Celle a combustibile per la generazione stazionaria

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5.5
Celle a combustibile
per la generazione stazionaria
5.5.1 Cenni storici
Origini
Il principio di funzionamento delle celle a combustibile (dal termine inglese fuel cell entrato ormai nell’uso corrente) presuppone conoscenze specifiche di elettrochimica e di catalisi.
Agli inizi del 19° secolo si sviluppano sia il principio di funzionamento sia i primi dispositivi sperimentali (Bossel, 2000). La prima descrizione di un effetto elettrochimico è contenuta nell’articolo On the voltaic polarization of certain solid and fluid substances di Christian
Friedrich Schönbein (1839). Nell’articolo si afferma che
«siamo autorizzati ad affermare che la corrente in questione è determinata dalla combinazione di idrogeno e
ossigeno e non per contatto».
Subito dopo, nell’articolo On the voltaic series and
the combination of gases by platinum di William Robert
Grove (1811-96), l’autore afferma: «spero, ripetendo l’esperimento in serie, di ottenere la decomposizione dell’acqua attraverso (l’energia sviluppata) dalla sua composizione», cioè che sarebbe possibile produrre energia
elettrica combinando gli elementi costitutivi dell’acqua
(l’idrogeno e l’ossigeno) e riutilizzare questa energia per
dividere l’acqua nei suoi costituenti tramite elettrolisi.
La fig. 1 mostra il dispositivo originale di Grove: l’ossigeno e l’idrogeno contenuti nelle provette (parte inferiore del disegno) reagiscono formando acqua e producendo energia elettrica che, come indicato nella parte
superiore, può alimentare un piccolo elettrolizzatore.
A questi due scienziati va il merito di avere scoperto il principio di funzionamento delle celle a combustibile e di avere costruito i primi semplici dispositivi.
In seguito Grove si guadagnò la fama di inventore
delle celle a combustibile e di iniziatore di una tecnologia per costruirle grazie a una intensa attività sull’argomento. Questa attività è documentata da una serie di lavori successivi (Grove, 1842, 1843, 1845).
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
In questi lavori Grove cercò di combinare intuizioni
innovative con realizzazioni pratiche basate su know how
chimici esistenti e creando una sorta di nuova tecnologia delle celle a combustibile.
Può essere interessante osservare che il termine inglese fuel cell con cui oggi sono universalmente noti questi dispositivi è stato coniato in seguito, nel 1889, da
Ludwig Mond e Charles Langer che cercarono di costruire un dispositivo di uso pratico che utilizzava aria e gas
di carbone.
Sviluppo e motivi di interesse
Sono ormai passati più di 160 anni dalle prime intuizioni di Schönbein e di Grove ed è interessante ripercorrere il cammino di questa nuova tecnologia e le sue
realizzazioni pratiche.
Bisogna dire che le celle a combustibile si sono evolute, in un primo momento, piuttosto lentamente e che
solo verso la metà del 20° secolo si è avuta una accelerazione significativa.
Le prime celle di Grove avevano elettrodi porosi di
platino e acido solforico come bagno di elettrolita. La
O2
O2
H2
O2
H2
H2
O2
H2
O2
H2
fig. 1. Il dispositivo originale di Grove.
475
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
miscela di idrogeno e ossigeno in presenza dell’elettrolita produceva elettricità e acqua; sfortunatamente esse
non producevano abbastanza elettricità per avere una
qualche utilità pratica.
Una svolta significativa si verificò nel 1932 quando
l’ingegnere inglese Francis T. Bacon decise di utilizzare come catalizzatore il nichel poroso al posto del platino e una soluzione alcalina, meno corrosiva dell’acido
solforico diluito, come elettrolita. Il dispositivo, noto
come cella di Bacon (Bacon cell ), venne perfezionato e
alla fine degli anni Cinquanta ne venne dimostrata l’efficacia con la realizzazione di una pila da 5 kW che alimentava una saldatrice elettrica. Nello stesso anno l’ingegnere Harry Ihrig di Allis-Chambers (Regno Unito),
azienda produttrice di macchine agricole, fece funzionare un trattore da 20 kW alimentato con una cella di
Bacon; questo fu il primo veicolo alimentato da una cella
a combustibile.
Lo sviluppo della nuova tecnologia si intensificò ulteriormente negli anni Sessanta quando General Electric
(Stati Uniti) produsse un sistema per la generazione di
energia elettrica basato sulle celle a combustibile, destinato alle navicelle spaziali Gemini e Apollo della NASA.
In seguito lo sviluppo tecnologico ha conosciuto una
forte accelerazione. Le ragioni di uno sviluppo inizialmente così lento sono complesse e a esso contribuiscono motivazioni tecnologiche ed economico-ambientali.
La tecnologia per la generazione di energia elettrica
si è sviluppata basandosi, in modo quasi esclusivo, su
dispositivi quali la dinamo e gli alternatori, che trasformano in energia elettrica l’energia meccanica prodotta
da macchine termiche o da fonte idrica. La tecnologia
del 19° e del 20° secolo aveva la capacità per sostenere
lo sviluppo di tali dispositivi, mentre la tecnologia delle
celle a combustibile ha bisogno, per produrre dispositivi efficienti, di conoscenze avanzate sulla tecnologia dei
materiali (polimerici e ceramici) e sulla catalisi, conoscenze che si sono sviluppate solo in seguito gradualmente e continuano ancora oggi a perfezionarsi.
L’utilizzazione di macchine termiche per la produzione di energia elettrica era favorita dalla disponibilità
di combustibili a basso costo, essenzialmente di origine
fossile (carbone, derivati del petrolio, gas naturale), e dall’assenza di preoccupazioni sull’impatto ambientale derivante dal rilascio di emissioni gassose nell’atmosfera.
Oggi fattori economici e ambientali stanno dando
origine a cambiamenti di tendenza nel settore della produzione e distribuzione di energia. Molteplici sono i fattori all’origine di questo cambiamento e gli elementi
chiave possono essere essenzialmente individuati in: a)
liberalizzazione del mercato dell’energia; b) convergenza nei settori di distribuzione e fornitura di combustibili, elettricità e servizi; c) volatilità dei prezzi delle risorse convenzionali disponibili; d ) ingresso di nuove tecnologie di produzione e conversione di energia e di nuove
476
strategie di distribuzione; e) emergenza ambientale, che
spinge l’incentivazione e l’utilizzo di combustibili e tecnologie a ridotto impatto ambientale.
Un ulteriore elemento di forte cambiamento può derivare dal modello di distribuzione decentralizzata di energia su piccola scala (1-10 kW) che permette di localizzare il generatore nelle vicinanze del carico, con reciproci vantaggi per il produttore e il consumatore nel
ridurre il costo di elettricità e calore, permettendo la creazione di società di servizi in grado di fornire un full optional (gas, elettricità, calore, freddo) con una forte relazione con il cliente in termini di gestione e manutenzione, come il nuovo mercato richiede.
In questo quadro, le celle a combustibile, con le implicite caratteristiche di efficienza, modularità, basso impatto ambientale e con la possibilità di utilizzare il gas naturale, sia direttamente nelle celle a combustibile a ossido
solido, sia indirettamente con l’utilizzo di un’unità di
reforming (reformer) nelle celle a combustibile a elettrolita polimerico, sono praticamente uniche nell’armonizzarsi con tutte le emergenze e le tendenze del nuovo
mercato energetico, posizionandosi certamente al vertice fra le tecnologie innovative per la produzione di energia in applicazioni a uso domestico. Le celle a combustibile presentano inoltre elevate caratteristiche di integrabilità con altre tecnologie di produzione di energia,
sia elettrica sia termica (solare, eolica, a microturbine,
con pompe ad adsorbimento), divenendo elemento chiave in sistemi di cogenerazione e trigenerazione, in grado
di fornire una elevata efficienza senza soffrire del fattore di scala.
Per quanto riguarda l’impatto ambientale si può osservare che, se alimentate con idrogeno, le celle a combustibile non inquinano e producono solo acqua e calore
come prodotti di scarto. Se invece sono fatte funzionare con gas riformati ricchi di idrogeno, esse producono
alcune emissioni dannose, ma in quantità minore di quelle di un motore a combustione interna, a parità di energia prodotta, e questo grazie a una maggiore efficienza.
Da un punto di vista energetico si può dire che le
celle a combustibile, in quanto basate su una trasformazione diretta di energia chimica in energia elettrica, senza
passare attraverso un processo di combustione, hanno
un rendimento che è complessivamente maggiore di quello delle macchine termiche e che dipende dal particolare ciclo termico adottato.
A livello di sistema la trasformazione dell’energia
chimica in energia elettrica è realizzata dalle celle a combustibile con un minor numero di stadi che non nel caso
delle macchine termiche.
Quando, invece, si vuole realizzare la trasformazione di energia chimica in energia meccanica si richiede
un maggior numero di trasformazioni e questo tende a
ridurre il vantaggio energetico complessivo delle celle a
combustibile; per questo motivo esse sono più adatte alla
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
produzione di energia elettrica
celle a combustibile
energia
chimica
energia
elettrica
quali composti solforati o monossido di carbonio, che
non hanno alcun effetto sui motori a combustione interna, possono disattivare i catalizzatori elettrodici.
motori termici
energia
chimica
calore
energia
meccanica
energia
elettrica
5.5.2 Introduzione
Tipi di celle a combustibile
produzione di energia meccanica
celle a combustibile
energia
chimica
energia
elettrica
energia
meccanica
motori termici
energia
chimica
calore
energia
meccanica
fig. 2. Schema degli stadi della trasformazione
da energia chimica in energia elettrica e da energia chimica
in energia meccanica per sistemi di celle
a combustibile e per sistemi basati su motori termici.
generazione di energia elettrica che non di quella meccanica. La situazione è illustrata nello schema di fig. 2.
In relazione ai vantaggi energetici delle celle a combustibile si può osservare che la contemporanea produzione di energia elettrica e calore rende questi sistemi
idonei ad applicazioni cogenerative. Nel caso di celle a
combustibile funzionanti ad alta temperatura (⬎600 °C)
l’elevata entalpia residua rende possibile la realizzazione di sistemi ibridi (cella a combustibile/turbina a gas)
potenzialmente in grado di elevare ulteriormente il rendimento energetico del sistema, come si vedrà in seguito con maggiore dettaglio.
Una completa valorizzazione delle potenzialità delle
celle a combustibile richiede ancora numerosi sforzi di
ricerca per conseguire miglioramenti tecnologici e di costo.
Innanzitutto l’idrogeno, che è il combustibile ideale
per una cella a combustibile, è un vettore energetico e
non una fonte primaria di energia; deve essere, quindi,
prodotto e conservato, operazioni non facili e ancora a
costi potenzialmente più elevati rispetto all’utilizzo di
combustibili tradizionali. Inoltre l’alimentazione con
combustibili gassosi come il gas naturale o anche con
idrocarburi liquidi è possibile grazie all’adozione di sistemi di processamento del combustibile (steam reforming,
ossidazione parziale, ecc.), ma ciò aumenta la complessità del sistema. Se si considerano i componenti ausiliari richiesti, quali il reformer, il compressore per l’aria, i
dispositivi di stoccaggio del combustibile, il suo peso
per unità di potenza può aumentare considerevolmente,
raggiungendo o superando quello di un motore a combustione interna.
I requisiti di purezza del combustibile sono stringenti e
dipendono dal tipo di cella a combustibile. Contaminanti
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
Una cella a combustibile è un dispositivo atto alla trasformazione diretta dell’energia chimica contenuta in un
combustibile, tipicamente H2, in energia elettrica e calore senza passare attraverso un processo di combustione
come avviene nei sistemi tradizionali per la produzione
di energia elettrica. Questi dispositivi non risentono pertanto dei limiti termodinamici legati all’utilizzazione di
una macchina termica. Il principio di funzionamento è
illustrato nella fig. 3.
L’elemento singolo di una cella a combustibile è costituito da due elettrodi (anodo e catodo) separati da un elettrolita per la conduzione di ioni. Il gas di alimentazione
anodica varia a seconda del sistema esaminato; può essere semplicemente idrogeno oppure un idrocarburo che attraverso reazioni di reforming o di ossidazione parziale fornisce l’idrogeno necessario per la reazione elettrochimica.
Il reagente nel comparto catodico è l’ossigeno, fornito al
sistema come gas puro o semplicemente alimentando aria.
Schematicamente i gas di processo vengono inviati
all’anodo (combustibile, tipicamente idrogeno) e al catodo (comburente, aria) dove avvengono le reazioni di ossidazione e di riduzione. I due compartimenti sono separati dall’elettrolita che ha la funzione di consentire il passaggio selettivo della sola specie attiva.
