) aumentare il numero di gravidanze per donatrice (c) determinare il sesso dell’embrione da trasferire nella ricevente. Fino a oggi lo splitting è stato eseguito per soddisfare eventuali interessi commerciali senza considerare profondamente i principi fondamentali dello sviluppo delle diverse specie animali in produzione zootecnica. Infatti, alcune considerazioni sono necessarie: (a) i meccanismi implicati nell’embriogenesi sono in discussione e, pertanto, la loro conoscenza è la pietra miliare per colui che è interessato alla clonazione di embrioni (b) l’estrapolazione da una specie all’altra va considerata solo a livello informativo, in quanto necessita individuare i modelli propri di ciascuna specie, considerando la diversità dell’ambiente “socio-biologico” proprio di ciascun gruppo tassonomico (c) un notevole contributo alla conoscenza delle prime fasi dell’embriogenesi sarà dato dagli studi sulla maturazione e sulla fertilizzazione degli oociti in vitro, essendo possibile indagare sui meccanismi che regolano il metabolismo di una blastocisti e il gradiente della “totipotenza” o “potenziale regolatore”, specialmente per quanto concerne la capacità dell’embrione di continuare il suo sviluppo anche in presenza di mortalità di alcune cellule; questa potenzialità è funzione, tra l’altro, del tempo di compattazione della morula, che, in alcune specie, avviene dopo un certo numero di divisioni mitotiche indipendentemente dal numero di cellule presenti24. 23 R.J. MULLEN - F.K. HOORNBECK, Genetic aspects of fertility and endocrin organ size in rats, in Genetic Reearch, 16 (1970), 251; L.A. MOUSTAFÀ - J. HAHN - R. ROSELIUS,Versuche zur geschlechts best innaung an tag 6 und 7 alten rinderembryonen, in Berl, Munch. Tierarz Tl. Wschr., 91 (1978), 236; S.M. WILLADSEN, A method for culture of micromanipulated sheep embryos and its use to produce monozygotic twins, in Nature (London), 277 (1979), 298; J.P.OZIL - Y. HEYMAN - G.P. RENARD, Production of monozygotic twins by micromanipulation and cervical transfer in the cow, in Veterinary Record, 110 (1982), 126. Theriogenology, 30, (1982), 751; T.J. ILLIAMS - R.P. ELSDEN - G.E. SEIDEL Jr, Identical twin bovine pregnancies derived from bisected embryos, in Theriogenology, 17 (1982), 114, abstract; D. MATASSINO, Il futuro delle biotecnologie nelle produzioni animali: alcuni aspetti scientifici e tecnici, in Produzione Animale, 1 (1988), III Serie, 35; ID., Lo sviluppo delle biotecnologie: aspetti scientifici e prospettive per il futuro, in Atti Convegno “Le nuove frontiere della selezione: dalla fecondazione artificiale alle biotecnologie”, (Cremona, 18 settembre 1987) in L’Allevatore, 44 (1988), 33, supplemento; ID., Micromanipolazione embrionale per l’incremento dell’efficienza riproduttiva dei bovini, in Atti XLIV Conv. SISVET, ( Stresa, 27-29 settembre,1990), 47. 24 A. MCLAREN, The embryo, in C.R. Austin and R.V. Short (eds.), Reproduction in Mammals 2: Embryonic and Fetal Development, Cambridge University Press, 1982. 13 2. Trasferimento in un oocita enucleato (citoplasto) di un nucleo (carioplasto) o di un blastomero o di una cellula staminale embrionale o di una cellula del bottone embrionale. Il trasferimento “nucleare” (TN), proposto (come già detto) per la prima volta da Spemann nel 1936 e attuato (per la prima volta) nei mammiferi (coniglio) da Bromhall (1975), è una biotecnica che potrà superare alcune limitazioni proprie dello splitting. a) Blastomero. Oggi, più che di TN, è bene parlare di trasferimento del blastomero, cioè di una cellula di un embrione allo stadio di morula. Biologicamente, si ha il riazzeramento dell’orologio che presiede all’embriogenesi e che permette all’embrione ricostituito di riprendere il suo sviluppo come se fosse una nuova cellula “uovo” fecondata. È importante considerare che con il trasferimento del singolo nucleo si ha sempre un effetto di trascinamento di una certa quantità di citoplasma che è tanto in più nell’impiego di una cellula embrionale. Lo sviluppo embrionale del mammifero è caratterizzato da una fase iniziale di inattività dello zigote, durante la quale le funzioni cellulari sono controllate da informazioni provenienti dal DNA mitocondriale che, come è noto, funziona in modo “semi-indipendente” e influenza il “metabolismo” del “costrutto” che si dovrà evolvere in embrione “clone”. Nei mammiferi (topo) l’importanza del contributo materno e di quello paterno per un’embriogenesi normale del prodotto del concepimento è largamente messa in evidenza dagli studi sull’imprinting parentale, fenomeno per il quale alleli identici a un determinato locus vengono resi funzionalmente diversi a seconda del genitore da cui provengono. Come conseguenza dell’imprinting, in un individuo, a livello del locus “imprintato”, l’allele ereditato da un genitore è attivo, mentre quello ereditato dall’altro genitore è reso silente. Le ricerche sull’imprinting25, rese possibili solo grazie all’impiego del TN, evidenziano che sia l’embrione in cui tutti i cromosomi (2n) sono di origine maschile26 che quello in cui tutti i cromosomi (2n) sono di origine femminile 27 non sono in grado di completare lo sviluppo embrionale; però, vi è una differenza marcata fra i due: (a) nell’embrione con corredo cromosomico interamente di origine maschile si ha un embrione somaticamente piccolo ma con annessi (placenta e sacco del tuorlo) ben sviluppati 25 S.C. BARTON - M.A.H. - SURANI - M.L. - NORRIS, Role of paternal and maternal genomes in mouse development, in Nature, 311 (1984), 374; J. MCGRATH - D. SOLTER, Completion of mouse embryogenesis requires both the maternal and paternal genomes, in Cell, 37, 1984,179; S.C. BARTON M.A.H. SURANI - M.L. NORRIS, Role of paternal and maternal genomes in mouse development, in Nature, 311 (1984), 374; D. SOLTER, Differential imprinting and expression of maternal and paternal genomes, in Annual Review of Genetics, 22 (1988), 127. 26 Tale embrione si ottiene, sperimentalmente, sostituendo il pronucleo femminile di un uovo, subito dopo l’introduzione dello spermatozoo e prima della fusione dei due pronuclei (femminile e maschile), con il pronucleo maschile prelevato da un altro uovo nella medesima condizione fisiologica. 27 Tale embrione si ottiene sostituendo il pronucleo maschile di un uovo, subito dopo l’introduzione dello spermatozoo e prima della fusione dei due pronuclei (femminile e maschile), con il pronucleo femminile prelevato da un altro uovo nella medesima condizione fisiologica 14 (b) nell’embrione con corredo cromosomico interamente di origine femminile si ha un embrione somaticamente normale ma con annessi poco sviluppati. Da questi risultati si può ipotizzare che l’imprinting provoca nel genoma materno la disattivazione di geni determinanti lo sviluppo delle strutture extra-embrionali e, nel genoma paterno, la disattivazione di geni importanti per lo sviluppo dell’embrione. Pertanto, singolarmente i due genomi (materno e paterno) non sono totipotenti. Dal punto di vista della “capacità al costruttivismo”, l’armonica collaborazione fra informazioni dei due suddetti genomi assicurerebbe nei mammiferi la riproduzione sessuata a scapito di quella partenogenetica o di altre forme riproduttive tendenti a limitare la variabilità genetica. Per inciso, gli studi sull’imprinting parentale permettono di comprendere altri meccanismi biologici, molto interessanti zootecnicamente, quali – ad esempio – la “sovradominanza polare” a livello del locus callipige negli ovini il cui fenotipo è caratterizzato da un’ereditarietà non mendeliana28. Il tipo di rapporto fra il nucleo e l’ambiente “socio-biologico” del suo intorno costituisce un elemento determinante per lo sviluppo dell’embrione “clone”. Molte proteine di embrioni nella fase di pre-impianto sono note, ma non poche sono ignote, poiché probabilmente rimangono a livelli tali non identificabili con la strumentazione e la tecnica oggi disponibili. Particolare significato riveste l’attività della complessa struttura della membrana nucleare, specialmente per quanto concerne gli scambi tra nucleo e citoplasma. L’acquisizione che il controllo dell’inizio della mitosi è regolato da un meccanismo comune a tutte le cellule eucariotiche costituisce un elemento altamente favorevole per comprendere i biochimismi in atto durante l’inizio e il completamento della mitosi; lo stesso dicasi per la disponibilità di nuovi anticorpi atti ad affrontare in chiave immunochimica lo studio dell’organizzazione della fisiologia del nucleo29. Le attuali procedure per la clonazione mediante TN derivano da quella usata da Willadsen30, nel 1986, negli ovini. Le fasi salienti del TN [figura II31] possono essere sintetizzate come segue: (a) maturazione in vivo e/o in vitro dell’oocita (b) enucleazione dell’oocita maturo (c) separazione dei blastomeri dell’embrione donatore (d) trasferimento del blastomero nell’oocita ricevente enucleato (e) fusione fra citoplasto e blastomero (f) messa in coltura, in vivo o in vitro, dell’embrione ricostituito 28 N.E. COCKETT - S.P. JACKSON - T.L. SHAY - D. NIELSEN - S.S. MOORE - M.R.STEELE - W. BARENDSE - R.D. GREEN - M. GEORGES, Chromosomal localization of the callipyge gene in sheep (Ovis aries) using bovine DNA markers, in Proceeding of National Academy of Sciences of the United States, 91 (1994), 8, 3019; N.E. COCKETT - S.P. JACKSON - T.L. SHAY - F. FARNIR - S. BERGHMANS D.M. SNOWDER - D.M. NIELSEN - M. GEORGES, Polar overdominance at the ovine callipyge locus, in Science, 273 (1996), 236. 29 E.A. NIGG, Nuclear function and organization: the potential at immunochemical approaches, in International Review of Cytology, 110 (1990), 27 30 M. WILLADSEN, Nuclear transplantation in sheep, in Nature, 320 (1986), 63. 31 Le fotografie b ed e sono state riprese da S.E.A. BOYAZOGLU, Clonazione di embrioni mediante trapianto nucleare nella specie ovina. Tesi di Laurea, Università di Perugia, Facoltà di Medicina Veterinaria, 1997 15 (g) trasferimento di quest’ultimo in una ricevente definitiva per il successivo sviluppo. Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi riguardo a: (a) utilizzo dell’oocita maturato in vitro [in vitro maturation (IVM)] (b) enucleazione dell’oocita (c) produzione di embrioni in vitro (d) efficienza della fusione. Maturazione dell’oocita. Il punto di partenza per l’attuazione del TN è l’ottenimento dell’oocita maturo [metafase II (MII)]. Nelle specie di interesse zootecnico, attualmente, tre sono le metodiche che vengono utilizzate per ottenere oociti maturi (schema I): 1. la superovulazione di femmine donatrici 2. la maturazione in vitro di oociti prelevati da ovaie di soggetti macellati 3. il prelievo in vivo dell’oocita mediante la tecnica dell’ovum pick up (OPU). Ciascuno di questi metodi comporta vantaggi e svantaggi32. Enucleazione. Consiste nell’aspirazione, mediante microago, del primo globulo polare e del pronucleo situato nella porzione di citoplasma adiacente a esso. Al fine di visualizzare il materiale da enucleare si ricorre all’uso di fluorocromi (in particolare l’Hoechst 33342 a base di bisbenzimide triidrocloride) che non influenzano negativamente la vitalità dell’embrione ricostituito. Prima di effettuare questi interventi di microchirurgia, l’oocita viene esposto a sostanze (citocalasina) che distruggono il suo citoscheletro, per cui esso diventa più elastico. Separazione dei blastomeri dell’embrione donatore. La prima operazione consiste nel rimuovere meccanicamente il rivestimento glicoproteico dell’embrione (zona pellucida); successivamente, si effettua la separazione dei blastomeri previa esposizione dell’embrione a soluzioni prive di ioni calcio per attenuare l’adesività delle cellule. Trasferimento del blastomero nell’oocita ricevente enucleato. Con la stessa micropipetta usata per l’enucleazione si procede, poi, al trasferimento di un blastomero nello spazio perivitellino. Fusione fra oocita ricevente e blastomero. Si realizza mediante esposizione di questi due componenti a impulsi elettrici di intensità e di durata variabile, previo posizionamento dell’embrione ricostituito in una camera di fusione fra due elettrodi di platino e in presenza di un medium elettrolitico. Questo trattamento fisico avrebbe la funzione sia di permettere l’apertura di pori nella parete del blastomero, per cui si vengono a instaurare comunicazioni citoplasmatiche che si concretizzano in una fusione completa fra le due cellule, sia di bloccare l’attività dell’H1 chinasi con conseguente inattivazione del MPF (maturation promoting factor). I livelli di MPF variano con l’età dell’oocita. La relazione temporale tra l’attivazione del citoplasto e la sua fusione con il blastomero non è ancora molto chiara. Messa in coltura, in vivo o in vitro dell’embrione ricostituito. A oggi, la coltura in vitro usata per l’embrione “normale” dà risultati accettabili per l’embrione “ricostituito” nella specie bovina; viceversa, nella specie ovina l’embrione “ricostituito” è fortemente influenzato dalle condizioni di coltura, quindi necessita di un 32D. MATASSINO, Clonazione e trasferimento nucleare, in G. ENNE - G. ROSSI, La riproduzione in zootecnia, vol. II, Raiz, 61 16 microambiente peculiare33; per incrementare l’efficienza del TN, gli embrioni ricostituiti vengono inclusi in cilindri di agar e, successivamente, trasferiti in ovidotti di una ricevente temporanea, generalmente una pecora in fase luteinica. Dopo 6-7 giorni si procede al recupero di questi cilindretti, quindi all’isolamento degli embrioni (allo stadio di morula) e al loro trasferimento in riceventi definitive oppure vengono congelati previa vitrificazione. Stadio di sviluppo dell’embrione donatore. L’importanza della compatibilità tra la cellula donatrice e quella ricevente sulla vitalità degli embrioni è stata evidenziata da Smith e altri34 che, nel topo, lavorando con citoplasti ottenuti da zigoti enucleati e carioplasti ottenuti da embrioni a due cellule, hanno dimostrato che il citoplasto più avanzato (24÷28 ore dall’iniezione di hCG) era più competente a favorire lo sviluppo a morula o a blastocisti dell’embrione ricostituito (P<0,01), indipendentemente dallo stadio del carioplasto con cui esso era stato fuso. Per una buona riuscita del TN, in termini di sviluppo a morula o a blastocisti dell’embrione ricostituito, ha notevole importanza la sincronizzazione tra il nucleo donatore e il citoplasto35. Wilmut e Campbell36, però, da un confronto tra specie hanno dedotto che: (a) la percentuale di embrioni ricostituiti che evolvono a termine è influenzata dallo stadio di sviluppo dell’embrione donatore (b) esiste una apparente associazione tra lo stadio di sviluppo in cui inizia la trascrizione genomica e la perdita di totipotenza del nucleo donatore: il trasferimento di un carioplasto, che ha iniziato la trascrizione, comporta la necessità, da parte dello stesso, di riprogrammare l’espressione genica37. a) Trasferimento diretto di un singolo blastomero in utero. Qualsiasi sia la fonte di ottenimento dell’embrione (in vivo o in vitro), questo può essere utilizzato per la produzione di blastomeri da trasferire in ricevente opportunamente sincronizzata. La 33 P. LOI - M. GALLUS - P. DATTENA - S. LEDDA - S. NAITANA, The use of IVM oocytes for nuclear transplantation in sheep embryos, in Journal of Reproduction and Fertility, 34 (1992), 63 (Abstract); D.L. NORTHEY - M.L., LEIBFRIED - RUTLEDGE - P.R. NETTLEMAN - N.L. FIRST, Development of bovine nuclear transfer embryos in vivo and in vitro culture systems, in Theriogenology, 37 (1992), 266 (Abstract); X. YANG - S. JIANG - P. FARRELL - R.H. FOOTE - A.B MCGRATH, Nuclear transfer in cattle: effect of nuclear donor cells, cytoplast age, co-culture, and embryo transfer, in Molecular Reproduction and Development, 36 (1993), 29. 