Lo studio di funzione

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Lo studio di funzione
18 febbraio 2013
1
Indice
1 Lo studio di funzione
3
1.1 Dominio di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
1.1.1 Domini di funzioni elementari . . . . . . . . . . . . . . .
3
1.1.2 Funzioni composte, somma e prodotto di funzioni . . . . .
5
1.2 Simmetrie e periodicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
1.2.1 Simmetrie: funzioni pari e dispari . . . . . . . . . . . . .
5
1.2.2 Funzioni periodiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
1.3 Studio del segno della funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
1.4 Intersezione con gli assi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
1.5 Calcolo dei limiti: asintoti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8
1.6 Massimi e minimi di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . .
8
1.6.1 Massimi e minimi delle funzioni derivabili . . . . . . . .
9
1.6.2 Massimi e minimi delle funzioni nei punti di non derivabilità 11
1.6.3 Massimi e minimi delle funzioni nei punti di discontinuità 14
1.6.4 Studio dei massimi e minimi delle funzioni tramite le derivate
successive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.6.5 Massimi e minimi assoluti . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.7 Concavità e punti di flesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
2
1 Lo studio di funzione
Lo studio di funzione è lo studio di tutte le proprietà della funzione utili per la
rappresentazione del suo grafico sul piano cartesiano, e si sviluppa attraverso il
seguente procedimento:
• calcolo dell’insieme di definizione della funzione;
• ricerca di eventuali simmetrie e periodicità;
• studio del segno della funzione;
• ricerca dei punti intersezione con gli assi cartesiani;
• calcolo dei limiti e ricerca degli asintoti;
• ricerca dei punti di massimo e minimio della fuzione;
• studio della concavità della funzione e ricerca dei punti di flesso;
1.1 Dominio di funzioni
Quando si intraprende lo studio di una funzione f (x) si deve determinare, all’inizio del procedimento, il dominio o insieme di definizione Df della funzione.
Successivamente, l’insieme di definizione deve essere rappresentato sull’asse delle
ascisse del piano cartesiano, riportando eventuali punti o intervalli in cui la funzione non è definita.
1.1.1 Domini di funzioni elementari
1. Funzione razionale intera
- f (x) = P (x) con P (x) polinomio in R: definita ∀x ∈ R.
2. Funzione razionale fratta
- f (x) =
P (x)
Q(x)
con P (x) e Q(x) polinomi in R: Df = {x ∈ R : Q(x) 6= 0}.
3. Funzione modulo o valore assoluto
- f (x) = |x|: definita ∀x ∈ R.
3
4. Funzione irrazionale
- f (x) =
√
n
- f (x) =
√
n
x con n dispari: definita ∀x ∈ R;
x con n pari: Df = {x ∈ R : x ≥ 0}.
5. Funzione esponenziale
- f (x) = ax con a > 0: definita ∀x ∈ R;
- f (x) = ax con 0 < a < 1: definita ∀x ∈ R.
6. Funzione logaritmica
- f (x) = loga x con a > 0 e a 6= 1: Df = {x ∈ R : x > 0}.
7. Funzione potenza
- f (x) = xα con α intero positivo: definita ∀x ∈ R;
- f (x) = xα con α intero negativo: Df = {x ∈ R : x 6= 0};
- f (x) = xα con α razionale o irrazionale positivo: Df = {x ∈ R : x ≥ 0};
- f (x) = xα con α razionale o irrazionale negativo: Df = {x ∈ R : x > 0}.
8. Funzione goniometriche
- f (x)= sen x: definita ∀x ∈ R;
- f (x)= cos x: definita ∀x ∈ R;
- f (x)= tg x: Df = {x ∈ R : x 6=
π
2
- f (x)= sec x: Df = {x ∈ R : x 6=
+ kπ, k ∈ Z};
π
2
+ kπ, k ∈ Z};
- f (x)= cosec x: Df = {x ∈ R : x 6= kπ, k ∈ Z};
- f (x)= cotg x: Df = {x ∈ R : x 6= kπ, k ∈ Z};
- f (x)= arcsen x: Df = {x ∈ R : −1 ≤ x ≤ 1};
4
- f (x)= arccos x: Df = {x ∈ R : −1 ≤ x ≤ 1};
- f (x)= arctg x: definita ∀x ∈ R;
- f (x)= arcsec x: Df = {x ∈ R : x ≤ −1 ∨ x ≥ 1};
- f (x)= arccosec x: Df = {x ∈ R : x ≤ −1 ∨ x ≥ 1};
- f (x)= arccotg x: definita ∀x ∈ R.
