BUCHI NERI PRIMORDIALI ED EVOLUZIONE DELLA GALASSIA

annuncio pubblicitario
Università degli Studi di Padova
Facoltà di Scienze MM.FF.NN
Dipartimento di Fisica G. Galilei
Corso di Laurea Triennale in Fisica
BUCHI NERI PRIMORDIALI
ED EVOLUZIONE DELLA GALASSIA
Relatore: Prof. Roberto Turolla
Laureando: Riccardo Borsato
Matricola: 560851-SF
Anno accademico 2008/2009
Indice
1 Introduzione
2
2 Fenomenologia dei Buchi Neri
3
3 Radiazione di Hawking ed evaporazione
5
4 Raggi cosmici
6
5 Evoluzione all’equilibrio della Galassia
9
6 Passaggio e attrito attraverso le stelle
11
7 Cattura gravitazionale di particelle poco interagenti
13
8 Accrescimento sferico
14
9 Discussione e Conclusioni
17
1
1
Introduzione
I buchi neri primoridali (PBH) sono oggetto di studio da molti anni. Innanzitutto sono dei possibili
candidati per la materia oscura nell’universo. Studiando la rotazione dei corpi celesti attorno ai
nuclei galattici, infatti, si nota che la massa che cosı̀ si misura è superiore a quella che si stima con
la radiazione proveniente dai corpi celesti stessi. Si deve allora ammettere che vi siano oggetti o
particelle dotati di massa che non emettono radiazione, ma che interagiscono gravitazionalmente;
questo insieme è chiamato Materia Oscura (DM). Secondo il quadro più realistico, anche se i
PBH facessero parte in modo consistente della DM non potrebbero esserne il costituente esculsivo:
altre componenti potrebbero essere i neutrini o altre particelle debolmente interagenti ancora da
scoprire.
I PBH si formano nei primi istanti successivi al Big Bang; la loro presenza può allora avere
delle conseguenze nell’universo primordiale, soprattutto a causa della radiazione che emettono (cf.
§3, 4), semplicemente perché modificano il numero di particelle totali e la quantità di radiazione.
L’evaporazione dei PBH nella nostra epoca (cf. §3) può fornirci informazioni utili per la Fisica
delle Alte Energie; i modelli relativi alle energie più elevate (non raggiungibili in laboratorio)
possono essere testati misurando i raggi cosmici provenienti dai PBH negli istanti finali della loro
vita.
I PBH sono stati storicamente il primo punto di contatto tra la teoria della gravitazione,
descritta dalla Relatività Generale, e la Meccanica Quantistica. Tuttora non esiste una teoria che
unifichi i due campi, quindi lo studio di questi oggetti può fornire del terreno nuovo per queste
ricerche. L’indagine potrebbe essere addirittura di tipo sperimentale se fosse davvero possibile la
produzione di mini-buchi neri ad LHC1 . Esperimenti sull’evaporazione potrebbero anche fornire
una prova per le extra-dimensioni.
La condizione necessaria affinché un oggetto sia un buco nero è che la massa che si misura,
ad esempio studiando il moto di una particella di prova soggetta al suo campo gravitazionale,
sia tutta contenuta nel raggio di Schwarzschild (cf. sezione successiva). I buchi neri sono allora
caratterizzati da densità molto elevate.
Attualmente si possono formare dal collasso gravitazionale di corpi celesti come le stelle. Nel
corso della sua vita, la stella è stabile perché la forza gravitazionale è compensata dalla pressione dovuta ai processi di fusione termonucleare; quando il combustibile termina la gravità ha il
sopravvento.
Giunti a questo punto, possono ancora esistere dei sistemi stabili, grazie al principio di esclusione
di Pauli. Le nane bianche (WD) sono sorrette dalla pressione del gas degenere di elettroni, mentre
le stelle di neutroni (NS) principalmente da quello di neutroni. Il limite superiore per una WD è la
massa di Chandrasekhar, pari a 1, 46M , dove M = 2 · 1033 g indica la massa del sole2 . Affinché
si formi un BH è necessario che la massa iniziale della stella superi circa 25M . La massa finale
che collassa (molta materia è espulsa nei processi di esplosione) è compresa tra 3 e 20 M .
Tuttavia si sa che nei primi istanti dopo il Big Bang la densità media dell’universo è molto
elevata ed è naturalmente favorita la formazione di buchi neri. Si suppone infatti che vi siano delle
fluttuazioni statistiche nella distribuzione di densità di materia che danno luogo a zone capaci di
collassare gravitazionalmente. Considerando il momento in cui questi buchi neri si sono formati si
è deciso di chiamarli primordiali.
Se si prende in esame una certa regione caratterizzata da un raggio R, volume V e massa
M , perché avvenga il collasso è necessario che l’energia gravitazionale superi quella cinetica di
espansione e quella interna. L’energia gravitazionale di un elemento dm = ρ4πr2 dr a distanza r
sarà dEgrav = GM dm/r = GM ρ4πrdr. Integrando si ottiene
Egrav ∝ GM ρR2 ∝ Gρ2 V 5/3 .
Se per l’espansione vale l’invarianza di scala (ṙ/r = cost), l’energia cinetica vale
Z
K∝
ṙ2 dm ∝
Z
2 Z
ṙ
2 2
ρr ṙ dr ∝
ρr4 dr ∝ ρV 5/3
r
V̇
V
!2
.
1 La produzione, infatti, non è in linea di principio esclusa; quello che però sicuramente si può affermare è che
un eventuale mini-buco nero non sarebbe di alcun pericolo per la Terra [16]. L’argomento dell’accrescimento sarà
affrontato nella sezione (§8).
2 In Astrofisica è comunemente usato il sistema cgs, in alternativa al Sistema Internazionale.
2
Nell’universo primordiale vi è una prima fase dominata dalla radiazione, per la quale la pressione
vale p = 1/3ρ. Successivamente c’è una seconda fase dominata dalla materia; questa si approssima
a “polvere” priva di pressione, quindi l’energia interna è dovuta esclusivamente alla massa
U ∝ ρc2 V.
La condizione per cui l’energia gravitazionale deve superare quella interna porta a concludere che
vale la restrizione sulla densità ρ > c2 /(GV 2/3 ). La massa allora dovrà essere dell’ordine di
M≈
c2
R.
G
Come si vede questi ragionamenti, che coinvolgono solo gli ordini di grandezza del problema, pur
essendo approssimati hanno portato a risultati consistenti con quelli che si otterrebbero utilizzando
il raggio di Schwarzschild.
Possiamo supporre che il minimo raggio consentito sia dell’ordine della lunghezza di Planck
(Ghc−3 )1/2 ≈ 10−33 cm, perché è il limite inferiore per cui possiamo con certezza usare la Relatività
Generale. Con questo valore la massa minima per un PBH è di 10−5 g.
Si arriva cosı̀ a concludere che i PBH possono accedere ad un range di massa molto più ampio dei
BH che si formano dal collasso delle stelle. Queste differenze possono avere conseguenze Astrofisiche
importanti.
2
Fenomenologia dei Buchi Neri
In questa sezione si discuteranno le principali caratteristiche dei buchi neri (cf. [1]).
Se si considera il problema più semplice, quello a simmetria spaziale sferica di una massa M
sorgente del campo gravitazionale, la geometria è descritta, in coordinate sferiche, dalla metrica di
Schwarzschild nel vuoto3 ,
2GM
ds = − 1 −
rc2
2
2GM
dt + 1 −
rc2
2
−1
dr2 + r2 (dθ2 + sin2 θdφ2 ).
(1)
Si nota che vi sono due singolarità, una per r = 0, l’altra per r = 2GM/c2 . Mentre la prima è
una singolarità fisica effettiva, la seconda dipende solamente dalla scelta delle coordinate. Questo
secondo valore della coordinata radiale è importante ed è chiamato raggio di Schwarzschild, rSchw =
2GM/c2 . Usando unità naturali c = G = 1 diventa rSchw = 2M .
Ponendo t0 = t + 2M log |1 − r/(2M )|, si ottiene dt0 = dt − [1 − r/(2M )]−1 dr e la metrica
diventa
2M
4M
2M
dt02 +
drdt0 + 1 +
dr2 + r2 (dθ2 + sin2 θdφ2 ).
(2)
ds2 = − 1 −
r
r
r
Ora è evidente che non vi è più singolarità per r = rSchw . Per r > 2M si nota che g00 è negativo;
i coefficienti dei termini spaziali sono sempre positivi. Allora il segno di drdt0 non ha particolari
restrizioni: due punti vicini lungo la linea di universo della particella possono essere separati da
un intervallo di tipo tempo o luce sia nel caso in cui questa si allontani, sia che cada nel buco nero.
Se invece si impone r < 2M , allora g00 diventa positivo. Per avere ds2 ≤ 0 deve essere drdt0 < 0 e
la particella può solamente cadere nella singolarità.
La superficie corrispondente a r = rSchw si comporta come una membrana semipermeabile
(lascia passare le particelle entranti ma non quelle uscenti) ed è chiamata orizzonte degli eventi.
Dal momento che questo vale anche per la luce, per un osservatore esterno non è possibile ricevere
alcuna informazione dalla particella che è all’interno dell’orizzonte degli eventi.