34 L.C. SMITH - I. WILMUT - R.H.F. HUNTER, Influence of cell cycle stage at nuclear trasplantation on the development in vitro of mouse embryos, in Journal of Reproduction and Fertility, 84 (1988), 619. 35 P. COLLAS - J.J. BALISE - J.M. ROBL, Influence of cell cycle stage of the donor nucleus on development of nuclear transplant rabbit embryos, in Biology of Reproduction, 46 (1992), 492; P. COLLAS - C. PINTO CORREIRA - F.A. PONCE DE LEON - J.M. ROBL, Effect of donor cell cycle stage on chromatin and scindle morphology in nuclear transplant rabbit embryos, in Biology of Reproduction, 46, (1992), 501. 36 I. WILMUT - R.H.S. CAMPBELL, Embryo multiplication in livestock: present procedures and the potential for improvement, in Embryonic Development and Manipulation in Animal Development: Trends in Research and Applications, Portland Press, London, 1992, 135. 37 Per maggiori approfondimenti su alcuni meccanismi biologici inerenti alle fasi ora descritte, si rinvia a D. MATASSINO, Clonazione e trasferimento nucleare, in G. Enne e G. Rossi, La riproduzione in zootecnia, Vol. II (1996), 61; ID., La clonazione ha un futuro in zootecnia?, in Atti della Società Agraria di Lombardia, Anno CXXXVIII, III Serie, Milano (1999), 3-4, 11. 17 tecnica attualmente in uso prevede una prima digestione enzimatica (mediante l’impiego di pronasi) della zona pellucida al fine di permettere la separazione dei blastomeri. Questi ultimi, poiché sono legati tra di loro, fra l’altro, da ponti di calcio e di magnesio, possono essere facilmente isolati mediante l’impiego di un ago dal calibro appena più piccolo del blastomero. Successivamente, il singolo blastomero viene posizionato nell’utero della ricevente, preventivamente sincronizzata; pertanto, esso può essere considerato come un singolo embrione. A oggi, i primi risultati di questa tecnica impiegata nel suino lasciano intravedere la possibilità di impiegarla in maniera routinale negli allevamenti zootecnici: 25% di nascite dai blastomeri trasferiti (Shutang, c.p.). b) Cellula staminale embrionale (ES). Nel trasferimento di cellule non identificabili con il blastomero vengono realizzate le stesse fasi, salvo quelle inerenti all’approvvigionamento di embrioni. Nei mammiferi, l’ottenimento di prole clonata mediante trasferimento di cellule embrionali staminali (embryonic stem, ES) fornirebbe un metodo molto utile per la produzione di un gran numero di discendenti tra loro geneticamente identici, sulla base delle attuali conoscenze e delle metodiche di indagine. Storicamente, linee cellulari murine ES vengono stabilizzate dalla ICM di embrioni allo stadio di blastocisti mediante coltura su strati nutrienti di fibroblasti embrionali o di cellule epatiche di ratto o di bufalo38. L’isolamento di cellule ES-simili viene realizzato anche nel suino, nel bovino e nell’ovino. A oggi, però non vi è alcun lavoro sull’uso di cellule ES quali donatrici di nuclei. Il loro ciclo cellulare particolare, con una fase G1 molto breve, però, le renderebbe non particolarmente adatte alla riprogrammazione. Nella specie bovina sono state sviluppate linee cellulari embrionali simil-staminali39; queste ultime sono state utilizzate come fonte di nuclei per il trasferimento nucleare, ma esse hanno portato allo sviluppo di feti non oltre il 60. giorno. c) Cellula del disco embrionale (ED). Nell’ovino, cellule del disco embrionale (embryonic disk, ED), provenienti da embrioni ovini all’età di 9 giorni, risulterebbero totipotenti e conservano la loro totipotenza anche dopo 3 passaggi in coltura, avendosi la nascita di agnelli vivi e vitali, con un’efficienza relativamente bassa40. Esperimenti di trasferimento nucleare a partire da nuclei donatori appartenenti al disco embrionale sono stati effettuati anche nel bovino41. In questa specie successi sono 38 M.J. EVANS - M.H. KAUFMAN, Establishment in culture of pluripotential cells from mouse embryos, in Nature, 292 (1981), 154. 39 S. SAITO e altri (1992), citato da J.B. CIBELLI - S.L. STICE - P. GOLUEKE - J.J. KANE - J.JERRY C. BLACKWELL - F.A. PONCE DE LEON - J.M. ROBL, Cloned transgenic calves produced from nonquiescent fetal fibroblasts, in Science, 280 (1998),1256. 40 K. CAMPBELL - J. MCWHIR - B. RITCHIE, B. - I. WILMUT, Production of live lambs following nuclear transfer of cultured embryonic disc cells, in Theriogenology, 43 (1995), 181. 41 T. ITOH - Y. AOYAGI - M. KONISHI - H. ITAKURA - T. TAKEDOMI - S. YAZAWA - K. AKANE, Nuclear transfer of bovine embryonic disc cells, in Theriogenology, 49 (1998), 322. 18 stati ottenuti anche con cellule della ICM, utilizzate sia subito dopo il loro isolamento che dopo un breve periodo di coltura42. d) Trasferimento di una cellula somatica differenziata in un citoplasto. Tentativi di clonazione con l’uso di cellule stabilizzate di organismi a vari stadi di sviluppo sono ricordati nel paragrafo sui cenni storici, specialmente con l’uso di rane. Wilmut e altri (1997), grazie a una metodica già usata43,ottengono 5 agnelli originatisi da 3 nuove popolazioni di cellule stabilizzate provenienti rispettivamente da: (a) una ghiandola mammaria di una pecora dell’età di 6 anni a fine gravidanza (b) un feto dell’età di 26 giorni (c) un embrione dell’età di 9 giorni (cellule DE). L’uso di cellule stabilizzate “donatrici” di provenienza fetale ed embrionale dà risultati “operativi” non difformi da quelli noti, ma ancora molto inferiori a quelli ottenuti con l’uso del blastomero. Ciò sta a significare che bisognerà molto sperimentare prima di raggiungere risultati trasferibili operativamente; il che sarà possibile solo conoscendo i meccanismi molecolari che partecipano sia a quel meraviglioso meccanismo identificabile con la riprogrammazione nucleare, sia alla vita di relazione fra il citoplasto e il suo ospite. È stato evidenziato che il trattamento dei fibroblasti in coltura per 8 giorni in un mezzo contenente siero fetale bovino allo 0,5% ha un effetto positivo sull’efficienza del trasferimento nucleare: 39% di sviluppo a blastocisti contro il 20% registrato a partire da fibroblasti non sottoposti a tale trattamento (P<0,05). Quando poi la morula, ottenuta dal trasferimento nucleare di fibroblasto sottoposto o non sottoposto al trattamento precedente, viene utilizzata per l’ottenimento di cloni di 2. generazione, la percentuale di sviluppo a blastocisti è significativamente più elevata di quella ottenuta durante la generazione dei cloni di 1. generazione44. Pertanto, la “riclonazione” aumenta l’efficienza del trasferimento nucleare. Per quanto concerne, in modo particolare, l’agnello nato “presumibilmente” da una cellula somatica di un soggetto adulto, bisogna precisare che esso è il risultato di ben 277 embrioni cloni ricostituiti, valutati trasferibili in una ricevente intermedia a distanza di 1 ora dalla fusione. Questi 277 cloni costituiscono il 63,8% di quelli sottoposti a fusione (434); questa percentuale è inferiore a quella ottenuta con l’uso di cellule “donatrici” sia da feto (84,7) che da embrione (85,3). 42 P. COLLAS, P. - F.L. BARNES, Nuclear transplantation by microinjection of inner cell mass and granulosa cell nuclei, in Molecular Reproduction and Development, 38 (1994), 264; M. SIMS - N.L. FIRST, Production of calves by transfer of nuclei from cultured inner cell mass, in Proceedings of National Academy of Science of United States, 90 (1993), 6143; C.L. KEEFER – S.L. STICE - D.L. MATTEWS, Bovine inner mass cell as donor nuclei in the production of nuclear transfer embryos and calves, in Biology of Reproduction, 50 (1994), 935. 43 K. CAMPBELL - J. MCWHIR - B. RITCHIE - I. WILMUT, Sheep cloned by nuclear transfer from a cultured cell line, in Nature, 380 (1996), 64. 44 Zakhartchenko e altri, dati non pubblicati in E. WOLF – K. BOXHAMMER - G. BREM - K. PRELLE - D. REICHENBACH - J. REISCHL - B. SANTL - W. SCHERNTHANER - M. STOJKOVIC - H. WENIGERKIND - V. ZAKHARTCHENKO, Recent progress in the in vitro production and cloning of bovine embryos, in Arq. Fac. Vet. UFRGS, Porto Alegre, 26 (1), 1998,160. 19 Le differenze comportamentali dei tre tipi di cellule “derivate” si protraggono anche sulle fasi successive (percentuale di morula e/o blastocisti ottenute, gravidanze diagnosticate e nascite). Per correttezza scientifica, gli autori precisano che: (a) il fenotipo della cellula somatica donatrice è sconosciuto (b) la coltura primaria contiene principalmente cellule epiteliali (90%) e le altre cellule sono da ascrivere a cellule mioepiteliali e fibroblasti (c) non è da escludere la possibilità che sia presente una piccola proporzione di cellule staminali relativamente indifferenziate, capaci di supportare la rigenerazione della ghiandola mammaria, specialmente nell’ultima fase di gestazione Alla luce di quanto riferito, sorgono alcuni dubbi da parte del mondo scientifico e scaturiscono alcune considerazioni: (a) non si può affermare matematicamente che Dolly sia nata in seguito a trasferimento di una cellula somatica differenziata; ciò viene ribadito anche dallo stesso Wilmut (1999), il quale sottolinea che la coltura di provenienza conteneva anche cellule meno specializzate, sempre presenti in piccola percentuale nella ghiandola mammaria (b) Dolly è nata trasferendo nel citoplasto una cellula proveniente da una popolazione di cellule di una coltura stabilizzata di cellule di ghiandola mammaria di una pecora dell’età di 6 anni (c) sia in questo esperimento che nel precedente45 gli Autori sostengono che si tratta sempre di cellule differenziate, anche se provenienti da colture di cellule prelevate da embrioni (d) le cellule differenziate possono riacquistare la capacità di comportarsi come cellule totipotenti (embrionali), previa opportuna manipolazione. Queste incertezze, ed eventualmente altre, non sminuiscono l’eccezionalità dell’esperimento: la possibilità dello “sdifferenziamento cellulare”. Infatti, la perdita di totipotenza è stata, finora, sempre considerata un fenomeno irreversibile, quasi coincidente con un vero e proprio “dogma” nell’ambito della biologia molecolare. Un recente successo nella clonazione a partire da cellula somatica differenziata nella specie bovina viene riferito da Kato e altri46 che, in seguito al trasferimento di cellule del cumulo ooforo e dell’ovidutto di una vacca adulta, ottengono la nascita di 8 vitelli su un totale di 10 blastocisti trasferite (successo dell’80%). Recentemente, anche nel topo, Wakayama e altri47, sperimentando il TN a partire da cellule del Sertoli, cellule neurali e cellule del cumulo ooforo, hanno ottenuto lo sviluppo di topi vivi e fertili soltanto con quest’ultimo tipo cellulare. 45 K. CAMPBELL - J. MCWHIR - B. RITCHIE - I. WILMUT, Sheep cloned by nuclear transfer from a cultured cell line, in Nature, 380 (1996), 64. 46 Y. KATO - T. TANI - Y. SOTOMARU - K. KUROKAWA - J. KATO - H. DOGUCHI YASUE - Y. TSUNODA, Eight calves cloned from somatic cells of a single adult, in Science, 282 (1998), 2095 47 T. WAKAYAMA - A.C.F. PERRY - M. ZUCCOTTI - K.R. JOHNSON - R. YANAGIMACHI, Full-term development of mice from enucleated oocytesinjected with cumulus cell nuclei, in Nature, 394 (1998), 369. 