Le dinamiche del senso dell`autostima e dell`auto

Le dinamiche del senso dell’autostima
e dell’auto-realizzazione.
Romeo Lucioni
Proponendo una “nuova teoria sulla realtà umana” (che scalzava la supremazia
razional-ideologica dell’illuminismo) la psicoanalisi non ha saputo prendere in
considerazione “la speranza di potersi ribellare alla sottomissione” (Massimo
Fagioli). In realtà, Freud ha seguito le orme dell’imposizione delle regole, creando
l’idea del “Super-Io” che quasi viene integrato in una idea innata di “coscienza
morale”.
Queste idee, legate indissolubilmente a valenze etico-morali, sottolineano la
ricerca di un “modello etico della mente”, per il quale la “normalità” è cercare il
bene, fare il bene ed amare il bene.
Non aver previsto la “ribellione” come possibilità intrinseca dell’uomo e della
mente umana, ha portato a creare un dualismo tra “ragione e non ragione”, tra
“razionale e irrazionale”, tra “normalità e follia”.
M. Fagioli ricorda le immagini della storia: Caio e Tiberio Gracco, Spartaco, Cola
di Rienzo, Massaniello, Pisacane … tutte icone che cantano la stessa canzone …
tutti “ribelli finiti male”.
La psicoanalisi fondata sul “Ideale del Super-Io” (Alfredo Grande) ha cercato
sempre di imporre le regole, il predominio di una “identità razionale”, innestando
una paura concreta di fronte alla possibilità di una “catastrofe” dell’identità
giovanile che vive di entusiasmo, di ingenuità, di superficialità, … ed anche di
una sincerità e moralità ossessive.
Possiamo parlare di “identità irrazionale” che significa aprire la porta all’ignoto,
all’insicurezza, ai dubbi, … a quella “libertà ribelle” che il razionalismo e,
soprattutto gli atteggiamenti religiosi legati a “principi fondamentali” hanno
sempre condannato o scomunicato!!
Campione di questa “identità irrazionale” è sicuramente Friedrich Nietzsche che
ha creato una “visione dionisiaca dell’Uomo”, fondata su indipendenza, libertà e
responsabilità. In “Ecce Omo” accusa Dio di “indelicatezza contro i pensatori” e in
“L’anticristo” rinfaccia al cristianesimo l’imposizione di un “… tu non devi
conoscere!”.
L’ossessività di Nietzsche per il “conoscere” contrasta decisamente con l’accusa
che gli viene fatta di “… essere distruttore della ragione e paladino
dell’irrazionale”. In realtà, la sua “visione dionisiaca dell’uomo” comporta non solo
“libertà”, ma anche la necessità di “… andare oltre la razionalità”. Possiamo dire
che questo “cammino”, da lui preconizzato, ha significato nella conquista di una
“nuova identità” che scopre il suo valore nel legame intimo, significativo e
completo con la donna. La donna con l’uomo e l’uomo con la donna è una scoperta
fondamentale che integra quello che solo oggi si sta profilando nella cultura e
nelle scienze umane come il fondamento per la completezza, lo sviluppo e
l’evoluzione del Homo-Sapiens-Sapiens.
Questa scoperta è sicuramente il fondamento per la creazione di quella “volontà
di potenza” che porta l’uomo alla sua completezza proprio perché, nella sua
dionisiaca ricerca di verità, c’è il fondamento di una unione, di una volontà di
vivere che presuppone l’integrazione tra ragione, emozioni, impulsi, affetti,
intuizioni e creatività.
Questa visione olistica, vitale ed evoluzionista dell’essere umano è racchiusa in
quella ricerca di “identità irrazionale” che però può essere letta come “pensiero
debole” che è l’integrazione e la possibilità di creare un soggetto globale,
perfettamente conscio che un buon funzionamento psico-mentale si basa su un
funzionamento integrato di istinti, di emozioni, di affetti, di immaginario creativo
e di libertà intuitiva: tutte funzioni che devono poter funzionare all’unisono ed in
concordanza con quelle analitico-deduttive, organizzative, elaborative e
ampiamente razionali.
Questa visione olistico-evolutiva dell’Uomo, evidentemente porta ad una rottura
con la “razionalità patriarcale” (Super-Io-applicato e dominato da un “bisogno del
Super-Io” denominato “l’ideale del Super-Io”: egocentrico ed onnipotente).