Oltre al caso semplice di simmetria sferica si può considerare un buco nero dotato di un momento
angolare intrinseco non nullo. Bisogna allora utilizzare la metrica di Kerr, ma per gli argomenti
trattati qui è sufficiente considerare buchi neri che non ruotano.
3 In Astrofisica si è soliti usare la convenzione meno-più, secondo la quale il coefficiente del termine temporale è
negativo, mentre i coefficienti dei termini spaziali sono positivi. Quindi, ad esempio, una traiettoria di tipo tempo
sarà descritta da ds2 < 0
3
Studiamo ora più da vicino il moto di una particella in prossimità di un buco nero. Il parametro
che si usa per descrivere il moto è il tempo proprio τ . Si può scegliere, senza perdere di generalità,
una traiettoria sul piano equatoriale, ponendo θ = π/2.
La metrica di Schwarzschild è indipendente dal tempo e dalla coordinata φ, quindi saranno
conservate le quantità ut = gtν uν = − (1 − 2M/r) dt/dτ , uφ = gφν uν = r2 sin2 θdφ/dτ = r2 dφ/dτ
che possono essere messe in corrispondenza rispettivamente con l’energia per unità di massa, e =
−ut , ed il momento angolare per unità di massa, l = uφ .
Oltre a questi due integrali del moto vi è quello valido in ogni caso gµν uµ uν = −1, da cui si
ottiene
−1
2M
2M
t 2
(ur )2 + r2 [(uθ )2 + sin2 θ(uφ )2 ] = −1.
(3)
− 1−
(u ) + 1 −
r
r
Tenendo conto dei tre integrali del moto precedenti ed del valore costante di θ si ricava
1
e2 − 1
=
2
2
dr
dτ
2
−
l2
2M l2
M
+ 2−
.
r
r
r3
(4)
Questa quantità può facilmente essere collegata all’energia meccanica: a secondo membro, il primo
termine rappresenta l’energia cinetica per unità di massa, il secondo quella potenziale gravitazionale, il terzo quella legata alla forza centrifuga. L’ultimo termine non ha analogo con la meccanica
newtoniana ed è quello responsabile, ad esempio, della precessione del perielio di Mercurio o più
in generale delle traiettorie a rosetta che non si chiudono come quelle Kepleriane.
Se si è interessati ad una particella in moto radiale che parte da ferma molto distante dal BH
si deve porre l = 0 e e = 1. Si sceglie la radice con il segno negativo, per descrivere il moto radiale
entrante; integrando si ricava
2
1
2
r(τ ) = (3/2) 3 (2M ) 3 (τ ∗ − τ ) 3 ,
(5)
dove τ ∗ è il tempo proprio totale. È evidente che la singolarità r = 0 viene raggiunta in un tempo
proprio finito.
Per un osservatore esterno, tuttavia, la particella si comporta in modo diverso. Innanzitutto,
come già spiegato, un osservatore esterno non può ricevere segnali da oggetti che hanno oltrepassato
l’orizzonte degli eventi; anzi, come ora sarà chiaro, li vedrà avvicinarsi a questa superficie limite
senza mai raggiungerla.
Per capire questo, studiamo quello che accade ad un fotone: la traiettoria di una particella
fisica è comunque vincolata a rimanere all’interno di un cono di luce, quindi qualitativamente i
risultati sono analoghi. Per un fotone di moto radiale vale ds = dθ = dφ = 0, quindi dalla metrica
(1) si ricava ±(1 − 2M/r)−1 dr = dt che integrata fornisce una quantità che deve essere conservata
lungo il moto
r
r + 2M log |
− 1| − t = costante.
(6)
2M
Vicino a r = 2M , dove c’è l’emettitore E, il logaritmo sarà il termine preponderante, mentre
distante dal buco nero, dove c’è il ricevitore R, esso sarà trascurabile. Approssimativamente vale
2M log |rE /(2M ) − 1| ≈ rR − tR , da cui
rE
tR − r R
− 1 ≈ exp −
.
(7)
2M
2M
Facendo tendere tR all’infinito, rE si avvicina a 2M , senza però raggiungerlo, come prima anticipato.
Se inoltre E manda segnali con frequenza propria ω∗ = 2π/∆τ , varrà la relazione ∆rE = ur ∆τ .
Allora
∆rE
2M
tR + ∆tR − rR
tR − r R
1
tR − r R
∆τ = r = r exp −
− exp −
≈ − r ∆tR exp −
,
u
u
2M
2M
u
2M
(8)
che fornisce la relazione
tR
ωR (tR ) ∝ ω∗ exp −
,
(9)
2M
quindi il redshift con cui sono rilevati i segnali aumenta nel tempo e la frequenza va zero.
4
3
Radiazione di Hawking ed evaporazione
La possibile esistenza di buchi neri di dimensioni ridotte diede l’avvio allo studio degli effetti quantistici legati a questi oggetti [6, 7]. L’idea è che la curvatura dello spazio-tempo in queste condizioni
diventi importante; le fluttuazioni quantistiche, che si manifestano alla scala della lunghezza di
Planck non sono più trascurabili. Inoltre un loro seppur piccolo contributo, della durata del tempo
di Planck ≈ 10−43 s, una volta integrato per tutta la vita dell’universo ≈ 1017 s diventa importante
e causa conseguenze macroscopiche.
Non essendoci una teoria completa che unifichi la gravità ed i fenomeni quantistici, Hawking
sfruttò i mezzi a disposizione: trattò in modo classico la metrica dello spazio-tempo, secondo
quanto insegna la Relatività Generale, affiancandola a campi che descrivono le particelle, seguendo
la Teoria Quantistica dei Campi.
Qui non è possibile affrontare il problema in modo rigoroso, seguendo questo approccio, ma se
ne può comunque dare una descrizione euristica [1]. Il risultato finale, apparentemente paradossale,
sarà che i buchi neri possono emettere particelle.
La Meccanica Quantistica prevede che vi sia indeterminazione per le grandezze coniugate, ad
esempio l’energia ed il tempo. In particolare sarà possibile avere delle fluttuazioni ∆E · ∆t ≈
h̄. È possibile che avvenga la creazione di una coppia particella-antiparticella, violando cosı̀ la
conservazione dell’energia, se il tempo dell’evento è abbastanza breve.
Tuttavia se si vuole che il processo non sia localizzato in quel breve intervallo temporale e
che abbia ripercussioni macroscopiche la conservazione dell’energia deve essere rispettata, vista
l’invarianza temporale della metrica di Schwarzschild, che qui è considerata. Ma allora la somma
delle energie della particella e dell’antiparticella (le grandezze riferite a quest’ultima avranno come
notazione una barra sopra) deve annullarsi, E + Ē = 0. Più correttamente, l’invarianza temporale implica la conservazione della componente lungo ξ µ = δ0 µ del quadrimomento totale p + p̄.
L’energia, infatti, si ottiene proprio calcolando E = −gµν ξ µ pν .
La particella (o l’antiparticella, il discorso è simmetrico) si allontana all’infinito ed ha energia
positiva. L’antiparticella dovrà allora obbligatoriamente avere energia negativa, fatto però non
possibile nella regione esterna all’orizzonte degli eventi. Infatti da −gµν ξ µ p̄ν < 0 segue −g00 =
1 − 2M/r < 0, poiché p̄0 > 0. Ciò è possibile solo se r < 2M , all’interno del’orizzonte degli eventi.
È allora necessario che l’antiparticella lo attraversi per effetto tunnel.
Un’altra possibilità è che le due particelle siano create già da parti opposte rispetto all’orizzonte;
come già spiegato, per r = 2M non vi è una singolarità e perciò anche qui è possibile trovare un
sistema di riferimento localmente inerziale. Le particelle avranno, per gli stessi motivi di prima,
energia positiva e negativa e l’effetto tunnel non sarà più necessario, perchè la particella con
energia negativa sarà già all’interno; il risultato non cambia. Il fenomeno si manifesta in prossimità
dell’orizzonte degli eventi proprio perché è necessaria la cattura di una delle due particelle e queste
sono create sempre molto vicine tra loro.
Il risultato netto osservabile è allora che il buco nero emette delle particelle. Queste sono di vari
tipi (fotoni, elettroni, antielettroni...); per ognuna di queste specie, il numero di particelle emesse
nell’unità di tempo nell’intervallo energetico (E, E + dE) è dato da
Γs
1
d2 N
=
,
E
dtdE
2πh̄ e kT
±1
dove il segno positivo vale per i fermioni, quello negativo per i bosoni. Γs rappresenta il coefficiente
d’assorbimento, che dipenderà dallo spin s, dall’energia E della particella e dalla massa M del BH;
è in sostanza la probabilità che la particella in quello stato sia assorbita. Si vede che per il caso dei
fotoni (con 2 stati di polarizzazione) si ritrova la funzione di distribuzione che porta allo spettro
di corpo nero studiato da Planck. La temperatura associata è data da
c3 h̄
α
M
−8
T =
=
= 6, 2 × 10
K.
(10)
8πkGM
M
M
Da queste considerazioni si capisce che il BH perde energia, esattamente quella sottratta dalla
particella che fugge all’infinito (o equivalentemente guadagna energia negativa dall’antiparticella).