In pratica diversi materiali, liquidi o solidi, possono
essere utilizzati per il trasporto selettivo del protone o
aria
combustibile
elettrolita
catodo
anodo
acqua⫹CO2
H2⫹1/2O2
H2O
fig. 3. Schema di principio di una cella a combustibile.
477
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
tab. 1. Tipi di celle a combustibile
Elettrolita
e tipo di cella
Ione trasportato
Temperatura
di funzionamento
OH⫺
50-200 °C
Applicazioni spaziali
Membrana a trasporto
protonico - PEMFC
H⫹
60-100 °C
Applicazioni veicolari e piccole unità
cogenerative
Acido fosforico - PAFC
H⫹
⬇200 °C
Generazione stazionaria, unità da 200 kW
Carbonati fusi - MCFC
CO2⫺
3
⬇650 °C
Generazione stazionaria, unità sino
a qualche MW
O2⫺
700-1.000 °C
Alcalino - AFC
Ossidi solidi - SOFC
dello ione ossigeno, determinando condizioni operative
diverse per la cella elettrochimica. Le diverse tipologie
di celle che ne risultano sono normalmente classificate
in base al tipo di elettrolita utilizzato. Attualmente si
distinguono cinque classi principali di celle a combustibile: a) a elettrolita alcalino (AFC, Alkaline Fuel Cell);
b) a elettrolita a membrana a trasporto protonico (PEMFC,
Proton Exchange Membrane Fuel Cell); c) a elettrolita
ad acido fosforico (PAFC, Phosphoric Acid Fuel Cell);
d ) a elettrolita a carbonati fusi (MCFC, Molten Carbonate Fuel Cell); e) a elettrolita a ossidi solidi (SOFC,
Solid Oxide Fuel Cell).
I primi tre tipi sono indicati anche come celle a combustibile funzionanti a bassa temperatura, gli ultimi due
come celle funzionanti a temperatura medio-alta. Alcune caratteristiche sono riportate nella tab. 1.
Il sistema e i suoi componenti
Nella fig. 4 si riporta lo schema di principio di un
sistema di celle a combustibile. Il cuore del sistema è la
sezione di generazione di potenza contenente lo stack
costituito dalle singole celle e dai piatti di interconnessione. Si tratta della parte centrale del sistema intorno al
quale è costruito il cosiddetto BOP (Balance Of Plant)
che contiene le strutture necessarie al suo funzionamento
e che può avere una complessità notevole. Concettualmente il BOP è costituito come illustrato di seguito.
fig. 4. Schema
di un sistema di celle
a combustibile.
combustibile
Applicazioni
Generazione stazionaria, unità da qualche
kW a qualche MW
Apparecchiature per il processamento del combustibile ( fuel processing). Queste apparecchiature sono finalizzate per rendere il combustibile adatto ad alimentare lo
stack. Il tipo di operazioni necessarie dipende dal tipo di
cella a combustibile. Se è necessario alimentare lo stack
con idrogeno a elevata purezza, come nel caso delle
PEMFC, il combustibile (gas naturale o idrocarburi liquidi) dovrà essere privato di quei composti che possono avvelenare il sistema catalitico della cella: tra questi i più comuni sono i composti solforati e il monossido di carbonio.
Sarà quindi necessaria una fase di desolforazione del combustibile seguita da una fase di trasformazione (in genere steam reforming) e da una fase di pulizia del gas sottoposto a reforming (gas cleaning). Al termine di questo
processo i combustibili saranno stati trasformati in idrogeno di elevata purezza, privo soprattutto di zolfo e monossido di carbonio. Le condizioni di processamento del combustibile sono meno severe nel caso di celle a combustibile quali le MCFC o le SOFC funzionanti a temperatura
medio-alta (⬎600 °C), per le quali esiste la possibilità di
utilizzare come combustibile non solo l’idrogeno ma anche
il monossido di carbonio che viene ossidato a biossido di
carbonio nel compartimento anodico della cella. Nel caso
di SOFC funzionanti al di sopra di 700-750 °C esiste la
possibilità di uno steam reforming interno, almeno parziale. Se si vogliono usare combustibili liquidi, questi
devono essere sottoposti a un reforming completo.
acqua e calore
emissioni pulite
calore cogenerato
processore del
combustibile
gas ricco in
idrogeno
sezione di
potenza
corrente
continua
trasformatore
corrente
alternata
aria
478
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
Apparecchiature per la trasformazione della corrente elettrica prodotta (power conditioning). La corrente
prodotta dal sistema è una corrente continua, con caratteristiche (intensità, tensione) che dipendono dall’assemblaggio in serie e in parallelo delle singole celle costituenti lo stack e che raramente può essere utilizzata come
tale da un carico elettrico. Nei casi più semplici può essere necessario un semplice regolatore di tensione, normalmente un invertitore (inverter DC/AC, Direct Current/Alternate Current) che la trasformi da corrente continua in corrente alternata. Nei sistemi cogenerativi (CHP,
Combined Heat and Power) il costo dell’inverter può costituire una parte significativa del costo dell’intero sistema.
Elettronica di controllo e acquisizione dati. Un moderno sistema di celle a combustibile contiene un sistema
di gestione di avviamento e di fermata (riscaldamento/raffreddamento del sistema, alimentazione dei gas),
di controllo e gestione delle condizioni di marcia (inclusi i sistemi di allarme). Infine devono essere acquisiti i
dati più significativi del funzionamento: parametri elettrici, termici, alimentazione dei gas.
Apparecchiature ausiliarie. Per il funzionamento del
sistema è necessario un insieme di apparecchiature ausiliarie riguardanti: a) alimentazione e movimentazione
dei gas: pompe, soffianti, compressori, apparecchiature
di riciclo quali eiettori per i gas esausti che si trovano a
elevata temperatura; b) scambiatori di calore per il preriscaldamento dei gas alimentati allo stack ottenuto utilizzando i gas esausti; c) sistemi di raffreddamento, soprattutto nel caso di sistemi che funzionano a bassa temperatura quali le PEMFC, nelle quali il calore di reazione
deve essere smaltito per evitare surriscaldamenti interni; d) organi di controllo quali valvole, regolatori di pressione, flussimetri.
Caratteristiche elettriche
Il bilancio energetico di una cella a combustibile può
essere espresso schematicamente (Larminie e Dicks,
2000) dalla relazione:
[1]
DGf ⫽⫺2FE
dove DGf è la variazione dell’energia libera molare di
Gibbs tra prodotti e reagenti nella reazione complessiva
della cella a combustibile (H2⫹1/2O2⫺ H2O); E è la
forza elettromotrice della cella a combustibile; F è la
costante di Faraday, pari a 96.485 C mol⫺1; il termine
2FE esprime il lavoro elettrico fatto per trasportare gli
elettroni (due nel caso dell’equazione considerata).
Dalla [1] può essere calcolata la forza elettromotrice del sistema:
䉴
[2]
E⫽⫺DGf Ⲑ2F
I valori DGf possono essere calcolati per diversi valori della temperatura e diversi stati (liquido o gassoso) dei
prodotti e dei reagenti.
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
Se si assume che non vi siano perdite nel sistema, o
che la trasformazione sia reversibile, si può ottenere il
valore della tensione a circuito aperto Voc . Per esempio,
nel caso di una cella a combustibile che opera a 200 °C,
il valore di DGf è pari a ⫺220 kJ da cui si ricava che:
[3]
Voc ⫽220.000/(2 ⭈96.485) ⫽1,14 V
Efficienza e limiti
Per definire l’efficienza di una cella a combustibile
si mette a confronto il contenuto termico del combustibile con l’energia elettrica prodotta, si confronta cioè l’energia che sarebbe possibile ottenere con un normale
processo di combustione con l’energia elettrica prodotta nella trasformazione elettrochimica. Occorre considerare, quindi, la variazione dell’entalpia molare di formazione DHf tra i prodotti e i reagenti. Il valore di questa grandezza deve essere definito in relazione allo stato
fisico (liquido o gassoso) dei composti.
Così, per esempio, a 25 °C e 1 bar, nel caso della reazione H2⫹1/2O2⫺ H2O (vapore), il valore di DHf è di
⫺241,83 kJ/mol; nel caso della reazione H2⫹1/2O2⫺H2O
(liquido), il valore di DHf è di ⫺285,84 kJ/mol.
Il più grande fra i due valori viene indicato normalmente come HHV (Higher Heating Value), il più piccolo come LHV (Lower Heating Value); la differenza tra i
due valori, pari a 44,01 kJ/mol, è il calore latente di evaporazione dell’acqua.
Sulla base di quanto detto, la massima efficienza della
cella a combustibile sarà:
䉴
䉴
[4]
hmax ⫽DGf /DHf
Si può osservare che, poiché la variazione dell’energia libera di Gibbs diminuisce con la temperatura, anche
l’efficienza massima diminuisce con la temperatura e,
quindi, celle a combustibile che lavorano a temperatura
più bassa sembrerebbero energeticamente favorite. In
realtà bisogna considerare che le perdite energetiche del
processo elettrochimico diminuiscono con l’aumentare
della temperatura e che è vantaggioso disporre di un calore cogenerato a temperatura più alta.
La massima tensione a circuito aperto (Voc) ottenibile da una cella a combustibile dipende dalla massima
efficienza del processo elettrochimico.
Se si assume che hmax⫽1, dalla [4] si ottiene che
DGf ⫽DHf e, quindi, la [2] diventa:
[5]
E ⫽⫺DHf Ⲑ2F
La massima tensione a circuito aperto ottenibile è
quindi pari a 1,48 V se si usa il HHV e pari a 1,25 V se
si usa il LHV. Il confronto fra il valore di Voc misurato e
quello massimo teorico fornisce una indicazione dell’efficienza di cella. Nel caso che si usi il HHV:
[6]
hmax ⫽Voc Ⲑ1,48
479
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
Per una valutazione più accurata bisogna considerare che non tutto il combustibile alimentato viene trasformato nel processo elettrochimico. Per tenerne conto
si deve introdurre il coefficiente di utilizzo del combustibile uf definito come:
uf ⫽combustibile che ha reagito/
combustibile alimentato
[7]
h ⫽uf Voc Ⲑ1,48
Effetto della pressione e della concentrazione
dei gas
L’energia libera di Gibbs non dipende solo dalla
temperatura ma anche dall’attività dei reagenti e dei
prodotti. Quest’ultima, poiché le specie chimiche coinvolte nel processo elettrochimico sono in genere allo
stato gassoso, può essere espressa in termini di pressione parziale dei composti che prendono parte alla reazione.
Nel caso della reazione H2⫹1/2O2⫺ H2O (vapore),
la variazione dell’energia libera diventa (Larminie e
Dicks, 2000):
䉴
[9]
DGf ⫽DG°f ⫺RT ⭈ln[( pH2 ⭈p1/2
O2 )ⲐpH2O]
dove DG°f è la variazione di energia libera a pressione
standard, T la temperatura, R la costante dei gas, pH2, pO2
e pH2O sono le pressioni parziali dell’idrogeno, dell’ossigeno e dell’acqua (vapore) che dipendono dalla loro
frazione molare nella miscela di gas.
L’espressione della forza elettromotrice diventa:
[10]
E ⫽E0 ⫹RTⲐ2F ⭈ln[( pH2 ⭈p1/2
O2 )ⲐpH2O]
dove E0 è la forza elettromotrice in condizioni standard.
La [10] è una forma dell’equazione di Nernst.
Misure e condizioni operative
Quando si misurano le prestazioni delle celle a combustibile si osservano in pratica valori inferiori, anche in
modo notevole, rispetto a quelli attesi in base alle equazioni precedenti; in particolare la tensione a circuito aperto (Voc) cala progressivamente quando la cella eroga corrente e oltre certi limiti di densità di corrente la tensione di cella diminuisce molto rapidamente.
Questo comportamento non è lo stesso per tutti i
tipi di celle a combustibile. Se si confrontano le prestazioni di una PEMFC, che lavora a circa 80 °C, con
quello di una SOFC, che lavora a 950-1.000 °C, si osserva che l’abbassamento della tensione quando si inizia
a erogare corrente è meno brusco nel caso della SOFC
che non nel caso della PEMFC. Le figg. 5 e 6 mostrano l’andamento della tensione per una cella funzionante, rispettivamente, a bassa e ad alta temperatura,
inoltre sono riportati l’andamento della tensione misurata e quello della tensione nel caso di un comportamento ideale. Come già osservato nelle sezioni precedenti, nonostante la tensione attesa sia più alta in una
1,4
fig. 5. Curva di densità
tensione pari a 1,2 V in assenza di ‘perdite’
1,2
anche la tensione a circuito aperto è inferiore
al valore teorico in assenza di ‘perdite’
1
tensione (V)
di corrente/tensione
di una cella a combustibile
funzionante a bassa
temperatura. Confronto
fra l’andamento ideale
(in alto) e l’andamento
reale (in basso).