20 a) Alcuni problemi. Un clone, così come oggi viene prodotto, non è il frutto di una manipolazione genetica. Indubbiamente la nascita di Dolly ha posto grandi interrogativi di natura sia etico-giuridica che biologica. Si potranno avere differenze nell’ottenimento di cloni in relazione al sesso del donatore? L’età del/la “donatore/trice” potrà influenzare l’attesa di vita di un clone? Il “testamento” o il “passato” o la “memoria” di una cellula somatica ha significato biologico se essa si evolverà in un nuovo individuo? La maggior parte della ricerca è rivolta alla clonazione da cellula fetale ed embrionale piuttosto che da cellula adulta. Secondo Eyestone48, fisiologo della riproduzione che lavora sugli animali transgenici alla PPL Therapeutics Inc a Blacksburg, Virginia, la cellula embrionale cresce più velocemente e l’animale che si ottiene vive più a lungo di quello clonato da cellula adulta. Un recente contributo alla soluzione della suddetta seconda domanda si deve a Shiels e altri49; questi autori, comparando la lunghezza del telomero di Dolly e di altri due soggetti (6LL6 e 6LL7), nati anch’essi da TN, ma a partire da cellule di embrione ovino di razza Poll Dorset di 9 giorni e da fibroblasti di un feto ovino di razza Black Welsh di 25 giorni di età rispettivamente, con quella sia della cellula “donatrice” (prima e dopo la permanenza in coltura) sia di soggetti di controllo della stessa età, riferiscono che il frammento di restrizione terminale (terminal restriction fragment, TRF), è significativamente inferiore (P<0,005) in tutti e tre gli animali nati da TN rispetto al controllo della stessa età nato non da TN; inoltre, il più piccolo TRF è quello proveniente da Dolly (20,37 versus 23,9 ± 0,18 kb nel controllo all’età di un anno). Pertanto, si evidenzierebbe che la dimensione media del TRF è funzione dell’età della cellula “donatrice”. Shiels e altri50 rilevano che il tempo di permenza in coltura della cellula donatrice influenza significativamente il tasso di accorciamento del telomero e tale effetto si sovrappone a quello dell’età della cellula “donatrice”; in particolare, essi riferiscono che il decremento della dimensione del TRF risulta mediamente di 0,157 kb dopo ogni duplicazione cellulare; ciò è in accordo con il risultato ottenuto da studi effettuati su cellule in coltura umane51; da quest’ultimo risultato si potrebbe dedurre che il grado di accorciamento del TRF può essere limitato minimizzando la permanenza della cellula “donatrice” in coltura. Poiché il numero dei soggetti analizzati è piuttosto modesto, è anche possibile che le differenze trovate siano dovute a una variazione naturale della dimensione media del TRF in questi individui; tuttavia,questa ipotesi sarebbe da 48 Citato da D. NORMILE, Bid for better beef gives Japan a leg up on cattle, in Science, 282 (1998), 1.975. 49 P.G. SHIELS - A.J. KIND - K.H.S. CAMPBELL - D. WADDINGTON - I. WILMUT - A. COLMAN - A. SCHNIEKE, Analysis of telomere lenghts in cloned sheep, in Nature, 399 (1999), 316. 50 Ivi. 51 M.A. BLASCO - W.L. LEE - M.P. HANDE - E. SAMPER - P.M. LANSDORP - A.D. RONALD C.W.GREIDER, Telomere shortening and tumor formation by mouse cells lacking telomerase RNA, in Cell, 91 (1997), 25; G.M. COVIELLO - MCLAUGHLIN - K.R. PROWSE, Telomere lenght regulation during postnatal development and ageing, in Mus spretus., in Nucleic Acid Research, 25 (1997), 15, 3051. 21 scartare essendo risultata significativa la differenza. L’ultimo esame veterinario degli animali ha confermato che i soggetti “cloni” godono ottima salute e il loro status è quello tipico di un soggetto della stessa età e appartenente a quella razza. Resta, comunque, da stabilire se l’età fisiologica attuale degli animali nati da TN riflette in modo preciso la dimensione del TRF. I modelli di senescenza cellulare basati sulla lunghezza del telomero52 predicono che Dolly dovrebbe raggiungere una lunghezza critica del telomero più presto del controllo della stesa età. Bodnar e altri53 riferiscono che la cellula umana normalmente priva di attività telomerasica, se transfettata con un vettore contenente il costrutto genico per la subunità catalitica della telomerasi, esibisce: telomeri più lunghi, una maggiore capacità di dividersi e positività nei confronti della beta-galattosidasi; questo ultimo è un marker biologico della senescenza cellulare. Comunque, l’ipotesi della perdita del potenziale proliferativo basata sulla modificazione del telomero si rivela molto complessa e richiede notevoli approfondimenti. A esempio, Strahel e Blackburn54 evidenziano che la riduzione dell’attività telomerasica non ha alcun effetto sul fenotipo di linee cellulari immortali. Blasco e altri55 riferiscono che cellule di topi knock out56 con attività telomerasica nulla possono essere stabilizzate in coltura, al pari delle cellule normali, senza perdere la loro vitalità; pertanto, nel topo la lunghezza dei telomeri non è determinante per l’ottenimento delle linee cellulari stabilizzate e l’attività telomerasica non è necessaria per superare la “crisi” cioè il periodo di crescita lenta che precede l’“immortalizzazione” della cellula. A oggi, i tipi di cellula somatica capaci di supportare lo sviluppo completo di un individuo in seguito a trasferimento nucleare, sono: i fibroblasti fetali57, le cellule del 52 A.M.J. OLOVNIKOF (1978), citato in P. G. SHIELS - A.J. KIND - K.H.S. CAMPBELL - D. WADDINGTON - I. WILMUT - A. COLMAN - A. SCHNIEKE, Analysis of telomere lenghts in cloned sheep; H.J. COOKE - B.A. SMITH, Variability at the telomeres of the human X/Y pseudoautosomal region, in Cold Spring Harbor Symposia Quantitative Biology, 51 (1986), 213; R.K. MOYZIS - J.M. BUCKINGHAM - L.S: CRAM - M. DANI - L.L. DEAVEN - M.D.JONES - J. MEYNE - R.L. RATLIFF - J.R. WU, A highly conserved repetitive DNA sequence, (TTAGGG)n, present at the telomeres of human chromosomes, in Proceedings of the National Academy of Sciences of the United Sciences , 85 (1988), 6622; C.D. HARLEY - J.W. SHAY - S. LICHTSTEINER - W.E. WRIGHT, Extension of life span by introduction of telomerase into normal human cells, in Science, 279 (1998), 349. 53 A.G. BODNAR - M. QUELLETTE - M., FROLKIS - S.E. HOLT - C.P. CHIU - G.B. MORIN – C.B. HARLEY – J.W. SHAY – S. LICHTSTEINER – W.E. WRIGHT, Extension of life span by introduction of telomerase into normal human cells, in Science, 279 (1998), 349 54 C. STRHAL - E.H. BLACKBURN, Effect of reverse transcriptase inhibitors on telomere length and telomerase activity in two immortalized human cell lines, in Molecular Cell Biology, 16 (1996), 53 55 M.A. BLASCO - W.L. LEE - M.P. HANDE - E. SAMPER - P.M. LANSDORP - A.D. RONALD C.W.GREIDER, Telomere shortening and tumor formation by mouse cells lacking telomerase RNA, in Cell, 91 (1997), 25. 56 Knock Out (KO): consiste nella sostituzione del gene “selvatico” (gene transplacement) con un suo derivato reso “inattivo” o “nullo” mediante una sequenza che ne compromette la funzione. 57 WILMUT - E. SCHNIEKE - J. MCWHIR - A.J. KIND - K.H.S. CAMPBELL, Viable offspring derived from foetal and adult mammalian cells, in Nature, 385 (1997), 810; A.E. SCHNIEKE - A.J. KIND K.RITCHIE, MYCOCK - A.R. SCOTT - M. RITCHIE - I. WILMUT - A.COLMAN - K.H.S. CAMPBELL, 22 tessuto muscolare fetale, dell’epitelio fetale, neonatale e adulto58, dell’ovidutto e del cumulo ooforo59, della ghiandola mammaria60 e il linfocito61, anche se alcuni tipi cellulari si sono rivelati più riprogrammabili di altri. La cellula meno differenziata sarebbe un “donatore” migliore rispetto a quella altamente specializzata; questo potrebbe spiegare l’insuccesso di Wakayama e altri62, con l’uso del neurone e della cellula del Sertoli. Anche quest’ultima ricerca pone molti interrogativi che stimolano la ricerca di base a studiare i meccanismi molecolari che presiedono allo sviluppo embrionale. Esso, infatti, dimostra che alcune cellule adulte possono essere clonate mentre altre no. È questo un problema biologico o tecnico? Se è biologico, cosa rende alcuni tipi cellulari riprogrammabili e altri no entro il tipo genetico e fra i tipi genetici? Informazioni utili potranno derivare dalla caratterizzazione dei geni espressi in maniera “stadio-specifica” durante lo sviluppo63; i risultati di tali studi potrebbero essere utilizzati per conoscere se lo stesso set di geni è “spento” o “acceso” indipendentemente dal tipo genetico “donatore” e/o “ricevente”. In più, ogni “clone” rappresenta un’individualità biologica? Certamente una risposta sperimentale a questa domanda potrebbe consentire di affermare che alcuni geni debbono essere o “accesi” o “spenti” affinché il TN possa avere successo. Human factor IX transgenic sheep produced by transfer of nuclei from transfected fetal fibroblasts, Science, 278 (1997), 2130; J.B. CIBELLI - S.L. STICE - P. GOLUEKE - J.J. KANE - J.JERRY - C. BLACKWELL - F.A. PONCE DE LEON - J.M. ROBL, Cloned transgenic calves produced from nonquiescent fetal fibroblasts, in Science, 280 (1998), 1256; D.N. WELLS - P.M. MISICA - W.H. MCMILLAN - H.R. TERVIT, Production of cloned fetuses following nuclear transfer with cells from a fetal fibroblast cell line, in Theriogenology, 49 (1998), 330. 58 X. VIGNON - P. CHESNÉ - D. LE BOURHIS - Y. HEYMAN - J.P. RENARD, Developmental potential of bovine embryos reconstructed with somatic nuclei from cultured skin and muscle fetal cells, in Theriogenology, 49 (1998), 392 (abstract); X. VIGNON - P. CHESNÉ - D. LE BOURHIS - J.P. FLECHON Y. HEYMAN - J.P. RENARD, Developmental potential of bovine embryos reconstructed from enucleated matured oocytes fused with cultured somatic cells, in Comptes Rendus de L’Academie des Sciences, 321 (1998), 735; 59 Y. KATO - T. TANI - Y. SOTOMARU - K. KUROKAWA - J. KATO - H. DOGUCHI YASUE - Y. TSUNODA, Eight calves cloned from somatic cells of a single adult, in Science, 282 (1998), 2095; T. WAKAYAMA - A.C.F. PERRY - M. ZUCCOTTI - K.R. JOHNSON - R. YANAGIMACHI, Full - term development of mice from enucleated oocytesinjected with cumulus cell nuclei, in Nature, 394 (1998), 369; D.N. WELLS - P.M. MISICA - H.R. TERVIT, Production of cloned calves following nuclear transfer with cultured adult mural granulosa cells, in Biology of Reproduction, 60 (1999), 996. 60 I. WILMUT - E. SCHNIEKE - J. MCWHIR - A.J. KIND - K.H.S. CAMPBELL, Viable offspring derived from foetal and adult mammalian cells, in Nature, 385 (1997), 810. 61 C. GALLI – R. DUCHI – R.M. MOOR – G. LAZZARI, Mammalian leukocytes contain all the genetic information necessary for the development of a new individual, in Cloning, 1 (1999), 3, 161 62 T. WAKAYAMA - A.C.F. PERRY - M. ZUCCOTTI - K.R. JOHNSON - R. YANAGIMACHI, Full-term development of mice from enucleated oocytesinjected with cumulus cell nuclei, in Nature, 394 (1998), 369. 63 J.L. ROTHSTEIN - D. JOHNSON - J.A. DE LOIA - J.E. SKOWRONSKI - D.E. SOLTER - B. KNOWLES, Gene expression during preimplantion mouse development, in Genes & Developmment, 6, (1992), 1190; B. OH - S.Y. HWANG - D. SOLTER - B.B. KNOWLETZ, Splindlin a major maternal transcript expressed in the mouse during the transition from oocyte to embryo, in Development, 124 (1997), 493. 23 Solo la disponibilità di una congrua consistenza di popolazioni di cloni potrà permettere di studiare e di individuare le eventuali differenze (e loro natura) fra i soggetti entro una popolazione di cloni e tra le popolazioni di cloni. In che misura il genoma svolge un ruolo di programma e/o di “archivio d’informazioni”? Pertanto, il genoma svolge solo un ruolo di “interprete” del programma o anche di “operatore”? Come queste due funzioni vengono armonizzate? Quale ruolo può giocare l’apoptosi64 o morte programmata di una cellula? Tante altre domande potrebbero ancora essere poste , ma credo che la risposta univoca è la necessità e l’utilità di ricercare, specialmente per migliorare lo stato di benessere dell’uomo. Infine, è da valutare sul piano biologico l’effetto di un incontrollato uso della clonazione, specialmente nei confronti dei rischi sanitari e della biodiversità. 2.3. Applicazioni in zootecnia La clonazione ha suscitato nel mondo scientifico e operativo notevole interesse in quanto potrebbe costituire una strategia per raggiungere con maggiore velocità determinati obiettivi genetici e operativi da parte delle imprese zootecniche. La biotecnica innovativa del trasferimento nucleare viene, attualmente, impiegata in programmi di miglioramento genetico nelle maggiori specie di interesse zootecnico (bovini, ovini, caprini ecc.); attualmente buoni risultati sono stati ottenuti operando su bovini e ovini. Nella tabella II sono riportati alcuni risultati della clonazione nei bovini. La produzione di animali identici di elevato valore genetico porterebbe a un progresso genetico maggiore rispetto a quello ottenibile, ad esempio, con la sola inseminazione strumentale, come può rilevarsi dallo schema seguente riguardante i bovini da latte: biotecnica solo inseminazione strumentale (IS) IS + predeterminazione del sesso (PS) IS + trasferimento embrionale (TE) IS + PS + TE IS + trasferimento nucleare (TN) IS + PS + TN progresso genetico 100 115 134 149 159 174 I risultati ottenibili porterebbero a innovazioni di processo e di prodotto per il miglioramento quali-quantitativo delle produzioni animali, contribuendo a fornire alle 64 È noto che l’apoptosi ha una duplice funzione: (a) fisiologica: mantenere l’omeostasi tissutale attraverso un continuo bilanciamento tra la proliferazione e la morte cellulare al fine di mantenere costante il numero di cellule minime di ciascun tessuto, impedendo, in questo modo, fenomeni neoplastici e conseguenti proliferazioni incontrollate; (b) difensiva: più che una funzione vera e propria, si tratta di un meccanismo di azione che scatta ogni qualvolta si verifica un danno irreversibile al DNA cellulare (nucleare); in tal modo la cellula danneggiata si autodistrugge per evitare la proliferazione di se stessa e quindi del danno (o di anomalie) che potrebbe avere effetti destabilizzanti sul genoma. 24 imprese zootecniche interessanti strumenti operativi capaci di aumentare il loro grado di competitività65. Altre considerazioni, quali una previsione meno errata dei costi di produzione e dei controlli delle prestazioni riproduttive e produttive, dovute alla dottrinale uniformità genetica degli individui clonati entro la linea di produzione, potrebbero costituire un ulteriore incentivo a investire fondi per ottimizzare questa biotecnica innovativa. L’impiego del TN, come biotecnica per la salvaguardia e la moltiplicazione dei tipi genetici in via di estinzione o di popolazioni a limitata diffusione, risulta estremamente importante, se non irrinunciabile66. Non sembri un controsenso, ma la variabilità genetica può essere salvaguardata avendo a disposizione diverse linee clonate. Probabilmente, sarà, almeno per diversi anni, la strategia da sviluppare e da impiegare per l’utilizzazione del potenziale produttivo delle risorse genetiche autoctone animali ai fini, anche, dell’ottenimento di alimenti per l’uomo in grado di contribuire, non secondariamente, alla soluzione della complessa problematica delle controversie nutrizionali; problematica che sarà sempre più attuale con la variazione in atto e futura della struttura demografica umana. La disponibilità di cloni geneticamente identici permetterà di studiare gli effetti di una vasta gamma di fattori ambientali sulle prestazioni riproduttive e produttive degli animali in produzione zootecnica e, quindi, di suggerire agli imprenditori zootecnici soluzioni ottimali in relazione a differenti microambienti di allevamento. Grandi vantaggi operativi potrebbero derivare dall’impiego di cellule somatiche; infatti, se la ricerca dovesse evidenziare l’assenza di effetti negativi sulla durata della vita riproduttiva e produttiva di cloni nati da cellule somatiche di soggetti dalle prestazioni note, sarà possibile incrementare la replicazione dei soggetti più produttivi. Lo stesso dicasi nel caso si voglia aumentare la numerosità di soggetti con particolari attitudini comportamentali frutto di combinazioni geniche difficilmente ripetibili con l’uso di altre tecniche riproduttive. 