L’energia persa è tutta a spese della massa del BH, semplicemente ponendo E = M c2 . Ma allora,
dato che la massa diminuisce, la temperatura sale; il BH continua ad emettere ad intensità sempre
maggiori e presenta picchi massimi di emissione ad energie sempre più alte.
5
Poiché si sta parlando di una radiazione particolare, quella di corpo nero, è lecito usare la
relazione di Stefan-Boltzmann. Il flusso di energia è σT 4 , perciò per conoscere come varia l’energia
nel tempo bisogna moltiplicare per la superficie del corpo emittente, nel nostro caso l’orizzonte
degli eventi.
In generale la coordinata radiale r non ha il significato di distanza radiale, perché non stiamo
considerando uno spazio minkowskiano; tuttavia nella metrica di Schwarzschild vale ancora l’affermazione che la misura di una circonferenza (dt = dr = dθ = 0) è 2πr e la misura della superficie
della sfera (dt = dr = 0) è 4πr2 . Lo si ricava immediatamente utilizzando la (1). Allora l’area
2
interessata è A = 4π 2GM/c2 = 16π(G2 /c4 )M 2 = βM 2 .
La variazione di energia nell’unità di tempo risulta
dE
1
= −σAT 4 = −σα4 β 2 .
dt
M
Utilizzando E = M c2 ed esplicitando tutte le costanti si ottiene
dM
1
c4 h̄
=−
.
2
dt
15360πG M 2
(11)
Integrando si può ottenere il tempo di evaporazione data la massa iniziale M
5120πG2 3
τ=
M ≈ 8, 40 × 10−17
c4 h̄
M
kg
3
s ≈ 2, 13 × 10
67
M
M
3
yr.
(12)
Come è ovvio questo fenomeno diventa importante solo per BH di masse molto inferiori a quella
solare.
4
Raggi cosmici
L’evaporazione fornisce allora un buon metodo per rilevare la presenza di PBH: è possibile raccogliere e misurare i raggi cosmici rilasciati per determinare la densità di questi oggetti nella Galassia.
Invertendo la (12) ed utilizzando la stima più accettata di età dell’universo (13.7 · 109 yr), si trova
che stanno attualmente esplodendo i PBH che inizialmente avevano una massa di circa 1014 ÷1015 g.
Si parla di esplosione perché il processo diventa sempre più catastrofico nelle fasi finali ed il rate
per la perdita dell’energia diverge.
La (11), che descrive il rate per la perdita di massa, è in realtà un modello semplificato; sarebbe
più corretto scrivere
dM
c(M )
=−
.
(13)
dt
M2
dove il coefficiente c(M ) tiene conto anche del numero di specie di particelle che possono essere
prodotte. Infatti ad ogni particella è associata un’energia minima, che funge da soglia per la sua
produzione: le particelle più pesanti possono essere create solo alle temperature maggiori, quando
c’è a disposizione più energia e saranno allora prodotte solo dai PBH di massa minore, negli stadi
finali. Ci si aspetta quindi che c(M ) cresca al diminuire della massa, accelerando il processo di
evaporazione.
In base ai dati sperimentali ed ai modelli teorici disponbili per la Fisica delle Particelle ad alte
energie è possibile suddividere in vari gruppi la popolazione di PBH. Quelli di massa superiore
a 1017 g possono emettere solo particelle prive di massa o molto leggere, come fotoni, neutrini e
gravitoni. Nel range 1015 g < M < 1017 g sono emessi anche elettroni. Per 1014 g < M < 1015 g si
producono muoni che successivamente decadono in elettroni e neutrini.
Al di sotto di 1014 g si possono produrre anche adroni; queste particelle non sono però elementari, ma piuttosto composte da quark, legati assieme da gluoni. Si formeranno quindi dei jet di
quark e gluoni che solo successivamente, a distanze dove gli effetti gravitazionali sono trascurabili,
decadranno negli adroni più stabili (come ad esempio i protoni).
6
Ad un PBH di massa circa 1013 g è associata una temperatura4 T = 1 GeV. La figura mostra
lo spettro di emissione istantanea in energia di varie particelle prodotte da un tale buco nero. Il
risultato è ottenuto con simulazioni MonteCarlo, testate e validate anche sui risultati sperimentali
ottenuti dagli acceleratori di particelle. Il picco che tutte presentano a 100 MeV è dovuto al
decadimento del pione. (Per questi risultati e tutta la trattazione sui raggi cosmici cf. [8]).
Tuttavia questo rappresenta solamente lo spettro di emissione istantaneo. Per confrontarlo con
i dati sperimentali raccolti, deve essere integrato innanzitutto su tutto lo spettro di massa dei PBH
(tenendo presente che ogni massa avrà il proprio spettro istantaneo caratteristico) e anche sulla
vita di ciascuno di essi, per tenere conto delle particelle totali prodotte.
Ovviamente non si conosce lo spettro di massa dei PBH, ma è possibile stimarlo studiando
il processo statistico con il quale si sono formati. Si ammette che l’equazione di stato nell’epoca
considerata sia del tipo p = γρ, (0 < γ < 1); con γ = 1/3 si ricade, ad esempio, nel caso della
pressione di radiazione. Se inoltre le fluttuazioni seguono una distribuzione gaussiana, sono sfericamente simmetriche e la varianza della distribuzione gaussiana non dipende dalla massa che
collassa, allora la densità numerica di PBH nel range (M, M + dM ) segue una semplice legge di
potenza
−α
dn
M
= (α − 2)
M∗ −2 ΩP BH ρcrit ,
(14)
dM
M∗
dove α = (1 + 3γ)/(1 + γ) + 1 e M∗ ≈ 1015 g.
Nella formula per lo spettro di massa compaiono due densità, una relativa ed una assoluta.
Ogni volta che si usa la lettera Ω si indica la densità relativa, degli oggetti in questione, rispetto
alla densità assoluta ρcrit , detta densità critica [1], che in unità naturali ha il valore ρcrit =
3H0 2 /(8π) = 1.88 · 10−29 h2 g/cm3 . In questa espressione H0 = 1/tH = (13.7 Gyr)−1 è la costante
di Hubble; h = 0.72 è la stessa costante, ma misurata in unità di 100 (km/s)/Mpc. Il prodotto
ΩP BH ρcrit fornisce ovviamente la densità di PBH, ρP BH . È da sottolineare il fatto che ΩP BH
considera tutti i PBH fino al limite di evaporazione, quindi comprende tutti i PBH esplosi o che
stanno esplodendo, ma esclude quelli per cui la radiazione è trascurabile.
L’energia totale dell’universo viene suddivisa tra quella associata alla materia (dovuta quasi
esclusivamente all’energia di massa), alla radiazione ed al vuoto. Vale allora la relazione
Ωm + Ωr + Ωv = Ω.
Si usa il termine critica per la densità ρcrit perché quel valore discrimina la geometria dell’universo:
se l’universo è piatto, la densità totale di massa-energia è proprio uguale a ρcrit , quindi Ω = 1; se
è aperto (curvatura negativa) vale Ω < 1; se è chiuso (curvatura positiva) vale Ω > 1.
4 La temperatura può essere trasformata da Kelvin a elettronvolt semplicemente moltiplicando per la costante di
Boltzmann k.
7
Il modello che sembra meglio approssimare il nostro universo e che ha anche il vantaggio di
essere il più semplice è quello di universo piatto. Perciò tutte le densità relative potranno essere
pensate come frazioni rispetto alla densità media totale nell’Universo.
Se si immagina che i PBH siano uniformemente distribuiti nell’Universo, il grafico che si ottiene
per l’emissione da tutta la popolazione è il seguente
Tutti gli spettri di emissione, per ciascuna specie di particelle, sono qualitativamente simili:
hanno un andamento del tipo E −1 al di sotto di 100 MeV, mentre E −3 per energie superiori a
100 MeV.
Tuttavia (cf. §5) è più probabile che i PBH siano concentrati nelle Galassie, come il resto della
materia visibile. Il campo magnetico galattico tende a mantenere le particelle cariche all’interno
del disco galattico stesso. Il flusso che allora si misura aumenta rispetto alla stima precedente, di
un fattore ζ ≈ 102 ÷ 104 . La correzione è la seguente:
8
I primi esperimenti (condotti da Fichtel et al., 1975) hanno misurato il flusso di fotoni, proprio
attorno a 100 MeV (35 ÷ 175 MeV), perché questo range energetico prevedeva errori inferiori sui
modelli utilizzati e rendeva riconoscibili gli andamenti citati. L’analisi ha permesso di conlcudere
che
ΩP BH ≤ (7.6 ± 2.6)10−9 h−2 .
(15)
Più recentemente, i dati forniti da EGRET (30 MeV÷120 GeV) hanno corretto la stima precedente
ΩP BH ≤ (5.1 ± 1.3)10−9 h−2 .
(16)
−8
Quindi, in sostanza, si può considerare ΩP BH <
∼ 10 .
15
I PBH con masse iniziali inferiori a 10 g non possono aver allora contribuito in maniera
sostanziale alla materia oscura, per la quale vale invece ΩDM ≈ 0.3.
