Antonino Pio
Tito Aurelio Fulvo Boionio Arrio Antonino Pio (Titus Aurelius Fulvus Boionius Arrius Antoninus Pius;
Lanuvio, 86–161) fu imperatore dal 138 al 161.
Antonino Pio visse in un momento cruciale della storia di Roma: l'apogeo dell'impero o il cosiddetto
secolo d'oro. Gli imperatori che regnarono durante questo secolo, prendono il nome proprio da lui, che
regnò all'incirca a metà di questo periodo.
Era nato a Lanuvio (Lanuvium) nel Lazio, ma una parte della sua famiglia era originaria di Nîmes
(Nemausus). Il nonno (Tito Aurelio Fulvo) era stato praefectus urbi e console due volte, l'altro (Arrio
Antonino) proconsole d'Asia e anch'egli console due volte. Famiglia anche ricca: con fabbriche di mattoni
nella regione romana e vaste proprietà in Italia, Antonino è uno dei più ricchi senatori della metà del secolo,
una ricchezza che il matrimonio (con Annia Galeria Faustina, Faustina Maggiore, figlia di Marco Antonio
Vero) rinforzò anche di più.
Antonino trascorse gli anni della giovinezza a Lorium , a circa 12 miglia da Roma e, dopo la morte
del padre, i due nonni provvidero alla sua educazione, in particolare quello materno, che era amico di Plinio
il giovane. Molto si ignora del suo cursus honorum prima di essere imperatore, salvo il suo consolato nel
120 (preceduto dal ricoprimento delle cariche di questore nel 111 e di pretore nel 116), la sua nomina tra i
quattro consolari d'Italia, il suo proconsolato d'Asia (133 - 136) e la sua partecipazione al Consiglio
imperiale.
Antonino fu adottato da Adriano il 25 febbraio 138, ricevendo la potestà tribunizia e l'imperium;
adottò a sua volta Marco Aurelio e Lucio Vero. Restò l'unico imperatore alla morte di Adriano, avvenuta il 10
luglio dello stesso anno. Uno dei primi atti ufficiali di governo (acta) fu la divinizzazione del suo
predecessore, alla quale si oppose fieramente tutto il senato, che non aveva dimenticato che Adriano aveva
diminuito l'autorità dell'assemblea e ne aveva mandato a morte alcuni membri.
Alla fine si giunse ad un compromesso: il senato non si sarebbe opposto alla divinizzazione del
defunto imperatore, ma Antonino avrebbe abolito l'organo di governo dell'Italia formato dai quattro giudici
circoscrizionali. Per aver cercato un accordo con il senato Antonino ricevette l'inusuale titolo di “Pio”.
Adeguandosi alle usanze Antonino rifiutò il titolo di padre della patria (pater patriae), ma poi finì con
l'accettarlo nel 139 insieme con un secondo consolato, seguito da un terzo e da un quarto. Ligio alla
religione e agli antichi riti, nel 148 celebrò solennemente il novecentesimo anniversario della fondazione di
Roma.
Antonino fu un ottimo gestore dell'economia dell'Impero e, nonostante le numerose campagne
edilizie, riuscì a lasciare ai suoi successori un patrimonio di oltre due miliardi e mezzo di sesterzi, segno
evidente dell'ottima cura con cui resse le redini dello stato. Tuttavia il suo regno fu tutto tranne che
eccessivamente parsimonioso.
Egli infatti aumentò le elargizioni alla plebe di Roma (ai tempi di Augusto circa 200.000 cittadini di
Roma avevano grano e acqua gratuitamente; a partire da Antonio Pio, ad una quantità di cittadini maggiore,
si ebbero distribuzioni anche di olio e vino, che però furono rese stabili solo sotto Settimio Severo), continuò
l'opera del suo predecessore nel campo dell'edilizia (furono costruiti ponti, strade, acquedotti in tutto
l'impero anche se pochi sono i monumenti dell'Urbe da lui fatti costruire che ci sono giunti) e aiutò con la
sospensione del tributo dovuto diverse città colpite da calamità varie. Senza ridurre le spese per le
province, aumentò quelle per l'Italia, a differenza del predecessore. Infine c'è da aggiungere che aumentò
la distribuzione di sussidi, inaugurata da Traiano, alle orfane italiche, dette "Puellae Faustinianae" dal nome
della moglie di Antonino. Privò dei fondi solo coloro che riteneva oziosi,
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Nell'amministrazione generale dell'impero, e particolarmente in campo legale, Antonino seguì nelle
grandi linee gli indirizzi di Adriano. Sotto il
suo regno giunse a conclusione e ci fu il
riconoscimento giuridico formale della
distinzione
tra
le
classi
superiori
(honestiores) e le altre (humiliores),
distinzione espressa nelle diverse pene cui
le classi erano soggette. Si nota la
tendenza a sottoporre i ceti più umili della
società, siano pure cittadini romani, a pene
generalmente riservate in età repubblicana
agli schiavi.
