L`architettura come comunicazione visiva

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L’architettura come comunicazione visiva
L'architettura come comunicazione visiva
Tutto quello che arriva ai nostri sensi, è decodificato ed interpretato dal nostro sistema percettivo, non tutto ciò
che vediamo è percepito con lo stesso valore, molto, il più, rimane sullo sfondo. Questo vale anche per l'architettura, con la differenza rispetto agli altri prodotti della comunicazione visuale, che essa, è diventata per
l'uomo una seconda natura, che vive sullo sfondo ed in parte è protagonista della nostra vita, la maggior parte
del nostro tempo lo trascorriamo dentro strutture architettoniche. La comprensione dei messaggi "linguistici" dei
segni architettonici non è facile, non lo è, proprio perché i segni architettonici ci appartengono, come la forma
naturale di una conchiglia o la struttura di una foglia; lentamente, questi segni, da semplice manifestazione del
"costruito", immagine ed apparenza di un contenitore, stanno sempre più diventando "segnali", allusioni
metaforiche di altro.
Questo lento cambiamento dell'architettura è dovuto a diversi fattori, il più importante è ovviamente legato alla
rivoluzione tecnologica ed in particolare al digitale, che ha posto gli architetti di fronte ad un bivio:
• trincerarsi nella tradizione, scelta sicuramente di comodo nei momenti di crisi creativa, tipici dei passaggi
da un'era tecnologica ad un'altra, ma anche manifestazione di incapacità di reazione di fronte ai mutamenti in
atto;
• accettare la sfida, cercare nuove forme, nuove spazialità e una nuova estetica per l'architettura della nostra
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era, caratterizzata dal dominio dell'informazione, della tecnologia, dell'immagine.
Nel primo caso, in mancanza di un rinnovamento, ci troveremo in presenza
del linguaggio più usato in architettura, quello che possiamo osservare
ogni giorno nei cantieri periferici (e non solo) delle nostre città,
riconoscibile e quindi facilmente comprensibile per tutti (ma non è questa
la comunicazione che ci interessa).
Nel secondo caso c'è il rischio di non essere compresi e di essere
considerati solo dei visionari. Sorte toccata a molti innovatori, da Galileo a
Wright. Abbiamo già più volte parlato della Bauhaus, torniamo a farlo,
perché anche allora si viveva un momento di forte crisi creativa dovuto
all'avvento dell'industrializzazione, ma Gropius e gli altri del gruppo
seppero rispondere a quella crisi con un atto di coraggio, trasformando le
inquietudini della nuova epoca in arricchimento, in scoperta di nuovi modi
di pensare lo spazio e le cose che lo abitano.
Herzog & De Meuron: edificio Suva, vetro serigrafato.
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Leggiamo insieme il proclama di Gropius:
"Tutti noi architetti, scultori, pittori dobbiamo rivolgerci al mestiere.
L'arte non è una professione, non c'è alcuna differenza essenziale tra l'artista e l'artigiano... Formiamo una
sola comunità di artefici senza la distinzione di classe che alza un'arrogante barriera tra l'artigiano e l'artista.
Insieme concepiamo e creiamo il nuovo edificio del futuro, che abbraccerà architettura, scultura e pittura in una
sola unità, e che sarà alzato un giorno verso il celo dalle mani di milioni di lavoratori, come il simbolo di cristallo
di una nuova fede". Programm des Staatlichen Bauhauses in Weimar (1919).
È alla Bauhaus che dobbiamo la pianta libera, la trasparenza delle ampie vetrate che sfondano i muri, la rottura
degli schemi formali e strutturali, gli edifici popolari con qualità di progetto, la tecnologia che, finalmente,
diventa amica e si mette al servizio dell'uomo, senza bisogno di essere nascosta da stupide sovrastrutture
decorative.
È alla Bauhaus che dobbiamo la forma pulita degli oggetti quotidiani, la chiarezza nella comunicazione. È alla
Bauhaus che dobbiamo lo stesso concetto di cultura del progetto, e la dignità del mestiere di chi fa progetto, sia
esso grafico od architettonico.
Gli architetti che oggi rappresentano la piena contemporaneità, si trovano davanti ad una nuova tecnologia ed a
nuovi problemi; proprio come i progettisti della Bauhaus allora, stanno cercando nuove forme e nuove tipologie
per spazi nuovi abitati da nuovi oggetti. Un percorso difficile, perché abbiamo a che fare con l'immaterialità della
comunicazione, con i nuovi bisogni della gente, con un modo diverso di sentire sia lo spazio pubblico, sia quello
privato.
