LA GRATUITA` DEL RIMEDIO SPECIFICO DELLA SOSTITUZIONE

LA GRATUITA’ DEL RIMEDIO SPECIFICO DELLA SOSTITUZIONE
NELLA DISCIPLINA DELLA VENDITA DEI BENI DI CONSUMO: NOTA A
CORTE DI GIUSTIZIA 16 GIUGNO 2011, CAUSE RIUNITE C-65/09 C-87/09
Chiara D’Angelo
1. Fatto
Rispondendo ad alcune questioni pregiudiziali sollevate dai giudici tedeschi, la Corte di Giustizia ha
affrontato, con la sentenza in commento, alcuni profili critici riguardanti l’interpretazione dell’art.3,
terzo comma, nn. 2 e 3, della direttiva 1999/44/CE sulla vendita dei beni di consumo.
Le questioni sono sorte nell’ambito di due distinte controversie riguardanti la sostituzione di un
bene rivelatosi non conforme al contratto dopo l’installazione dello stesso; in particolare il giudice
del rinvio chiede alla Corte se, in casi del genere, la disinstallazione del bene non conforme e la
successiva installazione del bene in sostituzione debbano gravare sul consumatore o sul venditore.
Nella prima controversia (C-65/09) un consumatore aveva acquistato delle piastrelle nelle quali,
dopo l’installazione, si era rilevata la presenza di ombrature visibili a occhio nudo (non dovute
all’installazione). Lo stesso agiva quindi in giudizio per ottenere la condanna della controparte (la
Gebr. Weber) alla consegna di mattonelle non viziate e al versamento di una somma di circa
cinquemila euro stimata da un perito quale costo per la disinstallazione delle piastrelle viziate e
l’installazione delle nuove.
Il giudice di primo grado accordava al consumatore il pagamento di una somma irrisoria a titolo di
riduzione del prezzo di vendita, respingendo il resto della domanda. Il consumatore proponeva
dunque appello contro la sentenza, ottenendo, dal giudice di seconde cure, la condanna della
convenuta alla consegna di mattonelle non viziate e al versamento di una somma di denaro di circa
duemila euro per la rimozione e lo smaltimento delle mattonelle non conformi.
Avverso tale sentenza, la Gebr. Weber proponeva quindi ricorso per Cassazione davanti al
Bundesgerichtshof, che a sua volta si pronunciava nel senso della non spettanza, al consumatore, del
rimborso delle spese di rimozione del bene viziato e di installazione di quello dato in sostituzione del
primo. Ciò, precisamente, sulla scorta dell’art.3 della direttiva 1999/44/CE che impiega sì il termine
generico ‘sostituzione’ - evocando con esso, per implicito, le operazioni accessorie della
disinstallazione/ installazione - ma prendendo a limite dell’obbligo del venditore quanto desumibile
da natura e scopo del bene, e dunque la eventuale eccessiva onerosità delle spese necessarie rispetto
all’ “economia” dello scambio. In una con tale lettura, però, la Suprema Corte tedesca adisce la
Corte di Giustizia, sollevando la seguente questione di pregiudizialità: se la disciplina dettata dall’art.
3, terzo comma, n.3 della direttiva 1999/44/CE vada interpretata nel senso che essa osti a una
normativa nazionale in forza della quale «in caso di difetto di conformità del bene consegnato, il venditore può
rifiutare il rimedio preteso dal consumatore, segnatamente, qualora esso gli imponga costi irragionevoli (assolutamente
sproporzionati) tenendo conto del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità e dell’entità del difetto
di conformità» (§23 n.1) e se, in caso di risposta affermativa, il ripristino della conformità mediante
sostituzione comporti che il venditore debba sostenere le spese necessarie per la «rimozione del bene
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non conforme dal luogo in cui il consumatore lo aveva installato, conformemente alla sua natura ed all’uso previsto»
(§23 n.2).
Analoga questione si è posta nell’altra causa (C-87/09) riunita alla precedente e con essa decisa nella
sentenza che si annota. In relazione ad un contratto di vendita concluso per via telematica, avente ad
oggetto una lavastoviglie - che una volta installata era risultata difettosa e non riparabile - le parti
avevano sì concordato la sostituzione della stessa ma il consumatore aveva preteso non solo la
consegna di un nuovo apparecchio ma anche la rimozione del vecchio e l’installazione di quello dato
in sostituzione, ovvero il pagamento delle spese a ciò necessarie, agendo quindi per la risoluzione del
contratto di fronte al rifiuto opposto dalla venditrice.