5
Evoluzione all’equilibrio della Galassia
Oltre ai fenomeni che interessano strettamente i PBH, come la produzione di raggi cosmici, è
importante anche capire come interagiscono con il resto della materia. I PBH si formano nei primi
istanti dopo il Big Bang, ma durante tutta la vita dell’universo lo scenario in cui sono immersi
viene modificato, quindi ci aspettiamo delle conseguenze da questo.
Il processo più importante e macroscopicamente rilevante è quello della formazione delle Galassie. Si osserva infatti che la densità nell’universo non è omogenea, ma la materia è concentrata
principalmente in questi sistemi. Questo si spiega supponendo delle fluttuazioni casuali nell’iniziale
distribuzione di densità, altrimenti omogenea; le regioni più dense funzionano allora da attrattori
e sono i semi che portano successivamente alla formazione delle Galassie, attraendo gravitazionalmente il resto della materia circostante. Il processo fisico è qualitativamente lo stesso che permette
la creazione dei PBH.
L’evoluzione di una Galassia avviene tramite un processo detto violent relaxation, cosı̀ chiamato
perché il raggiungimento dell’equilibrio è molto rapido. Infatti il tutto avviene senza collisioni,
perciò l’energia meccanica totale viene conservata. Il tempo caratteristico è allora il più breve
possibile, dato che non vi sono rallentamenti dovuti all’attrito.
Per affrontare il problema si utilizza un metodo statistico [10], sfruttando una funzione di
distribuzione per la massa nello spazio delle fasi. La notazione f (x, v)d3 xd3 v indica la massa totale
di tutti gli oggetti della Galassia con posizione compresa tra x e x + dx e velocità tra v e v + dv.
Vista la conservazione dell’energia meccanica totale si può usare l’equazione di Boltzmann-Liouville
Df
∂f
=
+ ∇x f · v + ∇v f · v̇ = 0,
Dt
∂t
(17)
dove ∇x indica il gradiente fatto rispetto a x, mentre ∇v quello rispetto a v. Questa è sostanzialmente un’equazione di continuità nello spazio delle fasi, tenendo ovviamente conto che le
variabili sono sia le posizioni che le velocità, unita all’assunzione di fluido incomprimibile. È una
conseguenza del teorema di Liouville.
Poiché si è in presenza di forze conservative, l’accelerazione può essere scritta come l’opposto
del gradiente di un potenziale scalare; nel caso della forza gravitazionale
Z
f (x0 , v0 , t) 3 0 3 0
d
x
d
v
v̇ = −∇x ψ = −∇x −G
.
(18)
|x − x0 |
Data una distribuzione iniziale nello spazio delle fasi l’equazione (17) permette di descriverne
l’evoluzione temporale.
Tuttavia la sua risoluzione è complicata e non siamo interessati a tutta l’evoluzione del processo,
ma solo al risultato finale. Lasciando passare un tempo sufficiente per il raggiungimento dell’equilibrio, il sistema tenderà alla distribuzione più probabile. Per calcolarla bisogna specificare alcune
assunzioni fondamentali:
1. l’invarianza della densità nello spazio delle fasi espressa in (17) implica che non ci possa essere
sovrapposizione, in una stessa celletta dello spazio delle fasi, di due elementi che inizialmente
appartenevano a stati differenti; in caso contrario si violerebbe “l’incompressibilità del fluido”
citata precedentemente;
9
2. la massa totale e l’energia meccanica totale sono conservate;
3. gli oggetti sono classici, quindi distinguibili tra loro.
Il procedimento che porta al calcolo della distribuzione più probabile è lo stesso che si usa per
ricavare, ad esempio, la distribuzione di Maxwell-Boltzmann e consiste nel massimizzare il volume
nello spazio delle fasi. Si assume per convenienza che il modo di riempire lo spazio delle fasi sia
molto semplice, cioè che ogni celletta di volume ω possa solo essere vuota oppure contenere una
massa pari a ηω.
Il punto chiave del problema sta nel capire in quanti modi si possono disporre ni oggetti in gi
stati differenti. Nel nostro caso il principio di esclusione e la distinguibilità degli elementi porta a
scrivere:
gi !
,
(19)
(gi − ni )!
che è da confrontare con il conteggio relativo alla statistica fermionica
gi !
.
(gi − ni )!ni !
(20)
La differenza sta proprio nella distinguibilità degli oggetti. A questo punto si procede massimizzando il volume nello spazio delle fasi di N elementi,
Y
gi !
N!
·
.
W =Q
n
!
−
ni )!
(g
i
i
i
i
(21)
o del suo logaritmo
log W
= N log N − N −
X
[ni (log ni − 1) − gi (log gi − 1) + (gi − ni )(log (gi − ni ) − 1)] =
i
Z cost
−
3 3
gi
gi
gi
d xd v
gi
,
f (log ( f ) − 1) − gi (log gi − 1) + (gi − f )(log (gi − f ) − 1)
η
η
η
η
gi ω
dove si è usato il fatto che f (xi , vi ) = ni η/gi e che per integrare si deve dividere per il volume di
una macrocella gi ω.
Si fa variare la distribuzione (δf ), ricordando che ci sono due vincoli da rispettare, dovuti
alla conservazione dell’energia (che assume una forma specifica, vista la forza in questione) e la
conservazione della massa.
Z
Z
v2
G
f (x, v, t)f (x0 , v0 , t) 3 3 3 0 3 0
E = f (x, v, t) d3 xd3 v −
d xd vd x d v ,
(22)
2
2
|x − x0 |
Z
M = f (x, v, t)d3 xd3 v.
(23)
Si sfrutta il metodo dei moltiplicatori di Lagrange, scrivendo δ(logW )−α/(ηω)δM −β/(ηω)δE = 0.
Si usano questi particolari coefficienti, normalizzati con la massa “elementare”, perché si vuole
rendere il risultato indipendente dalla massa dell’elemento. Il risultato è
2
Z
v
δf
f
+α+β
+ψ
d3 xd3 v = 0,
(24)
log
ηω
η−f
2
R
ricordando che ψ = −G f (x0 , v0 , t)/|x − x0 |d3 x0 d3 v0 . Poiché deve valere per ogni variazione δf ,
l’integrando deve annullarsi; ciò permette di concludere scrivendo
f =η
e−β(ε−µ)
,
1 + e−β(ε−µ)
(25)
dove si è definito il potenziale chimico µ = −α/β e per brevità si è posto ε = v 2 /2 + ψ.
Nel limite di non degenerazione β(ε − µ) 1 e la funzione di distribuzione può essere approssimata con quella di Maxwell-Boltzmann
f = ηe−β(ε−µ) .
10
(26)
È da notare che ε rappresenta l’energia per unità di massa, quindi si arriva all’importante conclusione che la funzione di distribuzione più probabile non dipende dalla massa degli elementi
considerati.
Ripercorrendo i passaggi ci si accorge che i motivi che permettono questo risultato, oltre alle
tre assunzioni principali già discusse, sono due. Innanzitutto si sono potuti usare dei coefficienti
di Lagrange divisi per la massa tipica di una celletta, grazie all’ipotesi di riempimento dello spazio
delle fasi. Facendo cadere quest’ipotesi ed indicando con ηi le varie densità si ottiene però un
risultato simile e la funzione di distribuzione finale corrisponde alla sovrapposizione di diverse
distribuzioni di Maxwell-Boltzmann, ciascuna con parametri µi , βi .
Il secondo motivo è l’equivalenza della massa gravitazionale e di quella inerziale. Infatti per
entrambe nella (22) è possibile usare la stessa funzione di distribuzione: la variazione di f (x, v, t)
non differisce da quella di f (x0 , v0 , t), perché le variabili sono mute. Si può di conseguenza scrivere
il potenziale per unità di massa ψ nella (24).
Quest’analisi ha permesso di concludere che l’evoluzione verso l’equilibrio di un sistema sottoposto a violent relaxation è indipendente dalla massa degli oggetti considerati. All’equilibrio della
Galassia, i PBH seguiranno allora la stessa funzione di distribuzione degli altri oggetti. Questa è
una conclusione importante, perché permette di trattare, per il caso considerato, tutti gli oggetti
galattici allo stesso modo e di generalizzare ai PBH alcune caratteristiche osservate della materia
visibile.
6
Passaggio e attrito attraverso le stelle
I raggi cosmici sono un metodo efficace per studiare il numero di PBH nella Galassia, ma ovviamente
non permettono di coprire tutto il range delle masse possibili. Le luminosità maggiori sono relative
a PBH che al momento della loro formazione avevano masse attorno a 1015 g; per masse iniziali
maggiori la radiazione di Hawking è trascurabile, quindi bisogna trovare altri metodi per studiarli.
Una possibile via è quella di capire come i PBH interagiscono con la materia ordinaria. Utilizzando i risultati precedenti si può immaginare che i PBH siano presenti nella Galassia secondo una
distribuzione Maxwelliana. È possibile allora che un PBH entri in collisione con una stella; questo
è appunto il processo che si vuole analizzare. Si potrebbe pensare che il fenomeno principale che
interessa il sistema stella-PBH, in moto relativo tra loro, sia quello dell’accrescimento: il plasma
che costituisce la stella cade per attrazione gravitazionale nel buco nero e rimane intrappolato
all’interno dell’orizzonte degli eventi. Tuttavia questo processo risulta invece di scarsa importanza
in questa situazione.