E ⫽E0 ⫹RTⲐ2F ⭈ln[(a ⭈ b1/2)Ⲑd]⫹
(RT/4F) lnp
[11]
dove a, b e d sono rispettivamente le frazioni molari di
idrogeno, ossigeno e vapor d’acqua e p è la pressione del
sistema.
Se la pressione di esercizio dei gas di un sistema di
celle a combustibile, per esempio nel caso di un sistema
SOFC funzionante a 1.000 °C, viene incrementata da p1
a p2, si dovrebbe misurare (Bevc, 1997), in base alla [11],
una variazione di tensione data da DV⫽(RT/4F)ln( p2Ⲑp1).
L’efficienza di cella diventa allora:
[8]
Se le pressioni parziali dell’idrogeno, dell’ossigeno
e dell’acqua (vapore) vengono espresse in funzione delle
loro frazioni molari, la [10] può essere scritta come:
brusca caduta iniziale della tensione
0,8
regione con lenta caduta della tensione
e andamento quasi lineare
0,6
brusca caduta della tensione ad
alti valori della densità di corrente
0,4
0,2
0
0
200
400
600
densità di corrente
480
800
1.000
(mA/cm2)
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
1,2
fig. 6. Curva di densità
tensione pari a 1,0 V in assenza di ‘perdite’
1
caduta iniziale della tensione molto contenuta
con valori a circuito aperto quasi uguali a quelli teorici
0,8
tensione (V)
di corrente/tensione
di una cella a combustibile
funzionante a 800 °C.
Confronto fra l’andamento
ideale (in alto)
e l’andamento reale
(in basso).
grafico con andamento quasi lineare
0,6
brusca caduta della tensione ad
alti valori della densità di corrente
0,4
0,2
0
0
200
400
600
densità di corrente
cella che lavora a bassa temperatura, la tensione operativa è in genere più alta se si lavora ad alta temperatura, a causa di minori cadute di tensione o irreversibilità del sistema.
Lo scostamento dal comportamento ideale evidenziato dalle curve delle figg. 5 e 6 può essere dovuto a
quattro cause principali.
Perdite per attivazione. Sono causate dalla lentezza
con cui avvengono le reazioni alla superficie dell’elettrodo: parte della tensione prodotta viene persa per innescare la reazione chimica che trasferisce elettroni all’elettrodo o dall’elettrodo.
Porosità residua dell’elettrolita. La causa è una porosità residua dell’elettrolita che, idealmente, dovrebbe
essere permeabile solo agli ioni (protoni, ioni ossigeno
od ossidrili, ecc.) che vengono trasportati tra gli elettrodi. Non bisogna dimenticare che l’elettrolita deve essere un conduttore ionico e non un conduttore elettronico:
una sua conducibilità elettronica residua o una piccola
diffusione di combustibile attraverso l’elettrolita possono determinare un abbassamento del valore della tensione a circuito aperto.
Perdite ohmiche. Si determina una caduta di tensione quando esistono resistenze elettriche significative
all’interno degli elettrodi o nelle interfacce di connessione (per esempio, elettrodo/piatto di interconnessione,
elettrodo/elettrolita). Queste cadute di tensione sono di
solito proporzionali alla densità di corrente.
Perdite per concentrazione o trasporto di massa. Queste perdite possono essere il risultato di variazioni nella
concentrazione dei reagenti alla superficie degli elettrodi man mano che il combustibile (o il comburente) viene
consumato nella reazione elettrochimica. La causa è in
genere un trasporto insufficiente delle specie che reagiscono alla superficie dell’elettrodo.
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
800
1.000
(mA/cm2)
Distinguere il contributo delle diverse possibili cause
alla riduzione delle prestazioni della cella ha una notevole importanza diagnostica che può consentire di individuare difetti di varia origine. I metodi utilizzati per
questa attività diagnostica sono basati sulla spettroscopia di impedenza o sulla tecnica dell’interruzione
di corrente.
La spettroscopia di impedenza consiste nel far passare una corrente a frequenza variabile attraverso la cella,
misurare la tensione e calcolare l’impedenza del circuito
(Wagner et al., 1998). Il comportamento della cella è
modellizzato facendo ricorso a circuiti equivalenti contenenti resistenze e capacità. Visualizzando su un grafico l’impedenza in funzione della frequenza è possibile
determinare i valori dei componenti del circuito equivalente che meglio riproducono il comportamento della cella.
Il metodo può consentire di distinguere fra le diverse cause di caduta delle prestazioni della cella a combustibile.
La tecnica dell’interruzione di corrente è basata sulla
valutazione della velocità e del modo con cui la tensione, misurata in corrispondenza a una certa densità di corrente, ritorna al valore della tensione a circuito aperto
dopo una brusca interruzione della corrente ottenuta aprendo il circuito: in pratica viene misurato il tempo di rilassamento della tensione (Lee et al., 1998). La tecnica è
adatta a una rapida valutazione qualitativa delle caratteristiche di cella e si presta anche a un’analisi accurata, in
particolare per le perdite ohmiche e per attivazione.
Nella fig. 7 si riporta una tipica curva di rilassamento
della tensione dopo interruzione della corrente per una
SOFC funzionante a 700 °C. Subito dopo l’interruzione della corrente la tensione aumenta quasi istantaneamente di un valore Vr, corrispondente all’annullamento
di una perdita ohmica. Il rilassamento della tensione
procede più lentamente per un valore Va, corrispondente
481
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
Combustibili fossili e rinnovabili
Fuel processing
Uno degli aspetti chiave per lo sviluppo e l’affermazione della tecnologia delle celle a combustibile consiste nella possibilità di sfruttare il gas naturale o, più in
generale, gli idrocarburi come fonte di idrogeno.
Lo schema di fig. 8 indica le opzioni tecnologiche,
filiera per filiera, adottabili per alimentare un sistema di
celle a combustibile che utilizzi gas naturale o un liquido derivato dalla sua conversione quale il metanolo.
tensione (V)
5.5.3 Combustibili
Per questo tipo di soluzione occorre integrare l’unità
di generazione di potenza (stack) con un’unità di trattamento del combustibile fossile (per esempio, steam reforming od ossidazione parziale).
Nella tab. 2 sono indicati i principali combustibili,
oltre all’idrogeno e al gas naturale, comunemente citati
per l’impiego in celle a combustibile.
I combustibili liquidi considerati, e soprattutto il metanolo (che può derivare dalla conversione di gas naturale), sono presi in considerazione per un’utilizzazione in
località remote o comunque non collegate a una rete di
distribuzione del gas. In particolare, il metanolo offre
anche discreti vantaggi in termini di facilità di reforming,
per la più bassa temperatura di decomposizione in H2 e
CO rispetto al gas naturale.
La tipologia e la complessità dello stadio di trattamento del combustibile variano non solo in funzione del
combustibile alimentato, ma anche a seconda del tipo di
cella a combustibile e, quindi, delle specifiche richieste
per il gas di alimentazione.
Inoltre nelle filiere MCFC e SOFC, caratterizzate da
elevata temperatura di esercizio, è concettualmente possibile, nel caso si utilizzi gas naturale, far avvenire la reazione di reforming direttamente all’interno della camera di reazione anodica (reforming interno).
Va
Vr
tempo (s)
fig. 7. Test dell’interruzione di corrente per una SOFC
funzionante a 700 °C ( j⫽100 mA/cm2).
La scala adottata è: 0,02 s/divisione, 1 V/divisione.
a una perdita per attivazione. Si può osservare che, nel
caso di questa cella a combustibile, la perdita ohmica
costituiva il fattore predominante della riduzione delle
prestazioni.
tab. 2. Confronto tra i vari combustibili per celle a combustibile
Combustibili
482
Vantaggi
Svantaggi
Idrogeno
Emette solo vapor d’acqua
Alta efficienza
Ottenibile da fonti rinnovabili e da fonti non rinnovabili
(per esempio, gas naturale, idrocarburi)
Costo di produzione elevato
Difficile trasporto e stoccaggio
Bassa energia specifica
GPL
(C3-C4)
Facile trasporto e stoccaggio
Gassoso a 1 bar, liquido a pressioni di 10 bar
Non contiene zolfo (prodotto dal topping)
Alte temperature di reforming
(reforming autotermico)
Gas naturale
Costo contenuto (combustibile primario)
Ampia disponibilità
Alte temperature di reforming
Necessità di gas cleaning (zolfo)
Gas da biomasse
Fonte di energia rinnovabile
Impatto positivo sull’effetto serra rispetto
ai combustibili fossili
Composizioni variabili
Richiede processo di purificazione
Metanolo
Facile trasporto e stoccaggio
Reforming a basse temperature
Ottenibile da combustibili fossili e biomasse
Costo elevato di produzione
Tossicità
Solubilità in acqua
Cherosene
Facile trasporto e stoccaggio
Infrastrutture parzialmente esistenti
Composti inquinanti (zolfo)
Reforming difficoltoso
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
fig. 8. Schema
di utilizzazione del gas
naturale per diverse
tipologie di celle
a combustibile.
steam reforming
800 °C
shift
450 °C, 250 °C
PAFC
200 °C
energia per uso
residenziale,
cogenerazione
steam reforming
800 °C
MCFC 650 °C
SOFC 950 °C
cogenerazione
piccola scala
reforming
interno
⬎700 °C
MCFC 650 °C
SOFC 950 °C
produzione
metanolo
steam reforming
800 °C
shift
450 °C, 250 °C
PAFC 200 °C
PEMFC 90 °C
steam reforming
800 °C
shift
450 °C, 250 °C
idrogeno puro
processo di
eliminazione
CO2
PEMFC 90 °C
gas naturale
Requisiti
I catalizzatori anodici pongono severe limitazioni
circa la presenza di impurezze e composti che potrebbero determinare un decadimento delle prestazioni. Per
esempio, la presenza di monossido di carbonio, anche in
tracce (dell’ordine delle decine di ppm), è incompatibile con i catalizzatori al platino delle PEMFC. Ciò impone soluzioni notevolmente sofisticate per il sistema considerando che anche la presenza di composti contenenti zolfo, o nel gas naturale o in combustibili liquidi, non
è tollerata da questi catalizzatori.
Le celle a combustibile funzionanti a più alta temperatura (MCFC e SOFC) non risentono della presenza
di monossido di carbonio, ma rimane comunque il problema dei composti solforati.
energia per uso
residenziale
e remoto
Nella tab. 3 sono riportate le specifiche del combustibile per le principali classi di celle a combustibile (Larminie e Dicks, 2000).
Al fine di assicurare la massima stabilità nel tempo
del catalizzatore anodico di MCFC e SOFC la tendenza
è di desolforare il combustibile sino a quantità residue
non superiori a 0,1 ppm.
Un altro aspetto di cui si deve tenere conto è quello
che riguarda la tollerabilità a variazioni di composizione. Nel caso del gas naturale ciò è soprattutto da riferire
a tenori variabili di idrocarburi più pesanti del metano
(etano, propano, butano) che dipendono dalle aree di provenienza del gas naturale (GN). Si riporta nella tab. 4
la composizione di GN di diversa origine (Larminie e
Dicks, 2000).
tab. 3. Specifiche del combustibile per le principali classi di celle a combustibile
Composto
PEMFC
AFC
PAFC
MCFC
SOFC
H2
Combustibile
Combustibile
Combustibile
Combustibile
Combustibile
CO
Veleno
Veleno
Veleno
Combustibile
Combustibile
CH4
Diluente
Diluente
Diluente
Combustibile
Combustibile
CO2 + H2O
Diluente
Veleno
Diluente
Diluente
Diluente
Veleno
(⬍50 ppb)
ND
Veleno
(⬍50 ppm)
Veleno
(⬍0,5 ppm)
Veleno
(1,0 ppm)
S (H2S, COS)
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
483
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
tab. 4. Composizione di GN di diversa origine (valori in % vol, salvo dove diversamente indicato)
Componente
Mare del Nord
Qatar
Olanda
Pakistan
Ekofisk
Indonesia
CH4
94,86
76,6
81,4
93,48
85,5
84,88
C2H6
3,90
12,59
2,9
0,24
8,36
7,54
2,38
0,4
0,24
2,85
1,60
0,04
0,86
0,03
C3H8
0,15
i-C4H10
0,11
n-C4H10
0,21
C5+
0,02
0,01
0,06
0,12
0,41
0,22
1,82
N
0,79
0,24
14,2
4,02
0,43
4,0
S
4 ppm
1,02
1 ppm
N/A
30 ppm
2 ppm
La criticità derivante dalla presenza di idrocarburi
più pesanti del metano si può risolvere con l’adozione
di una unità di prereforming.
