State attenti agli orsi!

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State attenti agli orsi!
e altri animali pericolosi del Nord-Ovest
Gli orsi
Nelle montagne “Cascades” di Washington ho visto orsi dozzine di volte. Vederli da
lontano è sempre interessante; vederli più da vicino è sempre inquietante, a dir poco.
Ogni tanto, quando il sentiero è circondato di cespugli alti, colgo un orso di sorpresa, che
“esplode” dai cespugli e corre via a tutta velocità—essendo l’orso tanto spaventato quanto
me. Il pericolo è sorprenderlo cosı̀ vicino che si senta minacciato e ti attachi per legittima
difesa, per cosı̀ dire. Perciò quando mi trovo in mezzo ad una vegetazione fitta dove crescono
le bacche che piacciono tanto agli orsi, sto attento a fare rumore mentre cammino. Per
esempio, canto a squarciagola il brindisi di “La Traviata” (avendo sentito dire che agli orsi
Verdi non piace). A volte succede che quest’esplosione improvvisa nei cespugli quasi mi
provoca un infarto, dopodiché mi rendo conto con imbarazzo che è solo un tipo di gallo
cedrone (“grouse”) che vola via. Fa tanto rumore quanto un orso.
A proposito delle bacche, non c’è niente di più strano che vedere questi grandi animali
che pascolano tra le bacche come se fossero vacche. Una volta sulla cresta di Sahalee Peak
(un posto bellissimo nelle “Cascades del Nord”) incontrai tre orsi che pascolavano cosı̀.
Nonostante il terreno fosse aperto, avevo appena oltrepassato una piccola cima sulla cresta
e perciò non li avevo visti prima. Quasi mi venne da ridere di fronte a questo spettacolo
comico, ma gli orsi erano troppo vicini per i miei gusti, e a dire il vero avevo un po’ di paura.
I tre mi guardarono per qualche secondo, poi mi ignorarono completamente.
Infatti, uno dei problemi comuni con gli orsi è che si abituano agli esseri umani. Se inoltre
imparano che portiamo cibo nei nostri zaini, senz’altro vogliono sfruttare quest’opportunità
per uno spuntino gratis.
Crea un grande problema in certi parchi nazionali popolari:
Yosemite, Yellowstone, etc.
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Fu in Yosemite che vidi un orso per la prima volta (fuori di uno zoo). Avevo 19 anni
e facevo un backpack con due amici. Prendemmo il sentiero che sale dalla famosa Valle
di Yosemite nella direzione di Halfdome, lungo il fiume Merced. Oltre la cima di Vernal
Falls (una cascata di altezza 100m) attraversammo un ponte e ci fermammo per una sosta.
Eravamo alla fine di maggio e il fiume fluiva al suo livello massimo; il rumore della cascata
era assordante.
All’altra estremità del ponte, una coppia giovane si era fermata come noi, e stavano
mangiando un boccone. Improvvisamente vedemmo un orso che si avvicinava con noncuranza
di spalle ai giovani, i quali non se ne accorsero e continuavano a mangiare e ad ammirare
tranquillamente la vista. Scattammo in piedi, gesticolando furiosamente, e gridammo, “Un
orso! Guardate dietro di voi! Un orso!”. A causa del rumore della cascata, non potevano
sentire una parola di quello che dicevamo, e non fecero altro che guardarci interrogativamente,
senza dubbio chiedendosi che diavolo fosse preso a quei pazzi, che urlavano e gesticolavano
cosı̀. A questo punto l’orso gli stava quasi a portata di mano. Facendo un tipo di pantomima,
finalmente ci riuscimmo e i due voltarono.
In vita mia non avevo mai visto qualcuno muoversi con tale velocità. Lasciando indietro
gli zaini, attraversarono il ponte in due secondi e si rifugiarono dietro un albero. Nel frattempo l’orso, avendo degustato il contenuto dei loro zaini, veniva verso di noi per controllare
se avessimo qualcosa di meglio. Allora toccò a noi metterci in fuga; ci disperdemmo in ogni
direzione cercando di nasconderci dietro un albero o una roccia. Ma vedere l’orso che ficcava
il naso nei nostri “backpacks” fu la goccia che fece traboccare il vaso, e la paura venne sopraffata dalla rabbia. Non mi andava affatto che quest’animale goloso rubasse il nostro cibo
e rovinasse la nostra gita nelle montagne. Da dietro un grande albero, urlavo insulti osceni e
lanciavo rocce sulla sua testa. Dopo poco l’orso, a quanto pareva pensando che non valesse
la pena sopportare questo trattamento, si arrese e se ne andò tranquillamente.
Il peggiore è incontrare una mamma orso e i suoi piccoli. Guai a te se la mamma si
arrabbia! Certo, piace a tutti vedere i piccoli degli animali: i cerbiatti, gli anatroccoli, ecc.
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Sono cosı̀ carini. Gli orsetti invece...per quanto siano carini, non avrei la minima voglia
di vederne uno da vicino, anzi, incontrare degli orsiotti sul sentiero sarebbe la cosa più
spaventosa che io possa immaginare. La mamma orso è molto protettiva, e se pensa che tu
costituisca una minaccia per i suoi piccoli, ti attacherà senza esitazione.