65 D. MATASSINO, Biotecnologie: applicazioni e prospettive, in L’Italia agricola, 128 (1989), 3, 101. 66 Per un approfondimento relativo alla salvaguardia dei tipi genetici autoctoni in via di estinzione si rimanda a: D. MATASSINO, Il ruolo del germoplasma autoctono nell’ecosistema culturale, Conv. “Progetto ambiente 1992”, (Colle Sannita [Benevento], 14-15 febbraio 1992), in Impariamo dalla natura, L’Allevatore, 48 (1992), 17, 18; D. MATASSINO - M. PALAZZO - A. CAPPUCCIO, Micromanipolazione degli embrioni, in Atti Tavola Rotonda su “Biotecnologie avanzate e produzione animale”, (Reggio Emilia, 1 giugno 1993), ASPA, 1993, 19. D. MATASSINO, Quel bene culturale a salvaguardia del territorio, Conv. “Agricoltura, agriturismo e viabilità per il decollo di Tammaro e Fortore”, (Colle Sannita [Benevento], 11-12 maggio 1996) in L’Allevatore, 52 (1996), 27, 10; ID., L’animale autoctono quale bene culturale, Atti Conv. “Ruolo del germoplasma animale autoctono nella salvaguardia del territorio”, (Bari, 17 settembre 1996), in Terra Pugliese, 45 (1996), 11-12, 3, in L’Allevatore, 53 (1997), (10), inserto; ID., Biodiversità e allevamento animale, Atti Conv. “Zootecnia e Parchi-Produzione di qualità e tutela dell’ambiente”, (Massa, 11-12 ottobre 1996), in Zootecnica e Nutrizione Animale, 23 (1997), supplemento, 13; ID., La zootecnia in un parco, Atti Conv. “Il parco come punto d’incontro di problematiche socio-economiche di un territorio, con particolare riferimento alla zootecnia”, (Tignale [BS], 6 giugno 1997), 9; ID., La biodiversità base insostituibile per una produzione animale a misura d’uomo, in Atti 3. Conv. Naz. “Biodiversità - Tecnologie - Qualità”, (Reggio Calabria, 16-17 giugno 1997), 29; D.N. WELLS - P.M. MISICA - J.T. FORSYTH - M.C. BERG - J.M. LANGE - H.R. TERVIT - W.H. VIVANICO, The use of adult somatic cell nuclear transfer to preserve the last surviving cow of Enderby Island cattle breed, in Theriogenology, 51 (1999), 217. 25 Secondo Smith67, nei bovini da carne sarebbe importante selezionare 2 tipi di cloni: (a) i cosiddetti cloni terminali, che vanno scelti e selezionati per le caratteristiche produttive, come tasso di accrescimento, vitalità, efficienza della conversione alimentare, composizione e qualità della carcassa; gli embrioni prodotti da questi cloni costituiranno la generazione futura per la produzione di animali da destinare alla macellazione (b) cloni materni, utilizzati come riceventi per i cloni terminali; essi vanno selezionati in base alle caratteristiche riproduttive (età alla pubertà, fertilità, facilità di parto, produzione di latte, longevità, propensione ai parti gemellari); tali cloni saranno utilizzati come animali da carne soltanto alla fine della carriera riproduttiva. La clonazione è la sola via che consentirà di utilizzare in un programma di selezione geni a comportamento non additivo. La clonazione, infatti, è tanto più efficiente rispetto alle tecniche tradizionali di miglioramento genetico quanto più il comportamento dei geni è di dominanza o epistatico; rientrano in tale categoria la fertilità e i caratteri a essa collegati. Nella specie ovina, date le difficoltà di utilizzazione dell’IS come mezzo di diffusione di materiale genetico di alto valore, la clonazione di riproduttori maschi sarebbe certamente una strategia vantaggiosa per rendere più efficienti i programmi di miglioramento genetico. Nella scelta del fondatore di un gruppo di cloni è necessario considerare l’animale nella sua globalità: infatti, l’animale non solo deve essere per il carattere scelto alcune deviazioni standard superiori alla media della popolazione, ma deve essere eccezionale anche per altre caratteristiche fondamentali (produzione di proteine, morfologia e caratteri legati alla riproduzione). I recenti successi ottenuti dall’impiego di cellule del cumulo ooforo e dell’ovidutto68 permettono di individuare in tali tipi cellulari un valido strumento per la produzione di femmine; in particolare, le cellule della granulosa possono essere ottenute facilmente senza danneggiare l’animale usando le tecniche standard di ovum pick up69. La clonazione con l’uso di una cellula somatica, come metodo riproduttivo routinale, richiederà indubbiamente la soluzione di tutta una serie di problemi come in parte evidenziato nel capitolo 3.2.3.1. e la conoscenza dei meccanismi genetici ed epigenetici che presiedono alla morfogenesi; in più, non si può affermare che biologicamente una cellula somatica “donatrice” possegga un genoma perfettamente identico a quello del soggetto di appartenenza. Un altro effetto da considerare è quello legato all’interazione tra i due citoplasmi: “donatore” e “ricevente”. 67 C. SMITH, Cloning and genetic improvement of beef cattle, in Animal Production, 49 (1989), 49. 68 Y. KATO - T. TANI - Y. SOTOMARU - K. KUROKAWA - J. KATO - H. DOGUCHI YASUE - Y. TSUNODA, Eight calves cloned from somatic cells of a single adult, in Science, 282 (1998), 2095; T. WAKAYAMA - A.C.F. PERRY - M. ZUCCOTTI - K.R. JOHNSON - R. YANAGIMACHI, Full-term development of mice from enucleated oocytesinjected with cumulus cell nuclei, in Nature, 394 (1998), 369. 69 M.C. PIETERSE - K.A. KAPPEN - THAM. KRUIP - MAN. TAVERNE, Aspiration of bovine oocytes during transvaginal ultrasound scanning of the ovaries, in Theriogenology, 30 (1988), 751. 26 In definitiva, la clonazione può essere considerata una biotecnica innovativa da valutare positivamente nelle produzioni animali, purché essa costituisca uno strumento da utilizzare e da gestire correttamente per raggiungere chiari obiettivi utili per un futuro sempre più a misura d’uomo. 2.3. Alcune limitazioni. Nel settore zootecnico, la tecnica riproduttiva della clonazione mediante TN avrà delle applicazioni limitate fino a quando essa è associata, sostanzialmente, ad alti costi e a una certa probabilità di ottenere soggetti portatori di anomalie fenotipiche. Alti costi. La quasi totalità dei vitelli “cloni”, finora prodotti, si deve a compagnie private. A causa dell’elevata richiesta di risorse finanziarie, questa biotecnica, non si è molto sviluppata negli Istituti di ricerca pubblici. Una situazione molto favorevole allo sviluppo della clonazione, quale tecnica routinale in produzione animale, si è avuta in questi ultimi anni in Giappone dove, nel tentativo di proteggere l’industria locale dalla competizione con gli Stati Uniti e con altri paesi, il Ministero dell’Agricoltura ha organizzato programmi per istruire i ricercatori dei principali centri di ricerca sull’uso di questa biotecnica innovativa. Inoltre, esistendo in Giappone un mercato caratterizzato da elevati prezzi di vendita della carne di “alta qualità”, è possibile sostenere anche alti costi per clonare un bovino da carne. Grazie a tale politica, stanno proliferando gruppi di ricerca70 che, attraverso uno screening sistematico di cellule somatiche “donatrici” provenienti da vari tipi di tessuto (derma dell’orecchio, ovidutto, cumulo ooforo, muscolo, ecc.) di bovino, stanno intensificando le ricerche sulla produzione di cloni mediante il TN. Nonostante la ridondanza di ricerche e indipendentemente dall’efficienza nella produzione di cloni, tali esperimenti potrebbero aiutare a comprendere il meccanismo attraverso il quale le cellule sono riprogrammate per iniziare un nuovo processo di sviluppo. A tutt’oggi, ciò che accade nella “riprogrammazione cellulare” costituisce ancora un mistero. Anomalie fenotipiche. Le procedure di clonazione mediante TN non sono, a oggi, molto efficienti tabella II. Nel bovino, possiamo dire che il tallone di Achille è rappresentato dalla produzione, con una certa incidenza, di vitelli con anomalie fenotipiche e con un’alta percentuale di mortalità neonatale. Wilmut e Sales71 e Garret e altri72 riferiscono sui fattori che influenzano la prima fase di accrescimento uterino negli ovini e nei bovini. Walker e altri73 descrivono i fattori che influenzano la durata della gestazione e il peso alla nascita degli agnelli. 70 Y. KATO - T. TANI - Y. SOTOMARU - K. KUROKAWA - J. KATO - H. DOGUCHI YASUE - Y. TSUNODA, Eight calves cloned from somatic cells of a single adult, in Science, 282 (1998), 2095; IRITANI, (1998) comunicazione personale 71 I. WILMUT - D.I. SALES, Effect of asynchronous environment on embryonic development in sheep, in Journal of Reproduction and Fertility, 61 (1981), 179. 72 J.E. GARRET - R.D. GEISERT - M.T. ZAVY - G.L. MORGAN, Evidence for maternal regulation of early conceptus growth and development in beef cattle, in Journal of Reproduction and Fertility, 84 (1988), 437. 73 S.K.WALKER - T.M. HEARD - R.F. SEAMARK, In vitro culture of sheep embryos without coculture: success and perspectives, in Theriogenology, 37 (1992), 111; S.K. WALKER - T.M. HEARD - 27 A eccezione di Willadsen e altri74 che riferiscono su alcuni valori inerenti alla durata della gestazione, alla modalità del parto, al peso alla nascita e alle malformazioni fetali e neonatali in vitelli nati da TN, il primo studio comparativo fra biotecniche riproduttive innovative [TN e trasferimento embrionale (TE)] e convenzionali si deve a Wilson e altri75. Per il TN, questi ultimi Autori impiegano come “donatore” il blastomero. Da quest’ultima ricerca, condotta per il 70% sui tipi genetici Angus, Brangus e Simbrali, è emerso quanto riportato nelle tabelle III, IV, V e VI e nei grafici I e II. Sinteticamente, da queste tabelle e da questi grafici si rileva: (a) Nascita: entro il sesso, la biotecnica influenza significativamente il peso: (i) il vitello nato da clonazione pesa mediamente in più di quello nato da TE: 24% se maschio e 28% se femmina e di quello nato da (IS+IN): 35% se maschio e 37% se femmina (ii) il vitello nato da TE pesa mediamente in più di quello nato da IS-IN: 8% se maschio e 7% se femmina; (b) 205 d di età: entro il sesso, la biotecnica influenza significativamente il peso: il soggetto “clone” pesa mediamente in più di quello nato da IS+IN: 3% se maschio e 4% se femmina (c) 1 anno di età: entro il sesso, la biotecnica influenza significativamente il peso: il soggetto “clone” pesa mediamente in più di quello nato da TE: 4% se maschio e 20% se femmina, e da quello nato da IS+IN: 4% se maschio e 22% se femmina, (d) fratellastri paterni: (i) nascita: entro il sesso, la biotecnica influenza significativamente il peso: - il vitello nato da clonazione pesa mediamente in più di quello nato da TE: 22% se maschio e 35% se femmina - il vitello nato da TE pesa mediamente in più di quello nato da IS+IN: 6% se maschio e 29% se femmina (ii) 205 giorni: entro il sesso, la biotecnica non influenza significativamente il peso (iii) 1 anno di età: entro il sesso, la biotecnica influenza significativamente il peso: il vitello nato da TN differisce (+12%) da quello nato da TE solo se femmina: (e) fratelli: (i) nascita: entro il sesso, la biotecnica influenza significativamente il peso: il vitello “clone” è più pesante di quello nato da TE: +22% se maschio e +25% se femmina T.M. BEE - A.B. FRENSHAM - D.M. WARNEST - R.F. SEAMARK, Culture of embryos of farm animals, in A. LAURIA - F. GANDOLFI, Embryonic Development and Manipulation in Animal Reproduction. Portaland Press, London, 1992, 77. 74 S.M. WILLADSEN - R.E. JANZEN - R.J. MCALISTER - B.F. SHEA - G. HAMILTON - D. MCDERMAND, The viability of late morulae and blastocysts produced by nuclear transplantation in cattle, in Theriogenology, 35 (1991), 1, 161. 75 J.M. WILSON - J.D. WILLIAMS - K.R. BONDIOLI - C.R., LOONEY - M.E. WESTHUSIN - D.F. MCCALLA, Comparison of birth weight and growth characteristics of bovine calves produced by nuclear transfer (cloning), embryo transfer and natural mating, in Animal Reproduction Science, 38 (1995), 73. 28 (ii) a 205 giorni: entro il sesso, la biotecnica influenza significativamente il peso: il vitello “clone” è più pesante (8%) di quello nato da TE solo se maschio (iii) a 1 anno di età: entro il sesso, la biotecnica non influenza significativamente il peso (f) i vitelli nati da TN evidenziano una maggiore variabilità rispetto a quelli nati da IS+IN, siano essi maschio o femmina. In conclusione, Wilson e altri76 evidenziano: (a) il maggior peso alla nascita del vitello (maschio o femmina) nato da TN rispetto a quello ottenuto da TE o da IS+IN si ha anche dopo che i pesi sono corretti o per il solo padre o per il padre e la madre (b) la variabilità del peso alla nascita dei vitelli fratelli nati da TE risulta quasi doppia di quella dei corrispettivi fratelli nati da IS + IN; lo stesso dicasi per il confronto fra i nati da TN e quelli da TE, per cui i TN evidenziano una variabilità quadrupla rispetto ai nati da IS+N; tutto ciò evidenzierebbe anche un effetto della “ricevente” (c) il tipo genetico della ricevente non influenza significativamente il peso alla nascita dei vitelli “cloni” (d) il peso alla nascita del vitello “clone” è indipendente dal genotipo sia del donatore dell’oocita che di quello del blastomero e l’interazione fra questi due genotipi non è statisticamente importante (e) i fratelli TN rispetto ai corrispettivi fratelli TE, per quanto concerne l’accrescimento intrauterino, crescono di più per un eventuale ipotetico effetto della tecnica di clonazione, non essendo possibile – a oggi – individuare altre motivazioni. A interpretazione del punto precedente, si ricorda che Garret e altri77 riferiscono che l’accrescimento intrauterino può essere accelerato dai trattamenti ormonali cui vengono sottoposte le “riceventi”. Sembra che la mole del vitello non sia il problema primario. Westusin e altri78, avendo rilevato il tipo di parto e le caratteristiche neonatali di più di 70 vitelli ottenuti mediante TN, riferiscono che molti di questi vitelli tendono ad avere, alla nascita, ipossia, ipoglicemia, tendenza all’ipotermia e alta concentrazione ematica di insulina. Molto interessante, è l’osservazione che se questi vitelli ricevono: un appropriato supporto terapeutico, un ambiente caldo, una flebo glucosata e una buona ossigenazione, nel giro di 2-3 giorni raggiungono uno stato fisiologico “normale”. Non vi sono correlazioni tra il peso alla nascita e la serietà delle disfunzioni neonatali. 