Sempre in campo giuridico è
interessante una norma che migliorava la
condizione
degli
schiavi.
Ancora
interessanti sono le notizie, che egli rinnovò
l'incarico anche per sei o nove anni ai
governatori delle province più capaci e che
prestava particolare attenzione ai reclami
giuridici verso i suoi procuratori del fisco
nelle province.
Tra il 141 e il 143 in Britannia, fu
costruito un nuovo muro, tra l'estuario del
Clyde e quello del Forth (37 miglia), più a
nord di quello di Adriano. Non conosciamo
il motivo di questo avanzamento, ma sappiamo che il governatore della Britannia, l'africano Quinto Lollio
Urbico in carica dal 139 al 145, riconquistò i Lowlands scozzesi. Verso il 154-155 delle monete celebrano
una nuova sottomissione della Britannia. Nella stessa data, o poco dopo, il muro di Antonino è
abbandonato a causa di una grave rivolta, riparato verso il 158, prima di essere poco a poco di nuovo
abbandonato a partire dal 159. In pratica il vallo di Antonino è un terrapieno realizzato su una fondazione di
sassi ampia quattordici piedi, con davanti un profondo fossato. La guarnigione era dislocata in piccoli fortilizi
distanti due miglia l'uno dall'altro, diversamente dal vallo di Adriano che era dotato di forti più grossi ma più
distanti.
Lungo il limes germanico-retico, furono realizzate opere, con un ulteriore avanzata verso nord-est,
del tratto finale che conduceva al Danubio. Per questi successi, forse collegati anche all'aver "dato un re ai
Quadi", Antonino ottenne il titolo vittorioso di Germanicus.
In Egitto, verso il 142-144, scoppiò una sollevazione, verosimilmente di origine economica. in seguito
all'imposizione rigorosa del lavoro forzato.
Nelle Mauretanie, verso il 145, ebbero luogo dei disordini che resero necessario l'intervento di
rinforzi prelevati sulle frontiere renana e danubiana. Il risultato fu quello di cacciare le popolazioni locali
nella parte occidentale del paese.
In Dacia, verso il 156-157, furono organizzate spedizioni militari per sopprimere una sollevazione.
Verosimilmente per questi successi Antino si meritò il titolo di Dacicus.
Pio morì serenamente il 7 marzo 161 a Lorium, dopo tre giorni di febbre. Egli lasciò l'impero
apparentemente all'apice della sicurezza e prosperità. Il regno successivo doveva rivelare le tensioni e le
debolezze, doveva mostrare fin dove questo felice stato di cose dipendeva dalla pace lunga e ininterrotta. È
comunque appropriato che Antonino avrebbe avuto il più tranquillo letto di morte rispetto a qualunque
imperatore fino a quel momento.
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Il limes germanico-retico
Gli succedettero, secondo il progetto da lungo maturo, Marco Aurelio, il quale aveva sposato la figlia
di Antonino, Faustina Minore, che gli aveva dato una numerosa figliolanza, e Lucio Vero.
Marco Aurelio
Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto (121-180) è ricordato non solo come imperatore, ma ache
come filosofo e scrittore. Fu adottato nel 138 dal suocero Antonino Pio che lo nominò erede al trono
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imperiale. Fu imperatore - assieme a Lucio Vero, suo fratello adottivo essendo stato anch'egli adottato da
Antonino Pio - dal 161 sino alla morte, avvenuta per malattia nel 180, a Sirmio o presso Vindobona.