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Parlare di comunicazione visiva in relazione all'architettura, significa anche tenere conto, che questa ha scopi che
vanno ben oltre il comunicare, e che un giudizio complessivo deve partire dalle sue funzioni primarie: contenere,
proteggere l'attività umana, creare una spazialità (l'ambiente costruito) che influisce sugli stati d'animo delle
persone e quindi sul loro agire.
Bruno Zevi, scriveva: tra tutte le arti, l'architettura è l'unica ad utilizzare un vocabolario tridimensionale che
include l'uomo: "è una scultura nella quale si può penetrare e camminare".
Queste parole assumono oggi altri significati, le sculture architettoniche hanno sostituito al pieno delle strutture
murarie, la trasparenza delle superfici vitree o digitali, alla pesantezza la leggerezza, alla sezione aurea
l'instabilità.
L'edificio non è più un oggetto misterioso da scoprire poco a poco tutt'intorno e poi nel percorso all'interno, ma
un oggetto che si mostra nella sua interezza e trasparenza, un luogo non luogo, da vivere con tutti i sensi, e da
percorrere come un ipertesto o un libro dalle pagine traslucide, dove persino l'illusione e l'effimero concorrono a
creare un'idea di spazio. Non siamo nella fantascienza. Stiamo parlando di oggetti architettonici e di oggetti
architettonici realizzabili, di oggetti architettonici che, ora come ora, difficilmente avete vicino, ma che conoscete
attraverso i film e le pubblicità.
La città come un testo digitale
Dice M. De Certau: "lo spazio sta al luogo, come la parola sta al discorso parlato, e quindi lo spazio è la parola
quando non è parlata... ". Rileggiamolo. L'idea di città come testo, può essere utile per cogliere meglio i
cambiamenti in corso.
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La scrittura, infatti, ha più di altre forme di comunicazione, assorbito i nuovi codici del digitale, tanto da
modificare i propri stessi codici linguistici e non solo grammaticali e sintattici; trasformazioni che hanno portato
alla scrittura elettronica e alla scrittura ipertestuale e ipermediale.
Un ipertesto è prima un modo nuovo di organizzare il pensiero, poi una organizzazione dinamica ed interattiva
dei contenuti. L'iper e la multimedialità sono prima un modo aperto, multiplo e dinamico di sentire le cose
intorno e dentro di noi e solo poi organizzazione visiva di immagini in movimento, scritture, suoni. Il percorso
che ha fatto la "parola", dalla trasmissione orale alla libertà ipertestuale, non è molto diverso da quello fatto
dall'architettura. Siamo giunti lentamente dalla chirografia (l'incisione su pietra) all'invenzione della stampa e
rapidamente all'età postgutenberghiana dell'immaterialità della parola digitalizzata sullo schermo. In fondo
l'invenzione degli ordini architettonici e poi della prospettiva quattrocentesca possono essere considerati
momenti diversi dello stesso processo d'organizzazione e
codificazione del reale, nati dalla necessità di trovare delle
regole, uguali per tutti, per spiegare e dare forma agli
oggetti, architettonici e non. Solo che la lucidità e la
perfezione
dell'ordine
insieme
al
senso
"classico"
e
"classicistico" dello spazio ha probabilmente prodotto per
Lungo tempo un "insabbiamento" dello spazio progettuale.
Non si è discusso, o si è discusso poco, il modello classico.
Un progetto di riqualificazione urbana della cittadina dì mare di Morecambe
(GB) coordinato dall'artista Gordon Young. Lungo un percorso di 300 metri, si
alternano sulla pavimentazione, poesìe e versi sui volatili, I testi sono
realizzati in metallo fuso o scolpiti nella pietra.
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L'ordine architettonico è diventato inutile nella contemporaneità, se non come studio, occorrono nuove regole e
nuove strategie progettuali, adatte ad un nuovo modo di essere, di vivere e di comunicare. Alcune città
sembrano ribellarsi al vecchio modo di fare architettura, e sempre più si trasformano in enormi ipertesti, con
edifici che emergono luminosi dallo sfondo, come le parole calde in un testo in rete; altre, invece, assomigliano
di più ad un vecchio Libro, con note a margine scritte a matita, con cancellature e rimandi, con sottolineature e
qualche "luminosa evidenza".