I giudici del Bundesgerichtshof rilevano come il diritto tedesco non preveda alcun obbligo per il
venditore incolpevole di sopportare i costi per la disinstallazione del bene difettoso e l’installazione
del bene in sostituzione, aggiungendo però che un tale obbligo potrebbe derivare dalla direttiva
europea sulla vendita di beni di consumo, posto che vi è prescritta la sostituzione del bene non
conforme senza inconvenienti per il consumatore.
Da qui, ancora una volta, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, alla quale viene chiesto di
chiarire la eventuale incompatibilità con la disciplina comunitaria di una normativa nazionale che
neghi che il venditore, in caso di ripristino della conformità del bene mediante sostituzione, sia
tenuto a sostenere le spese di «installazione del prodotto sostitutivo nel luogo in cui il consumatore ha installato il
bene non conforme, tenendo conto della sua natura e dell’uso previsto, se inizialmente, in forza del contratto,
l’installazione non era dovuta» (§32 n.1), e se, «in caso di ripristino della conformità del prodotto di consumo
mediante sostituzione, il venditore de[bba] sostenere le spese di rimozione del prodotto non conforme dal luogo in cui il
consumatore lo ha installato tenendo conto della sua natura e dell’uso previsto» (§32 n.2).
2. La posizione della Corte di Giustizia
La Corte di Giustizia riconosce con formula inequivoca che la gratuità del ripristino della conformità
risulta elemento essenziale della garanzia che la direttiva 1999/44/CE predispone a favore del
consumatore.
I giudici di Lussemburgo, infatti, ammettono che quando il consumatore provvede all’installazione
del bene secondo la natura e l’uso di questo, il venditore che sia eventualmente chiamato al ripristino
della conformità mediante sostituzione è tenuto a rimuovere il bene viziato ed installare il bene
sostitutivo, sopportandone i costi.
La norma comunitaria, infatti, chiaramente attribuisce al consumatore il diritto di esigere il ripristino
della conformità del bene, mediante riparazione o sostituzione, salvo il caso in cui la sua richiesta sia
impossibile da soddisfare o sproporzionata. Qualora la scelta cada sulla sostituzione, essa deve
essere attuata in modo tale per cui il nuovo bene venga a trovarsi nella stessa situazione in cui si
trovava il bene difettoso.
Porre a carico del consumatore i costi accessori dell’intervento di sostituzione rischia di creare parafrasando i giudici di Lussemburgo - un disincentivo alla attivazione del rimedio specifico.
Inoltre, ammettere che di tali spese debba farsi carico il consumatore contrasterebbe palesemente
con l’art.3 della direttiva, che espressamente statuisce che il ripristino della conformità debba
avvenire senza spese e senza notevoli inconvenienti per il consumatore medesimo.
Da qui il decisum in commento, secondo cui il consumatore non deve sostenere alcuna spesa per la
rimozione del bene non conforme e l’installazione di quello sostitutivo. La Corte argomenta tale
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conclusione partendo dal presupposto che risulti essere il venditore, al contrario del consumatore, il
contraente che non abbia correttamente adempiuto l’obbligo (contrattuale) di consegnare un bene
conforme, dovendo così sopportare le conseguenze del suo inesatto adempimento e le spese
relative; costi, questi, che d’altronde sarebbero stati evitati se fosse stato consegnato, sin dall’origine,
un bene conforme al contratto di vendita.
Peraltro, sempre ad avviso dei giudici del Lussemburgo, tale interpretazione dell’art.3 prescinderebbe
dalla circostanza che il venditore, in forza del contratto, fosse tenuto o meno a installare il bene,
derivando, infatti, gli obblighi gravanti sul venditore, non tanto e non solo dal contratto bensì
soprattutto dalle norme a tutela dei consumatori ed in primis proprio dall’art. 3 della direttiva
1999/44/CE: «L’art.3, nn. 2 e 3, della direttiva deve essere interpretato nel senso che, quando un bene di consumo
non conforme, che prima della comparsa del difetto sia stato installato in buona fede dal consumatore tenendo conto
della sua natura e dell’uso previsto, sia reso conforme mediante sostituzione, il venditore è tenuto a procedere egli stesso
alla rimozione di tale bene dal luogo in cui è stato installato e ad installarvi il bene sostitutivo, ovvero a sostenere le
spese necessarie per tale rimozione e per l’installazione del bene sostitutivo. Tale obbligo del venditore sussiste a
prescindere dal fatto che egli fosse tenuto o meno, in base al contratto di vendita ad installare il bene di consumo
inizialmente acquistato» (§62).