Desolforazione
Il sistema di trattamento del combustibile è integrato, in tutti i tipi di celle a combustibile, con uno o più
stadi di desolforazione.
I due sistemi principali di desolforazione impiegati
sono l’hydrodesulphurization (HDS) e l’impiego di cartucce adsorbenti.
Nel primo caso i principali catalizzatori per lo stadio
di idrogenolisi (350-400 °C) dei composti solforati sono
ossidi di nichel-molibdeno od ossidi di cobalto-molibdeno. Durante questo stadio si ha formazione di H2S che
viene successivamente abbattuto mediante adsorbimento su letto a ossido di zinco.
Nel caso di desolforazione mediante cartucce adsorbenti sono utilizzati carboni attivi oppure altri mezzi, fra
i quali setacci molecolari.
temperatura (con conseguente maggiore resistenza del
catalizzatore all’avvelenamento), la versatilità (possibilità di processare diversi tipi di combustibile).
Gli svantaggi del processo sono dati dalla difficoltà
di integrazione con la cella a combustibile a causa dell’alta temperatura del reformer; inoltre, nel caso di integrazione con celle a combustibile PEMFC, occorrono
ulteriori stadi per l’abbattimento del monossido di carbonio (reazione di shift, ossidazione, metanazione).
Generalmente l’unità di conversione del combustibile si compone di più stadi in cascata (per esempio,
reforming, shift).
Ossidazione parziale e reforming autotermico
Nel caso dell’ossidazione parziale il combustibile
reagisce con ossigeno (generalmente si immette aria per
ovviare al maggior costo dell’ossigeno puro). Il processo si caratterizza per le alte temperature di esercizio (9001.000 °C) raggiunte in tempi brevi (⬍1 minuto), inoltre
presenta il vantaggio di non richiedere acqua di processo. La reazione è: idrocarburo⫹aria⫺H2⫹CO⫹N2 (catalizzatore Ni/Al2O3).
I vantaggi del processo sono l’assenza di acqua nella
miscela di alimentazione, la compattezza del sistema,
l’alta temperatura (con conseguente migliore resistenza
del catalizzatore rispetto a composti inquinanti, in particolare nei confronti dello zolfo).
Gli svantaggi del processo sono dati dall’effetto
diluizione (dovuto all’azoto in uscita) che abbassa l’efficienza del sistema, dal profilo di temperatura disomogeneo all’interno del reattore e dalla necessità di
ulteriori processi per l’abbattimento del monossido di
carbonio.
Nel caso del reforming autotermico vengono, in pratica, combinati i due processi già visti: lo steam reforming,
nel quale la produzione di idrogeno è di quattro moli di
idrogeno per mole di metano, e l’ossidazione parziale,
䉴
Steam reforming
Lo steam reforming è un processo basato su una reazione endotermica tra idrocarburo e vapor d’acqua (idrocarburo⫹H2O⫺ H2⫹CO), il catalizzatore è Ni/Al2O3,
la temperatura di reazione è nell’intervallo di 600-800
°C, il rapporto tra vapore e carbonio (S/C, steam/carbon)
nel gas di alimentazione è intorno a 2 (l’eccesso di vapor
d’acqua è usato per evitare fenomeni di deposizione di
carbonio). Essendo la miscela in uscita ricca di vapor
d’acqua è usualmente presente, a valle del reattore di
reforming, un’unità di shift (reazione esotermica
CO⫹H2O⫺ H2⫹CO2) a temperatura medio/bassa (400
°C), che consente l’ulteriore produzione di idrogeno e la
riduzione della quantità di monossido di carbonio.
I vantaggi del processo sono la maggiore produzione di idrogeno rispetto ad altri processi, l’elevata
䉴
䉴
484
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
nella quale la produzione di idrogeno è al meglio di tre
moli di idrogeno per mole di metano. Nel reforming autotermico si alimenta il reattore con gas naturale, vapor d’acqua e aria. Il processo è definito autotermico in quanto
l’ossidazione parziale del combustibile fornisce l’energia termica per farlo funzionare. La quantità di idrogeno
prodotto assume valori intermedi tra quelli dello steam
reforming e quelli dell’ossidazione parziale e dipende dal
rapporto aria/vapore adottato per la miscela. La reazione
complessiva è: idrocarburo⫹H2O⫹aria⫺ H2⫹CO⫹N2
(catalizzatore Ni/Al2O3).
I vantaggi del processo sono: a) la possibilità di seguire variazioni di carico richiesto allo stack maggiori rispetto al processo di steam reforming, in quanto si raggiungono elevate temperature in breve tempo sfruttando la
combustione parziale del combustibile in entrata al reattore; b) l’elevata uniformità della temperatura nel reattore con assenza di scambio di calore tra le varie zone
del letto catalitico (reattore adiabatico); c) le alte temperature di esercizio (1.000 °C) che rendono il catalizzatore (Ni/Al2O3) più resistente allo zolfo; d ) l’assenza
di depositi carboniosi.
Gli svantaggi del processo sono: un effetto di diluizione dovuto a gas inerti come azoto e metano che deprimono l’efficienza della cella a combustibile; una produzione di idrogeno inferiore a quella dello steam reforming; la necessità di una ulteriore fase per l’abbattimento
del monossido di carbonio.
Tutti i processi descritti sono stati sviluppati per applicazioni nell’industria petrolchimica (produzione del gas
di sintesi) e sono caratterizzati da taglie elevate. Nell’applicazione alle celle a combustibile, paradossalmente,
il loro punto critico consiste nella necessità di uno scale
down alle dimensioni relativamente piccole di questi
dispositivi.
Un altro elemento di criticità è la richiesta di flessibilità di esercizio nell’erogazione del prodotto del reforming, nel caso in cui il sistema di generazione debba
adeguarsi a variazioni di carico. Sotto questo profilo l’orientamento sempre più diffuso è però quello di configurare il sistema di generazione per una erogazione stazionaria di energia, in parallelo con la rete principale.
䉴
5.5.4 Celle a combustibile
funzionanti
a bassa temperatura
Proton Exchange Membrane Fuel Cell (PEMFC)
Le prime celle a combustibile PEMFC, chiamate
anche PEFC (Polymer Electrolyte Fuel Cell) o SPEFC
(Solid Polymer Electrolyte Fuel Cell) sono state sviluppate da General Electric (Stati Uniti) negli anni Sessanta per applicazioni nelle prime missioni spaziali con equipaggio umano (Warshay e Prokopius, 1990).
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
Questi dispositivi si raccomandavano per compattezza, possibilità di funzionare a bassa temperatura
(⬍80 °C), assenza di liquidi corrosivi e, a differenza
delle celle fotovoltaiche, possibilità di funzionare indipendentemente dall’orientazione nello spazio. Queste
caratteristiche sembravano rendere le PEMFC il candidato ideale per le applicazioni spaziali; tuttavia, dopo
le prime applicazioni, la NASA decise di impiegare
nelle missioni Apollo le celle alcaline (AFC, Alkaline
Fuel Cell), ritenute più affidabili e di uso più semplice. Tra i difetti attribuiti alle PEMFC, oltre a una durata limitata, che allora non superava le 500 ore, vi è
soprattutto una gestione complicata dell’acqua contenuta nella membrana polimerica, indispensabile per la
sua funzionalità.
In seguito General Electric decise di non sviluppare
ulteriormente le PEMFC sino alla commercializzazione
anche a causa dei costi elevati, dovuti soprattutto all’impiego di platino negli elettrodi, e di puntare piuttosto
sullo sviluppo di celle ad acido fosforico (PAFC, Phosphoric Acid Fuel Cell).
Lo sviluppo delle PEMFC rimase così in sospeso
fino all’inizio degli anni Ottanta quando, soprattutto per
l’interesse di Ballard Power Systems (Canada) e del Los
Alamos National Laboratory (Stati Uniti) ci fu un rinnovato interesse per lo sviluppo di questi dispositivi
(Warshay e Prokopius, 1990). Da allora i progressi sono
stati notevoli e hanno portato a un incremento della densità di potenza che ha raggiunto e superato 1 A/cm2, e
a una riduzione notevolissima del contenuto di platino
negli elettrodi. Grazie a questi miglioramenti sostanziali il costo per kW si è abbassato molto e le PEMFC
sono ora proposte per applicazioni veicolari, per l’alimentazione di apparecchiature portatili e per la generazione stazionaria.
Sviluppo della tecnologia
Nella fig. 9 è riportato lo schema di principio di una
cella a combustibile PEMFC.
In questi dispositivi l’elettrolita è costituito da una
membrana polimerica selettiva per lo ione idrogeno che
viene trasportato dal compartimento anodico a quello
catodico dove reagisce con l’ossigeno per produrre acqua.
Il polimero adottato da General Electric per la membrana polimerica è stato il Nafion (brevetto DuPont), costituito da polietilene fluorurato e solfonato. Questa scelta si è conservata anche in seguito e il Nafion è tuttora
uno standard nella costruzione delle celle PEMFC.
La reazione all’anodo è: 2H2⫺ 4H⫹⫹4e⫺; al catodo l’ossigeno cede elettroni all’elettrodo e reagisce con
il protone secondo la reazione: O2⫹4e⫺⫹4H⫹⫺ 2H2O.
L’insieme catodo/elettrolita/anodo, indicato con la
sigla MEA (Membrane Electrode Assembly), costituisce
la struttura base della cella ed è un foglio sottile che può
essere assemblato su piatti bipolari a costituire più celle
䉴
䉴
485
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
e⫺
idrogeno
O2
H+
H2
aria
O2
H+
H2
O2
H+
H2
H2O
H+
H2
anodo
O2
H2O
H2O
H2O
catodo
elettrolita
fig. 9. Schema di principio di una cella
a combustibile PEMFC.
in serie. Lo spessore ridotto del MEA lascia intravedere
la possibilità di realizzare dispositivi compatti, caratterizzati da un avviamento rapido grazie alla bassa temperatura di funzionamento della membrana polimerica.
Le prestazioni massime della singola cella sono dell’ordine di 1 A/cm2 a 600 mV con efficienza che varia
dal 35 al 45%. La durata dei dispositivi va da 3.000-4.000
sino a 7.000 ore.
porosa elettricamente conduttrice, in genere tela o carta
di carbonio. Questa struttura porosa svolge anche la funzione di diffusore del gas nel catalizzatore.
Viene usato spesso il PTFE (politetrafluoro etilene)
come legante del catalizzatore supportato e anche per
realizzare uno strato idrofobico che faciliti l’espulsione
dell’acqua alla superficie dell’elettrodo dalla quale evapora. L’elettrodo è poi fissato mediante pressatura a caldo
sulla superficie della membrana polimerica e costituisce il MEA, assemblato elettrolita/elettrodi (Lee, 1998).
In alternativa gli elettrodi possono essere costruiti
direttamente sulla membrana elettrolitica utilizzando tecniche di rullatura o spraying (Bevers et al., 1998; Giorgi et al., 1998).
Con il progredire della tecnologia di fabbricazione,
la quantità di platino utilizzata per ottenere gli elettrodi
si è ridotta di oltre un fattore 100, passando dai valori
iniziali di circa 28 mg/cm2 a circa 0,2 mg/cm2. Ciò ha
determinato una contemporanea riduzione dell’incidenza del platino sul costo totale. Si calcola che oggi, nel
caso di uno stack PEMFC da 1 kW, il costo del platino
incida per una piccola quantità rispetto al totale.
Per quanto riguarda il tipo di catalizzatore si deve
osservare che la necessità di utilizzare Pt da solo o insieme ad altri metalli nobili (per esempio, Ru o Pd) deriva
dalla bassa temperatura di funzionamento che richiede
un’attività catalitica elevata. Per questo motivo un catalizzatore costituito da un metallo non nobile non rappresenta in pratica una alternativa.
Elettrolita polimerico
I materiali più usati per la fabbricazione dell’elettrolita sono i polimeri fluorurati solfonati. Il più conosciuto di questi è il Nafion di DuPont che è stato preparato in numerose varianti a partire dagli anni Sessanta e
costituisce ancora oggi uno standard di confronto per
questa applicazione. Alcune proprietà di questo materiale, in particolare la stabilità chimica e la durata, sono
fondamentali per l’applicazione specifica. Un’altra proprietà importante è il carattere idrofobico della struttura base. Il polimero solfonato contiene regioni idrofiliche dovute alla presenza di gruppi solfonici agganciati
alla catena polimerica. I gruppi solfonici sono idratati e
consentono una certa mobilità al protone, che può essere trasportato attraverso la membrana polimerica.