Questo perché la tecnologia ha disaggregato lo spazio urbano, e le nuove aggregazioni o ricuciture devono
avvenire in relazione ai mezzi e agli scopi della comunicazione. Vogliamo dire che il tessuto urbano antico,
storico, può essere preservato pur con l'inserimento, dove possibile e dove necessario, di nuove strutture che
non possono essere imitative dell'antico, perché sarebbero ipocrisie, false immagini di un modo di essere e di
fare che non ci appartiene più, se non come retaggio, tradizione, passato di cui dobbiamo essere giustamente
orgogliosi, ma non condizionati. Il nuovo ha sempre convissuto con il vecchio e con l'antico, le forme nuove si
sono sempre aggregate alle antiche. Le architetture medievali hanno ben sopportato le novità rinascimentali e
queste, a loro volta, le rotture e Le fughe barocche, il Beaubourg dialoga con la Parigi neoclassica e con la Tour
Eiffel della Belle Epoque. Le opere razionaliste dell'età fascista si affacciano sullo stesso Tevere in cui si specchia
Castel sant'Angelo e persino il Vittoriano dei Savoia ha sua dignità sotto il Campidoglio, oggi che è vissuto come
spazio espositivo e come terrazza da cui scoprire e quasi toccare le tante forme visive di Roma, i tanti modi di
essere e di vivere di una città che ospita una piramide, sinagoghe vecchie e nuove, il gioiello nerviano del
palazzetto dello sport e il ritmo antico e moderno del Palazzo della Civiltà.
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Frank O. Ghery: il ponte è stato progettato come un’ impalcatura
alla quale appendere comunicazione pubblicitaria, grafica per eventi
o avvenimenti pubblici, connessi con la Expo 2000 di Hannover
Ma come saranno le nostre future case? Quale sarà l'idea di
spazio che meglio rappresenterà l'età del digitale? Non
abbiamo ancora una risposta e ci vorrà ancora molto tempo
per far diventare l'architettura qualcosa di diverso, più vicino
all'uomo del nostro tempo. Se è vero che esiste una stretta
relazione tra il modo in cui è organizzato il pensiero e lo
spazio architettonico, dobbiamo pensare ai nuovi edifici come
a spazi fluidi ipertestuali, che sappiano relazionarsi con
l'uomo in modo innovativo (e sicuramente interattivo), sia
nel campo sensoriale che psicologico ed intellettuale.
Solo così l'uomo "digitale", potrà riconoscersi nella casa, nel suo posto di lavoro, in uno spazio antropologico in
accordo con le tecnologie del suo tempo, del tempo che sta vivendo; sarà sempre una casa rifugio, ma questa
volta in grado di far vivere sia il tempo compresso e simultaneo della contemporaneità, che quello senza
dimensione della mente. Una casa in comunicazione con il mondo esterno ed il mondo interiore, grotta ed
astronave al tempo stesso, trasformabile, interattiva con chi la abita, plasmabile, oggetto comunicante con il
passato, con le biblioteche e le videoteche, con quanto sta accadendo in tempo reale.
II nuovo tema progettuale, e questo vale anche per il design, è il significato della forma nella tecnologia.
Grazie alle nuove tecnologie, è possibile ottenere sempre più la coincidenza tra contenitore e contenuto
giungendo ad una visione sempre più biorganica dell'edificio, e dell'oggetto, nella sua completezza.
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La tecnologia della comunicazione diventa il sistema nervoso dello spazio architettonico, in grado di generare la
forma dell'edificio e le sue funzionalità. I nuovi "luoghi", saranno soprattutto luoghi di "esperienze", che
segneranno il ritorno, proprio grazie alle tecnologie digitali e ipermediali, ad una forma di "oralità" secondaria;
quella cioè della conoscenza esperenziale della realtà attraverso i sensi e l'azione motoria. Più semplicemente
l'architettura può diventare racconto, la parete schermo. Il vecchio detto "scripta manent, verba volant"
significava, al contrario di come è comunemente interpretato, che le parole scritte fermano ed immobilizzano le
idee, mentre la parola detta, l'oralità, è libera di passare dall'uno all'altro espandendosi nella comunicazione
effettiva del movimento delle idee e delle informazioni. La "nuova oralità" non è altro che il "verba volant"
romano, la parola e l'immagine in movimento che si rinnovano sullo schermo e raggiungono simultaneamente le
diverse comunità. La tecnologia ci permetterà di cambiare la forma dello spazio grazie all'azione del camminare
o parlare e persino guardare. Non è fantascienza. Esistono già computer che seguono ed obbediscono all'occhio
umano, luci che si accendono o spengono al suono della voce, sistemi che possono reagire al movimento delle
mani, solo per fare esempi banali.
Il valore simbolico
Come vedremo più avanti in architettura e pubblicità, le nuove architetture ed i loro progettisti, sono presi
spesso in prestito dalla pubblicità, come location le prime e testimonial i secondi. Questo perché uno degli
aspetti della comunicazione dell'era digitale è l'uso del linguaggio metaforico, al posto delle comunicazioni
assertive, tipiche dell'era industriale. La pubblicità migliore, ad esempio, non asserisce, ma suggerisce, evoca,
cerca di coinvolgere il pubblico in un'operazione anche di interpretazione del messaggio, usa figure retoriche.