La “fierezza” e la “libertà assoluta”, riscontrate da Nietzsche come il fondamento
dell’uomo, hanno portato alla concettualizzazione della “Morte di Dio”. Questa
non significa però “irrazionalità” se non la necessità intima e profonda di “…
scrutare la propria realtà” e di arrivare a “… scrivere il senso della pienezza della
vita umana e dei valori fondanti per lo sviluppo e l’evoluzione che sono anche il
segno dei “più alti valori dell’essere umano”.
Franco Volpi trova in Nietzsche le dinamiche strutturanti di una “antropologia
filosofica” che lega il “potere dell’Uomo-Dio” con Heidegger. Questi, con il suo
leggere l’Essere come un “essere buttato nel mondo” va a significare quelle
dinamiche che legano il corpo delle emozioni e degli affetti con il corpo dellal
razionalità e dell’ideologia. Proprio in questa “lettura” possiamo trovare una
“identità di scuola” tra i due pensatori che Armando Mazzarenti definisce
“ontologia ermeneutica”.
Questa loro ontologia si struttura come possibilità di esercitare una “critica del
mondo e dei modi” che si assume la “responsabilità” del pensiero rivoluzionario
del Rinascimento (Machiavelli, Te trarca, Leonardo, ecc.) per il quale la “lettura dei
testi del passato è valorizzata, ma, più profondamente, ridotta a studio
accademico. Proprio questo superamento verso una “lettura sociale dei testi”,
verso una “ontologia della mente”, diventa il segno del cambiamento profondo
indotto dalle scoperte geografiche (prima di tutte quella dell’America di Colombo),
quelle astronomiche di Copernico e di Galileo e di quelle che riguardano la Donna
(Maria Maddalena) e della “Natura” (Giovanni Battista).
Questa “visione umana dei fondamenti” porta al rinnovamento della cultura in
senso “umanistico”.
Nella loro visione “ontologico-umanistica”, Heidegger e Nietzsche tracciano il
futuro della filosofia, ma anche della psicologia e delle scienze umane che così
arrivano ad avvicinarsi al senso degli affetti, alle dinamiche di quella “ontologia
della mente” che traccia i termini dell’evoluzione, dell’integrazione, della poetica
della vita e dei nuovi valori che portano a superare la rigidità razionalisticoteologica del medioevo.
Solo nel seguito del loro percorso filosofico-culturale-umanistico si struttura la
divergenza tra Nietzsche (che vuole l’uomo dominatore e morso dal desiderio di
imporre la propria volontà ed anche il proprio potere di razza) ed Heidegger (che
raggiunge, al contrario, quell’assieme quasi mistico che dà valore all’Essere come
“Essere-con” o “Essere nella relazione”, che Gianni Vattimo vede come “Essere
che si dà a noi nel linguaggio, nella conversazione, nel colloquio” e che diventerà
“lo sguardo strutturante dell’Altro”, fondamento della antropologia filosofica di
Levinas.
Proprio nelle loro espressioni più significative:
per Heidegger – “l’essere gettato nel mondo”;
per Nietzsche – “l’umano troppo umano”
possiamo scoprire i fondamenti unificanti di un “pensiero poetico” che è ribellione
alla “ragione ossessiva ed oppressiva”, ma soprattutto apertura (venire alla luce)
di una “identità giovanile fatta di entusiasmo, di slancio vitale, di rinnovamento,
di sincerità ed anche di una “profonda speranza”.
La follia di Nietzsche e “la torbida e pericolosa ambiguità” di Heidegger potrebbero
far pensare, ancora una volta, al fallimento dei “soliti sfortunati irrazionali”, ma la
“supremazia assoluta dell’Uomo” non può giungere dalle scoperte e dagli errori di
pochi illuminati.
Heidegger aveva preconizzato lo sviluppo forsennato della tecnologia e della
comunicazione e, per altro, l’immagine della trasformazione ha il profilo di un
cambiamento globale (e speriamo definitivo) che coinvolge, quindi, sia l’uomo che
la donna. Le vicissitudini del ’68 europeo dimostrano come il problema sia
veramente complesso, ma da allora i cambiamenti sono stati profondi e si
preannunciano finalmente decisivi.