76 Ibidem. 77 J.E. GARRET - R.D. GEISERT - M.T. ZAVY - G.L. MORGAN, Evidence for maternal regulation of early conceptus growth and development in beef cattle, in Journal of Reproduction and Fertility, 84 (1988), 437. 78 M.E. WESTUSIN – M.J. LEVANDUSKI – R. D. BONDIOLI – Viable embryos and normal calves after nuclear transfer into Hoechst stained enucleated demi-oocytes of cow, in Journal of Reproduction and Fertility, 95 (1992), 475 29 Anche altri studi79sulla clonazione bovina, mediante trasferimento di blastomeri, evidenziano problemi simili. È da notare, inoltre, che i suddetti problemi alla nascita, che interessano i nati da cloni, si hanno anche per soggetti nati da embrioni ottenuti in vitro80. Il basso tasso di sopravvivenza dei nati potrebbe in parte essere legato a una componente epigenetica dovuta alla clonazione e alle procedure a essa correlate, come a esempio le condizioni di coltura (carenze o eccessi nel mezzo di coltura), responsabili di una inadeguata attivazione del genoma embrionale. Holliday81, infatti, riferisce che la cellula somatica esibisce cambiamenti dell’attività genica in seguito a variazioni del pattern di metilazione del DNA indotte dalla coltura in vitro; tali cambiamenti provocano errori nell’attivazione o nella disattivazione di geni specifici con concomitanti variazioni dell’attività trascrizionale e dei prodotti genici, quindi del fenotipo. Sono stati isolati in vitro mutanti con difetti di metilazione del DNA. A esempio, il gene per la solfatasi steroidea, normalmente attivo, localizzato nella regione pseudo-autosomica del cromosoma X, può diventare inattivo in coltura e viene successivamente riattivato dal trattamento con 5-azacitidina, che è un inibitore della metilazione del DNA82. Sono anche noti esempi di geni attivi, introdotti mediante transfezione, che, successivamente, diventano inattivi durante i passaggi di routine in laboratorio, probabilmente quale risultato della metilazione de novo83. In questo contesto il fenomeno epigenetico dell’imprinting genomico merita studi approfonditi. Dei geni “imprintati”, finora identificati, diversi sono implicati nello 79 F.B. GARRY - R. ADAMS - J.P. MC CANN - K.G. ODDE (1996), citato da Y. KATO - T. TANI - Y. SOTOMARU - K. KUROKAWA - J. KATO - H. DOGUCHI YASUE - Y. TSUNODA, Eight calves cloned from somatic cells of a single adult, in Science, 282 (1998), 2095. 80 S.K.WALKER - T.M. HEARD - R.F. SEAMARK, In vitro culture of sheep embryos without coculture: success and perspectives, in Theriogenology, 37 (1992), 111; S.K. WALKER - T.M. HEARD T.M. BEE - A.B. FRENSHAM - D.M. WARNEST - R.F. SEAMARK, Culture of embryos of farm animals, in A. LAURIA E F. GANDOLFI, Embryonic Development and Manipulation in Animal Reproduction. Portaland Press, London, 1992, 77; E. BEHBOODI - G.B. ANDERSON - R.H. BON DURRANT - S.L. CARGILL - B.R. KREUSCHER - J.F. MEDRANO - J.D.MURRAY, Birth of large calves that developed from in vitro-derived bovine embryos, in Theriogenology, 44 (1995), 227; P.F. FARIN - C.E. FARIN, Transfer of bovine embryos produced in vivo or in vitro: survival and fetal development, in Biology of Reproduction, 52 (1995), 676; S.K. WALKER - K.M. HARTWITCH - R.F. SEAMARK, The production of unusually large offspring following embryo manipulation: concepts and challenges, in Theriogenology, 45 (1996), 111. 81 R. HOLLIDAY, DNA methylation levels of maternal and paternal genomes during preimplantation development, in Philosofical Transactions of the Royal Society of London – Series B - Biological Sciences, B326 (1990), 329. 82 D.F. SCHORDERET - E.A.KEITGES - P.M. DUBOIS - S.M. GARTLER, Inactivation and reactivation of sex-linked steroid sulphatase gene murine cell culture, in Somatic Cell and Molecular Genetics, 14 (1988), 113. 83 M.M. GEBARA - C. DREVON - S.A. HARCOURT - H. STEINGRIMSDOTTIRM - R. JAMES - J.F. BURKE - C.F., ARLETT - A.R. LEHMANN, Inactivation of a transfected gene in human fibroblasts can occur by deletion, amplification, phenotypic switching or methylation, in Molecular Cell Biology, 7 (1997), 1459; D.F. SCHORDERET - E.A.KEITGES - P.M. DUBOIS - S.M. GARTLER, Inactivation and reactivation of sex-linked steroid sulphatase gene murine cell culture, in Somatic Cell and Molecular Genetics, 14 (1988), 113. 30 sviluppo embrionale e fetale. Essi includono: il gene per il “fattore di crescita 2 insulino-simile” (IGF2, insulin-like growth factor II) e quello per il suo recettore (IGF2r, insulin-like growth factor II receptor). Nel topo, come conseguenza dell’imprinting, il gene IGF2 si esprime solo se è ereditato dal padre, mentre il gene IGF2r si esprime solo se è ereditato dalla madre; pertanto, il cromosoma paterno è portatore del fattore di crescita84, mentre quello materno è portatore del gene che codifica per il recettore85. Il basso successo della clonazione potrebbe essere dovuto a una perdita casuale dell’imprinting “corretto” durante la “riprogrammazione”. Attraverso il TN da cellule somatiche è possibile dedurre se l’imprinting è cancellato o è conservato. Nella cellula somatica adulta del mammifero uno dei due cromosomi X è ordinariamente inattivo, mentre nell’embrione (stadio di pre-impianto) entrambi i cromosomi sono funzionalmente attivi. Pertanto, è possibile sia ottenere molte informazioni sul meccanismo di inattivazione del cromosoma X monitorando ciò che accade dopo il TN sia trasferire tali conoscenze anche agli altri geni. Anche i fattori citoplasmatici e il modo in cui essi interagiscono con il nucleo sono essenziali per lo sviluppo embrionale. Perturbazioni di questo ambiente extragenico possono causare anomalie dello sviluppo e della metilazione di alcuni geni86. L’incidenza di neonati molto grandi può essere marcatamente ridotta utilizzando l’albumina sierica bovina (BSA, bovine serum albumin) per la coltura degli embrioni bovini87. L’elevata percentuale di impianto e la bassa percentuale di feti ottenuti e di sviluppo a termine registrati nel TN indicano che diversi fattori morfogenetici possono essere coinvolti nello sviluppo post-impianto degli embrioni/feti. a) Epigenesi. Essa studia i cambiamenti temporanei o permanenti dell’attività dei geni che si verificano durante lo sviluppo dell’individuo a partire dalla zigote. Il termine “epigenetica” è stato introdotto per la prima volta da Waddington nel 1953. La teoria epigenetica risale al 18. secolo; essa è stata proposta da Wolff, in antitesi a quella preformista, per spiegare come la minuscola quantità di materiale contenuto in uno zigote possa dirigere la trasformazione di questa singola cellula iniziale in un essere 84 T.M. DE CHIARA - E.J. ROBERTSON - A. EFSTRATIADIS, Parental imprinting of the mouse insulin-like growth factor 2 gene, in Cell, 64 (1991), 849. 85 D.P. BARLOW - R. STOGER - B.G. HERMANN - K. SAITO - N.SCHWEIFER, The mouse insulin-like growth factor type 2 receptor is imprinted and closely linked to the TME locus, in Nature, 349, (1991), 84. 86 C. BABINET - V. RICHOUX - J.L.GUENET - J.P. RENARD, The DDK inbred strain as a model for the study of interactions betweeen parental genomes and egg cytoplasm in mouse preimplantation development, in Development, (suppl.), 81 (1990); L.R. CHEN - M.C. WU, M.C. - Y.L. SHIUE, The cytoplasmatic effect of enucleated Landrance ooocytes on the expression of small-ear nucleus in nuclear transplanted pigs, in Proceedings of 12th International Congress on Animal Reproduction, 3, (1992), 375 (abstr.); W. REIK - I. ROMER - S.C. BARTON - M.A. SURANI - S.K. HOWLETT - J. KLOSE, Adult phenotype in the mouse can be affected by epigenetic events in the early embryo, in Development, 119 (1993), 933. 87 J.G. THOMSON - D.K. GARDNER - P.A. PUGH - W.H. MCMILLAN - H.R. TERVIT, Lamb birth weight following transfer is affected by the culture system used for preelongation development of embryos, in Journal of Reproduction and Fertility, Series N.13, (1994), 25. 31 vivente complesso come l’uomo. Secondo la teoria epigenetica, a differenza dell’ipotesi preformista secondo la quale l’adulto si trovava già preformato (homunculus) nello spermatozoo (secondo gli spermatisti) o nella cellula uovo (secondo gli ovisti), la cellula sessuale non contiene assolutamente alcunché che assomigli all’organismo che si svilupperà da essa. Il fenotipo delle cellule eucariotiche è determinato dalla combinazione di due tipi di informazione: quella genetica, rappresentata dalla sequenza di basi del DNA e quella epigenetica, che comprende tutte le modificazioni che subisce il DNA durante lo sviluppo dell’individuo a partire dallo zigote. Si ritiene che i cambiamenti epigenetici siano dovuti a interazioni specifiche tra DNA e proteine. In particolare, l’attenzione è stata focalizzata sulla metilazione del DNA quale meccanismo epigenetico fondamentale di controllo dell’attività genica. La metilazione del DNA avviene per trasferimento del gruppo metilico della Sadenosilmetionina al C-5 della citosina, con formazione della 5-metilcitosina. Il sito del DNA che viene metilato è rappresentato dal dinucleotide CG (cioè da una citosina che precede immediatamente una guanina nella sequenza). Si ipotizza che esistano fattori proteici di trascrizione specifici che riconoscono sequenze metilate e non metilate e interagiscono con l’RNA polimerasi. Poiché i “doppietti” CG sono molto frequenti nel genoma e da soli non conferirebbero specificità, si ritiene che siano le sequenze circostanti i dinucleotidi metilati “essenziali” per il riconoscimento da parte delle proteine. Affinché i “doppietti” CG metilati possano svolgere un ruolo di regolazione, considerando la loro elevata presenza sul DNA, si presume che essi siano inclusi in sequenze di basi più lunghe che verrebbero riconosciute da proteine specifiche. Il pattern di metilazione può essere ereditato nel corso della divisione cellulare; quando il DNA retrovirale viene iniettato in embrioni di topo prima dell’impianto , esso viene integrato nel cromosoma e viene metilato de novo e inattivato88 (Jahner e altri, 1982). Questa inattivazione persiste nel corso dello sviluppo e viene mantenuta. Se la metilazione del DNA è essenziale per il normale controllo dell’attività genica durante lo sviluppo, difetti nella metilazione possono avere gravi conseguenze fenotipiche sulle cellule somatiche. Clough e altri89, Gasson e altri90 e Hickey e Jones91 riferiscono che geni attivati in linee cellulari permanenti possono di nuovo essere inattivati durante la crescita, probabilmente attraverso la metilazione de novo. Si parla, pertanto, di “epimutazione” per indicare una modificazione del normale processo epigenetico del DNA per distinguerla dalla mutazione classica, che è dovuta a cambiamenti nella sequenza del 88 Jahner e altri (1982). Citato da HOLLIDAY, R. The inheritance of epigenetic defects, in Science, 238 (1987), 163 89 CLOUGH e altri (1982). Citato da HOLLIDAY, R. The inheritance of epigenetic defects, in Science, 238 (1987), 163 90 GASSON e altri (1983). Citato da HOLLIDAY, R. The inheritance of epigenetic defects, in Science, 238 (1987), 163 91 WILSON e JONES (1983). Citato da HOLLIDAY, R. The inheritance of epigenetic defects, in Science, 238 (1987), 163 32 DNA. Inoltre, la mutazione classica, indotta da agenti che danneggiano il DNA, ha una frequenza relativamente bassa e non è riparabile una volta fissata nel genoma. La “epimutazione” ha una frequenza elevata e, quando è eterozigote, può essere riparata mediante eventi di ricombinazione durante la meiosi92; quest’evento potrebbe spiegare l’affermarsi della riproduzione sessuata a scapito di quella asessuata nel corso dell’evoluzione. Wilson e Jones93 riferiscono sulla continua perdita di metilazione del DNA durante la crescita di cellule diploidi. La perdita dei gruppi metilici può avvenire attraverso alcuni meccanismi, tra cui i seguenti: (a) bassa efficienza delle metilasi di mantenimento (b) presenza di basi anomale nel DNA emimetilato, prodotte spontaneamente o da agenti esterni che inibiscono l’azione delle metilasi di mantenimento (c) danni a livello del DNA seguiti da riparo per escissione, che danno luogo alla formazione di regioni emimetilate, le quali, se si formano in corrispondenza della forcella di replicazione o nell’elica che funziona da stampo per la sintesi del DNA, danno luogo alla produzione di sequenze non metilate (d) presenza di alcune sostanze, come a esempio l’etionina, che inibiscono la formazione della 5-adenosilmetionina, che funziona come fonte di gruppi metilici durante il processo di mutilazione del DNA Le cellule coltivate in vitro perdono progressivamente la metilazione; se, però, la coltura cellulare viene resa “stabilizzata”, il grado di metilazione viene conservato nelle successive generazioni cellulari; in tali linee la perdita è bilanciata dalla metilazione de novo. Alcuni eventi biologici, quali: il differenziamento, l’inattivazione del cromosoma X nella femmina di mammifero, l’imprinting e la riprogrammazione genica delle cellule germinali prima della fertilizzazione, l’invecchiamento e la cancerogenesi, sono riconducibili a effetti di fattori epigenetici. Differenziamento. A favore del coinvolgimento della metilazione del DNA nei processi di differenziamento vi sono numerose ricerche: (a) quando geni metilati e non metilati sono stati introdotti in cellule di mammifero coltivate in vitro, si è osservato che solo i geni non metilati si sono espressi; ciò può essere ritenuta quale prova della trasmissione generazionale degli schemi di metilazione del DNA, dato che il DNA estraneo ha conservato il suo stato di metilazione per molte generazioni (b) quando un gene metilato è introdotto in una cellula che esprime normalmente quel gene, il gene inserito viene subito demetilato e attivato; per contro, quando le versioni metilate dei geni vengono introdotte in cellule non specializzate, rimangono metilate e inattive; ciò interessa, a esempio: (i) il gene dell’insulina nelle cellule pancreatiche 92 R. HOLLIDAY, Controlling Events in Meiosis, in C.W. EVANS - H. G. DICKINSON (eds.), Company of Biologists, Cambridge 1984, U.K., 381. 