Quanto alla questione se il venditore abbia o meno la facoltà di rifiutare di farsi carico delle
spese di rimozione del bene difettoso e installazione del bene sostitutivo qualora esse siano
sproporzionate (sproporzione assoluta), la Corte fornisce parimenti risposta negativa.
Una diversa interpretazione contrasterebbe infatti con l’art.3, n.3 della direttiva, che prende
in considerazione la sola ipotesi della sproporzione relativa, allo scopo di evitare che il consumatore,
abusando dei suoi diritti, esiga una modalità di ripristino della conformità che risulti eccessivamente
onerosa per il venditore rispetto ad un’altra che conduca al medesimo risultato.
Il rimedio è così da considerare sproporzionato solo se e quando, tenuto conto del valore
che il bene avrebbe senza il difetto di conformità, dell’entità di quest’ultimo, e dell’eventualità che
possa esperirsi un rimedio alternativo senza notevoli inconvenienti, imponga al venditore spese
irragionevoli rispetto alla tecnica di tutela alternativa.
Ciò non esclude, tuttavia, che, in relazione al caso concreto, la misura del rimborso delle spese
per la rimozione del bene non conforme e l’installazione del bene sostitutivo possa essere ridotta,
seppur tenendosi in debito conto, da un lato, l’entità del difetto di conformità ed il valore che il bene
avrebbe avuto ove privo del difetto; dall’altro, l’obiettivo della direttiva di garantire un elevato livello
di protezione dei consumatori.
3. Il rimedio specifico e l’elemento della gratuità
La sentenza in commento mette a fuoco un elemento essenziale della vendita dei beni di consumo disciplina che per più versi si discosta dallo schema generale codicistico della compravendita,
permeata com’è dall’esigenza di assicurare, attraverso lo strumento del rimedio in forma specifica,
l’interesse del compratore/ consumatore ad ottenere un bene che abbia particolari qualità e
caratteristiche1 - vale a dire l’imprescindibilità del predicato della gratuità per il rimedio specifico.
Se è vero infatti che, a mente dell’art.3 della direttiva 1999/44/CE, «il venditore risponde di qualsiasi
difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene», lo è del pari la circostanza che la medesima
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In dottrina in particolare A. Luminoso, La compravendita, Milano, 2007, p.298 e ss
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norma che attribuisce al consumatore il diritto al ripristino della conformità senza spese, mediante
riparazione o sostituzione, e, solo in seconda battuta, il diritto alla riduzione del prezzo o alla
risoluzione del contratto.
Come è noto, l’opzione a favore del rimedio specifico è di certo assai indicativa nel rivelare le
direttrici di politica del diritto sottese all’intera disciplina dettata dalla direttiva 1999/44: la
promozione di funzionamento e sviluppo corretti del mercato interno nonché la necessità di tutelare
struttura concorrenziale di quest’ultimo, bonificandolo da tutte quelle pratiche (degli operatori
professionali) non improntate a fair dealing. Ebbene, l’elemento della gratuità assurge, in questa stessa
cornice, ad un ruolo chiave, valorizzato quale irrinunciabile complemento dell’ordito rimediale, ed
in specie del rimedio specifico.
La gratuità del ripristino di conformità assolve infatti ad funzione “strategica” in ciò, che il
legislatore comunitario ha, con esso, inteso evitare che spese di sorta poste a carico del consumatore
ed inerenti l’attivazione del rimedio specifico potessero fungere da deterrente rispetto al ricorso a
questo, finendo così per svuotare l’attitudine “conformativa” delle condotte di mercato che,
viceversa, costituisce la funzione preminente della disciplina e dell’apparato di tutele che vi è
predisposto2.
Queste valutazioni di fondo, che sorreggono oggi l’iter argomentativo seguito dalla Corte nella
sentenza in commento, erano invero già state in parte anticipate dagli stessi giudici del Lussemburgo
nel decisum sul caso Quelle 3, ove la gratuità del ripristino della conformità del bene, per la prima volta,
viene elevata a co-elemento essenziale della tutela accordata al consumatore e di cui si dirà fra breve.