Ultimamente si è cominciato a parlare di Nuovo Rinascimento (“Rinascimento
Idea” - portato avanti dalla filosofia della “slow-mind” e dalla “Timologia” – scienza
dei valori e degli affetti) e, da questo, di “Valore della Donna”, “Valore dell’Amore”,
“Valore dell’Evoluzione”, “Valore della Filosofia”, ecc.ecc.
Tutto questo ha anche un background, preannunciato da Heidegger: non ci sono
più argomenti da insegnare se si parte da tutto ciò che è stato detto (e ora anche
diffuso massicciamente dal Web) per cui bisogna creare un “Nuovo” che non sorge
mai dal nulla, ma da una rilettura, da una meditazione che tiene conto delle “idee
guida” che ci provengono dalla filosofia, dalla metafisica che oggi si struttura
sulla base di una concezione ecologica e timologica. La prima riflette la necessità
di “salvare la Natura”, la seconda sulla promessa di salvare l’uomo attraverso la
sua evoluzione nella dimensione triadica della mente.
Nietzsche preannuncia lo “Übermensch” (“l’oltre -uomo” – come traduce Gianni
Vattimo) e, con questo, il rinnovamento totale dell’umanità oltre che il predominio
della “Saggezza”. Questa emargina il razionalismo di Socrate per tornare a quella
“aura mitica” che dominava nelle ere ancora più antiche. Forse Nietzsche si
riferiva alla “Civiltà Cucuteni-Trypillya” (di recente scoperta) ed alla
organizzazione etico-antropologica e patriarcale della “Cultura Miocenica”.
L’irrazionalismo di Nietzsche è “anti-illuminismo”, è “… l’idea dell’eterno ritorno”.
Queste considerazioni hanno un significato decisamente metafisico e portano a
dover affrontare il tema del “determinismo”. La posizione evoluzionista, che è
stata indotta dalla timologia e dalle scienze umane, ha significato anche il dover
rivedere le dinamiche del determinismo stesso e, quindi, della libertà individuale.
Non si può più parlare di determinismo teologico (spesso sovrapposto al
“creazionismo”), ma neppure ai suoi aspetti logici, metafisici e/o caotici, né a un
“iperdeterminismo-fatalista”, né tantomeno a un “indeterminismo nichilista”.
La funzione timologica della mente apre ad un nuovo modello che chiamiamo
“determinismo relativo o ondulatorio”. Potremmo parlare di una “variabile del
determinismo metafisico”, sostenuta da una specie di “libertà-variabile” (un “egofatum” implicato e non fatalista, impositivo o applicato), non legato ad una
struttura precostituita, razionalista e rigida.
In questa visione etico-naturalista, le spinte vitali, volitive e liberiste non son
parte in una dinamica diadica, che porterebbe alla distinzione moralista tra bene
e male.
La posizione triadica, discorsiva e linguistica della timologia impone la distinzione
tra affetti positive e negativi, ben distinta da quella teologico-moralista che vuole
vedere una netta distinzione aprioristica tra il fare il bene e fare il male.
Tra positivo e negativo si stabilisce un “movimento ondulatorio” che, nel tempo,
può apportare cambiamenti e, di conseguenza, a un “determinismo che raggiunge
obiettivi diversi, senza mai arrivare a l caos o alla indeterminazione”.
In questo modo, la libertà del soggetto sta proprio nel poter valutare il risultato
ottenuto e, quindi, modificare le scelte che iniziano ogni singolo ciclo.
Ogni punto di questo schema evolutivo permette la creazione di situazioni di
cambiamento, di trasformazione e/o di mantenimento che nulla hanno a che
vedere con il caos né con l’indeterminazione, proprio perché è la “volontà” a
determinare ogni piccola o grande scelta, persino con possibili cambi di rotta.
Il questo modo la “libertà del soggetto” risulta da tutte quelle variabili che la
meta-psicologia riconosce in: bisogni, pulsioni, emozioni, affetti, intuizioni,
elaborazioni cognitivo-intellettive, razionali, di problem-solving, di creatività.