La conducibilità della membrana polimerica è una
caratteristica importante ai fini della sua applicazione
nella tecnologia PEMFC. La necessità di mantenere una
quantità di acqua sufficiente per avere una conducibilità
adeguata è uno dei motivi, oltre alla stabilità, per i quali
la temperatura di funzionamento di una PEMFC deve
essere mantenuta inferiore a 90 °C.
Elettrodi
Gli elettrodi delle celle PEMFC sono realizzati in
platino supportato su carbonio fissato su una struttura
486
Acqua e umidificazione
A causa della bassa temperatura di esercizio all’interfaccia catodo/elettrolita si produce acqua allo stato
liquido, che deve essere allontanata per evitare fenomeni di occlusione e quindi un aumento delle perdite di carico al passaggio del gas ossidante.
Per contro l’elettrolita polimerico, anche se solido, deve mantenere un elevato grado di umidità nella
matrice polimerica per conservare alti valori della conducibilità.
Le condizioni operative (con temperature intorno a
80 °C) determinano un progressivo impoverimento dell’acqua all’interno dell’elettrolita polimerico. Oltre a un
effetto di evaporazione si ha anche un impoverimento di
acqua, principalmente nell’interfaccia anodo/elettrolita,
dovuto a un effetto di trascinamento da parte del protone. In seguito a questo trascinamento elettro-osmotico
da 1 a 2,5 molecole d’acqua si spostano insieme al protone dallo scompartimento anodico a quello catodico
(Zavodzinski et al., 1993; Larminie e Dicks, 2000). Per
superare questo inconveniente il sistema deve essere completato con un opportuno sistema di gestione dell’acqua
(umidificatore, sistema di riciclo che riutilizza l’acqua
prodotta al catodo) e ciò comporta un aumento della complessità del sistema.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
Alimentazione di combustibile e aria
In base a quanto detto una PEMFC deve essere alimentata con idrogeno puro. Sia lo zolfo sia il monossido di carbonio sono un veleno per il catalizzatore anodico a base di platino. Se fosse possibile un aumento
della temperatura di esercizio oltre 150 °C, senza conseguenze per il contenuto di acqua della membrana elettrolitica e, quindi, per la conducibilità, si otterrebbe l’effetto di aumentare le cinetiche elettrodiche e di rendere
il catalizzatore più resistente al monossido di carbonio.
In tal caso la miscela anodica potrebbe avere concentrazioni di monossido di carbonio dell’ordine dell’1% senza
fenomeni di disattivazione del catalizzatore.
Se si vuole alimentare il sistema PEMFC con idrocarburi gassosi (gas naturale) o anche liquidi è necessario predisporre un sistema di processamento del combustibile (v. par. 5.5.3) che comprenda gli stadi di desolforazione, di reforming (in genere steam reforming) e di
pulizia del gas riformato (gas cleaning) per eliminare il
monossido di carbonio in modo da ottenere, infine, idrogeno puro. Anche la necessità di queste apparecchiature ausiliarie per il processamento del combustibile complica notevolmente il sistema.
L’esigenza di umidificare la membrana polimerica
per mantenerne la conducibilità a valori accettabili rende
necessario umidificare i gas che alimentano la PEMFC;
inoltre l’acqua utilizzata deve avere sufficiente purezza.
Si utilizza per questo scopo l’acqua prodotta allo scompartimento catodico che viene condensata raffreddando
i gas catodici esausti. L’umidificazione dei gas in condizioni controllate può essere ottenuta semplicemente
iniettando acqua nebulizzata, in alternativa l’acqua può
essere iniettata direttamente in cella. Per evitare di allagare gli elettrodi, i canali di distribuzione dei gas ( flow
field) nei piatti di interconnessione devono essere progettati in modo da facilitare la dispersione e l’evaporazione dell’acqua (Wood et al., 1998).
fig. 10. A, schema
di principio
di una singola unità
PEMFC; B, disegno
schematico di uno stack
di PEMFC. PEM,
Proton Exchange
Membrane.
piatto di
distribuzione del
comburente
PEM
gas esausti
vapore
Come gas comburente può essere utilizzato ossigeno al posto dell’aria, con notevole vantaggio delle prestazioni di cella. L’uso dell’ossigeno, infatti, riduce le
perdite per attivazione in quanto conduce a un uso ottimale dei siti attivi del catalizzatore; anche le perdite per
concentrazione vengono ridotte, in quanto non si hanno
diminuzioni locali della concentrazione dell’ossigeno
disponibile al catodo, non essendovi un gas di diluizione quale l’azoto dell’aria. Questa soluzione è però limitata per motivi pratici a situazioni particolari quali quelle
delle navicelle spaziali o dei sottomarini, dove il sistema deve necessariamente funzionare isolato dall’ambiente esterno.
Stack
L’impilaggio e la connessione di singole unità danno
luogo all’unità di potenza denominata comunemente
stack. Nella fig. 10 A è riportato lo schema di principio
della singola unità costituita dalla cella polimerica più i
piatti bipolari che garantiscono il contatto elettrico e la
distribuzione del gas. Nella fig. 10 B è riportato un disegno schematico dello stack.
Nella tecnologia degli stack i piatti bipolari o di interconnessione costituiscono un fattore critico per la stabilità del dispositivo; infatti questo componente, come già
accennato, deve adempiere alle funzioni di collettore di
corrente, distributore/separatore dei gas anodici e catodici, collettore e dissipatore del calore prodotto e canalizzatore dell’acqua prodotta.
I piatti di interconnessione possono essere realizzati mediante lavorazione meccanica di semilavorati in grafite (la soluzione più comune) o di compositi carbonio/carbonio (la soluzione meno frequente). Oltre alla
lavorazione meccanica sono usate tecniche basate sullo
stampaggio a pressione o sullo stampaggio a iniezione.
Come materiale da costruzione dei piatti possono
essere usate anche leghe metalliche, che presentano lo
piatto di
distribuzione del
combustibile
flangia
assemblaggio
modulare
riciclo
combustibile
processo
elettrochimico
a bassa
temperatura
(90 °C)
raffreddamento
ad acqua 90 °C
⫹
⫺
PEMFC
idrogeno
aria
A
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
piatto
bipolare
flangia
B
487
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
svantaggio di essere più pesanti della grafite e più sensibili a fenomeni corrosivi mentre sono più idonei per
produzione di massa e costi relativi.
Sviluppo della tecnologia
La carica trasportata dall’elettrolita è lo ione ossidrile che reagisce all’anodo secondo la reazione:
2H2⫹4OH⫺⫺ 4H2O⫹4e⫺; al catodo l’ossigeno acquista elettroni dall’elettrodo e forma altri ioni ossidrili
secondo la reazione: O2⫹4e⫺⫹2H2O⫺ 4OH⫺.
L’elettrolita è costituito da una soluzione alcalina.
Viene usato di preferenza l’idrossido di potassio al posto
dell’idrossido di sodio per la maggiore solubilità del carbonato di potassio rispetto al carbonato di sodio.
Uno degli inconvenienti maggiori di questo tipo di
cella è la carbonatazione della soluzione alcalina da parte
del biossido di carbonio contenuto nell’aria (2KOH⫹
⫹CO2⫺ K2CO3⫹H2O). Con il procedere della reazione la quantità di ioni ossidrili diminuisce e ciò determina una riduzione delle prestazioni. Questo inconveniente rende necessario utilizzare aria priva di CO2 o addirittura ossigeno puro.
Nella fig. 11 si riporta lo schema di principio di una
cella a combustibile alcalina.
In pratica, in un sistema AFC l’idrogeno che alimenta
il compartimento anodico viene riciclato per mezzo di
un eiettore per motivi legati alla gestione dell’acqua che
viene prodotta all’anodo. L’idrogeno che passa attraverso il compartimento anodico fa evaporare l’acqua prodotta, la allontana e la rilascia in un condensatore dove
il vapore viene raffreddato.
L’aria che alimenta il compartimento catodico viene
purificata mediante una apparecchiatura di decarbonatazione. Le varie soluzioni ideate a questo scopo non
fanno che aumentare la complessità di un sistema che
ha i suoi punti di forza nella semplicità e nel basso
costo dei suoi componenti. In alternativa alla decarbonatazione è necessario usare ossigeno puro come
gas catodico.
䉴
Recenti sviluppi
Un posto di rilievo tra le istituzioni impegnate nello
sviluppo di sistemi PEMFC spetta a Ballard Generation
Systems (BGS), consociata di Ballard Power Systems di
Vancouver (Canada), e a Nuvera (ex De Nora Fuel Cell).
Ballard, che iniziò l’assemblaggio di stack impiegando piatti in grafite, utilizza attualmente piatti bipolari in leghe metalliche e con scanalature per la distribuzione del gas realizzate per stampaggio.
La soluzione adottata da Nuvera prevede piatti bipolari metallici configurati come cornici, che esternamente assicurano la tenuta dei gas e all’interno sono provvisti della sede per l’alloggiamento della singola cella e
dei collettori di corrente. Questi ultimi sono maglie in
alluminio che derivano dalla tecnologia degli elettrolizzatori e hanno il pregio di essere poco costosi.
L’ottimizzazione della tecnologia degli stack ha consentito a Ballard di passare dai valori di densità di potenza di 0,1 kW/l e 0,3 kW/kg dei primi dispositivi ai valori attuali di 1 kW/l e 1 kW/kg. Anche Nuvera ha fatto
molti progressi ma presenta ancora valori di densità di
potenza inferiori, pari a 0,43 kW/l e 0,27 kW/kg.
Per quanto riguarda la gestione dell’acqua, Ballard
ha messo a punto un sistema originale che consiste nell’usare un forte eccesso di aria nella camera catodica,
tale da formare un gradiente di concentrazione all’interno della cella per cui l’acqua diffonde verso l’anodo
dove l’umidificazione deve rimanere elevata. L’azienda
ha prodotto un impianto cogenerativo PEMFC che raggiunge una potenza di 250 kW.
䉴
䉴
Alkaline Fuel Cell (AFC)
Le celle a combustibile alcaline sono state sviluppate tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta in
seguito al lavoro pionieristico svolto nel Regno Unito da
F.T. Bacon, di Cambridge, e da Harry Ihrig, di AllisChambers, che ne hanno dimostrato la potenzialità proponendone l’utilizzo in vari tipi di macchine agricole e
anche nella trazione veicolare (Appleby, 1990; Gulzow,
1996). Queste celle furono in seguito utilizzate dalla
NASA nella missione spaziale Apollo che portò l’uomo
sulla luna. Successivamente ne è stata proposta l’utilizzazione in una serie di dimostrazioni che vanno da applicazioni APU (Auxiliary Power Unit) in campo marittimo alla movimentazione di carrelli elevatori. L’utilizzazione nelle missioni Apollo ha rappresentato però il
momento di maggiore successo.
In seguito, la decisione della NASA di tornare all’utilizzazione di sistemi PEMFC per i programmi spaziali ha determinato un declino dell’interesse per la tecnologia AFC, che oggi è in pratica abbandonata.
488
e⫺
H2
O2
OH⫺
H2
O2
O2
OH⫺
H2
H2O
O2
OH⫺
H2
O2
OH⫺
H2O
anodo
catodo
elettrolita
fig. 11. Schema di principio di una cella
a combustibile AFC.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
tab. 5. Strutture e condizioni operative di celle AFC
Pressione
(bar)
Temperatura
(°C)
Concentrazione
dell’elettrolita
(%)
Anodo
Catodo
Cella di Bacon
45
200
30
Ni
NiO
Apollo
3,4
230
25
Ni
NiO
Orbiter
4,1
93
35
Pt/Pd
Au/Pt
Siemens
2,2
80
–
Ni
Ag
Tipo di cella
AFC
Per l’elettrolita sono state proposte due soluzioni.
La prima prevede un riciclo della soluzione di potassio idrossido; ciò consente di controllare i problemi di
concentrazione della soluzione e della sua carbonatazione, ma pone problemi nella scelta dei materiali per
l’elevato potere corrosivo della soluzione alcalina. La
seconda soluzione prevede che l’elettrolita impregni
una matrice porosa (in genere di asbesto). Naturalmente in questo caso è necessario utilizzare ossigeno
puro come gas catodico per annullare la formazione di
carbonati.
Elettrodi
Le celle AFC possono funzionare in varie condizioni operative di pressione e temperatura come indicato
nella tab. 5.
Gli elettrodi sono preparati con diversi materiali, in
dipendenza dalle condizioni operative della cella. Bacon
utilizzò Ni poroso per l’anodo e NiO per il catodo, in
quanto intendeva realizzare un dispositivo poco costoso
e, quindi, escludeva l’impiego del platino.