Anche l'architettura e il design hanno seguito questo processo di metaforizzazione che nasce dagli "oggetti"
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comunicanti, ogni cosa, ogni architettura, non solo deve rispondere a
particolari requisiti funzionali e prestazionali, ma deve includere una
componente metaforica e narrativa che rimanda ad altro.
Edificio per uffici 1992, F. 0. Gehry.
L'edifico ad angolo, è caratterizzato dalle due torri che sembrano plasmate e
sagomate da qualche forza esterna all'edificio. Splendida realizzazione ed esempio
di integrazione con le preesistenze. La realizzazione delle due torri è stata possibile
soltanto grazie all'uso dei nuovi software di modellazione solida e di fresatrici speciali
che sono state usate per realizzare modelli in gesso.
Analizzate tutti gli elementi: cosa
raccorda, cosa contrasta con gli
edifici preesistenti, cosa crea
stasi, cosa movimento.
L'enorme binocolo di Frank 0. Gehry,
all'ingresso del Chiat Building a Venice in Calìfornia
Se il Bauhaus aveva messo da parte i simboli, la cultura digitale li ripropone con forza, perché i cittadini oggi ne
hanno bisogno; nascono così edifici che sembrano acquari, musei che assomigliano a navi incagliate, edifici
apparentemente modellati da scosse telluriche.
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La contemporaneità ci parla attraverso queste forme, attraverso messaggi intenzionali, che trasferiti
all'immagine, alla forma, alla materia, trasmettono significati aggiunti.
II messaggio è nella forma, ne diventa l'essenza; deve essere chiaro e strutturato e deve arrivare al ricevente
coinvolgendolo emotivamente, intellettualmente, cioè culturalmente. L'importanza della comunicazione visuale
sta crescendo in questi ultimi anni, soprattutto per il suo ruolo di materia interdisciplinare e trasversale, che
trova spazio in diversi settori applicativi: grafica, design e architettura, moda, informazione... La comunicazione
visuale assume sempre più rilievo soprattutto per il ruolo, che l'immagine, grazie alle nuove tecnologie digitali,
ha assunto nella nostra società. In particolare l'immagine digitale, trasmessa in tempo reale è il mezzo più
adatto per il messaggio di tipo iconico, semplice ed universale, caratteristico delle comunicazioni di massa.
Tutto questo ha prodotto, nelle varie discipline, livelli di percettività, prima d'ora mai raggiunti. La struttura del
DNA potete vederla, potete percorrerla virtualmente con programmi di simulazione, la storia recente potete
viverla nei filmati, la grafica potete progettarla, portarla ad esecutivo, stamparla o immetterla nel web in
maniera completamente autonoma. Possiamo percorrere un edificio ancora non costruito e possiamo cambiarne
la forma, i colori ed i materiali ricreando con programmi 3D e di rendering l'effettiva percezione dell'oggetto
costruito. Possiamo visitare i musei senza muoverci da casa, così come simulare un volo spaziale o L'esplosione
di una stella e la nascita di un pianeta.
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L'immagine come materiale costruttivo L'apparenza della forma, il fluire della materia digitale
Come l'acqua, il gas o la corrente elettrica, entrano grazie ad uno sforzo quasi nullo, provenendo da lontano nelle
nostre abitazioni per rispondere ai nostri bisogni, così
saremo approvvigionati di immagini e di sequenze di suoni
che si manifesteranno a un piccolo gesto, quasi a un segno,
e poi ci lasciano.
Paul Valéry
Le nuove tecnologie e in particolare quella digitale, che
utilizza
l'immagine
come
struttura
portante,
modificano profondamente i nostri modi di vita, il
modo di percepire le cose e lo stesso mondo reale.
Graz. Peter Cook:un enorme guscio\schermo di plexiglass,
animato da mille anelli luminosi che compongono
sequenze grafiche in movimento.
Edificio come un astronave.
Il mondo reale cambia perché cambia il modo di comunicare, il sentire ed il percepire soggettivo delle persone e
le stesse modalità di interazione tra gli esseri umani. Ci troviamo in un momento di transizione, che possiamo
avvicinare a quello della rivoluzione industriale, e forse è ancora più importante e "rivoluzionario", perché stiamo
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assistendo ad un vera e propria mutazione che riguarda aspetti fisiologici e comportamentali. Cambia il modo di
vedere e di pensare, cambia la struttura del pensiero. Di fronte a questo
presente, così veloce e affascinante nei suoi cambiamenti, tanto da
prefigurare un concetto di tempo "simultaneo" siamo tutti un po'
disorientati e possiamo sentirci inadeguati e spaventati; come se il
nostro organismo rifiutasse queste trasformazioni, perché ancora
vincolato a vecchi modelli, culturali e linguistici. Per questo, di fronte ad
uno schermo interattivo o alla telepresenza possiamo sentirci spaesati e
spaventati; abbiamo paura di coglierne i significati profondi, senza
pensare, che forse, sono le stesse emozioni (disorientamento, senso
d'inadeguatezza, paura del cambiamento) provocate dal primo libro
stampato, dalla prima telefonata, dalla prima incerta immagine in
movimento sullo schermo cinematografico.