Diventa evidente che ogni punto dello schema evolutivo del “determinismo
relativo” risente delle spinte emotive, affettive, razionali ed intuitive di una “mnete
triadica” che crea i presupposti di situazioni di stabilità, di equilibrio, di
disponibilità, di volontà, ma anche a questioni relative al disagio, al trauma, alla
psico-patologia, alla indeterminatezza del borderline, ecc.ecc.
Tutto il discorso deterministico, posto nell’ambito della libertà di agire, di volere e
di scegliere (che rappresentano la libertà metafisica dell’uomo), si allaccia ad una
libertà che supera gli impedimenti ed i controlli e, quindi, ad una “azione di
libertà” che è causata dal soggetto che prende coscienza degli ostacoli interni e
tiene conto anche di quelli esterni: sociali, morali, etici, legali, teologico-religiosi,
ecc.ecc.
La libertà individuale viene così metafisicamente riconosciuta anche se il “mio
volere” può essere condizionato da antecedenti, sociali, biologici o morali che
siano. Siamo vicini alle posizioni autorevolmente sostenute da Hobbes, da
Spinoza, da Hume, da Schopenhauer ed anche da Heidegger, oltre che da Quine
ed Einstein. Ha ragione Mauro Dorato che parla di “comportamento
compatibilista”, sostenuto da uno slogan di Schopenhauer, citato da Einstein:
“siamo liberi di fare ciò che vogliamo, ma non siamo liberi di volere quel che
vogliamo”.
Questo detto presuppone atteggiamenti culturali oppre ssivi e limitativi, che
portano a delle profonde critiche da parte di una filosofia più liberale come quella
di Lévinas che si chiede “… se si possa ancora definire l’uomo sulla base della
potenza del suo sapere”. Questa sovversione dei termini della “inte lligenza” non è
sicuramente un inno alla “stupidità”, ma la richiesta di una trasformazione
radicale della cultura umanistica, politica, sociale, educativa, psicologica ed
anche antropologico-evolutiva.
Lévinas rifiuta di definire l’uomo in base:
- ad una intelligenza superiore;
- ad una libertà che significhi … fare quello che si vuole, senza limiti e senza
tenere in conto il valore di una libertà assoluta.
La “nuova intelligenza” o “intelligenza timologica” tiene in conto “… della relazione
di un essere umano con l’Altro”… l’incontro di un uomo con un altro uomo non
sulla base dell’intelligenza, ma su quella della libertà che dovrebbe essere posta
nella definizione stessa dell’uomo … come una vocazione precipua”.
Il senso profondo della libertà porta l’uomo ad uscire dalla auto-affermazione per
occuparsi e preoccuparsi dell’Altro … con un atteggiamento insito nella “bontà
elementare” riguardo all’altro essere.
Secondo Lévinas questo è un paradosso, in rapporto con l’antropologia corrente,
ma deve essere riconosciuto come il vero fondamento della “… struttura originaria
dell’umanità”. La libertà diventa dunque una sorta di “ riguardare” che significa:
- mi riguarda qualcosa di cui mi occupo;
- guardo in faccia (negli occhi) chi devo prendere in considerazione.
Si tratta di scoprire “l’apparizione dell’altro”, di un “volto” che mi richiama alla
“bontà”, al sapere che è difesa dell’Altro, che è anche la difesa di me stesso, la
possibilità di crescere e di evolvere, in una dimensione etica e trascendente.
Dice Lévinas: “… l’evento stesso della bontà è trascendenza” e “… amare è
considerare l’altro come Unico ed Insostituibile”.
Il “desiderio dell’uomo” è quella “mancanza” che si annida nell’essere a cui non
manca nulla, è “la traccia dell’altro” (Lévinas) è “lo sguardo dell’altro che dona
senso di verità (Lacan) è quella “spinta all’evasione che porta a voltare le spalle a
Parmenide (l’evasiòn di Lévinas).
Prima di questa visione etico-umanistica, l’essere è sempre stato una prigione per
l’uomo, contro la quale Heidegger trova “… l’abbraccio che raccoglie e dispone
ogni cosa nella propria luce”. L’essere si trasforma in “Essere-in” e nel “Esserecon”, fuori del proprio guscio per “essere gettato in”.