Gli elettrodi porosi sono preparati prevalentemente
con due tecniche. La prima prevede la sinterizzazione di
polveri di diversa granulometria, in modo da creare una
porosità controllata. Una maggiore porosità della superficie in contatto con l’elettrolita consente una parziale
penetrazione della soluzione nella struttura elettronica,
mentre la porosità è maggiore dalla parte del gas.
La seconda tecnica prevede l’uso del metodo Raney,
che consiste nel mescolare il metallo attivo con un secondo metallo inerte (per esempio, Al) senza che però si
arrivi a una alligazione dei due metalli. Il metallo inerte viene rimosso solubilizzandolo con una soluzione corrosiva, per esempio una soluzione alcalina. Ne risulta
una porosità estremamente fine del catalizzatore.
Attualmente si tende a usare metalli supportati su
carbonio mescolati con un polimero (PTFE) che agisce
da legante. La miscela viene passata attraverso rulli e
depositata su un materiale di supporto, per esempio, una
rete di nichel. Lo sviluppo di questa tecnologia è oggi
quasi del tutto abbandonato.
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
Phosphoric Acid Fuel Cell (PAFC)
Oltre alle celle a combustibile AFC anche le celle a
combustibile ad acido fosforico funzionano a una temperatura intermedia (circa 200 °C) alla quale il calore cogenerato può essere utilizzato per riscaldamento, se non per
cicli ibridi integrati. Rispetto alle celle a combustibile funzionanti a temperature più elevate, come le MCFC e le
SOFC, le celle PAFC hanno raggiunto un maggiore sviluppo tecnologico. Esistono oggi, soprattutto negli Stati
Uniti, centinaia di sistemi PAFC di tipo cogenerativo, dotati di una potenza intorno a 200 kW e installati in basi militari, ospedali, centri commerciali, complessi industriali.
Un’attività pionieristica nello sviluppo della tecnologia PAFC è stata svolta a metà degli anni Settanta da
International Fuel Cell (Stati Uniti), che in seguito ha
originato per spin-off ONSI Corporation, attualmente il
principale produttore mondiale di sistemi PAFC.
Sviluppo della tecnologia
Nella fig. 12 è riportato lo schema di principio di una
cella a combustibile PAFC.
e⫺
2e⫺
2e⫺
ioni
idrogeno
H2
⫺
separatore
anodo
⫺
2H⫹⫹O2
1/2O2
H2O
⫹
ossigeno
acqua
prodotta
elettrolita
ad acido catodo
fosforico
serbatoio poroso
di acido
matrice
catalizzatore
fig. 12. Schema di principio di una cella
a combustibile PAFC.
489
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
All’anodo avviene la reazione 2H2⫺ 4H⫹⫹4e⫺; al
catodo l’ossigeno contenuto nel comburente, di solito
aria, acquista quattro elettroni e forma acqua con i protoni trasportati dell’elettrolita secondo la reazione O2⫹
⫹4e⫺⫹4H⫹⫺ 2H2O.
Nelle celle ad acido fosforico il meccanismo è lo stesso di quello delle celle PEMFC e l’elettrolita svolge la
funzione di trasportatore di protoni.
In questo caso l’elettrolita è costituito da acido fosforico, un acido inorganico dotato di buona stabilità termica, chimica ed elettrochimica, poco volatile al di sotto
di 150 °C (la temperatura di funzionamento delle PAFC
è intorno a 200 °C).
L’elettrolita è contenuto in una matrice porosa di materiale inerte (carburo di silicio tenuto insieme da una matrice di PTFE). Lo spessore della matrice è complessivamente di 0,1-0,2 mm, idoneo per dare stabilità meccanica alla cella e impedire il passaggio dei gas da uno
scompartimento elettrodico a quello opposto e abbastanza sottile da ridurre le perdite ohmiche.
Una caratteristica negativa dell’acido fosforico è il
suo punto di solidificazione, pari a 42 °C, che crea qualche problema a causa delle tensioni termomeccaniche
che si possono sviluppare durante le fermate e gli avviamenti delle celle. Per questo motivo i sistemi PAFC sono
di solito tenuti al di sopra di 42 °C dopo l’avviamento.
Nonostante la bassa tensione di vapore dell’acido
fosforico si verificano comunque delle perdite di elettrolita dopo lunghi periodi di funzionamento e in dipendenza delle condizioni operative: alta densità di corrente e alto flusso dei gas (con conseguente effetto di trascinamento). Si rende quindi, necessario aggiungere acido
fosforico alla cella durante il funzionamento.
La tecnologia è complessivamente ben sviluppata e
affidabile e la durata dei dispositivi ha raggiunto le 40.000
ore di funzionamento.
䉴
䉴
Elettrodi
I primi elettrodi utilizzati per le celle PAFC, come
anche quelli per le PEMFC, erano costituiti da nero di
platino legato con PTFE; in seguito sono stati sostituiti
da platino supportato su carbonio legato con PTFE. Con
lo sviluppo della tecnologia la quantità di platino nell’elettrodo è passata da circa 9 mg/cm2 a 0,1 mg/cm2 per
l’anodo e 0,50 mg/cm2 per il catodo, con evidente vantaggio per i costi. Il catalizzatore supportato su carbonio
è legato con PTFE ed è steso su foglio di carbonio poroso che svolge la funzione di struttura di sostegno e di
collettore di corrente.
I catalizzatori anodici e catodici, pur essendo a base
di platino, sono meno soggetti di quelli delle PEMFC
all’avvelenamento da monossido di carbonio, grazie a
una temperatura di funzionamento più elevata (190-200
°C), alla quale sono tollerate concentrazioni di questo
gas sino all’1%.
490
La presenza di zolfo è tollerata sino a 50 ppm. L’effetto di riduzione delle proprietà catalitiche dell’anodo
è reversibile e, comunque, può essere annullato aumentando la temperatura di funzionamento o mediante polarizzazione.
Prestazioni
Gli stack PAFC hanno struttura simile a quelli
PEMFC. I piatti di interconnessione sono normalmente
realizzati in grafite lavorata al tornio. Nuovi metodi di
preparazione prevedono strutture multistrato, con una
parte centrale impermeabile per separare i gas di due
celle adiacenti e strati porosi nelle parti esterne per facilitare il contatto tra i gas reagenti e gli elettrodi.
A causa di una temperatura di funzionamento relativamente elevata è necessario prevedere sistemi di raffreddamento ad aria o ad acqua. Si utilizzano a questo
scopo speciali piatti di raffreddamento collocati nello
stack tra i piatti di interconnessione.
La densità di corrente raggiunge valori intorno a 150400 mA/cm2. Quando si opera a pressione atmosferica
si raggiungono tensioni di 600-800 mV, simili a quelle
delle PEMFC. Le perdite per polarizzazione più rilevanti
si hanno al catodo e sono maggiori se si alimenta con
aria piuttosto che con ossigeno. Le perdite ohmiche sono
in genere piuttosto piccole.
La pressione operativa è compresa tra 1 e 10 bar.
L’aumento della pressione è utile non solo perché determina un aumento delle prestazioni, secondo la legge di
Nernst, ma anche perché riduce le perdite per polarizzazione.
La temperatura operativa può variare tra 180 e 250
°C. Come già ricordato, un aumento di temperatura riduce la tensione a circuito aperto del sistema ma migliora
le prestazioni, in quanto riduce le perdite per attivazione, le perdite ohmiche e le perdite per concentrazione.
Un innalzamento della temperatura aumenta la tolleranza del catalizzatore anodico all’avvelenamento da monossido di carbonio.
Recenti sviluppi
Tra le maggiori imprese che hanno sviluppato sistemi PAFC si deve citare ONSI Corporation (Stati Uniti)
che ha realizzato un sistema da 200 kW denominato
PC25, molto diffuso soprattutto nel mercato americano.
L’elevato numero di impianti dimostrativi installati rende
disponibile una quantità di dati operativi veramente notevole.
Sono stati installati oltre un centinaio di impianti di
potenza compresa tra 50 e 200 kW e un record è stato
raggiunto con un grande impianto da 11 MW gestito da
Tokyo Electric Power Company.
Tra le imprese giapponesi quelle che hanno maggiormente sviluppato sistemi PAFC sono Fuji Electric,
Toshiba e Mitsubishi Electric.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
La tecnologia PAFC, come già ricordato, si può considerare affidabile e ormai matura. Per poter competere
sul mercato è però necessario che il costo di questi dispositivi venga ridotto dagli attuali 3.000 $/kW ad almeno
1.500 $/kW.
carbonio all’interno della cella. L’intero sistema di processamento del combustibile è più flessibile e l’elevata
entalpia residua consente di pensare alla realizzazione
di sistemi ibridi cella a combustibile/turbina a gas che
lasciano intravedere la possibilità di sistemi di generazione elettrica a elevata efficienza.
5.5.5 Celle a combustibile
funzionanti a media e alta
temperatura
Molten Carbonate Fuel Cell (MCFC)
Sia le celle a combustibile a carbonati fusi sia quelle a
ossidi solidi sono dispositivi che lavorano ad alta temperatura, a 600-700 °C le prime e tradizionalmente a
900-1.000 °C le seconde. La loro origine sembra avere
radici comuni che si possono far risalire agli anni Trenta con gli studi svolti da E. Baur e H. Preis in Svizzera
per realizzare elettroliti a ossidi solidi. Questi studi iniziali misero in evidenza problemi dovuti alla scarsa conducibilità elettrica e a reazioni indesiderate con vari gas,
incluso il monossido di carbonio. La ricerca di elettroliti in grado di funzionare ad alta temperatura sembrò
concludersi alla fine degli anni Cinquanta con il lavoro
dei due scienziati olandesi G.H.J. Broers e A.A. Ketelaar che giunsero alla conclusione che le limitazioni proprie di questi elettroliti erano tali da non consentire progressi significativi nel breve termine. Essi decisero di
dedicarsi invece a elettroliti basati su carbonati fusi, realizzando negli anni Sessanta una cella che funzionò per
sei mesi e che usava una miscela di carbonati di litio e
sodio o di litio e potassio che impregnavano un disco
poroso di ossido di magnesio. Nello stesso periodo Bacon
lavorava a un sistema costituito da due elettrodi posti a
contatto con carbonati fusi liberi, cioè non confinati in
una matrice porosa.
Una svolta nella tecnologia delle celle a carbonati
fusi si realizzò alla fine degli anni Sessanta quando l’esercito statunitense decise di valutare alcuni dispositivi
preparati da Texas Instruments che avevano potenza compresa tra 100 e 1.000 W e che misero in evidenza prestazioni e potenzialità interessanti.
Il filone basato sullo sviluppo di elettroliti solidi non
si esaurì con le conclusioni di Broers e Ketelaar ma proseguì presso Westinghouse che riuscì a sviluppare nei
primi anni Sessanta una cella a ossidi solidi che usava
come elettroliti ossidi misti di zirconio e calcio. Più recentemente l’aumento dei prezzi dell’energia e i progressi
significativi nella tecnologia dei materiali ceramici hanno
dato un nuovo impulso alla ricerca sulle celle a combustibile a ossidi solidi.
L’interesse per queste due filiere risiede nel fatto che
l’elevata temperatura di funzionamento consente vantaggi nell’utilizzazione dei combustibili. Nei due casi il
monossido di carbonio non è più un veleno per i catalizzatori anodici ma può essere ossidato a biossido di
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
Sviluppo della tecnologia
L’elettrolita è costituito da una miscela di carbonati,
di solito di litio e di potassio, che trasporta l’ossigeno
dal compartimento catodico a quello anodico. Il trasporto
dell’ossigeno dal catodo all’anodo avviene sotto forma
di ione carbonato.
Lo schema di funzionamento è riportato nella fig. 13.
Al catodo avviene la reazione: 1/2O2⫹CO2⫹
⫹2e⫺⫺ CO32⫺; è quindi necessario che il compartimento
catodico sia alimentato con biossido di carbonio oltre
che con ossigeno. All’anodo lo ione carbonato cede ossigeno che reagisce con l’idrogeno secondo la reazione:
H2⫹CO32⫺⫺ CO2⫹H2O⫹2e⫺.
Rispetto alle altre celle a combustibile si ha l’importante differenza che è necessario fornire biossido di carbonio per far funzionare il sistema. Normalmente il biossido di carbonio prodotto all’anodo viene riciclato al compartimento catodico. Per fare ciò i gas anodici esausti
vengono inviati a un post-bruciatore che li trasforma in
acqua e biossido di carbonio. Quest’ultimo viene aggiunto a una corrente di aria e inviato al catodo. Se si segue
questa procedura il calore prodotto dalla cella a combustibile e dal post-bruciatore viene utilizzato per preriscaldare i gas da inviare in cella. In alternativa il biossido di carbonio contenuto nei gas esausti anodici può essere separato per mezzo di un separatore a membrana e
䉴
䉴
e⫺
H2, CO
O2
CO 23⫺
H2
aria, CO2
CO2
CO
O2
CO 23⫺
H2
H2O
H2O, CO2 H2O
CO 23⫺
anodo
CO2
catodo
elettrolita
fig. 13. Schema di principio di una cella
a combustibile MCFC.