Considerato dalla storiografia tradizionale come un sovrano capace e assennato, il suo regno fu
tuttavia funestato da conflitti bellici (guerre partiche e guerre marcomanniche), carestie e pestilenze.
Marco Aurelio è ricordato anche come un importante filosofo stoico, autore dei Colloqui con se
stesso scritti in greco.
Alcuni imperatori successivi utilizzarono il nome "Marco Aurelio" per sottolineare un ideale anche se
inesistente legame con Marco Aurelio.
Marco Aurelio nacque dal matrimonio fra Domizia Lucilla e Marco Annio Vero, di cui riprese il nome:
Marco Annio Vero. Ebbe una sorella più piccola, Annia Cornificia Faustina, nata nel 122 o nel 123. Rimasto
orfano di padre nel 124, fu adottato dal nonno paterno, anch'esso chiamato Marco Annio Vero. Il 25
febbraio 138, all'età di diciassette anni, venne adottato dallo zio Antonino Pio assieme a Lucio Vero,
assumendo il nome di Marco Aurelio Valerio. Di lì a poco fu anche designato come successore al trono. La
duplice adozione avvenne contestualmente a quella di Antonino Pio da parte dell'imperatore Adriano che
aveva richiesto questo atto come condizione per farlo erede al trono. Quando, nel 139, fu designato erede
al soglio imperiale, assunse il nome di Aurelio Cesare figlio del Pio Augusto.
Marco Aurelio sposò nel 145 la cugina Faustina Minore, figlia dell'imperatore dell'epoca, Antonino
Pio, e di Faustina Maggiore, da cui ebbe diversi figli tra cui il futuro imperatore, Commodo e Lucilla, futura
moglie di Lucio Vero.
Fin dalla sua ascesa al principato, Marco Aurelio ottenne dal Senato che Lucio Vero gli fosse
associato su un piano di parità, con gli stessi titoli ad eccezione del pontificato massimo che non si poteva
dividere. La formula era innovativa: per la prima volta alla testa dell'impero vi era una collegialità. In teoria i
due fratelli avevano gli stessi poteri. In realtà Marco Aurelio conservò sempre una preminenza che Vero
non contestò.
Le ragioni di questa collegialità non sono chiare. La successione congiunta potrebbe essere stata
motivata da esigenze militari, come accadeva in età arcaica nella diarchia spartana.
Occorreva infatti una figura rappresentativa e carismatica al comando delle truppe. Neanche
l'Imperatore in persona avrebbe potuto difendere entrambi i fronti allo stesso tempo, né avrebbe potuto
semplicemente incaricare un generale di condurre un assalto. Già in passato comandanti militari molto
popolari come Giulio Cesare e Vespasiano avevano usato l'esercito per sovrapporsi ai governi esistenti e
installarsi al potere.
Sul piano della politica interna, Marco Aurelio si comportò, come già Augusto, Nerva e Traiano, da
princeps, cioè "primo cittadino" e non da monarca assoluto, rivelandosi rispettoso delle prerogative del
senato, consentendogli di discutere e di decidere su tutti i principali affari dello Stato, come la dichiarazione
di guerra ai popoli e i trattati con questi stipulati, nonché di quelle delle magistrature romane. Avviò anche
una politica tendente a valorizzare le altre categorie sociali: ad uomini di tutte le province fu reso possibile
raggiungere le più alte cariche dell'amministrazione statale. Né ricchezza, né illustri antenati influenzavano
il giudizio di Marco Aurelio, ma solo il merito personale. L'assetto amministrativo introdotto da Augusto
quasi 150 anni prima e che fino ad allora aveva servito egregiamente l'Impero salvandolo anche quando si
erano succeduti Imperatori dissoluti come Caligola e Nerone o in occasione della guerra civile del 69,
cominciava ad acquisire piena consapevolezza del proprio potere.
Tentò anche nuove vie commerciali: si ricorda una ambasceria mandata presso l'Imperatore Cinese
nel 166. I Cinesi lo conoscevano col nome di An-Tun.
Istituì l’anagrafe: ogni cittadino romano ebbe l'obbligo di registrare i propri figli entro trenta giorni
dalla loro nascita.