9. Funzione iperboliche
- f (x)= senh x =
ex −e−x
:
2
definita ∀x ∈ R;
- f (x)= cosh x =
ex +e−x
:
2
definita ∀x ∈ R;
- f (x)= tgh x =
ex −e−x
:
ex +e−x
- f (x)= sech x =
2
:
ex +e−x
- f (x)= cosech x =
- f (x)= cotgh x=
definita ∀x ∈ R;
definita ∀x ∈ R;
2
:
ex −e−x
ex +e−x
:
ex −e−x
Df = {x ∈ R : x 6= 0};
Df = {x ∈ R : x 6= 0}.
1.1.2 Funzioni composte, somma e prodotto di funzioni
1. f(x)=g[h(x)]: Df = Dg ∩ Dh ;
2. f (x) = g(x) ± h(x): Df = Dg ∩ Dh ;
3. f (x) = g(x) · h(x): Df = Dg ∩ Dh .
1.2 Simmetrie e periodicità
Quando si studia una funzione è molto importante stabilire se essa presenta delle
simmetrie o se è periodica. In questi casi si può restringere lo studio in una sola
parte del dominio.
1.2.1 Simmetrie: funzioni pari e dispari
1. Una funzione f : R → R è pari (simmetrica rispetto all’asse y) se
f (x) = f (−x);
5
2. Una funzione f : R → R è dispari (simmetrica rispetto all’origine) se:
f (x) = −f (−x).
Proprietà 1.1
• Se una funzione è pari, non è dispari e viceversa;
• l’unica funzione che è sia pari che dispari è la funzione f (x) = 0;
• in generale, la somma di una funzione pari e di una dispari non è né pari né
dispari;
• la somma di due funzioni pari è una funzione pari;
• la somma di due funzioni dispari è una funzione dispari;
• il prodotto di una funzione pari per una costante è una funzione pari;
• il prodotto di una funzione dispari per una costante è una funzione dispari;
• il prodotto di due funzioni pari è una funzione pari;
• il prodotto di due funzioni dispari è una funzione pari;
• il prodotto di una funzione pari e di una funzione dispari è una funzione
dispari;
• la derivata di una funzione pari è dispari;
• la derivata di una funzione dispari è pari.
Nel caso di funzioni simmetriche rispetto all’asse y, si può concentrare lo
studio della funzione sul semiasse positivo delle x, disegnando il grafico su tale
semiasse. Successivamente si ribalta il grafico sul semiasse negativo, facendo corrispondere alle ascisse negative, le stesse ordinate.
Nel caso di funzioni simmetriche rispetto all’origine, si può concentrare lo studio
sul semiasse positivo delle x, disegnando il grafico su tale semiasse. Successivamente si ruota il grafico di 180◦ in senso antiorario, facendo corrispondere ad
ascisse opposte, ordinate opposte.
6
1.2.2 Funzioni periodiche
1. Una funzione f : R → R è periodica di periodo T se f (x) = f (x + T )
∀x ∈ R.
Nel caso di funzioni periodiche si può concentrare lo studio della funzione e
disegnare il corrispondente grafico nell’intervallo [0, T ].
1.3 Studio del segno della funzione
Lo studio del segno della funzione è molto importante in quanto attraverso di esso
è possibile individuare le parti del piano in cui passa la funzione.
Studio del segno di una funzione f (x):
1. si impone la condizione f (x) > 0 e si risolve la disequazione;
2. si costruisce la tabella dei segni e si riportano gli intervalli che ottengo dallo
studio della disequazione sull’asse delle ascisse;
3. si tracciano in corrispondenza degli estremi di ogni intervallo rette parallele
all’asse y;
4. per ogni intervallo si cancella la parte di piano in cui non passa la funzione.