Lévinas riprende l’idea vedendo “l’evasione come respiro”, come uscire dalla
neutralità, dall’imposizione di una “razionalità ossessiva” e da un “psicoanalisi
applicata” che sostiene un “Ideale del Super-Io” (Alfredo Grande). Uscire fuori di
sé equivale trovarsi faccia a faccia con l’Altro e “… doversi porre delle domande”,
dover “… cominciare a far circolare la parola”, dare “… senso al Logos”
rispettando una dinamica relazionale, la legge dell’incontro, della partecipazione,
delle apri opportunità.
L’inevitabilità dell’incontro è anche “l’obbligo del ritorno” è “… dispiegare le vele di
Ulisse verso Itaca che, con Penelope, rappresenta “l’attesa”.
L’attesa è “desiderio” che, a sua volta, è simbolo di “mancanza” (Lacan).
La più elevata esperienza della vita dell’uomo è sicuramente quella del “desiderio”,
fortemente rappresentato dal rapporto tra uomo e donna che supera il legame
fisico , per lo più sostenuto dall’impulso di origine ormonale, caricandosi di
“Pathos” che è “senso di mancanza”.
Questa, se da un lato riflette il “piacere” o, più incisivamente, il “bisogno di
piacere” e di “sentire piacere”, per altro lato rispecchia un’altra sensazione,
vissuta fortemente dall’uomo e dalla donna, che viene riportata come “ricerca di
completezza”.
Questa, in tutte le età della vita, si rapporta ad una “senso di vuoto” e ad un
“desiderio di essere riempiti” che ha in sé un versante psichico, ma anche una
forte componente fisica.
Il “bisogno di completezza” viene riferito anche al “desiderio di procreare” che
riflette il bisogno di completare il Sé ed anche quello di “completare la coppia”.
Da questa descrizione si desuma che il “desiderio” funge da legame tra aspetti
fisici e componenti psichiche che caratterizzano il comportamento umano. Da un
lato si evidenzia come il “bisogno”, che ha caratteri istintivi, pulsionali,
narcisistici, autoerotici e di autosoddisfazione. Per altro, come “mancanza” che
viene riferita alla dimensione affettiva che porta al riconoscimento del “valore
dell’Altro” portato ad essere riconosciuto come “l’altra metà della mela” o “l’altra
metà del cielo”.
Nel pensiero di Lévinas, la riflessione sull’alterità porta a dover affrontare il tema
della relazione Uomo-Donna che diventa motivo per rovesciare la valutazione delle
tradizionali categorie di virilità e di femminilità.
Lévinas critica la concezione per la quale:
- la virilità è simbolo del soggetto che non vuole farsi alterare dall’Altro;
- la femminilità è liberazione da questo senso di potere e di chiusura, per
allinearsi sulle dinamiche della sussidiarietà, della comunicazione creative,
del dialogo e della compartecipazione.
La prima figura di relazione con gli altri diventa l’Eros (pensare al “ROMAN DE LA
ROSE”) nel quale la femminilità è l’origine stessa dell’altruità che si finalizza,
completa ed assume il suo vero significato di “fusione”.
In questa concettualizzazione si intravede però un “annullamento dell’Ego” che
non può essere la “vera finalità dell’amore”.
Questo non è:
- né fusione che porta all’annullamento della soggettività;
- né una posizione di insormontabile dualità, un faccia-faccia, un aut-aut.
La finalità dell’amore riguarda, al contrario, quelle dinamiche che impongono una
crescita, una scoperta continua di Sé nell’Altro ed una precisazione ontologica
che trova nell’Esser-ci la possibilità di una integrazione, di scoprire quelle
dinamiche per le quali l’Altro non è mia proprietà, ma quella “promessa” che dona
libertà all’altro, che crea quello “spazio” nel quale ognuno può trovare il luogo
adatto per non sentirsi giudicato, per scoprire le spinte necessarie per la crescita
personale, per realizzare il “vero senso dell’Essere”.
Questa dimensione è “salvifica” (Io sono responsabile del Tu), ma anche “creativa”
nel “senso immaginario del termine”, rappresentato dal comprendere il proprio
divenire, scoprire l’essere al di là del qui e ora, o, come dice Heidegger, “essere
gettato in”: nella relazione, nella scoperta delle cere possibilità che l’incontro con
l’Altro sia una promessa per la realizzazione del proprio Sé.