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Impiegò il denaro non in splendide architetture, ma in opere di ricostruzione assolutamente
necessarie, o in migliorie della rete stradale, da cui dipendeva la difesa dell'impero e il progresso del
commercio, in fortezze, accampamenti e città. La grandiosa colonna di Marco Aurelio di fronte a Palazzo
Chigi (alta 42 m) fu eretta dopo la sua morte per ricordare proprio le vittorie sul fronte germanicodanubiano. La colonna era sormontata da una statua dell’Imperatore, ma ora vi è posta quella di S. Paolo.
Non riuscì a realizzare i suoi ideali stoici di eguaglianza e libertà perché l'esigenza di controllare le finanze
locali lo portarono alla costruzione di una classe burocratica che presto volle arrogarsi diritti e privilegi e si
costituì quale classe chiusa. Tra le altre leggi proibì la tortura per i cittadini eminenti, poi per tutti i cittadini
liberi, come era stato sotto la Repubblica romana.
Marco Aurelio, anche se fu continuamente impegnato nelle guerre, specie alla frontiera danubiana, si
interessò attivamente dell'amministrazione e delle leggi, cercando di mitigare le condizioni degli schiavi e
favorendone l'emancipazione. In coerenza con lo stoicismo, filosofia contraria alla schiavitù, emanò norme
favorevoli alla classe servile: ad esempio il diritto di asilo (cioè l'immunità finché si stava in un determinato
luogo) per gli schiavi fuggitivi (che potevano essere uccisi e puniti in ogni modo dal padrone) presso ogni
tempio e ogni statua dell'imperatore.
In Asia, l'Impero dei Parti che aveva ripreso vita, rinnovava i suoi attacchi. Marco Aurelio risolse il
problema mandando Lucio Vero a comandare le legioni orientali. Egli aveva infatti abbastanza autorità da
riscuotere la piena lealtà delle truppe, ma non era abbastanza potente da essere tentato di sopraffare
Marco stesso. Il piano ebbe successo: Vero sconfisse i Parti nel 166 e rimase leale a Marco Aurelio fino alla
propria morte sul campo nel 169.
Questa autorità compartita era molto simile al sistema politico della passata Repubblica che si
basava sul principio della collegialità e non permetteva ad una singola persona di impadronirsi del potere
supremo. Il governo congiunto sarebbe stato ripristinato dalla struttura del potere inaugurata da Diocleziano
nel tardo III secolo, la tetrarchia.
La guerra che scoppiò nella seconda parte del II secolo contro l'Impero romano da parte di una
coalizione di natura militare, composta da una decina di popolazioni germaniche e sarmatiche, era la
naturale conseguenza di una serie di forti agitazioni interne e di continui movimenti migratori che avevano
ormai modificato gli equilibri con il vicino impero romano. Questi popoli erano alla ricerca di nuovi territori
dove insediarsi, sia per la pressione di altri popoli barbarici confinanti, sia per il crescente aumento
demografico della popolazione nell'antica Germania. Erano, inoltre, attratti dalle ricchezze e dalla vita agiata
del mondo romano.
La frontiera danubiana era in quel periodo più sguarnita del solito, sia per la sottrazione delle legioni
inviate contro i Parti, sia per una grave epidemia di peste, scoppiata durante l'ultimo anno di campagna in
Oriente (166) e portata dagli stessi legionari all'interno dei confini dell'Impero. Tale epidemia avrebbe
falcidiato la popolazione dell'Impero per oltre un ventennio, causando una catastrofe demografica
paragonabile a quella che colpì l'Europa nel XIV secolo.
Nel 166/167, avvenne il primo scontro lungo le frontiere della Pannonia ad opera di poche bande di
predoni longobardi e osii, che, grazie al pronto intervento delle truppe di confine, furono prontamente
respinte. La pace stipulata con le limitrofe popolazioni germaniche a nord del Danubio furono gestite
direttamente dagli stessi imperatori, Marco e il fratello Lucio Vero, ormai diffidenti nei confronti dei barbari
aggressori e recatisi per questi motivi fino nella lontana Carnuntum (nel 168). La morte prematura del
fratello, Lucio (nel 169 poco distante da Aquileia), e il venir meno ai patti da parte dei barbari, portò una
massa mai vista prima d'ora, a riversarsi in modo devastante nell'Italia settentrionale fin sotto le mura di
Aquileia, il cuore della Venetia, e provocando un'enorme impressione: era dai tempi di Mario che una
popolazione barbara non assediava dei centri del nord Italia.