1.4 Intersezione con gli assi
Il passo successivo consiste nel cercare i punti di intersezioni P (x, y) della funzione con gli assi cartesiani, se essi sono presenti.
1. Intersezione con l’asse x. Si risolve il seguente sistema:
½
y = f (x)
y=0
e si scrivono, se esistono, i punti P (x, y) che lo soddisfano. Poi si riportano
i punti sul piano cartesiano.
2. Intersezione con l’asse y. Si risolve il seguente sistema:
½
y = f (x)
x=0
e si scrivono, se esistono, i punti P (x, y) che lo soddisfano. Poi si riportano
i punti sul piano cartesiano.
7
1.5 Calcolo dei limiti: asintoti
Una volta stabilito il dominio, si calcolano i limiti per vedere se esistono asintoti
verticali, orizzontali o obliqui.
1. Asintoti verticali: una funzione f (x) definita in un intorno di c, escluso al
più c, ammette asintoto verticale x = c se
lim f (x) = ∞.
x→c
2. Asintoti orizzontali: una funzione f (x) definita in un intorno di ∞, ammette
asintoto verticale y = l se
lim f (x) = l.
x→∞
3. Asintoti obliqui: Sia f (x) una funzione definita in un intorno di ∞ e sia
lim f (x) = ∞.
x→∞
Se
lim
x→∞
e
f (x)
= m con m 6= 0
x
lim [f (x) − mx] = q,
x→∞
la funzione f ha asintoto obliquo di equazione y = mx + q.
1.6 Massimi e minimi di una funzione
Si dice che un punto x0 , interno all’intervallo [a, b], è un punto di massimo relativo
per la funzione f (x), se esiste un intorno I di x0 tale che risulti:
f (x) ≤ f (x0 ), ∀x ∈ I.
Si dice che un punto x0 , interno all’intervallo [a, b], è un punto di minimo relativo
per la funzione f (x), se esiste un intorno I di x0 tale che risulti:
f (x) ≥ f (x0 ), ∀x ∈ I.
Se f (x) < f (x0 ), ∀x ∈ I, il punto si dice di massimo relativo proprio. Se
f (x) > f (x0 ), ∀x ∈ I, il punto si dice di minimo relativo proprio.
I punti di massimo e minimo relativo sono detti punti estremanti della funzione.
Il valore che la f (x) assume in un punto di massimo o minimo relativo, si chiama
massimo o minimo relativo di f (x).
8
1.6.1 Massimi e minimi delle funzioni derivabili
Per la ricerca dei massimi e minimi di una funzione f (x), derivabile in tutto l’intervallo di definizione, si studia il segno della derivata prima. Ricordiamo, a tal
proposito, il seguente teorema:
Teorema di Fermat: sia f (x) è una funzione definita in [a, b], derivabile in (a, b).
Se x0 ∈ (a, b) è un punto di massimo o di minimo relativo per f, allora f 0 (x0 ) = 0.
I punti che annullano la derivata prima si chiamano punti stazionari. Tale teorema
è una condizione necessaria ma non sufficiente affinché un punto sia un estremante. Questo vuol dire che, se la derivata si annulla in x0 , non è detto che x0 sia
un estremante (figura 1).
Figura 1: Esempio condizione necessaria ma non sufficiente
Per determinare i punti di massimo o minimo relativo di una funzione derivabile utilizziamo il seguente criterio.
Sia f(x) a funzione continua e derivabile in un intorno I di x0 .
• Se, nell’intorno di x0 , risulta:

 < 0, per x < x0
0
= 0, per x = x0
f (x) =

> 0, per x > x0
allora x0 è un punto di minimo relativo.
• Se, nell’intorno di x0 , risulta:

 > 0, per x < x0
0
= 0, per x = x0
f (x) =

< 0, per x > x0
9
allora x0 è un punto di massimo relativo.
• Se la derivata non cambia di segno, attraversando x0 , tale punto non è né di
massimo né di minimo relativo.