Jean Nouvel: Pressehaus – Dumont Schauberg Verlag <Colonia>
La rivoluzione digitale, per passare all'evoluzione completa ed interiorizzata, ha necessità di nuove regole, ha
bisogno di nuovi codici e punti di riferimento, che la grafica, l'architettura, il design, e
Jean Nouvel: Pressehaus - Dumont Schauberg Verlag (Colonia) soprattutto l'arte, devono contribuire a creare.
Un compito difficile, perché mai come in questi ultimi decenni una tecnologia ha messo così rapidamente in discussione il rapporto tra naturale e artificiale.
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Se dopo aver costruito sulla spiaggia un magnifico castello di sabbia, lo vedessimo svanire sotto l'effetto di
un'onda, non potremmo che provare un senso di perdita per il nostro capolavoro estivo, fatto di soli granelli di
silice. Migliaia di anni fa, un filosofo greco avrebbe reagito in modo molto diverso; per niente dispiaciuto dei
milioni di granelli tornati al mare, con un bel sorriso, avrebbe costruito un nuovo castello, senza rimpiangere
mai, neanche per un secondo, quello perso. Il filosofo non era un pazzo: la sua idea del mondo si basava su di
un concetto forma/materia diverso dal nostro. Partiamo da qui, da questa riflessione sulla sabbia e sull'onda, per
dimostrare che proprio il fluire della materia digitale, ci avvicinerà un po' di più a quel filosofo, così
apparentemente lontano da noi. Come fa notare Vilém Flusser, il termine materia nasce come traduzione latina
del termine greco hy'le, che significa legno da lavorare. Questo termine doveva esprimere l'opposto di forma
morphé, perché la loro idea del mondo vedeva da una parte il caos (amorfa materia in cui tutto "è" senza
essere) -la nostra sabbia- che era pura illusione, e dall'altra, il mondo delle forme eterne e immutabili, i
contenitori temporanei della materia, -la forma mentale e non fisica del castello- da leggere ed interpretare per
arrivare alla "realtà". Per la filosofìa greca, non era quindi la materia in quanto temporanea e in trasformazione
ad essere reale, ma la forma, che è reale in quanto mentale ed eterna e sempre riproducibile.
Al filosofo non serviva altro che la sua idea –forma- di castello, per in-formare nuova sabbia e creare un nuovo
castello, sempre diverso, sempre effimero, sempre ricostruibile.
Questo concetto che ci giunge dal mondo greco di materia come riempimento temporaneo della forma, trova
una sorprendente corrispondenza nella realtà immateriale dell'elettronica e del digitale, un mondo fatto di "non
cose", che possiamo comprendere, ma non prendere fisicamente, dati mutevoli, informazioni e immagini che
creano scenari sempre diversi, effimeri, ricreabili.
Il "riempimento" ideale del digitale, ed in particolare dell'informazione, è L'immagine.
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Secondo Virilio, la materia ha sei dimensioni, le tre geometriche,
attraverso
le
quali
la
situiamo
nello
spazio
(altezza,
larghezza,
profondità) ed altre tre dimensioni: massa, energia, informazione. La
parola informazione ci trasmette subito l'idea di qualcosa che riguarda
intimamente l'oggetto dal suo interno, qualcosa che viene impresso,
"messo" nelle forme per comunicare. Le informazioni, negli oggetti, si
presentano in vario modo: possono essere puramente visive (colore,
forma, icone), materiche (legno, plastica, alluminio), simboliche (forme
retoriche, allusive, metaforiche), testuali (segni alfabetici, marchi, informazioni d'uso).
L'operazione
di
decodifica
che
facciamo
naturalmente
riguarda
l'informazione, è l'informazione che arriva a noi attraverso i sensi e la
conseguente interpretazione percettiva.
Oggetto
->
percettiva
immagine
->
dell'oggetto
informazione
->
sensi
sull'oggetto
=
->
decodifica
decodifica
e
conoscenza dell'oggetto (appropriazione percettiva e culturale).
Si capisce così, che lo stesso termine immagine è riduttivo, quando si
Herzo & De Meuron: negozio Prada a Tokio.