Con la sentenza Gebr. Weber, tuttavia, la Corte ha avuto l’opportunità di chiarire meglio l’ambito di
applicazione della gratuità degli interventi specifici, definendo con maggiore chiarezza la portata
della in sé generica formula legislativa “senza spese”.
Tale espressione lascia(va) in effetti aperti parecchi dubbi sulla portata del criterio della gratuità,
non essendo chiaro, in particolare, quali aspetti dell’intervento sostitutivo dovessero considerarsi da
quello coperti , e dunque se la gratuità menzionata dalla norma riguardasse i soli costi necessari per il
ripristino della conformità ovvero se comprendesse tutti gli oneri economici necessari affinché il
consumatore possa ottenere la materiale disponibilità di un bene conforme al contratto4.
Ebbene, i due casi fatti oggetto di questione di pregiudizialità da parte dei giudici tedeschi hanno
dato alla Corte di Giustizia giusto lo spunto per chiarire meglio quali aspetti prodromici
all’intervento di ripristino della conformità debbano considerarsi a carico del venditore, ed ancora se
la gratuità del ripristino della conformità comprenda anche i costi accessori dell’intervento di
sostituzione.
La Corte ha così ritenuto che della rimozione del bene difettoso e dell’installazione del bene
conforme debba occuparsi il venditore, o che quanto meno a suo carico debbano essere poste le
spese richieste da tali operazioni; ciò per non avere, lo stesso venditore, correttamente eseguito la
propria prestazione contrattuale di dare un bene conforme al contratto di vendita: il consumatore che
agisce per il ripristino della conformità non dovrà di conseguenza affrontare alcun ulteriore onere
economico oltre al pagamento del prezzo già versato.
Cfr L. Mangiaracina, La gratuità della sostituzione del prodotto difettoso nella direttiva 1999/44/CE: la normativa tedesca
al vaglio della Corte di Giustizia, in Eur.dir.priv., 2009, n°1, p.191 ss
3 Su cui v. infra par. 4
4 Per tutti v. A. De Franceschi, La sostituzione del bene “non conforme” al contratto di vendita, in Riv.dir.civ., 2009, n°5,
p.559 ss
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4.
Il precedente: il caso Quelle
Come anticipato, la stessa Corte di Giustizia aveva già manifestato un simile orientamento in una
sentenza del 2008 (C-404/06). Il riferimento è al famoso caso Quelle5, ove la Corte, parimenti
interpellata in via pregiudiziale dal Bundesgerichtshof, faceva luce sulla compatibilità tra l’art.3 della
direttiva 1999/44 CE ed una norma interna che attribuisse al venditore, che avesse già provveduto
alla sostituzione del bene non conforme, il diritto di pretendere il pagamento di un’indennità per
l’uso del bene non conforme.
La pronuncia traeva origine da una controversia intercorsa tra la Quelle, una società di vendite per
corrispondenza, e un’associazione di consumatori, cui un cliente della stessa Quelle aveva conferito
mandato di agire a tutela dei propri diritti. Nella specie il consumatore aveva acquistato dalla Quelle
un set forno/piano cottura che, dopo quasi due anni dalla consegna, aveva manifestato un difetto di
conformità non riparabile.
Ottenuta la sostituzione dell’apparecchio “non conforme”, il consumatore si era però visto
richiedere dalla società venditrice il pagamento di una somma di denaro quale indennità per i
vantaggi tratti dall’utilizzo del primo apparecchio. Da qui dunque l’instaurazione di un contenzioso
di cui veniva infine investita, per pregiudizialità, la stessa Corte di Giustizia.
La Corte aveva così riconosciuto che al consumatore non potesse essere chiesto alcun esborso di
denaro per ottenere un bene conforme, la gratuità assurgendo infatti ad elemento imprescindibile del
ripristino della conformità, in forza della necessità di garantire al consumatore medesimo una tutela
la più effettiva possibile, ed essendo peraltro del tutto chiaro, in tal senso, il tenore della direttiva, a
mente della quale il consumatore ha diritto di ottenere un bene conforme, attraverso sostituzione o
riparazione ‘senza spese’ e senza notevoli inconvenienti per quest’ultimo, laddove viceversa il
pagamento di un indennizzo per l’uso del bene viziato può considerarsi giusto un notevole
inconveniente.
