GENTE VENETA | Lettere Lunedi, 12 Febbraio 2007 Porre i gay fuori dalla normalità mi mette a disagio Caro don Sandro, leggo con disagio le pagine di GV dedicate alla campagna di manifesti ?gay?. Vi trovo affermazioni che pensavo appartenessero ormai al passato, almeno da noi. Certo sapiente e profonda la lettura teologica della differenza dei sessi: l?esaltazione della famiglia fondata sulla fecondità e l?indicazione della legge della differenza uomo/donna è un principio che il Pastore indica a diritto come paradigmatica. La nostra società si basa su questa che è una delle sue pietre fondanti. Altri principi fondamentali sono il diritto alla vita e il divieto di uccidere, da cui deriva il dovere del rispetto di ogni uomo. Ma la lunga citazione del Patriarca è stata per me non l?illuminante chiave di lettura di tutto il resto, bensì la messa a fuoco della stridente sfasatura tra il livello della lettura teologica e l?applicazione morale. Ormai è comunemente accettato dalla scienza, come dall?opinione pubblica, che l?omosessualità non è una malattia, bensì un modo di essere pienamente naturale, pur se minoritario. Non è questione di (goffissime) assimilazioni alla cecità o altro. So bene che la posizione ufficiale della Chiesa definisce l?omosessualità un disordine, ma altra cosa è condannare un?iniziativa che si pone come obiettivo l?eliminazione della discriminazione sessuale ribadendo che quella discriminazione ha le sue giustificazioni. Che dire di un giovane prete, un ?docente?, che si prende la briga di liquidare come anormale e sbagliata l?omosessualità in quanto ?in-capace? di generare? Da un giovane intelligente mi sarei aspettato qualcosa di più, per esempio la finezza di cogliere le vere sterilità del nostro tempo e le autentiche fecondità dello spirito, della mente, della cultura. Ma non tutti possono avere la sensibilità del cardinale Martini o dell?abbé Pierre. Sorprende però che ancora ci si rifaccia al concetto di normalità: in paradiso andrebbero anzitutto i normali, ma ? come dichiara il giovane ?esperto?- un posto lo possono trovare anche gli anormali. La psicologa conosce certamente il dramma di chi si scopre omosessuale: trova che il suo modo di essere è rifiutato, frainteso, osteggiato e deve da solo costruirsi una identità, riconoscersi una dignità spesso sbeffeggiata. Si sperava che i nostri giovani non dovessero passare più per questo calvario. Ecco perché bisogna dirlo chiaro, gridarlo sui tetti: se sei omosessuale, vivi la tua omosessualità in modo maturo, adulto, responsabile; sappi che hai una morale che è quella di tutti e che come tutti puoi/devi avere degli affetti, costruirti una vita sociale. Questo vuol dire che essere omosessuali è indifferente. Non si sceglie di essere omosessuali, come non si sceglie di essere eterosessuali: si sceglie di essere uomini, di vivere con onestà anche nei confronti di se stessi, con forza, coraggio, lealtà. Un?amica mi dice: ?Fregatene! La penseranno sempre così. Ogni religione ha i propri talebani e i propri iman?. Anche se non sentissi dentro di me l?amarezza di vedere nella mia Chiesa tanta cecità (questa sì è cecità), pure sono consapevole dell?influenza enorme che gli uomini di chiesa, i loro giornali, hanno su tante persone Più volte in queste pagine di GV ricorrono le parole della solidarietà, dell?accoglienza. Se un malaugurato giorno gli omosessuali anche da noi fossero vittime di violenze, come avviene in alcune parti del mondo e come ripetutamente già è avvenuto nella nostra storia, non pochi benpensanti si metterebbero dalla parte degli aguzzini, ma sono sicuro che tanti buoni cristiani darebbero asilo, proteggerebbero, a rischio della loro stessa vita, come avvenuto per gli ebrei durante l?ultima guerra. Non posso però non ricordare come nel 1938 in Italia solo pochissime voci si alzarono quando vennero promulgate le leggi razziali:il mondo cattolico restò sostanzialmente muto e indifferente, quando non addirittura sostenitore dell?infamia che si stava compiendo. Se nell?estate del 1938, quando le leggi erano ancora solo nell?aria, i cattolici chiaramente, vescovi e popolo, avessero alzato un?ondata di sdegno, a rischio di bastonate e di violenze, avremmo avuto l?epilogo mostruoso che abbiamo avuto? La storia non si fa con i ?se?, ma il silenzio del 1938 deve essere un monito! I pregiudizi non salvano ma rovinano. Quei manifesti ci mettono davanti a una realtà che continua a essere amara e la Chiesa è chiamata a guardare alla sostanza, a essere vera testimone di carità. Il resto conta così poco! Lettera FirmataLa risposta della redazione : Caro Lettore, ho ricevuto molte altre lettere in questi giorni di persone che si dicono omosessuali e, come lei, manifestano il proprio disappunto per il nostro intervento sulla campagna del Comune contro l?omofobia: pubblico la sua che mi pare sintetizzi in maniera articolata le critiche di tutte. Vengo subito al punto centrale del suo ragionamento. Lei ritiene ? cito le sue parole ? che . ormai sia ?comunemente accettato dalla scienza, come dall?opinione pubblica, che l?omosessualità non è una malattia, bensì un modo di essere pienamente naturale, pur se minoritario?. Noi (la Chiesa, ma anche moltissimi non credenti, moltissimi psicologi, medici, uomini di scienza ecc.) riteniamo invece che l?omosessualità non sia ?un modo di essere pienamente naturale?, bensì che la natura umana ci offra un?evidenza dalla quale non è possibile, né legittimo prescindere se si vuole essere autenticamente liberi. Cioè, che nasciamo uomini e donne (maschi e femmine); che la differenza sessuale ci fa strutturalmente, psicologicamente e spiritualmente diversi; che l?uomo è condotto ?naturalmente? ad incontrare la donna e a costruire con essa una comunione di vita e viceversa. La fecondità - dare la vita a nuove creature attraverso l?incontro di queste due differenze - per noi è il segno più evidente che il percorso naturale della sessualità si alimenta e si realizza principalmente nella distinzione dei sessi. Quanto alla cecità della Chiesa e alla discriminazione di cui essa si renderebbe artefice nei confronti della persona omosessuale, mi pare che questo sia un luogo comune che è ora di sfatare. Io sono prete da più di vent?anni: le assicuro che, nelle diverse comunità dove ho vissuto il mio ministero, non ho mai visto un giovane o un adulto emarginati perché omosessuali. Tutt?altro: ho visto grande accoglienza, rispetto autentico, promozione della persona? a volte anche aiuto concreto perché la persona che si ritiene omosessuale possa rimuovere quegli ostacoli psicologi che le impediscono di vivere l?eterosessualità. Non si deve confondere la difesa di alcuni valori fondamentali che la Chiesa non può non fare ? in questo caso la difesa del linguaggio naturale della vita - con la discriminazione o la mancanza di solidarietà (S.V.) Sandro Vigani Articolo pubblicato su Gente Veneta http://www.genteveneta.it/public/articolo.php?id=3677 Copyright 2017 © CID SRL P.Iva 02341300271