Per trent’anni una cosa simile non mi è mai successo—fino ad un giorno qualche anno fa,
su un sentiero a Little Devil Peak (“La cima del piccolo diavolo”). È un posto remoto nelle
North Cascades, e per tutto il giorno non avevo visto anima viva. Camminavo immerso nelle
solite meditazioni, quando tutto d’un tratto, alzando lo sguardo ho visto due orsetti a poco
distanza a destra del sentiero, che stavano dritti sui piedi posteriori e mi guardavano fissi,
un po’ incuriositi e un po’ diffidenti. Mi sono sentito gelare il sangue. Ho subito guardato
a sinistra, cercando la mamma, perché se mi fossi trovato in mezzo tra lei e i piccoli, sarei
rimasto fregato di sicuro. Non l’ho vista da nessuna parte. Pian piano ho continuato in avanti
sul sentiero, trattenendo il fiato e pronto a gettarmi per terra e ad assumere la “posizione di
ultima risorsa”. (Cioè, ci si rannicchia e ci si protegge la nuca con le mani. È inutile tentare
di corre via; un orso è molto più veloce di te.) Per fortuna, non è stato necessario; non si è
fatta viva.
Tuttavia per il resto del giorno ero nervoso assai. Non potevo fare a meno di immaginare
che gli orsetti fossero corsi a casa gridando “Mamma, mamma un grande uomo cattivo ci ha
miniacciati!”, e ora lei mi cercava, decisa a farsi vendetta. Più in alto ho incontrato un altro
orso, ma lui pareva tanto spaventato quanto me, e è corso via a tutta velocità.
Tutto sommato, andrebbe benissimo per me se non incontrassi mai più un orsetto sul
sentiero.
I serpenti a sonagli
Faccio un sogno ricorrente nel quale mi fermo sul sentiero per mangiare un boccone,
seduto per terra, quando d’un tratto mi accorgo che c’è un serpente a sonnagli accanto a
me. Poi mi rendo conto che ce n’è un altro, e un altro, e infatti tutta la terra attorno a me
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è brulicante di serpente a sonagli, che strisciano qua e là, vengono fuori dai loro covi nelle
rocce e sono tanto numerosi che non posso muovermi neanche un centimetro senza che uno
mi morda.
Ci sono serpenti a sonagli nelle montagne Cascades, ma vivono soltanto sul lato est, dove
il clima è più secco. Sono velenosi, e se ti mordessero non sarebbe un’esperienza piacevole.
Ciononostante è tempo sprecato averne paura, perché incontrarne uno è molto improbabile.
Io ho camminato nelle Cascades per quasi quarantacinque anni, e ho incontrato serpenti a
sonagli solo tre volte. Inoltre non sono aggressivi, anzi, i “sonagli” servono ad avvertirti: “Io
sono velenoso; non avvicinarti!” Va detto però che sentire inaspettatamente il loro sonnaglio
caratteristico, mentre si cammina sul sentiero, è una cosa abbastanza spaventosa. Comunque
puoi consolarti al pensiero che se fossi a portata di tiro del serpente, ti avrebbe già colpito.
La prima volta che incontrai un serpente a sonnagli, io e Wendy facevamo un backpack
sul lato est delle Cascades. Vedemmo un serpente a sonagli lunghissimo, quasi due metri
(almeno cosı̀ ci sembrò; dubito che fosse davvero cosı̀ lungo), che strisciava attraverso il
sentiero qualche passo davanti a noi. Non ci fu nessun pericolo, anzi, il serpente non fece
caso a noi nemmeno e continuò tranquillamente per la propria strada. E se la notte, sentendo
freddo, gli fosse venuta la voglia di condividere il nostro sacco a pelo? Meglio non pensarci.
Le altre due volte che mi successe, salivo un sentiero ripidissimo in Tumwater Canyon (a
poco distanza da Leavenworth) che conduceva a Midnight Rock: “La Roccia di Mezzanotte”,
un obiettivo comune dei rocciatori. All’improvviso sentii quel sonaglio, e riconobbi subito
che cosa fosse. Mi bloccai, cercando di determinare dove fosse il serpente. Se avessi fatto
un passo nella direzione sbagliata, mi avrebbe colpito. Finalmente lo scorse nella boscaglia,
attorcigliatosi e pronto a colpire. Non era grande, ma velenoso lo stesso. Pian piano feci un
passo indietro, e poi, tenendomene alla larga, ricominciai la salita.
Gli alci
Inanzitutto bisogna chiarire la terminologia. Nella lingua americana un “alce” è un
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“moose”. In europa, dove spesso si usa l’inglese sbagliato che parlano in Inghilterra, si usa il
termine “elk”. Ma un “elk” e un “moose” sono animali diversi. Tutti e due appartengono alla
famiglia Cervidae, ma non è possibile scambiare l’uno per l’altro. Nella lingua americana,
un “elk” è un animale elegante che assomiglia a un cervo normale, ma molto più grande;
un “moose” è ancor più grande che un “elk”, e con i suoi lineamenti insoliti non vincerebbe
nessun concorso di bellezza. Un alce può pesare 800kg e la sua altezza alla spalla può
raggiungere due metri.