93 WILSON e JONES (1983). Citato da HOLLIDAY, R. The inheritance of epigenetic defects, in Science, 238 (1987), 163 33 (ii) il gene della vitellogenina, la cui espressione, indotta da ormoni, è associata alla demetilazione specifica della regione regolatrice del gene (iii) il gene per la cristallina (una proteina del cristallino dell’occhio), che viene demetilato nelle cellule del cristallino prima di essere attivato (c) l’azacitidina, che blocca la metilazione del DNA, riattiva l’espressione di geni prima “silenti”; la 5-azacitidina è un prodotto sintetico e chimicamente è un analogo della citidina: in posizione 5, anziché avere un atomo di carbonio, ha uno di azoto; essa, pertanto, non può essere metilata; questa base, sotto forma di desossiribonucleotide, può essere incorporata nel DNA, e il DNA che ne risulta non può essere metilato; la 5-azacitidina è citotossica, ma a basse concentrazioni (2x 10-6M) può essere usata; Jones e Taylor (citati da Holliday, 1989) riferiscono che i fibroblasti (cellule indifferenziate del tessuto connettivo) si possono trasformare in altri tipi cellulari (mioblasti e quindi in cellule muscolari e adipociti) in seguito al trattamento con azacitidina; è dimostrato che il differenziamento delle cellule muscolari è associato con la perdita della metilazione in un particolare gene regolatore; il che dimostra che lo stato di metilazione dei geni può davvero influire sulle modalità di sviluppo e quindi sul differenziamento delle cellule. Inattivazione del cromosoma X nella femmina di mammifero. Tale fenomeno si verifica in ogni cellula somatica al momento dell’impianto dell’embrione nell’utero; l’uovo s’impianta nell’utero allo stadio più o meno avanzato di blastocisti, ovvero al 4.5. giorno di gravidanza; si sa che, nel topo, almeno fino allo stadio embrionale di 16 cellule, tutti e due i cromosomi X sono ancora attivi; in tale fenomeno è coinvolta la metilazione del DNA. L’inattivazione è permanente nel senso che essa persiste nelle successive generazioni delle cellule. Il processo di inattivazione è casuale perché in alcune cellule si inattiva il cromosoma X di origine paterna e in altre quello di origine materna; pertanto, per i loci eterozigoti presenti sul cromosoma X, in caso di individui di sesso femminile , si osserva un fenotipo a mosaico: gruppi di cellule che esprimono l’uno o l’altro degli alleli. Per esempio, il gatto con mantello “variegato” a macchie nere e gialle (gatto “colocòlo”) è sempre femmina. Il gatto di sesso maschile, figlio di questa gatta “colocòlo” è o “giallo” o “nero”. Il mantello “colocòlo” della femmina (genotipo CYCB) è dovuto all’inattivazione casuale di uno dei due cromosomi X nelle cellule all’inizio dello sviluppo: se è inattivato il cromosoma X portatore dell’allele CB si hanno le macchie di pelo giallo, se è inattivato il cromosoma X portatore dell’allele CY si hanno quelle di pelo nero. Eccezionalmente si ha un maschio con mantello “variegato” e questo ha invariabilmente una costituzione cromosomica XXY, però uno dei due cromosomi X è inattivo ed è visibile come corpo di Barr in ciascuna cellula somatica. Anche nella specie umana sono noti mosaici dovuti all’inattivazione di uno dei due cromosomi X. Per esempio, la displasia anidrotica ectodermica, responsabile degli “uomini sdentati di Sind” dà luogo a mosaicismo nella femmina eterozigote. Quest’ultima ha aree della mandibola con denti e altre senza e ha zone della pelle con ghiandole sudoripare e zone senza. L’esame dei geni legati al cromosoma X di mammifero, come a esempio l’ipoxantina-guanina fosforibosiltrasferasi (HGPRT), il fosfoglicerato chinasi glucosio e il fosfato deidrogenasi, evidenzia che lo stato inattivo è correlato con la metilazione 34 delle isole HTF associate a questi geni, mentre le isole non metilate si trovano sul X attivo . Dato che nelle cellule somatiche lo stato attivo e quello inattivo vengono ereditati stabilmente, anche lo schema di metilazione in tali regioni viene stabilmente mantenuto. La compensazione di dosaggio dei geni strutturali nei mammiferi non coinvolge siti di regolazione associati ai geni che mappano sul cromosoma X. Piuttosto, il cromosoma X dei mammiferi deve contenere uno o più siti a livello dei quali viene iniziata l’inattivazione. Una volta che un cromosoma è stato scelto per l’inattivazione, la sua condensazione impedisce l’espressione di tutti i geni presenti. L’inattivazione del cromosoma X nella femmina mammifera è controllata da una regione specifica che funge da interruttore, nota come “centro di inattivazione” (Xic, X-inactivation centre), che rappresenta il punto in cui inizia e da cui si diffonde l’inattivazione94; esso è stato localizzato in una regione di 450kb del cromosoma X di topo; questa stessa regione rappresenta anche la sede del gene Xist (inactivating the single X Chromosome = gene responsabile della inattivazione del singolo cromosoma X)95. È dimostrato96 che tale gene controlla l’inattivazione del cromosoma X; esso, inoltre, mostra un comportamento atipico per il fatto che il suo prodotto non è una proteina, ma un RNA nucleare che si lega al cromosoma X inattivo97. Herzing e altri98 hanno evidenziato che Xist, introdotto in un “autosoma”, è sufficiente di per sé a indurre l’inattivazione, e che l’RNA codificato dal gene Xist si localizza in vicinanza dell’“autosoma” in cui il gene viene integrato. Sebbene sia chiaro che il gene Xist è richiesto per l’inattivazione del cromosoma X, il meccanismo ancora non è stato chiarito. Riprogrammazione genica della cellula germinale prima della fertilizzazione. La cellula germinale non segue un corso unidirezionale tipico della cellula somatica. Nell’individuo omogametico durante la meiosi, o immediatamente prima di questa, il cromosoma X “inattivo” viene attivato per effetto di fattori epigenetici al fine della produzione di gameti contenenti il cromosoma X “attivo”. Sia nella cellula uovo che nello spermatozoo l’imprinting viene prima cancellato e poi ristabilito; in questo modo i due cromosomi omologhi perdono il vecchio imprinting ereditato dai genitori e acquisiscono la nuova impronta maschile o femminile: nello spermatozoo i geni “imprintati” presenti sui cromosomi ereditati dalla madre perdono 94 M.F. LYON, Some milestones in the history of X-chromosome inactivation, Annu. Rev. Genet., 26 (1992), 16; S. RASTAN, X Chromosome inactivation and the Xist gene, in Current Opinion in Genetics and Development , 4 (1994), 292. 95 J.T. LEE - W.M. STRAUS - J.A. DAUSMAN - R.A. JAENISCH, 450 kb transgene displays properties of fhe mammalian X-inactivation center, in Cell, 86 (1996), 83. 96 G.D. PENNY - G.F. KAY - S.A. SHEARDOWN - S. RASTAN - N. BROCKDORFF, Requirement for Xist in X chromosome inactivation, in Nature, 379 (1996). 131. 97 J.T. LEE - W.M. STRAUS - J.A. DAUSMAN - R.A. JAENISCH, 450 kb transgene displays properties of fhe mammalian X-inactivation center, in Cell, 86 (1996), 83; C.M. CLEMSON - J.A. MCNEIL - H.F. WILLARD - J.B. LAWRENCE, Xist RNA paints the inactive X chromosome at interphase: evidence for a nowel RNA involved in nuclear/chromosome structure, in Journal of Cell Biology, 132 (1996), 259. 98 L.B.K. HERZING - J.T. ROMER - J.M.HORN - A. ASHWORTH, Xist has properties of the Xchromosome inactivation centre, in Nature, 386 (1997), 272. 35 l’impronta femminile e assumono quella maschile, nella cellula uovo i geni ereditati dal padre perdono l’impronta paterna e acquistano quella materna. Questa riprogrammazione del genoma al momento della meiosi può comportare cambiamenti negli schemi di metilazione, consistenti in metilazione de novo o in demetilazione del DNA cromosomico. Tada e altri99, al fine di studiare le modificazioni epigenetiche a carico della linea germinale, hanno analizzato l’effetto della cellula germinale embrionale (EG) su un ibrido somatico EG-linfocito timico, evidenziando che le cellule EG sono capaci di riprogrammare un nucleo adulto, come testimoniato dalla demetilazione di molti geni “imprintati”. Nello stesso tempo, però, nelle cellule germinali è importante l’attività delle metilasi di mantenimento per evitare la trascrizione dei geni che si esprimono nelle cellule somatiche. Invecchiamento. Wilson e Jones100 (citati da Holliday) riferiscono che la durata della vita della cellula umana in coltura dipende dal numero di divisioni compiute da tale cellula e non dal tempo cronologico. È stato dimostrato che il numero di siti metilati sul DNA diminuisce all’aumentare del numero delle divisioni cellulari e che, a un certo punto, la cellula finisce con il perdere la capacità di proliferare. Che questa incapacità di moltiplicarsi, legata all’età, sia almeno in parte una conseguenza della perdita di metilazione è suggerito da esperimenti in cui la cellula coltivata viene trattata con azacitidina. Un unico trattamento su cellula giovane ha uno scarso effetto sul funzionamento o sulla velocità di crescita della cellula. Ma, a quanto pare, la cellula ricorda di essere stata esposta all’azacitidina e muore nettamente prima della cellula non trattata. Un’altra prova della riduzione del livello di metilazione del DNA con l’incremento dell’età è data dal fatto che un gene presente sul cromosoma X “inattivo” viene riattivato con una bassa frequenza nell’animale giovane e con un incremento progressivo della frequenza con il progredire dell’età dell’individuo. Analogamente, un gene indispensabile per la formazione del pigmento è reso silente quando viene inserito in un cromosoma X “inattivo”, per cui si ha un mantello albino; lo stesso gene viene progressivamente attivato a mano a mano che l’animale che lo ha ricevuto invecchia e così il mantello dell’animale ricevente mostra una crescente pigmentazione. Recentemente, Thomas e Fretts101 ipotizzano che i fenomeni epigenetici a carico del cromosoma X nel sesso femminile potrebbero essere parzialmente responsabili della maggiore longevità della donna rispetto all’uomo: infatti, tali Autori riferiscono sulla presenza, a livello del cromosoma X, di un gene essenziale per la riparazione del DNA; nel maschio, difetti a carico di tale gene comportano una compromissione della capacità di riparare danni che insorgono nel corso della divisione cellulare, favorendo, quindi, l’invecchiamento; viceversa nel sesso femminile, il cromosoma X reso inattivo, 99 M. TADA - T. TADA - L. LEFEBVRE - S.C. BARTON - M.A. SURANI, Embryonic germ cells induce epigenetic reprogramming of somatic nucleus in hybrid cells, in The Embo Journal, 18 (1997), 21, 6510. 100 WILSON e JONES (1983). Citato da HOLLIDAY, R. The inheritance of epigenetic defects, in Science, 238 (1987), 163 101 T.P. THOMAS - P.R. FRETTS, Perché le donne vivono più a lungo degli uomini, in Le Scienze Dossier, 2 (1999), 92. 36 diventerebbe più attivo con il progredire dell’età, per cui si verificherebbe un vero e proprio processo di riattivazione del cromosoma omologo “inattivo”. Cancerogenesi. La “epimutazione” potrebbe giocare un ruolo importante nella cancerogenesi102. Finora i cambiamenti nella metilazione del DNA non sono chiamati in causa direttamente nella cancerogenesi, ma esistono in questo senso prove indirette. Per esempio, l’azacitidina è un cancerogeno potente, che negli animali di laboratorio induce una gamma di tumori più ampia che non altri noti cancerogeni. Si sa che essa agisce sulla metilazione del DNA e, pertanto, pare ragionevole sospettare che le alterazioni negli schemi di metilazione che essa determina contribuiscano alla cancerogenesi. 2.4. Altre applicazioni La clonazione, abbinata ad altre biotecnologie, può essere utilizzata sia per raggiungere nuovi risultati, sia per migliorare metodi già esistenti103. La possibilità di produrre individui mediante TN a partire da cellule in coltura apre nuove prospettive per l’ottenimento di soggetti transgenici; infatti, è possibile trasfettare in vitro qualsiasi tipo di cellula con sequenze di DNA esogeno e utilizzare la cellula trasfettata come “donatrice” di nucleo per il TN. Tale linea operativa è stata seguita con successo da Schnieke e altri104 e da Cibelli e altri105. L’uso della transgenia potrà svolgere un ruolo importante per: 102 H. HUYNH - L. ALPERT - M. POLLAK, Silencing of the mammary-derived growth inhibitor (MDGI) gene in breast neoplasms is associated with epigenetic changes, in Cancer Research, 56 (1996), 21, 4865; D. DAO - C.P. WALSH - L. YUAN - D. GORELOV - L. FENG - T. HENSLE - P. NISEN - D.J. YAMASHIRO - T.H. BESTOR - B. TYCKO, Multipoint analysis of human chromosome 11p15/mouse distal chromosome 7: inclusion of H19/IGF2 in the minimal WT2 region, gene specificity of H19 silencing in Wilms” tumorigenesis and methylation hyper-dependence of H19 imprinting, in Human Molecular Genetics, 8 (1999), 7, 1337; M.A. FREVEL - S.J. SOWERBY - G.B. PETERSEN - A.E. REEVE, Methylation sequencing analysis refines the region of H19 epimutation in Wilms tumor, in Journal of Biological Chemistry , 274, 41 (1999), 29331. 