Marco combatté una lunga ed estenuante guerra contro le popolazioni barbariche, prima
respingendole e "ripulendo" i territori della Gallia cisalpina, Norico e Rezia (170-171), poi contrattaccando
con una massiccia offensiva in territorio germanico, che impiegò diversi anni di scontri, fino al 175. Questi
accadimenti costrinsero lo stesso imperatore a risiedee per numerosi anni lungo il fronte pannonico, senza
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mai far ritorno a Roma. L'apparente tregua sottoscritta con queste popolazioni, in particolare Marcomanni,
Quadi e Iazigi durò però solo un paio d'anni. Alla fine del 178 Marco fu costretto a fare ritorno nel castra di
Brigetio da dove, fu condotta l'ultima campagna nella primavera successiva del 179.
La successiva morte dell'imperatore romano nel 180, a causa, probabilmente, della peste, pose fine
ai piani espansionistici romani. Egli infatti, ricoverato a Vindobona (Vienna) vi morì il 17 marzo 180. Per
Tertulliano, uno storico contemporaneo, sarebbe invece deceduto sul fronte sarmatico, non molto distante
da Sirmio.
Egli riuscì ad assicurare la successione al figlio Commodo, anche se la scelta non fu felice e venne
perciò molto criticata in seguito. Commodo, infatti, si rivelò un cattivo politico, ma non un cattivo militare
come molti autori latini sostenevano, oltre che un sovrano esageratamente dedito ai propri interessi.
Commodo
Lucio Elio Aurelio Commodo (Lucius Aelius Aurelius Antoninus Commodus; 161- 192) regnò dal 180
al 192. Come Caligola e Nerone, è descritto dagli storici come stravagante e depravato.
Comodo aveva un fratello gemello, Fulvo Tito Aurelio Antonino, morto nel 165. Il 12 ottobre 166,
Commodo fu nominato Cesare insieme al fratello minore, Marco Annio Vero; quest'ultimo morì nel 169,
perciò l'unico figlio superstite rimase quindi Commodo.
Commodo ricevette una buona istruzione
Nell'aprile del 175, Avidio Cassio, governatore della Siria, si dichiarò imperatore seguendo la voce
che Marco Aurelio era morto. Essendo stato riconosciuto imperatore dalla Siria, Palestina ed Egitto, Cassio
portò avanti la sua ribellione anche dopo che era diventato evidente che Marco Aurelio era ancora in vita.
Durante i preparativi per la campagna contro Cassio, il principe assunse la sua toga sul fronte del Danubio
il 7 luglio 175, entrando così ufficialmente nell'età adulta. Cassio, invece, fu ucciso da uno dei suoi
centurioni prima che la campagna contro di lui potesse iniziare.
Successivamente Commodo accompagnò il padre in un lungo viaggio nelle province orientali,
durante il quale visitò Antiochia. L'imperatore e il figlio si recarono successivamente ad Atene. Poi tornò a
Roma nell'autunno del 176.
Marco Aurelio è stato il primo imperatore dopo Vespasiano, che ebbe un figlio proprio, e sembra
fosse sua ferma intenzione che Commodo divenisse il suo erede, nonostante da molto tempo gli imperatori
adottassero i loro eredi. Il 27 novembre 176, Marco Aurelio conferì a Commodo il rango di imperatore, e nel
177, il titolo di Augusto, attribuendo al figlio la sua stessa posizione, e formalmente condivise il potere con
lui. Il 23 dicembre dello stesso anno, ottenne il tribunato. Il 1º gennaio 177, Commodo divenne console per
la prima volta, e questo a soli 15 anni, diventando il più giovane console nella storia romana fino a quel
momento. Durante il regno assieme al padre Commodo non commise stranezze nè crudeltà. Sposò poi
Bruzia Crispina prima di accompagnare suo padre ancora una volta al fronte del Danubio nel 178 per le
guerre contro i barbari, dove poi Marco Aurelio morì il 17 marzo 180, lasciando a 19 anni come unico
imperatore suo figlio Commodo.