Senza fare uno sforzo, un alce può uccidere un lupo o un uomo con gli zoccoli anteriori.
Ma è molto improbabile che attachi un uomo, senza che qualcosa lo spinga a farlo. Che
cosa potrebbe provocare un alce? Le due solite cose: (i) essere colto di sopresa a distanza
ravvicinata; e (ii) una minaccia apparente per suoi piccoli.
Una volta, nel Pintlar Wilderness in Montana, stavo seduto presso la riva di un piccolo
lago, godendomi la solitudine e la vista. Dopo un po’ mi accorsi di un alce sulla riva opposta,
che era entrato nell’acqua e avanzava lentamente proprio nella mia direzione. Il lago era poco
profondo, per cui la grande bestia poteva camminare senza nuotare, brucando le piante che
si trovavano sotto l’acqua. Io invece ero quasi nascosto nei cespugli, e sottovento rispetto
all’alce, perciò lui non si era accorto di me. Per quanto fosse affascinante guardare l’alce da
sempre più vicino, non volli mettere alla prova punto (i) qui sopra. Mi alzai in piedi e gli
gridai un saluto amichevole. L’alce mi guardò per qualche minuto, incuriosito, poi ricominciò
a pascolare.
Un altra volta, camminavo lungo un ruscello nelle montagne “Grand Tetons” in Wyoming.
Superato un’ansa del piccolo fiume, vidi una mamma alce e il suo piccolo sdraiati sotto
un albero sull’altra riva. Erano abbastanza vicino che mi rendeva piuttosto apprensivo;
la mamma avrebbe potuto attraversare il ruscello in pochi secondi e calpestarmi a morte.
Cercai di assumere l’atteggiamento meno minaccioso possibile, fischiettando un motivetto
allegro e salutandoli in modo rassicurante. “Non fate caso a me! Faccio una passeggiata,
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tutto qui.” La mamma si limitò a lanciarmi un’occhiata fulminante, come se dicesse “Va
bene per una volta, ma non sfidare la fortuna”.
Una gatta contro una banda di delinquenti
Ho incontrato le parole “orsi lavatori” per la prima volta nel romanzo “Io non ho paura”
di Ammaniti. All’inizio non capivo di che cosa si trattasse; pensavo che fossero animali di un
fumetto italiano, che solo i lettori italiani avrebbero riconosciuto. Dopo un po’ sono scoppiato
a ridere, rendendomi conto che “orsi lavatori” vuole dire “raccoon”, un animale molto comune
negli Stati Uniti. Non sono per niente orsi—appartengono alla famiglia Procyonidae—ma è
vero che hanno l’abitudine, insolita per un animale, di lavare il loro cibo prima di mangiarlo.
(Con questo non intendo prendere in giro gli italiani. Nel romanzo il termine “orsi lavatori”
viene usato da un bambino di nove anni che abita in un piccolissimo paese meridionale. Nel
dizionario invece si vede i termini “orsetto lavatore” e “procione”.) Non direi che gli orsetti
lavatori sono davvero pericolosi, ma a volte sono sorprendamente aggressivi. Li si vede spesso
in città (qui a Seattle, per esempio); vagabondano per le strade di notte, cercando cibo nella
immondizia. La colorazione attorno agli occhi gli dà l’aspetto di banditi, come se fossero
mascherati.
Anni fa, quando le nostre figlie erano piccole, avevamo una gatta chiamata Daisy (“Margheritina”; furono le figlie, si capisce, che le avevano dato questo nome). Daisy era una gatta
piccola, magra e in generale timida, che passava la maggior parte del giorno dormendo. Una
sera sentii un grande baccano che veniva dalla veranda. Aprendo la porta della cucina, mi
trovai di fronte ad una scena impressionante: Cinque orsetti lavatori stavano sulla veranda in
un semicerchio, ringhiando aggressivamente. Davvero assomigliavano ad una banda di delinquenti. Daisy intanto rimase intrappolata su una sedia nell’angolo, però, con mia grande
sorpresa, era rimasta seduta e non faceva altro che guardare gli aggressori e ringhiare. Avevamo fatto lo sbaglio di lasciare il piatto di cibo di Daisy fuori della porta, accanto alla sedia.
Gridai a squarciagola e feci un passo in avanti, pensando che questo sarebbe bastato a mettere gli orsetti lavatori in fuga. Rimasi sbalordito nel vedere che non si ritiravano neanche un
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centimetro; allora ringhiavano a me, guardandomi fisso come se dicessero “Davvero, buffone?
Provaci pure! Avrai a che fare con noi!”. Fu già troppo l’insolenza, ma questo darmi del tu
mi mandò sulle furie. Afferrai un grande contenitore di immondizia, e usandolo simultaneamente come una clava e come uno scudo, mi lanciai contro la banda gridando: “Indietro,
delinquenti! Alla larga, assassini!”
Dopodiché, gli orsetti lavatori essendosene andati, Daisy rientrò nella casa come se niente
fosse successo, saltò sul divano e si mise a fare le fusa.
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