491
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
riciclato al catodo. Allo stesso modo una qualunque corrente gassosa proveniente da un processo termico può
essere utilizzata a questo scopo.
La temperatura di funzionamento di una cella a combustibile a carbonati fusi è intorno a 600-700 °C, la pressione è intorno a qualche bar, la densità di potenza raggiunge valori intorno a 1 kW/m2.
Come già accennato, i sistemi MCFC sono tipicamente di tipo cogenerativo per l’elevato livello termico
del calore prodotto. La tecnologia ha raggiunto un grado
di sviluppo notevole ed esistono numerosi sistemi con
potenza di 250 kWe e oltre in fase dimostrativa a livello
mondiale. La durata di funzionamento è accreditata sino
a circa 20.000 ore e l’obiettivo di 40.000 ore è ritenuto
raggiungibile.
Elettrodi ed elettrolita
L’elettrolita comunemente utilizzato è costituito da
una miscela di carbonato di litio e carbonato di potassio,
nel rapporto ponderale di 60/40, contenuta all’interno di
una matrice porosa di g-alluminato di litio (g-LiAlO2).
La matrice e l’elettrolita hanno una grande importanza in quanto contribuiscono (per circa il 70%) alle
perdite ohmiche della cella (Yuh et al., 1992). Per ridurle è necessario diminuire lo spessore della matrice a valori intorno a 0,2-0,5 mm; bisogna però realizzare un difficile equilibrio in quanto la stabilità a lungo termine del
componente diminuisce con la riduzione dello spessore.
Oggi le matrici sono prodotte essenzialmente mediante
colaggio su nastro, come anche gli elettrodi, e raggiungono dimensioni intorno a 1 m2.
L’anodo è costituito da una struttura porosa di nichel
alligato con cromo oppure con alluminio. Lo spessore è
in genere di 0,4-0,8 mm e la porosità varia dal 55 al 75%.
Il secondo elemento, cromo o alluminio (10-20%), è
aggiunto per ridurre la tendenza dei granuli del materiale anodico a sinterizzare (aumentando le dimensioni
dei pori) e per aumentare la resistenza dell’elettrodo alla
deformazione per scorrimento ad alta temperatura.
Il catodo è realizzato in ossido di nichel. Lo spessore e
la porosità sono analoghi a quelli dell’anodo. Un problema importante per la durata della cella è legato alla solubilità del materiale catodico, sia pur piccola, nell’elettrolita fuso. Gli ioni Ni⫹ che si formano al catodo tendono a
migrare attraverso l’elettrolita verso l’anodo dove possono ridursi a nichel metallico e danneggiare l’elettrodo. Per
minimizzare la dissoluzione del catodo sono state proposte diverse soluzioni quali: l’aggiunta ai carbonati di ossidi di terre alcaline (per esempio, SrO, CaO e BaO); la riduzione della pressione parziale del CO2 al catodo; l’utilizzazione di spessori non troppo sottili della matrice elettrolitica
per aumentare il percorso dal catodo all’anodo.
Utilizzando tutti questi accorgimenti è possibile
aumentare la vita dei componenti di cella e superare le
20.000 ore di funzionamento.
Stack
I piatti bipolari sono realizzati con fogli sottili di
acciaio. La superficie a contatto con la parte anodica
della cella è rivestita con uno strato sottile di nichel che
è stabile nelle condizioni riducenti esistenti all’anodo.
La configurazione è preferenzialmente del tipo con collettore (manifold) esterno, costituita cioè da piatti di interconnessione e celle che hanno la stessa superficie e
mostrano in sezione le fenditure per il passaggio dei gas
come mostrato schematicamente nella fig. 14.
Alimentazione dei gas
I sistemi MCFC, come anche quelli SOFC, lavorano a una temperatura abbastanza alta da consentire il
direzione della corrente
manifold di ingresso
del comburente
piatto bipolare (inclusi
due collettori di corrente
con i canali per la
distribuzione dei gas)
~0,8 V
~
flusso del
combustibile
anodo
elettrolita
~0,8 V
~
flusso del
comburente
~0,8 V
~
catodo
manifold
di uscita
fig. 14. Schema di uno stack MCFC con manifold esterno.
492
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
reforming interno del gas naturale. In realtà è necessario distinguerne due tipi: reforming interno indiretto (IIR,
Indirect Internal Reforming) e reforming interno diretto (DIR, Direct Internal Reforming).
Nel primo caso il gas viene trasformato in un reformer posizionato all’interno dello stack, a stretto contatto termico con i piatti di interconnessione. Nel caso del
DIR il gas viene invece sottoposto a reforming direttamente nel compartimento anodico della cella a combustibile. La prima soluzione è di solito utilizzata per i sistemi MCFC. In questo caso il reformer è costituito da speciali strutture simili a piatti di interconnessione interposti
a intervalli prefissati tra i veri piatti di interconnessione
dello stack. Lo scopo di questa struttura è quello di utilizzare al meglio il calore generato dalle reazioni elettrochimiche della cella per sostenere il reforming del
combustibile (in genere steam reforming).
La soluzione del DIR è proposta per i sistemi SOFC
che hanno una temperatura operativa più alta di quella
dei sistemi MCFC. Il gas viene sottoposto a una fase di
prereforming che elimina gli idrocarburi con C⬎1 prima
di essere inviato al reforming interno, in modo da evitare la formazione di depositi carboniosi sull’anodo.
I sistemi DIR-MCFC richiedono che il catalizzatore
per il reforming sia depositato sul piatto di interconnessione molto vicino al compartimento anodico in modo
da ottenere cinetiche di conversione sufficientemente
elevate (Dicks, 1998) anche alla temperatura operativa
di circa 650 °C.
Recenti sviluppi
La tecnologia MCFC è stata sviluppata soprattutto
negli Stati Uniti a opera di FCE (Fuel Cell Energy, ex
Energy Research Corporation).
In Giappone gli attori principali sono IHI (Ishikawajima Harima Industries), Hitachi e Mitsubishi Electric Corporation.
In Europa la MTU (Motoren und Turbinen Union,
Germania), del Gruppo Daimler-Chrysler, ha sviluppato un prototipo denominato HotModule basato su
stack prodotto da Fuel Cell Energy e Ansaldo Fuel Cell
(Italia).
Se ci si limita al caso di FCE, numerose unità da 250
kWe (DFC 300) sono ormai in fase di commercializzazione per applicazioni nell’industria, nel settore delle
telecomunicazioni, in grandi edifici (ospedali, alberghi,
ecc.). L’esperienza acquisita con il modello DFC 300 è
ormai molto ampia essendo stati prodotti oltre 7.000
MWh nel corso di numerose prove condotte in installazioni localizzate negli Stati Uniti, in Giappone e in Europa. FCE intende sperimentare anche unità con taglia da
1.000 kWe (DFC 1.500) e 2.000 kWe (DFC 3.000). Questi impianti saranno i più grandi disponibili sul mercato e si ritiene che, proprio grazie a un fattore di scala,
potranno contribuire a quell’abbattimento dei costi di
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
produzione richiesti dal mercato per l’affermazione di
questa tecnologia.
La tecnologia MCFC è ritenuta sufficientemente sviluppata. Per una commercializzazione del prodotto è
necessario realizzare una riduzione dei costi sino al livello di 1.500 $/kW per rendere competitivi questi dispositivi.
Solid Oxide Fuel Cell (SOFC)
Sviluppo della tecnologia
Una cella a combustibile SOFC è un dispositivo interamente allo stato solido costituito da strati ceramici funzionalmente dedicati al trasporto selettivo delle specie
cariche (ione ossigeno) da parte dell’elettrolita e alle reazioni di ossidazione del combustibile all’anodo e di riduzione dell’ossigeno al catodo.
Lo schema del funzionamento è riportato in fig. 15.
Al catodo avviene la reazione: O2⫹4e⫺⫺ 2O2⫺; lo
ione ossigeno viene trasportato dall’elettrolita all’anodo dove reagisce con l’idrogeno secondo la reazione:
2H2⫹2O2⫺⫺ 2H2O⫹4e⫺.
Come si può osservare manca una fase liquida che
è, in genere, l’elettrolita e che è presente in tutti gli altri
tipi di celle a combustibile comprese le PEMFC, nelle
quali il vero elettrolita è l’acqua contenuta nella membrana polimerica e che non potrebbero funzionare senza
di essa. Tale caratteristica struttura allo stato solido costituisce il vero elemento distintivo delle SOFC e ne determina, come si vedrà in seguito, vantaggi e svantaggi.
Per assicurare la funzionalità della SOFC è necessario che i suoi componenti (elettrolita, anodo e catodo)
siano collegati solidalmente tra di loro in modo da realizzare un buon contatto elettrico. Non si può pensare
a questi componenti come elementi separati, collegati
䉴
䉴
e⫺
H2, CO
O2
O2⫺
H2
aria
O2
O2⫺
CO
O2
H2
O2⫺
H2O
H2O, CO2
O2
O2⫺
CO2
anodo
esausto
catodo
elettrolita
fig. 15. Schema di principio di una cella
a combustibile SOFC.
493
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
elettricamente da un elettrolita liquido come avviene nel
caso delle MCFC o delle PAFC o delle AFC. Allo stesso tempo questa struttura a multistrato deve sopportare
le possibili tensioni termomeccaniche durante l’avviamento e la fermata. Quest’ultima necessità pone severi
vincoli alla scelta dei materiali costituenti il catodo, l’anodo e l’elettrolita. La struttura deve, inoltre, essere collegata alle strutture di raccolta della corrente e di distribuzione dei gas, costituite dai piatti di interconnessione
che formano lo stack.
Un altro vincolo, questa volta di tipo funzionale, è
che i materiali dei componenti abbiano le proprietà richieste per un funzionamento soddisfacente del dispositivo
e cioè adeguate cinetiche elettrodiche per il comburente al catodo e per il combustibile all’anodo e una sufficiente velocità di trasporto della specie carica attraverso l’elettrolita.
L’individuazione e la disponibilità di materiali in
grado di soddisfare queste esigenze hanno richiesto un
forte sviluppo dello studio dei materiali ceramici parallelamente allo sviluppo dei dispositivi. Questa ricerca è
tuttora in corso.
I dispositivi SOFC oggi maggiormente sviluppati utilizzano ossidi di zirconio stabilizzato con ossido di ittrio
(YSZ, Yttria Stabilized Zirconia) come elettrolita, perovskiti come materiale per il catodo e cermet del tipo
NiO/YSZ per l’anodo. Le temperature di lavoro sono
comprese tra 700 e 1.000 °C a seconda del tipo di dispositivo. Le densità di potenza ottenibili sono comprese tra
qualche kW/m2 e circa 10 kW/m2.
I sistemi più evoluti sono caratterizzati da una geometria di cella tubolare o planare. I primi hanno potenze che vanno da qualche kW a 300 kW, mentre quelli
planari hanno potenze ancora dell’ordine dei kW.
Le durate di funzionamento sinora acquisite sono di
oltre 20.000 ore per i dispositivi con SOFC a geometria
tubolare e da 3.000-4.000 ore sino a 7.000-8.000 ore di
funzionamento per quelli a geometria planare.
Elettrodi ed elettrolita
In una fase iniziale intorno agli anni Settanta i materiali per la fabbricazione degli elettroliti e degli elettrodi dovevano essere in gran parte sintetizzati dagli sviluppatori dei sistemi. In seguito, la crescita delle attività
di ricerca e del numero di istituzioni coinvolte ha determinato la nascita di attività parallele per la produzione
di polveri e formulazioni di polveri dedicate allo sviluppo di questa tecnologia.
Sono ancora valide formulazioni classiche del tipo:
per l’elettrolita, ossido di zirconio totalmente stabilizzato con ittrio (YSZ, 8 molare in ossido di ittrio) avente
conducibilità ionica per lo ione ossigeno pari a 0,02 S
cm⫺1 a 800 °C e circa 0,1 S cm⫺1 a 1.000 °C; per l’anodo, cermet NiO/YSZ nel rapporto ponderale di 70/30; per
il catodo, manganito di lantanio drogato con stronzio
494
(LSM, Lanthanum Strontium doped Manganite) con percentuale di drogaggio intorno a 0,2-0,3 (La0,8Sr0,2MnO3).