L’obbligo di gratuità del ripristino della conformità, affermarono in quella sede i giudici del
Lussemburgo, «mira a tutelare il consumatore dal rischio di oneri finanziari che […] potrebbe dissuadere il
consumatore stesso dal far valere i propri diritti in caso di assenza di una tutela di questo tipo. Tale garanzia di
gratuità voluta dal legislatore comunitario porta ad escludere la possibilità di qualsiasi rivendicazione economica da
parte del venditore nell’ambito dell’esecuzione dell’obbligo a lui incombente di ripristino della conformità del bene
oggetto del contratto» (§34).
La Corte, inoltre, respinse esplicitamente l’argomento secondo cui il consumatore che riceve un
nuovo bene in sostituzione di quello non conforme beneficerebbe di un arricchimento senza causa
per l’aver goduto - medio tempore - del bene originariamente consegnatogli. Ed infatti, sotto il
profilo strettamente formale (art.3 n.1 della direttiva), il venditore è responsabile nei confronti del
consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene; in
secondo luogo, non solo è il venditore a non eseguire correttamente la propria prestazione
contrattuale laddove consegni al consumatore un bene non conforme, dovendo pertanto subire le
conseguenze del suo inesatto adempimento, ma il consumatore – parte adempiente – null’altro
ottiene, con la sostituzione, che la esatta prestazione già dovutagli ab origine , vale a dire la
“consegna” di un bene “conforme” al contratto.
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Corte di Giustizia CE (Prima Sezione), 17 aprile 2008, C-404/06
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In forza di tali argomenti la Corte concluse dunque per la incompatibilità con l’art.3 della direttiva
sulla vendita dei beni di consumo di una normativa nazionale che consenta al venditore, il quale
sostituisca un bene non conforme, il diritto di esigere dal consumatore un’indennità per le utilità
ottenute dal godimento del bene poi rivelatasi viziato6.
Letto attraverso la generica specola della gratuità del rimedio specifico, il caso Quelle può essere a
ragione considerato il primo ed unico precedente della sentenza in commento. Non devono però
trascurarsi i differenti profili di dettaglio portati all’attenzione della Corte – e da questa risolti - nelle
diverse pronunzie. Laddove nel precedente del 2008, infatti, la questione riguardava essenzialmente
la legittimità o meno dell’imposizione di ulteriori aggravi economici (a titolo di indennità per
l’utilizzo del bene non conforme) al consumatore che agisse per ottenere la consegna di un bene
conforme al contratto, la sentenza del 2011 si è viceversa incentrata su una sorta di regolamento di
confini della “gratuità”, precisando che tutti gli oneri accessori all’intervento di sostituzione
debbano riporsi a carico del venditore.
Vero è che nel ribadire la necessaria gratuità di ogni aspetto della sostituzione del bene non
conforme la Corte di Giustizia si è peraltro mossa in piena sintonia con quanto la stessa
Commissione ha esplicitato in seno al Libro Verde del 2007 per la revisione dell’acquis relativo ai
consumatori7, laddove infatti, pur individuandosi taluni aspetti critici della disciplina in atto,
bisognosi dunque di ulteriori interventi normativi8, è stato ribadito essere la gratuità del ripristino
della conformità un punto fermo dell’intero ordino normativo in materia.
Assodato per quanto possa dirsi il principio della gratuità degli interventi specifici è tuttavia
innegabile come lo stesso laconico tenore della direttiva (art. 3) lasci(asse) all’interprete non pochi
interrogativi da sciogliere.
Da qui dunque la notevole importanza della sentenza in commento con cui i giudici di Lussemburgo
hanno escluso che sul consumatore possa gravare qualsiasi ulteriore esborso di denaro rispetto al
prezzo; non solo, come già precisato nel caso Quelle, indennizzi a titolo di compensazione dell’uso
che il consumatore abbia fatto del bene, ma anche qualsiasi somma necessaria a rimuovere il bene
difforme, correttamente installato secondo la natura e l’uso previsto, e installare il bene in
sostituzione.
5.