Quello che invece si può determinare è il risultato dell’attrito a cui il plasma è sottoposto
al passaggio del PBH [11]. Lungo la propria traiettoria il buco nero trasmette, per interazione
gravitazionale, quantità di moto ed energia alle particelle del gas circostante; quest’energia viene
dissipata per attrito e quindi è rilasciata sotto forma di luminosità in eccesso da parte della stella.
Ora bisogna capire se questo tipo di evento è abbastanza frequente per essere rilevato e se la
luminosità è sufficientemente alta. Il numero di eventi nell’unità di tempo può essere determinato
ponendo
ṅ = N? · jP BH · σP BH,? .
(27)
dove N? è il numero di stelle nella Galassia, pari a circa 109 , jP BH il flusso di PBH e σP BH,? la
sezione d’urto perché avvenga l’evento. Si può assumere che i PBH siano distribuiti uniformemente
nella Galassia, con densità numerica nP BH , ed abbiano tutti una velocità tipica v0 ; il flusso è allora
semplicemente il prodotto di queste due grandezze. Tuttavia queste sono entrambe incognite e
ovviamente non è possibile deteminarle con precisione. Si conosce però a quanto ammonta il
totale di materia oscura nella Galassia, MDM ≈ 9 · 1011 M , approssimabile ad una sfera di raggio
rDM ≈ 50 kpc. La massa totale dei PBH sarà allora una frazione ΩP BH /ΩDM di MDM ; se non
sono trascurabili allora ΩP BH /ΩDM >
∼ 0.1.
La loro densità numerica si può calcolare:
nP BH =
ΩP BH MDM
1
·
,
ΩDM 4/3πrDM 3 mP BH
(28)
utilizzando un valore tipico, lasciato come parametro, per la massa dei PBH. Per la determinazione
della velocità si possono invece usare gli argomenti esposti nella sezione precedente: al momento
11
della formazione della Galassia tutta la materia collassa gravitazionalmente allo stesso modo e
l’evoluzione è indipendente dalla massa. Perciò anche la velocità tipica dei PBH è la stessa di
quella degli oggetti composti da materia visibile. Si usa allora la velocità di rotazione delle stelle
attorno al centro galattico, v0 ≈ 1.6 · 107 cm/s.
Bisogna ora determinare la sezione d’urto, calcolabile come σP BH,? = πR0 2 , dove R0 è il
massimo parametro d’impatto per il quale avviene la collisione, permessa dalla deviazione, a causa
della gravità, della traiettoria del PBH. Il momento angolare si conserva; si considera il caso limite
di massimo momento angolare, cioè a distanza finale pari al raggio della stella R? ≈ 109 cm e
con velocità del PBH alla superficie della stella v? perpendicolare al raggio. Si studia questo caso
perché con momenti angolari minori il processo avviene comunque.
v0 R0 = v? R? .
(29)
La velocità finale si determina con la conservazione dell’energia; le distanze tipiche degli oggetti
nella Galassia sono dell’ordine del parsec, quindi l’energia gravitazionale iniziale è trascurabile.
r
q
2GM?
= v0 2 + vf uga 2 .
(30)
v? ≈ v0 2 +
R?
Per oggetti molto compatti come nane bianche e stelle di neutroni la velocità finale sarà praticamente uguale alla velocità di fuga; per corpi celesti simili alla Terra, invece, la velocità finale è
dello stesso ordine di v0 . La frequenza con cui avvengono gli eventi è allora
ṅ ≈ N? ·
v0
ΩP BH MDM
·
·
3
ΩDM 4/3rDM
mP BH
v?
v0
2
· R? 2 ≈ 1.4 yr−1 ,
(31)
dove il risultato numerico è ottenuto scegliendo una nana bianca di circa una massa solare ed un
PBH di massa 1020 g.
Ora è possibile stimare la luminosità relativa al processo in esame. Il PBH passando attraverso
il plasma trasferisce momento mediante l’interazione gravitazionale. Le particelle circostanti acquistano energia e la cedono poi per attrito. Lo scopo è quello di calcolare la perdita di energia per
unità di lunghezza, lungo la traiettoria del PBH. Si può fare un ragionamento del tutto analogo
a quello che porta alla formula di Bethe-Bloch, per la perdita di energia di uno ione in un mezzo
frenante. Si considera il PBH che percorre una traiettoria rettilinea a velocità costante e si calcola
l’energia trasferita ad una particella, che è in quiete e libera. Successivamente si integra su tutte
le particelle per l’energia totale trasferita. Poiché la velocità a cui ci si riferisce è elevata, il trasferimento di momento è istantaneo, quindi l’unica componente della forza che interessa è quella
perpendicolare alla traiettoria. Chiamato b il parametro d’impatto, la forza nel punto di minima
distanza è GmP BH m/b2 , che agisce per un tempo caratteristico pari a 2b/v? . La velocità che acquista la particella è allora 2GmP BH /(bv? ). Nel plasma si assume una densità numerica n0 e di massa
ρ0 . Si può sfruttare la simmetria cilindrica e quindi integrare sull’area del cerchio per calcolare la
variazione d’energia per unità di lunghezza. Ovviamente bisogna fissare un limite inferiore ed uno
superiore per il parametro d’impatto. Per quello superiore si può naturalmente prendere il raggio
della stella; quello inferiore serve per assicurare che le assunzioni fatte inizialmente rimangano
valide: si può utilizzare il raggio del PBH.
dE
=
dx
Z
bmax
n0
bmin
mv⊥ 2
4πρ0 2 2
bmax
2πbdb =
G mP BH lg
.
2
v? 2
bmin
(32)
Come si vede, non è importante stimare correttamente i limiti per il parametro d’impatto, perchè
entrano in un logaritmo; si assume che sia lg (bmax /bmin ) ≈ 10. La densità usata è ρ0 ≈ 105 g/cm3 .
La luminosità è definita come energia rilasciata nell’unità di tempo; nel nostro caso si può
calcolare come
dE
dE
L=
=
· v? ≈ 1026 erg/s.
(33)
dt
dx
L’energia totale rilasciata è dell’ordine di
∆E =
dE
· 2R? ≈ 1027 erg.
dx
12
(34)
Per capire se la luminosità è sufficiente, basta sapere che la luminosità del Sole è 2·1033 erg/s; quella
calcolata ora è vari ordini di grandezza inferiore. Bisogna anche tenere conto che sperimentalmente
possiamo misurare solo l’energia emessa nel nostro angolo solido e questo implica che l’energia
raccolta sia molto bassa. Tenendo conto della strumentazione a disposizione e considerando le
migliori condizioni sperimentali si ricava che per avere dei risultati è necessario un tempo di presa
dati di almeno 100 anni. In conclusione si capisce che questo metodo non è attuabile per la
rilevazione di PBH nella Galassia.
7
Cattura gravitazionale di particelle poco interagenti
Nel paragrafo precedente l’accrescimento non era quantitativamente importante, perché la stella
ed il PBH erano in moto relativo tra loro; se però il PBH fosse fermo al centro della stella, allora
l’accrescimento sarebbe fondamentale e darebbe risultati notevoli su tempi scala lunghi, dell’ordine
dell’età dell’universo. Bisogna allora capire come il PBH può installarsi al centro della stella.
Da quanto già stimato, si capisce che per attrito non viene persa sufficiente energia perché
avvenga la cattura. L’unico altro modo è invece disporre di un campo variabile nel tempo, che
faccia diminuire l’energia del PBH; una volta che questo forma un sistema legato con la stella
ed è all’interno di essa, i processi dissipativi, come l’attrito sopra considerato, possono allora
permettergli di spiraleggiare verso il centro.
Il campo variabile va cercato al momento della nascita delle stelle, quando la materia collassa.
In questo caso particolare non si conserva l’energia, come invece accade durante la formazione
della Galassia, a causa di effetti dissipativi dovuti principalmente a viscosità. Ora la caratteristica
principale è, infatti, che il tempo associato al collasso è molto maggiore del tempo di caduta libera
delle particelle tc tf .
Per studiare questo problema5 si può considerare il modello semplificato [12] di una sfera
omogenea di massa M e raggio R che collassa uniformemente a causa della propria gravità. I
PBH inizialmente non sono legati alla sfera e sono quindi caratterizzati da un’energia positiva.
Se passassero all’esterno della sfera che si contrae, il potenziale gravitazionale che sentirebbero
sarebbe costante nel tempo, perché equivalente a quello generato da una massa M puntiforme.
Devono allora necessariamente passare all’interno: fissata la distanza radiale r < R, il potenziale
sarà variabile perché la massa contenuta nella sfera di raggio r aumenterà nel tempo.
Poiché il collasso è lento, la variazione d’energia dovuta al potenziale variabile nel tempo è
calcolabile con metodi perturbativi: si considera la traiettoria (iperbolica) che avrebbe la nostra
particella di prova se il potenziale fosse costante e si integra il lavoro svolto dalla forza, dipendente
dal tempo, lungo il cammino.
Svolgere i conti seguendo questo metodo risulta peró inutilmente laborioso. Innanzitutto non
siamo interessati ad ottenere un risultato estremamente preciso; inoltre se ne ricaverebbe comunque
uno approssimato, a causa delle varie assunzioni che devono essere considerate.