L’edificio,con la sua struttura immateriale
è la metafora dello scrigno trasparente.
parla di digitale, perché, ha assunto una sua materiata e specificità del tutto impensabile fino a qualche tempo
fa. Prendiamo l'esempio dell'architettura, che da sempre, dai primi tumuli di pietre alle piramidi, ha avuto come
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prevalente la funzione comunicativa, insieme a quella abitativa. Oggi questa funzione è amplificata dalla possibilità di usare l'immagine come rivestimento della superficie materica o, ancor più, inserirla nel processo creativo per evocare spazi o effetti di sorprendente profondità e
realtà.
Virilio, avvicina la funzione svolta dalla luce e dall'immagine nei
media building a quella avuta nell'architettura gotica dalla
luce e dalle decorazioni delle vetrate, potenti strumenti di
comunicazione, di informazione e di narrazione, prefigurando
così, per il futuro immediato, l'avvento di un nuovo gotico
elettronico. Gli oggetti del mondo reale, dalle architetture agli
oggetti di uso quotidiano, sono sempre più pensati e realizzati
attraverso l'immagine; L'immagine comunica, racconta, evoca
spazi, crea metafore, acquista una consistenza propria.
Abbiamo così vestiti che si illuminano perché realizzati con
tessuti speciali, computer indossabili, Lampade che si accendono con un soffio, schermi sottilissimi con cui interagire,
tappeti da suonare; forse la fine di questo viaggio, un giorno, ci
regalerà una realtà fatta di oggetti senza struttura, un’energia
che è forma e materia al tempo stesso. Einstein non se ne
sorprenderebbe affatto.
Media building:
ha introiti dalla sola pubblicità sufficienti a creare attivo per i committenti.
Un media building produce guadagno offrendo comunicazione gratuita ai
cittadini,
perché finanziata in pratica dalle comunicazioni pubblicitarie che ospita sulla
facciata.
Lo sfruttamento dello spazio interno, finora scopo dell’oggetto architettonico,
in termini economici perciò diventa superfluo e secondario.
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L'architettura multimediale
La nascita dell'architettura come forma di comunicazione simbolica e multimediale, si può ricondurre
alla metà dell'Ottocento, in occasione delle prime
esposizioni universali e con la nascita di edifici e
specifici spazi dedicati alla vendita o alla presentazione della merce. Fino a quel momento, gli unici
edifici simbolici che la gente conosceva erano quelli
che rappresentavano il potere politico o religioso (i
palazzi dei governanti, Le chiese, i monumenti);
ma un nuovo "potere", quello della merce e delle
nuove classi collegate alle trasformazioni socioecono-
Padiglione della Nestlè fiera di Parigi 1028. Le Corbusier.
miche del XIX secolo, si stava allora affacciando nelle città. Questo potere aveva bisogno di nuovi edifici, di
nuove tipologie, più adatte alla presentazione e alla celebrazione delle merci e della loro spettacolarità.
Furono però le avanguardie del Novecento a comprendere appieno l'importanza del linguaggio pubblicitario e
delle nuove tecnologie di illuminazione, non dimentichiamo infatti che il neon nacque nel 1910 (George Claude) e
rese possibile la realizzazione di insegne e pannelli luminosi, impensabili fino ad allora. Il neon fu sperimentato
in America subito, nelle città di New York e Los Angeles, e a partire dal 1923, in Europa.
Il Bauhaus, che era molto attento all'aspetto propagandistico, ebbe in Herbert Bayer il progettista più sensibile a
queste tematiche, numerosi sono i suoi esempi di chioschi e supporti pubblicitari, nei quali l'immagine era
utilizzata in senso moderno e funzionale al tipo di comunicazione richiesta. Altri esempi significativi dell'epoca di
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comunicazione pubblicitaria integrata con l'architettura sono: la filiale della Nestlé a Parigi di Le Corbusier (1928)
e la sorprendente, e mai realizzata, facciata della maison de la Publicité, sempre a Parigi, di Oscar Nitzchke del
1935.
Un altro apporto considerevole fu dato dalle avanguardie russe (Mel'nikov, El Lissitskij, Leonifov) e dagli
architetti italiani del ventennio fascista, che produssero per la propaganda, strutture provvisorie e vere e proprie
scenografie, a volte le stesse facciate delle architetture di regime prevedevano superfici libere su cui applicare le
immagini della propaganda. Dagli anni Cinquanta ad oggi, il consumismo di modello americano ha modificato il
concetto stesso di edificio commerciale, estremizzandolo nella tipologia del Mall, una sorta di fredda scatola
architettonica, senza aperture, che rifiuta il rapporto con la città, offrendo un nuovo "mondo" sfavillante solo al
suo interno. In questi enormi centri commerciali si può trovare di tutto: dal piccolo luna park alle attrezzature
sportive, si può inoltre mangiare, ci si può riposare tra un acquisto e l'altro al riparo dal caldo e dal freddo, dal
caos stesso delle città. I Luoghi del commercio e del divertimento, come Las Vegas, diventano presto la
radiografia della società dei consumi.