Il criterio sopra esposto rappresenta una condizione sufficiente ma non necessaria.
Questo vuol dire che, una funzione può avere, ad esempio, un punto di minimo,
ma non essere decrescente in un intorno sinistro di x0 e crescente in un intorno
destro di x0 (figura 2).
Figura 2: Esempio condizione sufficiente ma non necessaria
Nel caso di punti stazionari si possono avere i seguenti casi:
1. Il punto x0 è un punto estremante: massimo o minimo (figura 3a).
2. Il punto x0 è un punto di flesso a tangente orizzontale (figura 3b).
10
Figura 3: Punti stazionari
Regola pratica:
1. Si deriva f (x) e si trovano i valori che annullano f 0 (x), imponendo la
condizione f 0 (x0 ) = 0;
2. si impone la condizione f 0 (x) > 0 e si risolve la disequazione;
3. si costruisce la tabella dei segni e, per ogni intervallo, si indica sulla tabella la crescenza (intervalli positivi) e decrescenza (intervalli negativi) della
funzione;
4. se in un intorno di x0 i segni della derivata sono discordi abbiamo un massimo o un minimo.
5. se in un intorno di x0 i segni della derivata sono concordi abbiamo un flesso
a tangente orizzontale.
1.6.2 Massimi e minimi delle funzioni nei punti di non derivabilità
Ora vediamo come si studiano i punti in cui la funzione è continua ma non derivabile . I punti stazionari e i punti in cui la funzione non è derivabile si chiamano
punti critici.
Per determinare i punti di massimo o minimo relativo di una funzione non derivabile in un punto, utilizziamo il seguente criterio.
Sia f(x) una funzione continua in un intorno I di c ma non derivabile in c.
11
• Se, nell’intorno di c, risulta:
½
0
f (x) =
< 0, per x < c
> 0, per x > c
allora c è un punto di minimo relativo.
• Se, nell’intorno di c, risulta:
0
f (x) =
½
> 0, per x < c
< 0, per x > c
allora c è un punto di massimo relativo.
• Se la derivata non cambia di segno, attraversando c, tale punto non è né di
massimo né di minimo relativo.
Si possono avere i seguenti casi:
1. Il punto c è un punto di flesso, a tangente verticale, ascendente (figura 4c):
lim+ f 0 (x) = +∞ e
x→c
lim− f 0 (x) = +∞.
x→c
2. Il punto c è un punto di flesso, a tangente verticale, discendente (figura 4d):
lim f 0 (x) = −∞ e
x→c+
lim f 0 (x) = −∞.
x→c−
3. Il punto c è una cuspide rivolta verso il basso (figura 4e):
lim+ f 0 (x) = +∞ e
x→c
lim− f 0 (x) = −∞.
x→c
4. Il punto c è una cuspide rivolta verso l’alto (figura 4f):
lim f 0 (x) = −∞ e
x→c+
lim f 0 (x) = +∞.
x→c−
Figura 4: Punti di non derivabilità
12
Può accadere che, i limiti per x che tende a c da sinistra e da destra della
derivata non coincidano, oppure, che il limite per x che tende a c della derivata
non esista. Vediamo di seguito alcuni casi:
1. Il punto c è un punto angoloso (figura 5g):
lim+ f 0 (x) = l1 e
x→c
lim− f 0 (x) = l2 con l1 6= l2 .
x→x0
2. Il punto c è un punto angoloso (figura 5h):
lim f 0 (x) = +∞ e
x→c+
lim f (x) = l1
x→c−
oppure
lim+ f 0 (x) = l1 e
x→c
lim− f 0 (x) = +∞.
x→c
3. Non esiste in c il limite della derivata (figura 5i).
Figura 5: Punti di non derivabilità
Regola pratica:
1. si calcola la derivata di f (x), si impone la condizione f 0 (x) > 0 e si risolve
la disequazione;
2. si costruisce la tabella dei segni e, per ogni intervallo, si indica sulla tabella la crescenza (intervalli positivi) e decrescenza (intervalli negativi) della
funzione;
3. se in un intorno di c i segni della derivata sono discordi abbiamo un massimo
o un minimo (si possono avere i casi descritti nella figure 4e, 4f, 5g, 5h );
13
4. se in un intorno di c i segni della derivata sono concordi abbiamo un flesso
a tangente verticale (si possono avere i casi descritti nelle figure 4c, 4d).