Si può allora considerare che la variazione d’energia che vogliamo calcolare per le particelle non
legate sia dello stesso ordine di quelle che invece sono legate gravitazionalmente alla sfera; questo
calcolo porterà ad una sovrastima, che non sarà però eccessiva.
Consideriamo quindi il caso molto più semplice di una particella che ha velocità nulla alla
distanza r0 dal centro di una sfera omogenea di raggio R ≥ r0 ; da
r̈ = −
4πρG
GM (r)
=−
r,
r2
3
p
risulta evidente che il moto è armonico con periodo T = 2π r03 /(GM (r0 )) e che l’energia per
unità di massa vale E = −GM (r0 )/r0 . Il rate, dovuto al collasso, con cui aumenta la massa
contenuta nella sfera di raggio r0 può essere approssimato con Ṁ (r0 ) = γM/tc , con γ < 1. La
variazione di energia per unità di massa, quando la particella percorre tutto il diametro 2r0 , è allora
∆E = −GṀ (r0 )/r0 · T /2 = −γ/2(GM/r0 )T /tc . Una delle ipotesi iniziali era che la contrazione
fosse uniforme, quindi Ṁ è lo stesso a qualsiasi distanza dal centro; allora in prossimità della
5 Nell’articolo originale [12] le particelle considerate sono neutrini massicci; questa trattazione può essere adattata
a qualsiasi oggetto debolmente interagente che trasferisce energia alla materia ordinaria solo attraverso l’interazione
gravitazionale.
13
superficie della sfera, per r molto vicino a R, al limite la variazione cercata vale
∆E = −
γ GM T
.
2 R tc
(35)
Possiamo generalizzare allora questo risultato anche al caso delle particelle non legate, caratterizzate da un’energia iniziale per unità di massa E > 0.
Anche in questo caso stimiamo la sezione d’urto, che possiamo scrivere in funzione del paramentro d’impatto R0 come πR02 . In questo processo, come spiegato, non si conserva l’energia, ma
la conservazione del momento angolare rimane valida, perché le forze in gioco sono di tipo centrale.
Se allora le particelle non legate sono assimilabili ad un gas di Maxwell-Boltzmann, con dispersione
di velocità σ, nel caso di massimo momento angolare si può porre6 σR0 = vf in R. L’energia finale
per unità di massa della particella è data da E + ∆E = vf2 in /2 − GM/R. Affinché la particella
sia catturata è necessario che E + ∆E < 0. Considerando il caso limite E + ∆E = 0, si ottiene
vf in = (2GM/R)1/2 . La sezione d’urto è allora
πR02 = π
2GM
2GM γGM T
(GM )2 T
R=π 2
= 2πγ
,
2
σ
σ
2E tc
σ 4 tc
(36)
dove si è usata la (35) e si è considerato che a grandi distanze dalla sfera l’energia è puramente
cinetica, E = σ 2 /2.
Ora si può stimare il rate per la cattura delle particelle, integrando il flusso moltiplicato per la
sezione d’urto. La funzione di distribuzione, normalizzata, nello spazio delle velocità è
f (v) =
v2
1
e− 2σ2 .
2
3/2
(2πσ )
Per la distribuzione spaziale si assume invece una densità uniforme ni = Ni /(4π/3R3 ).
Z ∞
Z ∞
2
2
γ8π 2 ni
− v2 3
− v2
2T
2
2
2σ
2σ v dv.
(GM
)
e
Ṅc =
πR0 (ni v)e
4πv dv =
tc 0
(2π)3/2 σ 7
0
L’ultimo integrale si calcola facilmente per sostituzione e per parti; vale 2σ 4 .
La frazione di particelle catturate risulta allora essere
3/2 3/2
√
Nc
GM
GM
= γ3 2π
≈
.
Ni
Rσ 2
Rσ 2
(37)
(38)
Nella sezione (§9) si considererà un esempio particolare di lento collasso e verrà data una stima
numerica dell’efficenza della cattura; in generale ci si aspetta che la frazione di particelle catturate
sia molto minore di 1, in quanto la quantità tra parentesi è il rapporto tra l’energia potenziale
gravitazionale alla superficie della stella e l’energia cinetica iniziale.
8
Accrescimento sferico
Una volta che il PBH si è posizionato nel centro della stella, comincerà ad aumentare la propria
massa a spese della materia circostante tramite accrescimento: la materia risente dell’attrazione
gravitazionale e cadendo attraversa l’orizzonte degli eventi.
Il problema che stiamo trattando è a simmetria sferica; per risolverlo studiamo il caso ideale di
un BH immerso in un fluido infinitamente esteso, che è in quiete ed ha una densità ρ∞ all’infinito.
Modellizzare il materiale stellare con un fluido è una cosa legittima, in quanto il libero cammino
medio delle particelle è di molto inferiore alle distanze che si vanno a considerare. L’approccio al
problema è newtoniano [13], ma il risultato è comunque relativisticamente consistente.
Come conseguenza della simmetria il flusso sarà radiale e la stazionarietà implica ∂ρ/∂t = 0.
La prima equazione che è naturale scrivere è quella di continuità
∂ρ
1 d
+ ∇ · (ρu) = 2
ρur2 = 0.
∂t
r dr
(39)
6 Utilizzando la relazione, relativa alla varianza di una distribuzione nella variabile v, σ 2 =< v 2 > − < v >2 e
ricordando che questa nostra distribuzione è isotropa (< v >= 0), si ricava che σ 2 è proprio uguale alla velocità
quadratica media.
14
In questo contesto non vi sono processi dissipativi, quindi è lecito considerare anche la conservazione
dell’energia
Z
1 2 GM
dp
u −
+
= cost.
(40)
2
r
ρ
È da sottolineare che non si tiene conto della gravità del fluido stesso, ma si considera solo quella
della massa M del BH. Bisogna specificare un’equazione di stato per il fluido; si può supporre
un’equazione politropica
p = KρΓ .
(41)
Ora ci sono tutti gli strumenti per poter continuare. La legge con cui varia la massa del BH nel
tempo è
Ṁ = 4πρur2 .
(42)
Dalla (39) si ricava che possiamo valutare questa quantità in qualsiasi punto dello spazio, non
necessariamente sull’orizzonte degli eventi, come invece ci si aspetterebbe.
Lo studio delle equazioni mostra che vi sono vari tipi di soluzioni possibili, che però vanno
confrontate con le informazioni già note. Il grafico mostra, per le varie soluzioni, l’andamento
della velocità, in unità della velocità del suono, al variare della distanza radiale normalizzata
x = r/(GM/c2 ).
Sapendo come si comporta una particella in prossimità di un buco nero, possiamo già prevedere
che, prima di cadere nella singolarità, il fluido raggiungerà velocità supersoniche, a causa della forte
attrazione gravitazionale. Questa considerazione, unita alla condizione al contorno che impone
velocità nulla all’infinito, comporta che l’unica soluzione consistente sia quella del tipo ABC 0 ,
l’unica non tratteggiata.
Matematicamente si arriva allo stesso risultato imponendo che le derivate rispetto alla variabile
r della densità e della velocità debbano esistere dappertutto ed avere valore finito. Eseguendo la
derivata nella (39) si ottiene
u0
ρ0
2
+
=− .
(43)
u
ρ
r
Si deriva anche la (40), introducendo però la velocità del suono, definita come a = (dp/dρ)1/2 .
uu0 +
a2 0
GM
ρ =− 2 .
ρ
r
15
(44)
Mettendo a sistema le due equazioni e risolvendole per u0 e ρ0 si ottiene
u0 =
−GM + 2ra2 u
;
a2 − u2
r2
ρ0 =
−GM + 2ru2 ρ
.
a2 − u2
r2
(45)
Per evitare la singolarità ad u = a bisogna imporre che anche i numeratori si annullino; si ricava
allora che esiste una distanza (nel grafico precedente è rappresentata dal punto B=B’) alla quale
il fluido raggiunge la velocità del suono; questa è chiamata raggio sonico e vale rs = GM/(2a2 ).
Si è cosı̀ trovata una distanza particolare su cui è possibile valutare Ṁ , ora è sufficiente ricavare
le altre grandezze che rimangono (densità e velocità), scrivendole in funzione dei valori noti che si
raggiungono all’infinito.
2/(Γ−1)
Dalla definizione di velocità del suono si ricava che ρ = ρ∞ (a/a∞ )
. Per conoscere a al
raggio sonico basta sfruttare la conservazione dell’energia già scritta (40): con l’equazione di stato
si esegue l’integrale, si esplicita la velocità del suono e poi si determina la costante, notando che
all’infinito i primi due termini vanno a zero7
1 2 GM
a2
a∞ 2
u −
+
=
,
2
r
Γ−1
Γ−1
1/2
da cui a = a∞ [2/(5 − 3Γ)]
(46)
, (r = rs ). Concludendo
Ṁ = π
2
5 − 3Γ
5−3Γ
2(Γ−1)
G2 M 2
ρ∞
.
a∞ 3
(47)
Il coefficiente numerico vale πe3/2 per Γ = 1 e π/4 per Γ = 5/3.
Se si suppone che il gas sia perfetto, l’equazione di stato assume la forma esplicita p =
ρ/(µmu )kT ; risulta a2 = ΓkT /(µmu ). Qui k è la costante di Boltzmann, mu la massa atomica unitaria e µ la massa specifica molecolare, che vale 1/2 per idrogeno completamente ionizzato;
si pone Γ = 5/3.