Queste dinamiche danno senso al Valore del “Nome del Padre” (di Lacan), di quei
fondamenti politico-sociali insiti nella “Timologia” (scienza dei valori), ma
soprattutto in quella visione del “Sé-creativo” che è superamento del “Io-adattivo”,
oltre che raggiungimento dell’espressione più pregnante dell’autoidentificazione,
dell’auto-realizzazione, dell’auto-soddisfazione.
A questo punto l’Essere è segno del superamento della mancanza e spiega come il
rapporto Uomo-Donna superi l’esperienza animale dell’accoppiamento,
proponendosi come parte di quella “natura umana” che è linguaggio, timologia,
creatività, arte e poesia.
La ricerca sul desiderio è dunque “ricerca della natura umana” e della “realtà
umana” che non è una semplice espressione di obbligatorietà fisico-funzionale,
ma la generazione di comportamenti particolari che si sviluppano attraverso
l’esperienza del rapporto interpersonale.
Questo aspetto “vivenziale” riporta a quanto l’uomo possa modificare i suoi
comportamenti non solo dei propri simili, perché l’amore, l’affetto e il desiderio
sono sentimenti capaci di modificare i comportamenti umani, ma anche gli
atteggiamenti degli animali domestici che risultano più idonei all’integrazione e ad
esprimere reazioni che spesso si avvicinano a vere e proprie espressioni affettive.
Un commento particolare riguarda come il bisogno istintivo per diventare un vero
desiderio deve liberarsi da quegli aspetti primitivi che sono espressione di un
narcisismo arcaico (primitivo) centrato sull’egocentrismo e sull’onnipotenza.
Potremmo pensare a queste esperienze mentali come aspetti istintivi dell’uomo
dai quali prende origine una naturale disposizione al potere, al bisogno di
sottomettere, di violare, di sperimentare ed alla propensione alla violenza ed alla
distruzione.
Queste considerazioni portano a ripensare lo schema della “comunicazione
triadica” in senso etico-pedagogico ed anche socio-economico-evolutivo.
Schema per l’analisi di un rapporto triadico
Sé
trascendenza
(modalità triadica)
società =padre
madre=educatore
parti creative
(modalità diadica)
Docente
parti falliche
Soggetto
Famiglia
Nella dinamica triadica, caratterizzata da un “linguaggio che circola” la relazione
porta al superamento di un “desiderio” che non sazia perché sostenuto da un
“senso di mancanza”. Questa viene superata con l’aiuto di quella “traccia
dell’Altro”, “… presenza del Volto dell’Altro” che permette “… l’evasiòn di Lévinas”,
il “ superamento della “rigidità” insuperabile dell’Essere di Parmenide, la
conquista di quella “respirazione” che è “… uscire fuori di sé per scoprire
l’inevitabilità dell’incontro”(Lévinas).
Il valore trascendente di questa visione etico-politica è il superamento di
quell’assillante realtà che è “… ciò che non può essere detto”, comprendere il vero
“… compito del linguaggio e della parola”, della “… comunicazione che è incontro
con l’Altro senza pensare ad una comune misura, al confronto, a differenze.
La “parola” diventa “evento” che è “origine … esodo, partenza, destituzione della
sovranità di un soggetto che conosce e dispone e che, nella sua originaria libertà,
dice e pensa ogni cosa a partire da sé, come se avesse assistito alla creazione del
mondo ed alla propria stessa nascita” (Antonino Magnanimi)
COMMENTO
Le problematiche che investono la mente dell’uomo nell’ordine del Senso di Sé,
dell’autostima, dell’auto-realizzazione e dell’autosoddisfazione possono essere
evidenziate in tutte le età anche se, necessariamente, saranno più accentuate nei
momenti critici della vita ed in quelli di transizione, come sono l’uscita dalla
fanciullezza ed il momento difficile dell’adolescenza, la maturazione sessuale
l’entrata nel mondo del lavoro e la creazione di una famiglia propria, la nascita
dei figli, il pensionamento, l’entrata nell’età libera che presuppone l’inizio della
vecchiaia.
I sentimenti riferiti al Sé riguardano appunto il passaggio da un “Io-adattivo” ad
un “Sé-creativo” che investe anche la funzione “Nome del Padre” ed i rapporti
profondi con un elemento fondamentale per la costituzione della personalità: il
cosiddetto “Super-Io”.