5. invece se in c non esiste il limite del rapporto incrementale abbiamo un caso
particolare non classificabile come massimo, minimo o flesso a tangente
verticale (figura 5i).
1.6.3 Massimi e minimi delle funzioni nei punti di discontinuità
Se la f (x) è una funzione discontinua in x0 , per stabilire se x0 è un massimo o un
minimo, si ricorre alla definizione di punto estremante, e si confronta il valore di
f (x0 ) con i valori che f(x) assume nei punti diversi da x0 , in un intorno I di x0 .
La funzione può avere un massimo (figure 6b, 6c, 6d) o un minimo (figura 6a),
oppure può non averne (figure 6e, 6f).
Figura 6: Punti di discontinuità
1.6.4 Studio dei massimi e minimi delle funzioni tramite le derivate successive
Sia f(x) una funzione definita in un intervallo [a, b] ed ivi derivabile n volte. Se in
un punto x0 , interno ad [a, b], risulta: f (n) (x0 ) 6= 0 e
0
00
f (x0 ) = f (x0 ) = · · · = f (n−1) (x0 ) = 0,
14
allora:
• x0 è un punto di massimo relativo, se n è pari e f (n) (x0 ) < 0;
• x0 è un punto di minimo relativo, se n è pari e f (n) (x0 ) > 0;
• x0 non è né un punto di massimo né un punto di minimo relativo, se n è
dispari.
Regola pratica:
1. si deriva f (x) e si trovano i valori che annullano f 0 (x), imponendo la condizione f 0 (x0 ) = 0;
2. si calcola f 00 (x0 );
3. se risulta f 00 (x0 ) < 0, x0 è un punto di massimo relativo, mentre se risulta
f 00 (x0 ) > 0, x0 è un punto di minimo relativo;
4. se risulta f 00 (x0 ) = 0, si calcola f 000 (x0 );
5. se risulta f 000 (x0 ) 6= 0, allora x0 non è nè un punto di massimo nè un punto
di minimo;
6. se risulta f 000 (x0 ) = 0 si calcola la derivata successiva e si continua con il
procedimento.
1.6.5 Massimi e minimi assoluti
• Sia f (x) una funzione continua in un intervallo chiuso e limitato [a, b]. Se in
tale intervallo esiste un punto c in cui la funzione non assume un valore non
minore dei valori che essa assume negli altri punti di [a, b], il valore f (c) si
dice di massimo assoluto e il punto c si dice punto di massimo assoluto per
la f (x) in [a, b].
• Sia f (x) una funzione continua in un intervallo chiuso e limitato [a, b]. Se in
tale intervallo esiste un punto c in cui la funzione non assume un valore non
maggiore dei valori che essa assume negli altri punti di [a, b], il valore f (c)
si dice di minimo assoluto e il punto c si dice punto di minimo assoluto per
la f (x) in [a, b].
Il massimo e minimo assoluto di una funzione f (x) continua in un intervallo
chiuso e limitato [a, b], esiste per il teorema di Weierstrass. Il massimo o minimo
assoluto è assunto nei punti stazionari, o nei punti in cui la funzione non è derivabile, o negli estremi dell’intervallo. Quindi, per determinare il massimo o minimo
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assoluto della funzione, dobbiamo calcolare, quando è possibile, i valori che essa
assume in tutti i punti estremanti relativi e negli estremi dell’intervallo [a, b]. Il
valore più grande fra essi è il massimo assoluto mentre il valore più piccolo è il
minimo assoluto. Se non ci troviamo sotto le ipotesi del teorema di Wierstrass,
ovvero la funzione è continua in un intervallo non chiuso o illimitato, oppure è
discontinua nell’intervallo di definizione, il teorema non si può applicare e la f(x)
non è detto che sia dotata di massimo e minimo assoluti.