Ṁ ≈ 9.5 · 104
ρ∞
gcm−3
T∞
104 K
−3/2 M
1015 g
2
g/yr.
(48)
Risolvendo si ricava come varia la massa nel tempo
M (t)
=
1015 g
1015 g
− 9.5 · 10−11
M (0)
ρ∞
g cm−3
T∞
104 K
−3/2 t
yr
!−1
.
(49)
La formula (48) è la soluzione di Bondi per l’accrescimento sferico; non prevede un valore massimo per il rate dell’accrescimento, che potrebbe quindi essere elevato a piacere. In realtà ciò non
è possibile ed è dovuto ad un limite posto per la luminosità dei corpi celesti, come successivamente
sarà spiegato.
L’efficenza8 dell’accrescimento sferico risulta molto bassa, dell’ordine di ε = 10−4 ÷ 10−5 [14].
Nei calcoli successivi si utilizzerà sempre il valore 10−5 . Tenendo conto di questo si può calcolare
la luminosità dovuta al processo
LB = εc2 Ṁ ≈ 2.7 · 1013
ρ∞
g cm−3
T∞
104 K
−3/2 M
1015 g
2
erg/s.
(50)
Si conclude allora che, per quanto riguarda i calcoli precedenti, la conservazione dell’energia può
essere ritenuta un’ipotesi valida; allo stesso tempo, però, si deve applicare, anche a questo caso,
quello che è chiamato il limite di Eddington, valido per tutti i corpi celesti sferici che emettono
radiazione [2].
Si considera un corpo celeste a simmetria sferica, come è il nostro caso. Il sistema è composto da
un plasma, che per semplicità supporremo costituito da elettroni e protoni (idrogeno ionizzato). Su
queste particelle agiscono due forze opposte: una dovuta all’attrazione gravitazionale della massa
7 In
realtà qui appare chiaro che non è necessario che il fluido sia fermo all’infinito, è sufficiente che u∞ a∞ .
è definita come ∆E/E, dove ∆E è l’energia persa per radiazione dalla particella che cade, mentre E
è quella iniziale.
8 L’efficenza
16
centrale, un’altra causata dalla pressione di radiazione che tenderebbe ad allontanare il plasma dal
centro. Affinché il sistema sia stabile (o, nel nostro caso, affinché sia possibile l’accrescimento), è
necessario che la seconda non superi la prima.
La forza gravitazionale è direttamente proporzionale alla massa della particella, quindi possiamo
considerarla trascurabile per gli elettroni, in quanto il rapporto tra la massa di uno di essi e quella
di un protone è solo 1/1836.
L’interazione tra particelle cariche ed onde elettromagetiche che si considera è quella dovuta
allo scattering Thompson9 , per la quale la sezione d’urto vale σT = (8/3)π(e2 /(mc2 ))2 : stavolta la
dipendenza è con l’inverso del quadrato della massa della particella, quindi sarà importante solo
per gli elettroni σT = 0.665 · 10−24 cm−2 e trascurabile per i protoni.
In questo problema sono presenti forze diverse che agiscono su diverse particelle, ma si può
supporre che le forze elettrostatiche tengano sostanzialmente legate le coppie elettrone-protone,
permettendo cosı̀ di operare un bilancio tra le due forze in gioco.
Il flusso di energia, uscente da una superficie di raggio r, dovuto alla luminosità L è F =
L/(4πr2 ). Una volta diviso per la velocità della luce c, fornisce un flusso di momento o alternativamente una forza per unità d’area. La forza radiativa che agisce su un elettrone è allora pari a
F σT /c. La forza gravitazionale, alla stessa distanza r è GM mp /r2 , con mp la massa del protone.
Uguagliando le due forze si conclude che la luminosità limite non dipende dalla distanza radiale:
M
4πc
19
≈ 6.3 · 10
erg/s.
(51)
LE = GM mp
σT
1015 g
Se si immagina che l’accrescimento sferico avvenga esattamente al limite di Eddington εṀ c2 = LE ,
la legge con cui varia la massa è
M
Ṁ = 2.2 · 1011
g/yr,
(52)
1015 g
da cui
M (t) = M (0)e2.2·10
9
−4
(t/yr)
.
(53)
Discussione e Conclusioni
Alla sezione (§6) si è studiata una particolare interazione tra la materia visibile ed i PBH, l’attrito
attraverso le stelle, per la determinazione della densità ΩP BH . Ora invece si vogliono considerare
le conseguenze dell’accrescimento di un PBH in una stella, quando però questo è posizionato al
centro di essa e non c’è moto relativo tra i due oggetti [15].
Per fare ciò, bisogna ripercorrere ciò che accade al PBH, seguendo le sezioni precedenti.
La distribuzione dei PBH all’interno della Galassia è esattamente la stessa di quella della
materia visibile, come prima discusso (§5). Nella sezione (§6) si è supposta una distribuzione
di densità omogenea per la materia oscura ed i PBH; per questa trattazione possiamo, invece,
raffinare quest’approssimazione, utilizzando il Cored Spherical Isothermal model, che prescrive un
profilo spaziale per la densità galattica del tipo a2 /(a2 + r2 ), dove a = 6.4 kpc è un parametro
misurato sperimentalmente. La funzione è ottenuta dalle osservazioni e misurazioni dei corpi celesti
che emettono radiazione. Si utilizzano coordinate cilindriche come sistema di riferimento per la
Galassia; la densità di materia oscura segue allora la legge
a2 + R02
ρDM (R, z) = ρDM (R0 , 0)
,
(54)
a2 + R2 + z 2
dove il parametro R0 = 8kpc è la nostra distanza dal centro della Galassia e ρDM (R0 , 0) ≈
0.3( GeV/c2 ) cm−3 . Come prima, consideriamo che i PBH siano una qualche frazione della materia
oscura, che possiamo indicare con ΩP BH /ΩDM . Si ricorda che ΩDM ≈ 0.3 La distribuzione spaziale
della densità numerica di PBH è allora data da
15
g
a2 + R02
−39 10
nP BH (R, z) = ρDM (R, z)(ΩP BH /ΩDM )MP−1
≈
1.8
·
10
ΩP BH cm−3 .
BH
MP BH a2 + R2 + z 2
(55)
9 Si ha scattering Thompson quando l’onda elettromagnetica interagisce con una particella carica libera che
riemette alla stessa frequenza dell’onda incidente.
17
Si è usata una massa tipica per i PBH che viene lasciata come paramentro libero. È importante
notare che ora la densità di PBH relativa alla densità critica, ΩP BH , comprende tutti i PBH, anche
quelli al di sopra del valore di evaporazione.
Oltre alla distribuzione spaziale si possono considerare anche le velocità degli oggetti: seguiranno una distribuzione Maxwelliana, con dispersione σ ≈ 1.6 · 107 cm/s indipendente dalla massa
degli oggetti. Tenendo conto anche di ciò, la funzione di distribuzione dei PBH nella Galassia è
2
fP BH (R, z, v) = nP BH (R, z)
2
e−v /2σ
.
(2πσ 2 )3/2
(56)
A questo punto i PBH sono distribuiti nella Galassia, ma non sono ancora legati gravitazionalmente
alle stelle. Come spiegato (§7), la cattura può avvenire se sono sottoposti ad un potenziale variabile
nel tempo, per il quale il tempo di collasso è molto maggiore del tempo di caduta libera, come al
momento della formazione delle stelle.
Queste nascono alcuni miliardi di anni fa e tipicamente sono prodotte da un tipo di protostella
chiamata Giant Molecular Cloud (GMC) di massa MGM C ≈ 1039 g e raggio RGM C ≈ 10 pc. Da
ogni GMC sono create, per collasso gravitazionale, circa 105 stelle, ma non tutta la massa iniziale
va a far parte di queste, perché è possibile che rimanga sotto forma di gas interstellare.
Il numero di PBH inizialmente contenuti nella GMC (che per comodità è posta a z = 0) e non
legati gravitazionalmente può essere facilmente ottenuto moltiplicando la densità numerica nP BH
per il volume della GMC.
15
g a2 + R02
iniziali
20 10
NP BH (R, 0) ≈ 2.2 · 10
ΩP BH .
(57)
MP BH a2 + R2
Utilizzando la (38), possiamo affermare che solo una piccola parte di essi verrà catturata
NPcatturati
(R, 0) =
BH
GMGM C
RGM C σ 2
3/2
17
NPiniziali
BH (R, 0) ≈ 1.9 · 10
1015 g
MP BH
a2 + R02
a2 + R2
ΩP BH .
(58)
Conoscendo il numero di stelle che si formano e prevedendo, con un coefficiente δ ≈ 0.1, che
alcuni PBH possano essere catturati gravitazionalmente non da una stella ma dal gas interstellare,
una buona stima del numero di PBH legati ad una singola stella è dato da
1015 g a2 + R02
NP∗ BH (R, 0) ≈ 1.9 · 1012 δ
ΩP BH .
(59)
MP BH a2 + R2
Se vogliamo che in media ogni stella abbia al suo interno almeno un PBH otteniamo una condizione
sulla massa tipica
2
a + R02
ΩP BH g.
