Non distruggere, non rovinare, non sprecare

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Non distruggere, non rovinare, non sprecare
Contributed by Pierpaolo Pinhas Punturello
Thursday, 12 September 2013
Last Updated Thursday, 12 September 2013
sprecareNon ci può essere comportamento morale ed etico che non tenga conto anche del rispetto della natura e del
creato
L’uomo moderno usa e consuma una quantità spropositata di risorse e la relazione tra società occidentale e natura
è sempre più in conflitto.
Secondo uno studio del 2011 commissionato dalla Food and Agriculture Organization of the United Nations:
“Circa un terzo del cibo prodotto per il consumo umano, 1,3 miliardi di tonnellate, va gettato o sprecato”.
L’impatto ambientale di questo spreco è enorme se calcoliamo le quantità di risorse usate per produrre queste
quantità di cibo: acqua, terra ed energie che aumentano in maniera significativa in caso di produzione di carne. Per
produrre meno di settecento grammi di carne rossa si usano più di 22.000 litri di acqua.
E’ stato calcolato negli Stati Uniti che l’energia impiegata per produrre in un anno il cibo che poi viene
sprecato rappresenta il 2% dell’energia del paese.
Sprecando il cibo noi gettiamo al vento un’immensa quantità di risorse, riduciamo il cibo per gli strati più poveri
della popolazione e sperperiamo denaro che potrebbe essere usato per altri scopi. La Torà, il nostro magnifico fardello
tradizionale ed identitario non ha nulla da insegnarci sull’ecologia e sulla lotta contro l’inquinamento?
Forse che il peso delle mitzvot non entra nel rapporto tra noi, esseri umani, ed il resto del Creato? Eppure in quanto
ebrei, non possiamo fuggire dal dovere di rispettare la natura e preservare il patrimonio, la bellezza e l’integrità
dell’ambiente del quale siamo parte integrante. Il dovere ebraico di rispetto della natura può essere riassunto in
una sola espressione che torna spesso nella letteratura biblica e rabbinica: bal tashchit. Non distruggere, non rovinare
ma anche non sprecare. La prima fonte di questo comandamento si trova ovviamente nella Torà, nella parashà di Shoftim,
Deuteronomio 20, 19-20: “Quando farai guerra a una città per conquistarla e la cingerai d’assedio per lungo
tempo, non ne distruggerai gli alberi a colpi di scure, ne mangerai il frutto ma non li abbatterai: l’albero della
campagna è forse un uomo che tu debba includerlo nell’assedio? Potrai però distruggere ed abbattere gli alberi
che saprai non essere da frutto e ne costruirai delle opere d’assedio contro la città che fa guerra contro di te,
finché cada.” E’ significativo che proprio in un contesto di assedio, di guerra, di giorni di scontro armato,
quando ogni legge di vita si rivolgeva alla distruzione, la Torà imponeva all’uomo di non agire contro
l’equilibrio del Creato. La Torà ci insegna che quando la scelleratezza umana rompe gli equilibri delle relazioni
sociali portandoci alla guerra, quella stessa scelleratezza non può essere usata anche nelle relazioni nei confronti del
Creato.
L’idea stessa dello spreco, del distruggere qualcosa che possa essere utile diventa motivo di riflessione per i
maestri del Talmud (Shabbat 67b) e dei maestri medioevali come Maimonide, il quale spiega che ad un ebreo è vietato
“rompere oggetti utili, strappare vestiti, demolire un edificio o
sprecare cibo”. (Hilch. Melachim 6, 10). Il comandamento biblico
diventa quindi un richiamo al rispetto della natura ma in chiave
utilitaristica: non distruggere, uomo, ciò che in natura ti potrebbe
tornare utile, non distruggere perché il Creato ha un suo equilibrio
ed il tuo agire insensato rompendo questo equilibrio nuoce
alla tua stessa esistenza.
La portata etica del bal tashchit è dichiarata con forza da Rav
Shimshon Refael Hirsch che lo interpreta come l’avvertimento più
profondo per il genere umano, perché siamo chiamati a non abusare
del potere che Dio ci ha dato e a non abusare dei beni terreni
distruggendoli o sprecandoli.
“ … se tu distruggi, se tu rovini, non sei un uomo… Dio ti permette
l’uso dei beni di questo mondo ma non dimenticare mai
che si tratta di un permesso. Quando li usi in maniera folle, sia
essa la creatura più piccola o la più grossa, commetti una trasgressione
contro le Mie parole, commetti assassinio e furto
contro la Mia proprietà, tu pecchi contro di Me!... In realtà non
esiste nessuno più vicino all’idolatra di colui che disprezza il
fatto che tutte le cose sono creature e proprietà di Dio e colui
che presume di avere il diritto di poterle distruggere commette
un atto di presunzione. Costui è già al servizio dei più potenti
idoli: la rabbia, l’orgoglio, e sopra ogni cosa, dell’ego che è nei
suoi sentimenti e lo fa essere come il padrone di tutte le cose”
(Rav Shimshon Refael Hirsch, Horeb).
L’idolatria accompagna, nelle parole di rav Hirsch, l’azione di colui
che distrugge il Creato, lo inquina, lo manipola senza misura e
rispetto.
Il brano biblico che consegna all’umanità il comandamento del bal
tashchit ipotizza l’esistenza di una guerra contro un nemico esterno,
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ma nel nostro mondo oggi noi ci troviamo a combattere una
battaglia contro noi stessi, contro questa tendenza, drammaticamente
moderna, verso lo spreco e la distruzione. Rav Hirsch stesso
identifica, già alla fine del 1800, le caratteristiche chiave che
portano ad un comportamento distruttivo: rabbia, orgoglio e
sopra ogni cosa l’ego.
Per vivere senza distruggere o sprecare, bisognerebbe sviluppare
le qualità opposte a queste qualità: pace interiore, umiltà e altruismo.
Consumando un qualsiasi bene in maniera sensata e non sprecando
noi potremmo godere di una salute migliore, di una identità
umana più equilibrata e potremmo contribuire alla creazione di un
ambiente anche esso più sano ed in un costante equilibrio tra
consumo e produzione senza spreco e disastri ambientali. Da qui
può rinascere una nuova relazione tra uomo, il Creato ed il volere
del Creatore.
Pierpaolo Pinhas Punturello
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