1.7 Concavità e punti di flesso
Consideriamo una funzione f (x) definita in un intervallo [a, b] ed ivi derivabile
tutte le volte che sarà necessario. Consideriamo poi un punto x0 e la retta tangente
t alla curva nel punto P0 (x0 , f (x0 )).
1. Si dice che la funzione f (x) in x0 volge la concavità verso l’alto, se esiste
un intorno I di x0 per tutti i punti del quale, escluso x0 , la funzione assume
valori maggiori di quelli di uguale ascissa che stanno sulla retta tangente t.
2. Si dice che la funzione f (x) in x0 volge la concavità verso il basso, se esiste
un intorno I di x0 per tutti i punti del quale, escluso x0 , la funzione assume
valori minori di quelli di uguale ascissa che stanno sulla retta tangente t.
3. Si dice che la funzione f (x) in x0 ha un punto di flesso, se esiste un intorno I
di x0 tale che per ogni x ∈ I la curva si trovi in uno dei semipiani individuati
da t per x < x0 e nel semipiano opposto per x > x0 .
I tre casi sono rappresentati in figura 7.
Figura 7: Concavità e flessi
16
Attraverso lo studio del segno della derivata seconda possiamo stabilire se la
funzione volge la concavità verso il basso o verso l’alto.
Per lo studio della concavità e per la ricerca dei punti di flesso possiamo utilizzare
il seguente criterio:
Se risulta f 00 (x0 ) 6= 0, allora la curva in P0 (x0 , f (x0 )) volge:
• la concavità verso l’alto, se f 00 (x0 ) > 0;
• la concavità verso il basso, se f 00 (x0 ) < 0.
Se risulta f 00 (x0 ) = 0 e f 000 (x0 ) 6= 0, allora la curva in P0 (x0 , f (x0 )) presenta un
flesso. L’equazione della retta tangente in P0 è:
y − f (x0 ) = f 0 (x0 )(x − x0 ).
e viene chiamata tangente inflessionale.
Un altro metodo che possiamo applicare per lo studio della concavità e per la
ricerca dei punti di flesso è esposto di seguito:
Sia f(x) una funzione definita in [a, b] e dotata di derivata prima e seconda in un
intorno I di x0 interno ad [a, b], eccetto eventualmente che in x0 . Se f 00 (x0 ) = 0
oppure la derivata seconda non esiste in x0 e se la derivata seconda cambia di
segno attraversando l’intorno I di x0 , allora il punto P0 (x0 , f (x0 )) è un punto di
flesso.
Regola pratica:
1. calcoliamo f 00 (x);
2. individuiamo i punti in cui f 00 (x) = 0 o i punti in cui non esiste la derivata
seconda;
3. studiamo il segno della derivata seconda e riportiamo gli intervalli in una
tabella per stabilire la concavità di f (x);
4. cerchiamo, tra i punti individuati al punto 2, quelli in cui la funzione cambia
la concavità passando dall’intorno sinistro all’intorno destro del punto;
5. se in tali punti esiste la derivata prima (eventualmente infinita) possiamo
scrivere la retta tangente nel punto alla curva; in questo caso i punti individuati sono punti di flesso.
I punti di flesso possono essere classificati nel modo seguente:
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• flesso orizzontale (figura 8a) se la tangente inflessionale è parallela all’asse
x, cioè se f 0 (x0 ) = 0;
• flesso verticale (figura 8c) se la tangente inflessionale è parallela all’asse y,
cioè se la derivata prima in x0 risulta infinita;
• flesso obliquo (figura 8b) se la tangente inflessionale non è parallela né
all’asse x né all’asse y.
Figura 8: Flessi
Se la concavità della curva, attraversando l’intorno del punto da sinistra a
destra, cambia dal basso all’alto, abbiamo un flesso ascendente (figura 9).
Figura 9: Flessi ascendenti
Se la concavità della curva, attraversando l’intorno del punto da sinistra a
destra, cambia dall’alto al basso, abbiamo un flesso discendente (figura 10).
18
Figura 10: Flessi discendenti
19
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