La sua salita al trono che avvenne a Vindobona ove era assieme al popolare e vittorioso padre
Marco Aurelio il giorno della sua morte, fu inizialmente vista dal popolo di Roma come un presagio di
fortuna. Tuttavia, per quanto generoso e magnanimo fosse suo padre, Commodo si dimostrò l'opposto.
Molti ritengono che Commodo fosse pazzo, ma di certo si sa che fu dedito agli eccessi.
Commodo aveva la passione per i combattimenti gladiatori e quelli contro le bestie, al punto da
scendere egli stesso nell'arena vestito da gladiatore, come l'Ercole romano. Questo comportamento era
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considerato scandaloso dai Romani: la morale comune poneva i gladiatori nei ranghi più bassi della scala
sociale.
L'instabilità di Commodo non si limitava a questo hobby. Nel 190, una parte della città di Roma fu
distrutta da un incendio, e Commodo colse l'opportunità per "rifondarla", chiamandola in suo onore Colonia
Commodiana (come avrebbe voluto fare Nerone nel 64). Anche i mesi del calendario furono rinominati in
suo onore, e perfino al senato cambiò il nome in Senato della Fortuna Commodiana, mentre l'esercito
divenne Esercito commodiano e cosí pure la flotta Classis Commodiana.
Cominciò il suo regno con un trattato di pace sfavorevole concordato con le tribù dei Germani, che
erano state in guerra contro Marco Aurelio. Più tardi egli stesso intraprese guerre contro i Germani,
riportando spesso parziali vittorie, per le quali inoltre pretendeva onori dal Senato.
Di fronte al crescente malcontento per gli eccessi di Commodo, il prefetto del Pretorio Quinto Emilio
Leto ed il maestro di camera Ecletto, temendo per la propria vita dopo essersi opposti alle ultime
stravaganze dell'Imperatore, organizzarono una congiura con numerosi senatori, anch'essi esasperati dallo
stato di cose. Venne ben presto coinvolta la concubina Marcia, favorita di Commodo di probabile fede
cristiana, cosicché, approfittando della sua prossimità al principe, si riuscisse ad avvelenarlo.
L'attentato venne messo in atto nel 192, alla vigilia dell'insediamento dei nuovi consoli, durante un
banchetto. L'imperatore, però, credendo di sentirsi appesantito dal lauto pasto chiese ai domestici di
aiutarlo a vomitare, salvandosi così inconsapevolmente. A quel punto, avendo mancato il bersaglio e
temendo di poter essere presto scoperti, i congiurati si rivolsero al maestro dei gladiatori Narcisso, istruttore
personale dell'Imperatore, il quale, spinto dalla promessa di una ricca ricompensa, strangolò quella sera
stessa Commodo nel bagno.
I congiurati sparsero poi la voce dell'improvvisa e provvidenziale morte dell'Imperatore per un colpo
apoplettico e di come quel fortuito evento avesse evitato appena in tempo il piano di Commodo per
assassinare i consoli designati.
A Roma, la notizia della morte del Principe spinse il Senato ed il popolo a chiedere che il cadavere
fosse trascinato con un uncino e precipitato nel Tevere, così come voleva un'antica usanza per i nemici
della Patria.
Pertinace diede tuttavia incarico affinché Commodo fosse segretamente sepolto nel mausoleo di
Adriano. Avutane notizia, il Senato dichiarò allora Commodo hostis publicus e ne decretò la damnatio
memoriae: venne ripristinato il nome corretto delle istituzioni, mentre le statue e gli altri monumenti eretti
dall'Imperatore defunto venivano abbattuti.
Appena due anni dopo tuttavia, nel 195, l'imperatore Settimio Severo, cercando di legittimare il
proprio potere ricollegandosi alla dinastia di Marco Aurelio e in aperta contrapposizione con il Senato,
riabilitò la memoria di Commodo, ordinando che ne fosse decretata l'apoteosi. Commodo passò quindi
dall'essere un nemico dello Stato alla condizione di divus, con un apposito flamine preposto al proprio culto.
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Le invasioni barbariche del III secolo
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