103 Per un approfondimento degli aspetti scientifici e tecnici delle biotecnologie, nonché delle problematiche a esse correlate, si rimanda a: D. MATASSINO, Il futuro delle biotecnologie nelle produzioni animali: alcuni aspetti scientifici e tecnici, in Produzione Animale, 1, III Serie, 1988, 35; ID., Lo sviluppo delle biotecnologie: aspetti scientifici e prospettive per il futuro, in. L’Allevatore, 44, 1988, 33, supplemento (Atti Conv. “Le nuove frontiere della selezione: dalla fecondazione artificiale alle biotecnologie”, [Cremona, 18 settembre 1987]); D. MATASSINO - M. PALAZZO - A. CAPPUCCIO, Micromanipolazione degli embrioni in Atti Tavola Rotonda su: “Biotecnologie avanzate e produzione animale”, (Reggio Emilia, 1 giugno 1993), ASPA, 1993, 19; D. MATASSINO - G. ROSSI, Biotechnologies and genetic improvement, in Proceedings of Third Course on Biotechnology of Reproduction in Buffaloes under the Auspices of 5th World Buffalo Congress (Caserta, 6-10 ottobre 1997), Bubalus Bubalis, 4 (1998), supplemento 2, 269; D. MATASSINO, Tecnologie innovative nell’agricoltura e nell’agroindustria, in Atti Tercer Seminario “Tendencias de la Investigación Agricola en el ámbito Mediterráneo” – Ponencias ( Madrid, 25-26 maggio 1998) 104 A.E. SCHNIEKE - A.J. KIND - K.RITCHIE, MYCOCK - A.R. SCOTT - M. RITCHIE - I. WILMUT A.COLMAN - K.H.S. CAMPBELL, Human factor IX transgenic sheep produced by transfer of nuclei from transfected fetal fibroblasts, in Science, 278, 1997, 2130. 105 J.B. CIBELLI - S.L. STICE - P. GOLUEKE - J.J. KANE - J.JERRY - C. BLACKWELL - F.A. PONCE DE LEON - J.M. ROBL, Cloned transgenic calves produced from nonquiescent fetal fibroblasts, in Science, 280 (1998), 1256. 37 (a) la produzione di molecole di elevato valore biologico per l’uomo; i primi esperimenti inerenti alla produzione di animali transgenici risalgono agli anni ’70106; nel 1982 Palmiter107, operando sul gene MT-hGH (metallothionein-growth hormone fusion gene = costrutto genico ottenuto dalla fusione tra il promotore del gene per la metallotioneina e il gene per l’ormone della crescita), ottengono la produzione di topi “giganti” (peso corporeo adulto doppio rispetto a quello dei topi normali); successivi esempi di transgenia applicata agli animali domestici sono riportati da: Mintz e Cronmiller108; Hammer e altri109; Fabricant e altri110, McEvoy e altri111; il risultato delle ricerche di Gordon e altri112 con l’ottenimento di topi transgenici capaci di produrre l’attivatore della plasminogeno umano nel latte può essere considerato la pietra “miliare” per le ricerche concernenti produzione di farmaci nel latte di mammiferi di interesse zootecnico geneticamente modificati (gene pharming); da allora, le ricerche in tale settore sono notevolmente intensificate su varie specie animali allo scopo di migliorare la resa in prodotto nel latte sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo; le tappe principali del gene pharming sono riportate da Wall113; Velander e altri114, operando nella specie suina, riescono a ottenere circa 1 g di proteina C biologicamente attiva per litro di latte115; la sostituzione dei costosissimi bioreattori convenzionali per 106 R. JAENISCH, Germ line integration and Mendelian transmission of the esogenous Moloney leukemia virus, in Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States, 77 (1976), 12, 7380 107 R.D. PALMITER - R.L.BRIRISTER - R.E.HAMMER - M.G. ROSENFELD - M.C. BIRNBERG - R.M. EVANS, Dramatic growth of mice that develop from eggs microinjected with metallothionein-growth hormone fusion gene, in Nature, 300 (1982), 611. 108 B. MINTZ - A. CRONMILLER, in Somatic Cell and Genetics, 7 (1981), 489. 109 R.E. HAMMER - V.G. PURSEL - C.E. REXROAD - R.J. WALL - D.J. BOLT - K.M. EBERT - R.D. PALMITER - R.L. BRISTER, Production of transgenic rabbits, sheep and pigs by microinjection, in Nature, 315(1985), 680. 110 J.D. FABRICANT - L.C. NUTI - B.S. MINHAS - W.C. BAKER - J.S. CAPEHART - P. MARROCK - J.H. CHALMERS - M.W. BRADBURY - J.E. WARNACK, Gene transfer in gcats, in Proceedings of Annual Conference of International Embryo Transfer Society (Dublin, Ireland, 25-27 January, 1987), 229. 111 T.G. MCEVOY - M. STOCK - T. BARRY - B. KEANE - F. GANNON - J.M. SREENAN, Direct gene transfer by microinjection, in Proceedings of Annual Conference of International Embryo Transfer Society (Dublin, Ireland, 25-27 January, 1987), 258. 112 K. GORDON - E. LEE - J.A.VITALE - A.E. SMITH - H. WESTPHAL - L. HENNIGHAUSEN, Production of human tissue plasminogen activator in transgenic mouse milk, in Bio/Technology, 5 (1987), 1183. 113 R.J. WALL, Biotecnology for the production of modified and innovative animal products; transgenic livestock bioreactors, in Proceedings of 8th World Conference on Animal Production - Special Symposium & Plenary Sessions, (Seoul, June 28-July 4, 1998), 364. 114 W.H. VELANDER - W. LUBON - W.N. DROHAN, Animali transgenici per la produzione di farmaci, in Le Scienze 346 (1997), 64 115 Per ulteriori approfondimenti sulla transgenesi si rimanda a: R.J. WALL - D.J., BOLT - W.I. FRELS - H.W. HAWK - D. KING - V.G. PURSEL - C.E. REXROAD - R.M. ROHAN, Transgenic farm animals: current state of the art, in AgBiotech News and Info 2 (1990), 391; V.B. REDDY - J.A. VITALE - C. WEI M. MONTAYA - ZAVALA - S.L. STICE - J. BALISE - J. M. ROBL, Expression of human growth hormone in the milk of transgenic mice, in Animal Biotechnology, 2 (1991), 15; M.A. PERSUY - M.G. STINNAKRE - C. PRINTZ - M.F. MAHE - J.C. MERCIER, High level expression of the-casein gene in 38 la produzione di farmaci, basati sulle colture cellulari, con gli animali di interesse zootecnico comporta notevoli vantaggi economici e operativi; la ghiandola mammaria, infatti, consente di concentrare la produzione della proteina desiderata in un singolo compartimento, dal quale può venire facilmente recuperata; inoltre, l’epitelio alveolare della ghiandola mammaria è in grado di fornire alla proteina prodotta tutte le modificazioni post-traduzionali necessarie affinché la proteina possa acquistare l’attività biologica appropriata; vari studi116 evidenziano che tra le specie esaminate vi sono differenze per quanto concerne le modificazioni post-traduzionali; tali differenze possono influire positivamente sulla funzionalità della molecola prodotta quando somministrata all’uomo; a esempio, alcune modificazioni post-traduzionali tipiche della specie umana promuovono la rapida rimozione della sostanza da parte del fegato, mentre la stessa proteina, prodotta dal maiale, contiene modificazioni post-traduzionali che ne ritardano la rimozione; in questo modo la proteina viene impiegata come farmaco ad azione ritardata; la ricerca attuale è orientata verso la produzione di animali transgenici contenenti due transgeni: uno che codifica per la proteina d’interesse, l’altro transgenic mice, in European Journal of Biochemestry, 205 (1992), 887; R.D. BREMEL, Prospects for modification of milk proteins and fat composition through genetic engineering, in Atti XXVII Simposio Internazionale di Zootecnia, (Milano, 3 aprile 1992), 27; A.S. CARVER - M.A. DALRYMPLE - G. WRIGHT - D.S. COTTOM - D.B. REEVES - Y.H. GIBSON - J.L. KEENAN - J.D. BARRASS - A.R. SCOTT A. COLMAN - I.GARNER, Transgenic livestock as bioreactors: stable expression of human alpha-1antitrypsin by a flock of sheep, in Biotechnology 11 (1993), 1263; K.M. EBERT - J.E.S. SCHINDLER, Transgenic farm animals: progress report, in Theriogenology, 39 (1993),121; V.G. PURSEL - C.E. REXROAD, Recent progress in the transgenic modification of swine and sheep, in Molecular Reproduction and Development, 36 (1993), 251; E. DEVINOY - D. THEPOT - STINNAKRE - M.G. FONTAINE - H. GRABOWSKI - C. PUISSANT - A. PAVIRANI - L.M. 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JENKINS, NGlycosylation of recombinant human interferon-gamma produced in different animal expression systems, in Bio/Technology, 13 (1995), 592; T. MORCOL - R.M. AKERS - J.L. JOHNSON - B.L. WILLIAMS - F.C. GWAZDAUSKAS - J.W. KNIGHT - H. LUBON - R.K. PALEYANDA - W. DROHAN - W. H. VELANDER, The porcine mammary gland as a bioreactor for complex proteins, in Annuals of NewYork Academy Sciences of United States, 721 (1994), 218 39 per migliorare le modificazioni post-traduzionali e quindi la resa in proteina biologicamente attiva; con elevati livelli di espressione del transgene (a esempio produzione maggiore di 2g/litro) e una quantità di latte prodotto per lattazione maggiore di 250 litri, un piccolo gregge di pecore transgeniche, mantenute in condizioni controllate, può produrre una quantità sufficiente di proteina a scopo terapeutico; nella tabella VII sono riportate le esigenze di organismi transgenici necessari per soddisfare la richiesta annuale di alcuni prodotti terapeutici in USA; la produzione di sostanze farmacologicamente attive nel latte degli animali di interesse zootecnico ottenuti mediante TN a partire da cellule in coltura rese transgeniche potrebbe costituire una valida ed efficiente alternativa alla tecnica classica della microiniezione per l’ottenimento degli animali transgenici; il TN, infatti, rispetto alla microiniezione, che nei grossi animali ha una bassa efficienza e costi molto elevati, presenta i seguenti vantaggi operativi: (i) consente di verificare, attraverso l’inserimento di un marcatore, l’integrazione del costrutto transgenico in vitro e quindi di selezionare le cellule portatrici del transgene, senza dover attendere la nascita dell’animale; in particolare, l’utilizzo della cellula mammaria quale fonte dell’individuo geneticamente modificato permetterebbe di testare direttamente in coltura la secrezione della molecola desiderata; una diretta conseguenza di ciò è che la produzione di organismi transgenici mediante il TN utilizza meno della metà degli animali che vengono impiegati con la microiniezione; infatti, quest’ultima tecnica comporta la produzione di un elevato numero di soggetti transgenici dai quali bisogna escludere quelli in cui il transgene, a causa del fenomeno dell’inserzione casuale, non presenta la distribuzione voluta; poiché il fenomeno dell’inserzione casuale è tanto più marcato quanto minore è la dimensione del costrutto da inserire, si è cercato di ovviare a tale inconveniente mediante l’utilizzo delle cellule ES, nelle quali, grazie a particolari metodi di trasfezione, come la lipofezione o la fusione con cellule di lievito, è possibile inserire grandi porzioni di DNA; tale approccio, però è limitato dalla disponibilità di cellule ES; infatti, sebbene sia stato possibile isolare con successo questo tipo di cellula nel topo e nel maiale e, recentemente, anche nell’uomo117, non sono stati riportati successi nella generazione di cellule ES nella maggior parte dei mammiferi di interesse zootecnico (ii) viene superato il necessario passaggio attraverso lo stadio di chimera, rendendo disponibile l’animale geneticamente modificato in prima generazione; negli ovini, con la microiniezione, il tempo necessario per ottenere un gregge produttore di latte transgenico è di 3,5 anni se il fondatore è una femmina e 2,5 anni se il fondatore è un maschio; con il trasferimento nucleare i tempi si riducono a 1,5 anni (b) ottenimento di animali geneticamente modificati in modo tale che i loro organi siano compatibili con il sistema immunitario dell’uomo e siano quindi utilizzabili con successo per il trapianto trans-specifico o “xenotrapianto” (c) messa a punto di modelli animali per lo studio degli elementi di regolazione dell’espressione genica nel corso dello sviluppo embrionale e della vita adulta 117 J. GEARHART, New Potential for Human Embryonic Stem Cells, in Science 282 (1998), 1.061. 40 (d) messa a punto di modelli per lo studio e la comprensione delle basi genetiche di malattie umane ereditarie; in tale contesto, un campo potenziale di applicazione, non privo di problematiche legate al benessere dell’animale, è la rapida produzione di mammiferi di grandi dimensioni portatori di difetti genetici simili a quelli che si verificano nell’uomo; la pecora, a esempio, rispetto al topo , potrebbe costituire un valido modello per lo studio della fibrosi cistica perché il suo polmone è più simile a quello dell’uomo; inoltre, dato che la pecora ha una vita media più lunga di quella del topo, si potrebbero verificare gli effetti a lungo termine di un trattamento terapeutico (e) utilizzo di organismi geneticamente modificati per valutare la capacità del transgene di ripristinare il fenotipo normale in un animale knock out, in modo da verificare che il fenotipo prodotto dalla distruzione del gene sia dovuto al gene stesso e non all’alterazione o all’espressione di altri geni che si trovano nelle vicinanze del locus inattivato; la tecnica del knock out si rivela inoltre particolarmente utile per lo studio delle malattie ereditarie recessive là dove non vi sono i corrispettivi modelli animali di malattie umane; con gli animali knock out, infatti, una volta che sia stato individuato il gene responsabile della malattia umana, è possibile isolarne l’omologo murino, disattivarlo nelle cellule ES e ottenere prima animali eterozigoti e, successivamente omozigoti per la mutazione in quel determinato gene (f) anche la profilassi nei confronti della BSE (bovine spongiform encephalopathy) potrebbe trarre giovamento attraverso la clonazione a partire da cellule modificate in cui sia stato eliminato il gene della proteina prionica (g) ottenimento di animali con qualità di accrescimento migliorate; tale opportunità, sebbene molto interessante per le evidenti ricadute sul sistema ‘produzione animale’, non sempre viene realizzata con risultati positivi; a esempio, Pursel118 (1990) riferisce che il sovradosaggio dell’ormone della crescita favorisce l’insorgenza dell’ulcera gastrica (h) modificazione della composizione in grassi e proteine del latte al fine di migliorare la resa in formaggio e di ridurre la carica microbica119; l’importanza dello studio delle varianti genetiche delle caseine e l’influenza di queste ultime sulle caratteristiche lattodinamometriche del latte sono state ampiamente esaminate da Matassino120, Matassino e altri121 e Zullo e altri122 in varie specie di interesse 118 V.G. PURSEL, Expression and performance in transgenic pigs, in Journal of Reproduction and Fertility, 40 (supplemento) (1990), 235 119 T. RICHARDSON, Chemical modifications and genetic engineering of food proteins, in Journalof Dairy Science, 68 (1985), 2753; I. WILMUT - A.L. ARCHIBALD - S. HARRIS - M. MC CLENAGHAN J.P. SIMONS - C.B. WHITELAW - A.J. CLARK, Modification of milk composition, in Journal of Reproduction and Fertility, 41 (Supplemento), (1990), 135; H.C. YOM - R.D. BREMEL, Genetic engineering of milk composition: modification of milk components in lactanting transgenic animals, in American Journal of Clinical Nutrition, 58 (1995), 299; L.M. HOUDEBINE, Production of pharmaceutical proteins from transgenic animals, in Journal of Biotechnology, 34 (1994), 287; E.A. MAGA - J.D. MURRAY, Mammary gland expression of transgenes and the potential for altering the properties of milk, in Bio/Technology, 13 (1995), 1452. 