(60)
MP BH < 1.9 · 1027 δ
a2 + R2
Tutto questo studio ha lo scopo di capire se i PBH sono una frazione consistente della materia
oscura; con questa ipotesi, si può assumere ΩP BH ≈ 0.1 ed allora il massimo valore consentito per
la massa è circa10 1025 g.
Oltre a questo limite superiore possiamo anche considerare MP BH > 1015 g, perché già
conosciamo una stima della densità per masse minori.
Siamo ora interessati a sapere cosa accade se il PBH ha a disposizione tutta l’attuale età
dell’universo tH = 13.7 · 109 yr per accrescere a spese della stella.
Come spiegato (§8), l’accrescimento può avvenire a due regimi differenti: per quello di Bondi
Ṁ ∝ M 2 , mentre per quello di Eddington Ṁ ∝ M . Si può allora lasciare la massa del PBH come
variabile e determinare per quale valore di questa avviene il cambio di regime. Dalle (50, 51),
ponendo LB = LE , si ricava che la massa cercata vale
MB,E = 2.4
10 Il
(T∞ /104 K)3/2 21
10 g.
(ρ∞ / g cm−3 )
termine tra parentesi nella formula (60) è dell’ordine di 1
18
(61)
Vi saranno allora tre casi:
1. l’accrescimento segue sempre il regime di Bondi;
2. l’accrescimento segue sempre il regime di Eddington;
3. nel corso del processo vi è il passaggio dal regime di Bondi a quello di Eddington.
Il caso (2) è semplice, significa che fin dall’inizio11 la massa del PBH supera MB,E , quindi
MP BH = MP BH (0) > MB,E . Per rientrare nel caso (1), invece, è necessario che nemmeno ora
(t = tH ) la massa del PBH abbia superato MB,E , quindi MP BH (tH ) < MB,E . La condizione sulla
massa iniziale, usando la (49), diventa allora più complicata
MP BH (0)
<
1015 g
1015 g
+ 9.5 · 10−2
MB,E
ρ∞
g cm−3
T∞
104 K
−3/2 tH
Gyr
!−1
.
(62)
Cominciamo ora con qualche esempio quantitativo. Supponiamo che il PBH si sia installato all’interno di una stella simile al Sole, per la quale vale M∗ = 2 · 1033 g, ρ∞ = 10 g cm−3 , T∞ = 107 K.
Allora
1. per MP BH < 2.5 · 1018 g si segue solo il regime di Bondi; avendo a disposizione tutta l’età
dell’universo, il PBH accresce fino ad una massa finale di MP BH (tH ) = 1.3 · 1022 g. Non
riesce, quindi, a inghiottire tutta la stella.
2. per MP BH > 7.5 · 1024 g si segue solo il regime di Eddington; il tempo necessario al PBH
per inghiottire tutta la stella è allora solo t = 4.3 · 104 yr. In tempi molto rapidi, allora,
l’accrescimento giunge al termine.
3. per 2.5 · 1018 g < MP BH < 7.5 · 1024 g vi è una prima fase descritta dal regime di Bondi,
che nel peggiore dei casi dura per tutta l’età dell’universo. Raggiunta però la massa limite
MB,E , l’accrescimento procede più velocemente ed è portato a termine in tempi molto più
brevi, come per il caso precedente.
Si può concludere che per tutti i PBH, per cui vale MP BH > 2.5 · 1018 g, l’accrescimento porta
alla scomparsa totale della stella.
Si possono fare gli stessi conti per una nana bianca; l’unico parametro che viene modificato è la
densità, che vale ρ∞ = 106 g cm−3 . Si può già prevedere che in queste condizioni l’accrescimento
sia ulteriormente favorito:
1. per MP BH < 2.5 · 1013 g si segue solo il regime di Bondi; questo valore della massa è al di
sotto del limite di evaporazione, perciò possiamo escludere questo caso, che non rispetta le
nostre ipotesi.
2. per MP BH > 7.5 · 1019 g si segue solo il regime di Eddington; il tempo necessario al PBH
per inghiottire tutta la stella risulta solo t = 6.5 · 104 yr. Come precedentemente, in tempi
molto rapidi l’accrescimento giunge al termine.
3. per 2.5 · 1013 g < MP BH < 7.5 · 1019 g (1015 g < MP BH < 7.5 · 1019 g) si segue prima il
regime di Bondi, ma poi si entra nel regime di Eddington ed in poche decine di migliaia di
anni la stella scompare completamente.
L’unico caso in cui l’accrescimento non è completo è quello che prevede una stella simile al
Sole ed un PBH con MP BH < 2.5 · 1018 g. È probabile però che anche questa stella evolva
successivamente in una nana bianca, ricadendo nel secondo caso. Si conclude allora che, in media,
ogni stella della Galassia dovrebbe essere stata inghiottita da un PBH. Per evitare questo scenario
irrealistico, bisogna imporre che non sia rispettata la condizione (60). Ma allora solo i PBH per
cui MP BH > 1025 g possono essere una frazione consistente della materia oscura (ΩP BH ≈ 0.1), in
quanto per essi cade l’ipotesi della cattura gravitazionale da parte di ciascuna stella della Galassia.
11 Considerando l’epoca in cui si formano le stelle, si può assumere che l’evaporazione abbia fino a quel momento avuto effetti trascurabili; la massa del PBH sarà allora rimasta quella iniziale, corrispondente al periodo di
formazione.
19
Queste considerazioni hanno permesso di alzare la soglia oltre la quale i PBH non sono una
frazione trascurabile della Materia Oscura. I modelli teorici per lo spettro relativo alla massa
iniziale dei PBH dovranno ora tenere conto di questa nuova restrizione: potrà quindi essere usata
come fattore discriminante per la scelta dei modelli stessi.
L’accrescimento di un PBH a spese di una nana bianca ha come risultato finale un buco nero di circa una massa solare. Quelli che invece si formano dal collasso delle stelle hanno una
massa minima pari a circa 3M . Un esperimento con lo scopo di rilevare un BH per cui vale
<
0.2 <
∼ MP BH /M ∼ 1.46 dimostrerebbe allora l’esistenza dei PBH. La radiazione di Hawking sarebbe trascurabile, quindi si dovrebbero sfruttare metodi alternativi, gli stessi che vengono usati
per studiare i BH con massa superiore a 3M .
20
Riferimenti bibliografici
[1] J. B. Hartle Gravity. (Addison Wesley, 2003)
[2] S. L. Shapiro, S. A. Teukolski Black Holes, White Dwarfs and Neutron Stars. (Wiley, 1983)
[3] B. J. Carr Primordial Black Holes: do they exist and are they useful?
ph/0511743v1, 2005)
(arXiv:astro-
[4] S. W. Hawking Gravitationally collapsed objects of very low mass. Mon.Not.R.Astr.Soc. (1971)
152, 75-78
[5] B. J. Carr, S. W. Hawking Black holes in the early universe. Mon.Not.R.Astr.Soc. (1974) 168,
399-415
[6] S. W. Hawking Black hole explosions? Nature (1974) 248, 30-31
[7] S. W. Hawking Particle Creation by Black Holes. Commun.Math.Phys (1975) 43, 199-200
[8] J. H. MacGibbon, B. J. Carr Cosmic rays from Primordial Black Holes. Astrophysical Journal
(1991) 371, 447-469; Cosmic rays from Primordial Black Holes and constraints on the early
universe. Physics Reports (1998) 307, 141-154
[9] D. N. Page, S. W. Hawking Gamma rays from Primordial Black Holes. Astrophysical Journal
(1976) 206, 1-7
[10] D. Lynden-Bell Statistical mechanics
Mon.Not.R.Astr.Soc. (1967) 136, 101-121
of
violent
relaxation
in
stellar
sistems.
[11] M. A. Abramowicz et al. No observational constraints from hypothetical collisions of hypothetical dark halo primordial black holes with galactic objects. (arXiv:0810.3140v2 [astro-ph],
2009)
[12] G. Steigman, C. L. Sarazin, H. Quintana, J. Faulkner Dynamical interactions and astrophysical
effects of stable heavy neutrinos. Astronomical Journal (1978) 83, 1050-1061
[13] H. Bondi On spherically symmetrical accretion. Mon.Not.R.Astr.Soc. (1952) 112, 195-204
[14] L. Nobili, R. Turolla, L. Zampieri Spherical accretion onto Black Holes: a complete analysis
of stationary solutions. Astrophysical Journal (1991) 383, 250-262
[15] M. Roncadelli, A. Treves, R. Turolla Primordial Black Holes are again on the limelight.
(arXiv:0901.1093v2 [astro-ph.CO], 2009)
[16] H. Stöcker Mini Black Holes in the first year of LHC. (arXiv:hep-ph/0607165v3, 2006);
B. Koch, M. Bleicher, H. Stöcker Black Holes at LHC? (arXiv:hep-ph/0702187v2, 2007);
B. Koch, M. Bleicher, H. Stöcker Exclusion of Black Holes disaster at LHC. (arXiv:0807.3349v2 [hep-ph], 2008);
S. B. Giddings, M. M. Mangano Astrophysical implications of hypothetical stable TeV-scale
black holes. (arXiv:0806.3381v2 [hep-ph], 2008).
21
Scarica