La ricerca sui materiali ha studiato nuove composizioni elettrolitiche a base di ossidi di Bi2O3, CeO2, Ta2O5
con lo scopo di abbassare la temperatura di conduzione
ionica (Clark et al., 1997).
Nel caso dei materiali anodici l’attenzione si è spostata su nuove formulazioni (per esempio, NiO/GdC) contenenti come partner ceramico GDC (Gadolinia Doped
Ceria) con lo scopo di catalizzare l’ossidazione del combustibile in condizioni diverse (ossidazione diretta del
metano) da quelle della formulazione a base di NiO/YSZ.
Per quanto riguarda i materiali catodici l’attenzione
si è spostata su perovskiti in grado di esibire proprietà
di conducibilità mista ionico-elettronica anche a temperature di 500-800 °C, sensibilmente inferiori a quelle alle
quali funziona in modo ottimale il materiale LSM. Si
tratta di perovskiti costituite da ferriti-cobaltiti di lantanio e stronzio (LSFC, Lanthanum and Strontium Ferrites-Cobaltites).
In genere la tendenza è quella di abbassare la temperatura di funzionamento della SOFC classica (9501.000 °C) a valori di 600-800 °C, prossimi a quelli di
una MCFC.
Da un punto di vista della configurazione della cella
sono state proposte e realizzate strutture del tipo a elettrolita supportante (electrolyte supported ) e del tipo a
elettrodo supportante (electrode supported ).
Le prime sono caratterizzate da una struttura del tipo
anodo/elettrolita/catodo; l’elemento strutturale è rappresentato dall’elettrolita che ha uno spessore di circa
160-180 mm; sull’elettrolita sono realizzati gli elettrodi
con spessore di circa 40 mm ciascuno. Per la fabbricazione dell’elettrolita la tecnica di formatura più usata è
il colaggio su nastro; per la deposizione degli elettrodi
si può fare ricorso a tecniche di serigrafia o spruzzamento di sospensioni.
Le SOFC electrode supported (quasi sempre anode
supported) hanno una struttura del tipo supporto poroso/anodo/elettrolita/catodo; il supporto poroso ha uno
spessore di 0,6-1 mm e, realizzato di solito mediante colaggio su nastro, è costituito dal cermet anodico NiO/YSZ;
l’anodo funzionale ha uno spessore intorno a 40 mm e deve
essere realizzato sul supporto poroso mediante serigrafia
o mediante filtraggio sotto vuoto di sospensioni di polveri; l’elettrolita ha uno spessore estremamente sottile (1020 mm) perché deve assicurare una buona conducibilità
ionica anche a temperature non troppo elevate (700-800
°C), è costituito di solito da YSZ e viene depositato insieme allo strato funzionale anodico o mediante serigrafia o
mediante filtraggio sotto vuoto di sospensioni; lo strato
anodico funzionale e lo strato elettrolitico di solito vengono cosinterizzati; il catodo infine è normalmente costituito da LSM o da LSFC ed è depositato mediante serigrafia o tramite spruzzamento di sospensioni.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
interconnettore
elettrolita
catodo
flusso del
combustibile
flusso del
comburente
anodo
fig. 16. Rappresentazione schematica di una SOFC tubolare
(Siemens-Westinghouse).
Una struttura che ha suscitato un forte interesse è
quella tubolare (Steele, 1994) realizzata da SiemensWestinghouse (fig. 16).
Come mostrato in fig. 16, la struttura è costituita da
tre elementi tubolari concentrici. L’elemento più interno
è il catodo poroso, realizzato mediante estrusione del
materiale perovskitico LSM. L’elemento intermedio è
costituito dall’elettrolita in YSZ, realizzato con tecniche
di deposizione da fase vapore del tipo CVD (Chemical
Vapour Deposition). L’elemento esterno è realizzato in
cermet di NiO/YSZ mediante tecniche di rivestimento
da sospensioni ceramiche.
Configurazione e geometria dello stack
Da quanto detto si comprende che la configurazione e la geometria dello stack dipendono dalla geometria della cella. Nel caso di SOFC planari, sia del tipo
fig. 17. Rappresentazione
schematica di uno stack
per SOFC planari
a sezione quadrata
(Ceramic Fuel Cells).
uscita
aria
electrolyte supported sia del tipo electrode supported, lo
stack è costituito da piatti di interconnessione che svolgono la funzione di distribuire i gas (anodici e catodici)
e di raccogliere la corrente generata. Nella fig. 17 è riportato lo schema di uno stack per SOFC planari a forma
quadrata proposto da Ceramic Fuel Cell (Austria). Si
tratta di uno stack con alimentazione dei gas con manifold
esterno, come nel caso già descritto per le MCFC.
Nella fig. 18 si riporta lo schema di uno stack per
SOFC planari a forma circolare proposto da Sulzer. Questo schema prevede una alimentazione radiale del combustibile (dall’interno verso l’esterno della SOFC) e una
alimentazione dell’aria in equicorrente al combustibile
con preriscaldamento nella struttura dei piatti bipolare.
Una differenza sostanziale negli stack per SOFC electrolyte supported e per SOFC anode supported sta nella
diversa temperatura di funzionamento che impone soluzioni diverse per i materiali. Nel primo caso la temperatura operativa è intorno a 950-1.000 °C ed è perciò necessario utilizzare materiali in grado di operare a questa
temperatura e di resistere alle condizioni corrosive dei
gas anodici e catodici. I materiali proposti sono particolari perovskiti ceramiche, per esempio le cobaltiti di lantanio, o particolari leghe metallo-ceramiche come le ODS
(Oxide Strengthened Alloys). Oltre a una buona resistenza alle alte temperature e alle condizioni corrosive
dei gas, questi materiali hanno coefficienti di espansione termica abbastanza simili a quelli dei materiali ceramici della cella.
Nel caso di SOFC funzionanti a temperatura intermedia (sino a 800 °C) sono stati proposti acciai inossidabili a composizione ferro-cromo che hanno coefficienti di espansione termica prossimi a quelli delle SOFC.
La sigillatura anodo/piatto di interconnessione viene
ottenuta tramite l’impiego di materiali costituiti da fibre
combustibile
esausto
anodo
elettrolita
cella
singola
catodo
piatto di
interconnessione
combustibile
(per esempio idrogeno,
GPL, gas naturale, biogas,
gas di carbone, metanolo)
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
comburente
(aria)
495
GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI
fig. 18. Schema
dello stack Sulzer
per SOFC planari
a forma circolare.
piatto di
interconnessione
catodo
elettrolita
anodo
aria
postcombustione
gas
naturale
ceramiche o da composizioni mica-fibra ceramica. In
alternativa possono essere usati sigillanti permanenti
vetro-ceramici con basso punto di transizione vetrosa in
modo da acquisire proprietà plastiche durante l’avviamento e la fermata delle celle e quindi adattarsi alle variazioni di dimensioni tra piatti di interconnessione e SOFC.
Nel caso delle SOFC tubolari le problematiche di
stack sono completamente diverse. Nella fig. 19 è riportato lo schema di alimentazione dei gas di una unità
base. La SOFC ha una forma tubolare chiusa a una estremità e fissata all’altra estremità a una piastra di sostegno. L’aria è alimentata all’interno della SOFC con un
secondo tubo di diametro inferiore. Il combustibile lambisce la superficie esterna della SOFC. Questa configurazione, nota come configurazione a baionetta (tube
in tube), è tipica degli scambiatori ceramici e la soluzione di fissare l’elemento tubolare a una sola estremità
piatto di
interconnessione
ha lo scopo di evitare tensioni termomeccaniche dovute alle variazioni di temperatura. Il collegamento di più
SOFC in serie è mostrato nello schema di fig. 20, nella
quale è riportato un tipico percorso di un elettrone dall’anodo di una cella al catodo della successiva. Un connettore in feltro di nichel stabilisce il collegamento elettrico in serie tra il catodo di una cella e l’anodo della
successiva. Più SOFC tubolari possono essere collegate in serie a costituire un modulo con determinate caratteristiche di tensione e corrente. Più moduli possono
essere collegati tra loro per ottenere unità con la potenza richiesta.
Il vantaggio di questa configurazione di SOFC tubolari è che, in pratica, è abolita la parte di stack che nelle
SOFC planari deve assicurare la distribuzione dei gas
anodici e catodici, con una ovvia semplificazione del
sistema.
Recenti sviluppi
sigillatura a
perfetta tenuta
aria
gas
esausti
combustibile
combustione
sigillatura
intorno al tubo
volutamente
‘non a tenuta’
aria
riciclo
aria
cella a
combustibile
tubolare
combustibile
riformato
usando
il vapore
prodotto dal
dispositivo
fig. 19. Alimentazione dei gas a una SOFC tubolare.
496
La tecnologia SOFC tubolare è stata sviluppata soprattutto da Siemens-Westinghouse che ha realizzato impianti cogenerativi con potenza di 250 kWe. Queste unità raggiungono un’efficienza elettrica del 47% e un’efficienza complessiva (energia elettrica⫹calore) dell’85%.
Sviluppi recenti della tecnologia tubolare hanno lo scopo
di ridurre i costi e migliorare le prestazioni; essi riguardano: le variazioni della geometria dell’elemento tubolare (tubo appiattito anziché a sezione circolare) per una
migliore utilizzazione del gas; la deposizione dello strato sottile di elettrolita con tecniche di plasma-spraying,
in sostituzione della più costosa CVD; la sostituzione
del feltro di nichel con nichel metallico, meno costoso,
per il collegamento elettrico anodo-catodo.
Nel settore della microgenerazione distribuita, FCT
(Fuel Cell Technology, California) ha allestito un prototipo da 5 kWe che utilizza SOFC tubolari prodotte da Siemens-Westinghouse.
Sempre nel settore della microgenerazione distribuita
con potenza da 1 a 5 kWe sono in allestimento anche prototipi con SOFC planari da parte di sviluppatori quali
Topsøe (Danimarca) e Ceramic Fuel Cell (Austria).
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
CELLE A COMBUSTIBILE PER LA GENERAZIONE STAZIONARIA
fig. 20. Collegamento in
serie di due SOFC tubolari.
altre celle tubolari
combustibile
combustibile
aria
percorso tipico
di un elettrone
dall’anodo di una cella
al catodo della successiva
elettrolita
interconnessione
di due celle
combustibile
combustibile
aria
anodo
catodo
altre celle tubolari
La tendenza principale della tecnologia è comunque
rappresentata dall’abbassamento della temperatura di
lavoro per la diminuzione degli stress termici e dal possibile parallelo abbassamento dei costi dovuto all’utilizzo più frequente di materiali metallici in sostituzione dei
ceramici o di leghe metalliche sofisticate per l’hardware
dello stack (interconnessioni, piatti).
Cicli ibridi
Se la pressione operativa di un sistema SOFC viene
aumentata ne risulta un aumento della tensione che determina prestazioni più elevate (v. par. 5.5.2). Per esempio
un incremento della pressione a 3 bar aumenta del 10%
l’energia prodotta dal sistema. Questo miglioramento
delle prestazioni può non giustificare da solo il costo di
pressurizzazione del sistema. Se invece la pressurizzazione viene utilizzata per realizzare l’integrazione con
una turbina a gas, i vantaggi dovuti all’aumento dell’efficienza complessiva giustificano pienamente i maggiori
costi. D’altra parte i gas che alimentano una turbina devono essere pressurizzati. Dal momento che il sistema SOFC
tubolare opera a 1.000 °C l’entalpia residua è disponibile a elevata temperatura e i gas caldi, se pressurizzati,
possono essere utilizzati per alimentare la turbina.
In questo caso il sistema SOFC potrebbe agire da
combustore per la turbina e i gas esausti provenienti dalla
cella a combustibile potrebbero azionare la turbina e,
quindi, il compressore e un generatore elettrico (bottoming cycle). Il risultato sarebbe un ciclo di generazione elettrica di elevata efficienza e più semplice di un ciclo con turbina a vapore, nel quale il calore generato viene
utilizzato per produrre vapore che aziona la turbina.
Se l’accoppiamento tra SOFC e turbina è realizzato
in modo ottimale l’aria pressurizzata di cui necessita la
VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ
SOFC può essere fornita dal compressore collegato alla
turbina a gas.
La maggiore difficoltà per la realizzazione del ciclo
ibrido consiste non tanto nella pressurizzazione del sistema di celle a combustibile, che nel caso di MCFC viene
realizzato normalmente, quanto nella taglia della turbina
a gas e nell’accoppiamento cella a combustibile/turbina.
Le turbine adatte a sistemi da 250-500 kW sono considerate di piccola taglia e comunque quelle esistenti
dovrebbero essere modificate per questa applicazione.
Per ulteriori informazioni sui cicli ibridi, v. cap. 5.3.
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