120 D. MATASSINO, Il miglioramento genetico nei bovini per la produzione di tipi di latte finalizzati all’uomo, in Quaderni Frisona, maggio 1992, 70 (Atti Conv. su “Il ruolo del latte nell’alimentazione dell’uomo” [Paestum, 24-26 ottobre 1991]) 41 zootecnico; Jost e altri123 ottengono topi transgenici in grado di produrre latte con un più basso contenuto di lattosio; un progetto molto ambizioso dell’industria biotecnologica dei transgeni è quello di “umanizzare” il latte bovino inserendo nei geni per le proteine del latte sequenze tipiche dei geni umani; nello schema II sono riportate le principali possibilità di modificazione del latte attraverso l’impiego dei transgeni. L’isolamento recente anche nella specie umana124 di cellule ES provviste di elevata attività telomerasica e, in grado, dopo 4-5 mesi di proliferazione in vitro, ancora di differenziarsi in tutti i tipi di cellula derivate dei tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma ed endoderma), offre, in associazione col TN, grandi prospettive in terapia umana. Le potenzialità in clinica per le cellule ES umane sono tutte ancora da scoprire; tuttavia, alcune di esse possono essere sinteticamente esplicitate come segue: (a) studio in vitro dell’embriogenesi, con particolare riguardo a quelle fasi peculiari della specie umana le quali, pertanto, non possono essere estrapolate dalle ricerche condotte su altre specie (b) studio delle anomalie dello sviluppo embrionale attraverso l’ottenimento di linee cellulari con modificazioni geniche mirate (c) scoperta di geni umani (d) test con farmaci e sostanze potenzialmente tossiche (e) fonte di cellule per il trapianto di tessuti e di cellule, nonché per la terapia genica. Nel campo dei trapianti, possono essere impiegate, oltre che per fornire popolazioni di cellule per il trapianto, anche come strategia per prevenire o almeno minimizzare il rigetto, attraverso: (a) l’ottenimento di linee cellulari ES rappresentative dei principali alleli del sistema maggiore di istocompatibilità (b) ottenimento di linee donatrici universali in cui i geni MHC siano stati geneticamente modificati (c) ottenimento di cellule ES fatte su misura attraverso la transgenesi e il gene targeting in cui i geni MHC del ricevente sono introdotti nelle cellule ES attraverso la ricombinazione omologa (d) produzione di cellule ES che contengono il genoma del ricevente. Alcuni scienziati propongono di produrre, anche se ciò non è eticamente condivisibile dallo scrivente, linee permanenti e stabili di cellule ES utilizzando 121 D. MATASSINO - C.M.A. BARONE - R. BUONO - P. COLATRUGLIO - A. ZULLO - M. MASCIA, M. (1993). Protein polymorphism and quanti-qualitative characteristics of milk from Italian Friesian and Brown cows. I. Chemical composition, in Produzione Animale, III Serie, 6 (1993), 75. 122 A. ZULLO - C.M.A. BARONE - P.COLATRUGLIO - D. MATASSINO, Lactodynaometric charateristics of buffalo milk, in Produzione Animale, III Serie, 6 (1993), 1. 123 B. JOST - J.L. VILOTTE - I. DULUC - J.L. RODEAU - J.L. FREUND, Production of low-lactose milk by ectopic expression of intestinal lactase in the mouse mammary gland, in Nature Biotechnology 17 (1999), 160. 124 J.A. THOMSON - J. ITSKOVITZ - ELDOR - S.S. SHAPIRO - M.A. WAKNITZ - J.J. SWIERGIEL V.S. MARSHALL - J.M. JONES, Embryonic stem cell lines derived from human blastocysts, in Science, 282 (1998), 1145. 42 “embrione umano” ottenuto mediante trasferimento di una cellula donatrice del paziente in un “oocita umano ricevente”; successivamente le cellule ES verrebbero indotte a differenziarsi a seconda delle necessità: sostituire o riparare tessuti danneggiati; un’alternativa priva di problemi etici è quella di impiegare ES recuperabili dal cordone ombelicale. 3. BREVETTABILITÀ DELLE INVENZIONI BIOTECNOLOGICHE Cosa dire della direttiva europea n. 44 del 12.V.1998 sulla brevettabilità delle innovazioni biotecnologiche? Prima di dare alcune risposte, ricordo che questa Direttiva definisce <materiale biologico: un materiale contenente informazioni genetiche, autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico>. Inoltre, credo volutamente, vi è perfetta sinonimia fra “scoperta” e “invenzione”. Non condivido: (a) il comma 2 dell’art. 3 là dove recita: <Un materiale biologico che viene isolato dal suo ambiente naturale> è brevettabile; (b) il comma 2 dell’art. 5 là dove recita: <Un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene può costituire un’invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale>. Tutto l’impianto della direttiva risente, logicamente, dell’impostazione della predetta “sinonimia”. Ad esempio, sono accettabili l’invenzione e l’uso del sistema biologico terminator che può essere impiegato per rendere “biologicamente sterile” un seme prodotto da determinati “organismi geneticamente modificati”? per il momento vegetali e un domani animali (?). Si rifletta, poi, sul principio generale enunciato nel comma 2. dell’art. 3 per tutte le conseguenze che esso avrà sul livello di biodiversità (animale, fungina, microbica, vegetale, ecc.) specialmente nei Paesi in via sviluppo (PVS). 4. CONCLUSIONI 1. Si può considerare che tutte le BI sono una condizione necessaria, specialmente nel lungo periodo, per qualsiasi processo di sviluppo economico generale e specifico. L’era delle BI può essere considerata alla stregua di quelle che caratterizzano le innovazioni “industriali” e che come tali vengono definite “rivoluzioni”. Queste ultime, per la loro caratterizzazione di lungo periodo, sono state chiamate da Schumpeter “cicli Kondratieff”, in omaggio all’economista russo che li aveva teorizzati negli anni venti. Possiamo ipotizzare che la quinta rivoluzione “industriale” sarà caratterizzata dall’impiego delle BI in numerosi campi della vita produttiva; per cui, grazie a questo nuovo “ciclo Kondratieff” sarà possibile raggiungere dinamici ed elevati gradi di differenziazione nella produzione di beni che andranno a soddisfare esigenze tra loro affini, ma sempre meno identiche. 43 2. Siamo stati educati, fortunatamente, al pluralismo che, mutatis mutandis, coincide con il polimorfismo biologico. Tuttavia, questo polimorfismo che portiamo dentro di noi dovrebbe incoraggiarci a ricercare una soluzione quanto più possibile unitaria anche se attraverso una gamma ideale di sistemi diversi che vengano incontro al polimorfismo biologico che portiamo dentro di noi. Il pluralismo è una grande filosofia comportamentale, in quanto esso deve essere comprensione degli altri, deve essere una questione morale e comportamentale e non deve essere una questione di fede e di capacità intellettiva. Educare al pluralismo non deve significare insegnare il dubbio e la diffidenza, o peggio ancora, la neutralità. Scomodando J. Piaget e procrastinando l’età evolutiva oltre quella adolescenziale, noi, che abbiamo superato un determinato traguardo temporale, abbiamo il dovere di educare nel pluralismo, nel senso di rispettare il diritto di espressione di ciascuna entità culturale e di giungere a una soluzione, dinamica nel tempo e nello spazio, che sia in grado di interpretare le diversità nell’unicità teleologica. Diceva J. Maritain che lo scetticismo è altrettanto dannoso e intollerante come il fanatismo. Educare nel pluralismo deve significare garantire a ciascuna entità culturale di poter verificare la propria convinzione nel rispetto di quella degli altri. 3. La realtà è sondabile all’infinito: la scepsi deve sempre guidare il politico, il ricercatore e l’operatore specialmente se operano nel campo biologico (considerata la complessità dei rapporti fra le varie componenti di tale sistema); essi devono sempre assumere un atteggiamento (un comportamento) di dubbio verso i risultati ottenuti da qualsiasi processo cognitivo. Così comportandosi, si pone un impegno vero e autentico, perché – come il montanaro che procede con passo lento, cadenzato e continuo – si sa di poter raggiungere orizzonti lontani e sempre nuovi e gratificanti. 4. I cambiamenti che vi saranno, grazie al dinamismo cognitivo in atto, costituiranno i punti focali del vivere delle future generazioni umane. Generazioni che risentiranno in modo più o meno marcato delle contrapposizioni ideologiche che scaturiranno da una diversa visione e da una differente consapevolezza dell’effetto dei precedenti cambiamenti. A loro volta, questi ultimi solo apparentemente interesseranno la vita materiale, ma, in realtà, si ripercuoteranno su quelle che saranno le modalità e le idee di concepire la vita sociale, la vita di relazione, la vita di solidarietà. Tutto quanto ora detto influirà sulle forze morali che sempre di più dovranno impegnare le future scelte della società affinché si dia vita a una civiltà fortemente avanzata, ma profondamente rispettosa dei canoni fondamentali che regolano la vita di solidarietà delle genti. 5. Bisognerà evitare assolutamente che il pianeta terra si potrà trasformare in quella che viene chiamata una “roulette ecologica”. Sulla base di questo futuribile scenario, Rifkin, presidente della Foundation of Economic Trends di Washington, ha posto alcune domande alle quali bisognerà dare risposte non elusive: <Nel riprogrammare i codici genetici della vita non rischiamo una fatale interruzione di milioni di anni di sviluppo evolutivo? Non sussiste il rischio di diventare alieni in un mondo popolato da creature clonate, chimeriche e transgeniche?>. 6. Dice Jacob125 (1997): <il mondo vivente è una sorta di combinatori di elementi in numeri finiti e rassomiglia al prodotto di un gigantesco “meccano”>. È questo un 125 F. JACOB – La Souris, la Mouche et l’Homme, Odile Jacob, Paris, 1997. 44 cambiamento totale di prospettiva che è sopraggiunto nel mondo della biologia nel corso di questi ultimi anni. Lo scienziato naviga tra due poli: il desiderabile e il possibile. Senza il possibile, il desiderabile non è che sogno. Senza il desiderabile, il possibile non è che noia. Spesso è difficile resistere al sogno, ma la sperimentazione permette di contenere l’immaginazione. A ogni tappa, lo scienziato è obbligato a esporsi alla critica e all’esperienza per limitare la parte del sogno nella rappresentazione che egli elabora. Il metodo scientifico consiste nel confrontare senza tregua ciò che potrebbe essere e ciò che è. È questione qui di molecole, di riproduzione e del bricolage dell’evoluzione. È questione pure del metodo che seguono i biologi, con cui essi esaminano “il bello e il vero, il bene e il male”. 7. È il singolo ricercatore che, responsabilmente e ineludibilmente, deve porsi l’istanza etica. Infatti, il sacerdozio dell’uomo di scienza, come ha sottolineato Giovanni Paolo II, non può misconoscere la forza dell’istanza etica, pur nell’utilità della conoscenza dei meravigliosi meccanismi biologici che presiedono alla vita di relazione, qualunque sia il suo livello di organizzazione: da quello submolecolare a quello ecosistemico. 8. È da auspicare che tutta l’umanità, sinergicamente e in modo determinante, contribuisca a costruire un futuro sempre più a misura dell’uomo, in quanto è la persona umana che va collocata al centro dell’universo, della società e della stessa scienza. In fondo, è questo modello personalista che deve guidare qualsiasi azione dell’uomo. Solo una visione personalista, ben lontana da quella monodiana o da quella pragmatista-utilitarista o da quella socio-biologica, sarà in grado di guidare le azioni umane in modo tale che queste abbiano sempre come fine l’uomo. 9. Viviamo in una società il cui programma principe è la soddisfazione di tutti i desideri con una corsa frenetica verso la saturazione che può significare “pienezza” anche del pensiero. Lo strumento principe per ridurre, se non evitare, questa “pienezza” del pensiero è la “palestra” di formazione e sviluppo delle idee: la scuola di ogni ordine e grado. Solo in essa è possibile far sviluppare le forme nobili della inquietudine del pensiero di cui era pervaso sant’Agostino (inquietum cor nostrum). Concludo con questa frase dello scrittore francese J. Green: <Finché si è inquieti, si può stare tranquilli>. 10. Concludo con la seguente espressione da l’Ecclesiaste (1,18) e con una domanda che sottopongo alla riflessione: <Dove c’è molta scienza v’è molta molestia ed accrescendo il sapere si aumenta il dolore>. È vero? 45 OPERE CITATE BABINET, C., RICHOUX, V., GUENET, J.L. e RENARD, J.P. (1990). The DDK inbred strain as a model for the study of interactions betweeen parental genomes and egg cytoplasm in mouse preimplantation development. Development, (suppl.), 81. BARLOW, D.P. STOGER, R., HERMANN, B.G., SAITO, K. e SCHWEIFER, N.. (1991). The mouse insulin-like growth factor type 2 receptor is imprinted and closely linked to the TME locus. Nature, 349, 84. BARTON, S.C., SURANI, M.A.H. e NORRIS, M.L. (1984). Role of paternal and maternal genomes in mouse development. Nature, 311, 374. BEHBOODI, E., ANDERSON, G.B., BON DURRANT, R.H., CARGILL, S.L., KREUSCHER, B.R., MEDRANO, J.F. e MURRAY, J.D. (1995). Birth of large calves that developed from in vitro - derived bovine embryos. 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