Conclusioni
L’analisi della sentenza in commento ed il breve riferimento al suo più risalente precedente
evidenziano una volta di più l’importanza assunta, in seno alla disciplina della vendita dei beni di
consumo, dal rimedio specifico, la cui ratio viene, come è noto, scorta in una tutela del contraente
debole che tenda però, in ultima istanza, alla promozione/preservazione del dinamismo
concorrenziale del mercato. Alla piena attuazione di questo disegno di policy si rivela però
6 Per il caso Quelle confronta in particolare P. Rott, The Quelle case and the potential of and limitations to interpretation
in the light of the relevant directive, in European Review of Private Law, 2008, n°6, p.1119 ss
7 Commissione Europea, Libro Verde sulla Revisione dell’acquis comunitario relativo ai consumatori, 08.02.2007
8 In particolare si è rilevata l’esigenza di un intervento di messa a punto della disciplina della vendita dei beni di
consumo sotto il profilo, ad esempio, di una estensione del suo ambito di applicazione ai beni intangibili
(come software e dati), ovvero in merito alla chiarificazione di concetti chiave quali la consegna, il passaggio
del rischio e la stessa gerarchia dei rimedi.
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funzionale ed irrinunciabile
l’assicurazione di piena gratuità degli interventi di
riparazione/sostituzione.
I diritti riconosciuti al consumatore dall’art.3 della direttiva non attribuiscono, del resto, a
quest’ultimo una posizione di maggior favore rispetto a quella che avrebbe conseguito in base al
contratto di vendita, ma, al contrario, permettono di realizzare la situazione che si sarebbe avuta
qualora il venditore, adempiendo esattamente alla propria obbligazione contrattuale, avesse sin
dall’inizio consegnato un bene conforme.
Se è dunque pienamente persuasivo l’iter argomentativo sviluppato dalla Corte e se, con esso, si
perviene ad un decisum coerente con la ratio della intera disciplina, non può però sottacersi come in
un ideale gioco di bambole russe finanche la recente presa di posizione chiarificatrice della Corte di
Giustizia metta capo ad ulteriori interrogativi.
Atteso infatti che il venditore – chiamato, com’è, ad intervenire con la sostituzione del bene viziato
- potrebbe non disporre, nella sua organizzazione di impresa, dei mezzi tecnici per procedere a
disinstallazione e installazione delle merci che commercia, dovendo dunque commissionare ad un
terzo (ma sopportandone in proprio i costi) l’attuazione di quelle operazioni, è d’uopo chiedersi se
anche i maggiori costi così sopportati possano essere fatti valere in regresso ex art. 131 cod. cons.,
nei confronti di chi lo procede lungo la catena di produzione e scambio.
La formula ampia della norma appena richiamata (comma 2 : “il venditore che abbia ottemperato ai rimedi
prescritti dal consumatore, può agire (…) per ottenere la reintegrazione di quanto prestato”), nonchè il testo
dell’art. 4 della direttiva, sembrano senz’altro militare a favore della soluzione affermativa al quesito.
Vero è però che il rischio che una esternalizzazione a terzi delle operazioni di
disinstallazione/installazione possa generare un appesantimento dei costi dell’intervento specifico
potrebbe indurre il produttore – soggetto a carico del quale i costi medesimi finiscono con lo
scaricarsi, proprio in virtù della norma sul regresso, specie se interpretata estensivamente– a
richiedere più elevati standards organizzativi degli operatori abilitati alla vendita al dettaglio del
singolo prodotto.
Da qui il rischio che, in un’ottica di macro, legata alla migliore valorizzazione del dinamismo
concorrenziale del mercato unico, al benessere immediato del singolo consumatore – reso immune
da qualsivoglia costo per interventi specifici di riparazione/sostituzione - si contrapponga, nel
medio termine, o una restrizione della rete distributiva a quei soli operatori che assicurino
determinati servizi; ovvero comunque un effetto rimbalzo in termini di prezzo finale del bene, nel
senso cioè che l’inserimento nei contratti di distribuzione di clausole che vincolino il dettagliante a
“disporre” – contrattualmente o per struttura organizzativa propria – di servizi idonei alle operazioni
di installazione/disintallazione del prodotto commercializzato rischia comunque di venire traslato a
valle in termini di maggior prezzo finale del bene compravenduto .
Non è un caso, del resto, se ancora il Libro Verde della Commissione proponga di introdurre una
responsabilità diretta del produttore per i casi di non conformità: il consumatore potrebbe richiedere
il ripristino della conformità direttamente al produttore, così da evitare una duplicazione di passaggi
intermedi che, in ultima analisi, rischia solo di essere foriera di maggiori oneri per l’acquirente.
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