Luoghi nei quali Le persone abbandonano i legami con il mondo reale, per viverne altri che scorrono con un
tempo diverso. Lo spazio percettivo costruito in questi luoghi può creare uno spaesamento sensoriale, e
trasporta gli individui dal mondo della realtà al mondo delle "possibilità", dove tutto appare realizzabile. Sono i
nuovi giardini, i nuovi parchi del divertimento e della fantasia, il nuovo paese dei balocchi. Una particolare
disciplina sta nascendo oggi per progettare questi spazi immersivi, si tratta dell'Exeperience design; esperti di
design, interattività, grafica e comunicazione, entrano a far parte delle agenzie più prestigiose proprio per
progettare questi spazi di interazione esperenziale centrati sull'utente. Questo aspetto è fondamentale per
comprendere gli scenari futuri: il marketing ha fallito come strumento con cui costruire il mondo degli oggetti,
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delle architetture, delle esperienze; al centro di tutto, sta tornando il singolo utente, con i suoi desideri e le sue
aspirazioni. Non più globalizzazione e standardizzazione, ma esperienza e osservazione diretta degli utenti alle
prese con la vita quotidiana e gli oggetti di uso comune, per poi progettarne e proporne di nuovi.
Torniamo alla nostra piccola storia dell'architettura multimediale.
Giuseppe Terragni:
Casa del fascio di Corno. Una parete è concepita come un grande schermo
pronto ad accogliere le immagini della propaganda.
Soltanto alla fine degli anni Sessanta, alcuni progettisti, in
particolare quelli del gruppo Archigram e più tardi Robert Venturi,
si accorsero delle grandi potenzialità della comunicazione applicata
all'architettura; i primi, attraverso Robert Cook, il loro teorico,
auspicavano nuovi scambi con la giovane disciplina del Graphic
design, il secondo intendeva promuovere una nuova architettura
che nel contesto urbano diventasse "simbolo" e non più soltanto
forma nello spazio; il suo termine di confronto era ovviamente Las
Vegas. Gli architetti contemporanei, sempre di più, utilizzano
l'immagine
come
materiale
costruttivo.
Gli
edifici
diventano
trasmettitori, elementi luminosi di richiamo nel buio delle nostre
città, hanno facciate iridescenti e colorate dove il testo può
scorrere, o schermi giganti a led permettono di assistere a qualsiasi evento in qualsiasi momento e in qualsiasi
luogo del mondo teletrasportandoci in un'altra realtà simultanea. Le facciate non sono più una frontiera opaca
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tra interno ed esterno, sono la pellicola più esterna di un edificio nuovo. L'edificio diventa
vivo ed attivo quando è attraversato dalla linfa vitale dell'informazione, e come un'organismo, comunica all'esterno sua "nuova pelle" sempre mutabile e rinnovabile in forma di
messaggi "emotivi". In queste pagine esempi di architetture di Jean NouveL e di Herzog&De
Meuron, tra i progettisti più sensibili al tema degli oggetti architettonici comunicanti.
Una estremizzazione del concetto di edificio comunicante è
quella del media buitding, cioè l'edificio che ha come suo
unico scopo quello di comunicare all'esterno, rendendo
persino inutile o superflua la sua funzione interna. Il media
building è un edificio che deve posizionarsi nei centri cittadini,
nei grandi incroci, come Times Square a New York. La sua
funzione primaria è pubblicitaria, ma come è successo per
L'11 settembre, si possono trasmettere in diretta fatti di
cronaca o pubblicizzare eventi sociali, sportivi o spettacoli. Sono delle finestre sul
mondo, in grado di creare nuove prospettive ed effetti di profondità sorprendenti,
ai quali ci stiamo lentamente abituando, ma che sarebbero stati sconvolgenti per
l'uomo di solo mezzo secolo fa.
Las Vegas: Fremont street.
M. Sacripanti:
Progetto del Grattacielo della
Peugeot, concepito come struttura
Pubblicitaria modificabile e mai
realizzato.
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Architettura e comunicazione pubblicitaria
15 aprile 2001, lo spot è rapido e accattivante, accompagnato da una musica ormai riconoscibile: Megane Gale,
dopo aver afferrato un paio di rollerblade, si lancia, per il marchio Omnitel, sulle curve sinuose e argentee del
Guggenheim Museum di Bilbao, opera dell'architetto Frank 0. Gemey. Soltanto poche e sapienti riprese per
connotare la spazialità dell'edificio, e in pochi mesi, il museo diventa un'icona dell'architettura contemporanea,
un luogo da visitare, un'espressione comune: ma esiste davvero?