Queste problematiche non solo riguardano la psicologia dello sviluppo, ma sono
sempre più pregnanti negli studi filosofici, tanto più da quando Martin Heidegger
e soprattutto con Emmanuel Lévinas i problemi ontologici sono passati ad essere
riferiti non più al “Essere di Parmenide”, ma profondamente legati alle
problematiche esistenziali, alle relazioni interpersonali ed alle dinamiche affettive.
Se da un lato il senso di sé e le valenze dell’autosoddisfazione e
dell’autovalorizzazione rispecchiano dinamiche di assestamento dell’Io, del Sé,
della personalità e della “soggettività”, per altro vanno riferite anche alle
dinamiche della “Resilienza” (la capacità del soggetto di affrontare le difficoltà
esistenziali) che vanno continuamente adattandosi alle caratteristiche psicomentali (affettive e cognitive) e dei meccanismi di difesa.
Nelle varie tappe della vita, le dinamiche narcisistiche (egocentriche ed
onnipotenti), lo sviluppo del pensiero e della coscienza, l’adeguamento alla realtà
individuale e sociale, si intrecciano per determinare le caratteristiche psicoaffettive, ma anche quelle del piacere, del desiderio, della verità, delle questioni
relazionali, comportamentali e sessuali.
La filosofia ha dato un enorme aiuto per approfondire le conoscenze sul senso
della vita e dell’essere, della coscienza e della verità ontologica, ma, negli ultimi
anni, lo sviluppo delle neuroscienze e soprattutto il riconoscimento del valore
delle problematiche timologiche hanno portato ad aprire nuove vie di indagine che
sicuramente sono state utili per approfondire le elaborazioni di Nietzsche, di
Heidegger e di Lévinas. Oltre a questi, molti altri filosofi hanno sentito la
necessità di uscire definitivamente dalle limitazioni imposte dalla teologia, dal
razionalismo e dallo stretto cognitivismo. Le dinamiche affettive, dell’amore, della
relazione, delle pari opportunità hanno indotto nuove ed una approfondita
disanima sul valore del Essere in rapporto con l’Altro, tanto più che l’era della
globalizzazione ha portato alla ribalta le questioni relative all’integrazione sociale,
allo stato di diritto e di giustizia, all’assetto socio-economico entrato in crisi dopo
la caduta dell’impero ideologico comunista e del fallimento del sistema
finanziario, travolto dalle deviazioni strutturali del mondo delle borse e dalla
egemonia asfissiante della burocratizzazione.
Il senso dell’uomo sta tornando profondamente alla ribalta e si pongono domande
precise sulla possibilità di dare ad ognuno una soggettivazione fondata
sull’autostima, l’autovalorizzazione e l’auto-realizzazione.
A tutto questo va aggiunto il tema della donna (che sin dai tempi più primitivi è
stata calpestata nei suoi diritti, minimizzati dal predominio fallocentrico o
maschilista).
La elaborazione timologica dell’ontologia, della psicologia dello sviluppo e della
antropologia culturale, ha significato una profonda presa di coscienza sui temi
dell’evoluzione della mente, sulle questioni relazionali, sull’integrazione sociale ed
economica, sulla necessità di un predisporre in termini pratici le prospettive per
un Nuovo-Rinascimento.
Per rispondere ad un senso di fallimento e a sentimenti di opposizione ad una
società post-capitalista che si è caratterizzata come crisi sociale e culturale, ma
anche come avvento di modelli regressivi, violenti e distruttivi (che sembrano
attaccare le possibilità di un “vivere civile), attraverso una richiesta culturale ed
umanistica espressa come “RINASCIMENTO -IDEA”, ci si sta muovendo per
cercare riposte non convenzionali, pratiche ed efficaci che, basate sullo studio del
uomo per l’uomo, si possa arrivare a creare basi reali per un Mondo nuovo,
dionisiaco ed apollineo, legato ad una visione ontologico-umanistica, creato sulla
speranza sostenuta da “valori fondamentali” capaci di dare senso compiuto al
“valore dell’evoluzione, al valore dell’uomo ed al … valore dell’integrazione e della
sussidiarietà.