Guggenheim Museum di Bilbao (F.O. Gehry).
In questo caso, l'architettura, è diventata
protagonista
statuaria
dello
spot,
modellona
insieme
alla
australiana.
La
copertura del museo e il suo rivestimento
in
titanio,
diventano
"l'ostacolo"
da
superare, la sfida riproposta, dopo la torre
di Seattle. È evidente l'associazione del
marchio
l'allusione
all'azione
ai
trasmettere:
della
valori
protagonista
che
dinamicità
e
si
e
vogliono
capacità
di
andare "oltre", di superare qualsiasi tipo di
ostacolo, anche quello che porta a reinterpretare il mondo, attraverso la "gemmazione" di un'idea.
Questo, è uno dei tanti casi dove l'architettura è sia "location" che testimonial dell'evento pubblicitario: l'edificio
è qui, per eccellenza, sinonimo di avanguardia e contemporaneità, grazie alle sue forme, alla sua spazialità ed ai
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materiali particolari da cui è composto: 33.000 lamine di titanio e una struttura di acciaio
quasi organica.
Il secondo esempio che vi proponiamo è ugualmente significativo, anche se non coinvolge
un'architettura, ma un architetto e le sue idee. Stiamo parlando dello spot della Renault
Scenic, ideato dall'agenzia Publicis, che ha come testimonial l'architetto Massimiliano
Fuksas. Nel messaggio pubblicitario, andato in onda nel 2001, Fuksa cerca l'ispirazione, a
bordo di una Renault Scenic, percorrendo un altopiano del nostro Appennino centrale,
dall'aspetto quasi lunare, finché una nuvola non lo "sorprende", dando l'input al suo
processo creativo; quella stessa "nuvola" che poi diventerà un'architettura da realizzare: il
Centro Congressi Italia all'EUR di Roma.
La comunicazione pubblicitaria ha un elevato grado relazionale ed emotivo; qui si realizza
in una breve e significativa narrazione, che rende visibili, nelle trasparenze di Fuksas,
significati invisibili. La Renault intende comunicare la capacità di realizzare per ogni
vettura il nuovo dal nulla - Creatori di automobili così, come fa l'architetto, che alla fine di ogni processo creativo, firma il
suo progetto. Per farlo, la società francese sceglie un architetto innovativo
e visionario, e lo presenta non attraverso un'architettura realizzata, ma
attraverso un'idea in formazione. Creatori di automobili, come creatori di
sogni, di forme leggere come nuvole o come il pensiero.
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L'architettura di qualità non si trova più soltanto sulle riviste specializzate, ma anche sui settimanali, in
televisione, al cinema, sulle webzines; diventa testimonial, location e allo stesso tempo pubblicizza se stessa e il
suo autore: t'architetto mediatico. Fuksas, Libeskind, Khoolas, Gehry, sono gli attori-autori dei nuovi set scelti
dalla pubblicità. Lo scenario architettonico è stato già in passato preso in prestito dalla pubblicità, ma il più delle
volte mascherato o dissimulato. Oggi assistiamo ad un fenomeno nuovo: l'architettura, nelle forme che meglio
rappresentano la nostra epoca e il nostro sviluppo tecnologico, esce dall'anonimato e diventa essa stessa
protagonista dell'immagine pubblicitaria. Automobili, telefonini, profumi, ed in genere gli oggetti tecnologici,
"scelgono" un'architettura d'autore e la trasformano in "oggetto" simbolo, mettendone in evidenza le
caratteristiche peculiari, che diventano, per associazione, quelle dell'oggetto da pubblicizzare. Il target si
identifica in un mondo nuovo che ancora non è del tutto reale, un mondo esclusivo e privilegiato creato da autori
vincenti. Non crediamo che la risposta a tutto questo sia da ricercare soltanto nella rispondenza dei linguaggi di
queste architetture con i bisogni della gente; la riflessione da fare è più ampia ed è legata al nuovo ruolo svolto
dall'informazione nella nostra società, un "bene" immateriale che viene distribuito attraverso la comunicazione;
l'architettura assume in questo caso il ruolo di strumento della comunicazione.
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Bibliografia
Comunicare con l’architettura
Virgilio Vercelloni
Contro la comunicazione
Mario Perniola
Arti figurativi e linguaggio
Omar Calabrese
Il divenire delle arti
Dorfles
Fenomenologia della percezione
Merleau Ponty
Sitografia
www.travel blog.it
www.artemisiaweb.it
www.gluemarket.com
www.architettura e viaggi.it
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