Il riassunto di tutto 1 Tessalonicesi 5,23

Il riassunto di tutto
1 Tessalonicesi 5,23-28
Last call, ultima chiamata, ultima llamada. È arrivato il momento di chiudere. La lettera di
Paolo ai Tessalonicesi sta per finire. È l’ultima occasione che Paolo ha di raccogliere i suoi
pensieri e di presentarceli. Alla fine, stringendo, venendo al sodo, la domanda è stata
duplice: quale cristianesimo viviamo? Quale cristianesimo vogliamo vivere? Nel corso
della lettera Paolo ha disegnato un profilo di cristianesimo gagliardo, profondo, dentro la
vita e nei suoi vortici, comunitario, aperto al futuro. Un cristianesimo basato sulla fede in
Cristo senza la quale il cristianesimo è finto; sull’amore per Dio e per il prossimo senza il
quale il cristianesimo è vuoto; sulla speranza nel futuro di Dio senza la quale il
cristianesimo è spento. Senza la fede, l’amore e la speranza è come un telefonino senza
batteria: un oggetto muto che non serve a niente. Il cristianesimo è sempre in modalità
accesa; altrimenti diventa un contenitore vuoto, un disco rotto, un oggetto insignificante.
Non può essere mai una tradizione vaga o un’adesione nominale. O il cristianesimo è vita
o non è. O è professato, creduto, vissuto, testimoniato, oppure è un’etichetta che si
scolorisce col tempo. Come è il tuo cristianesimo? Roma non ha bisogno di altro
cristianesimo finto e falso. Ce n’è già troppo in giro. Roma ha bisogno di un cristianesimo
biblico perché centrato sulla Parola di Dio; evangelico perché imperniato sulla buona
notizia di Gesù Cristo; ecclesiale perché vissuto come comunità di credenti. Cosa ci
stiamo a fare a Roma? Siamo qui per vivere questo cristianesimo in modo sincero e
profondo o siamo qui per farci risucchiare dal simulacro di cristianesimo che vediamo
intorno a noi?
Nel chiudere la lettera, Paolo sottolinea i due tratti fondamentali del cristianesimo biblico:
si tratta di una vita integrale basata su un Dio affidabile. È la descrizione del tuo essere
cristiano?
1. Il cristianesimo è integrale
Paolo si congeda con una raccomandazione che è anche una preghiera: “l’intero essere
vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile” (v. 23). Tutta la persona
deve essere intrisa nella fede in Cristo. Come il biscotto inzuppato nel latte che si
intenerisce a contatto col latte. Ogni sua parte, ciascuna sua facoltà, tutte le sue attività
devono essere dedicate, orientate, motivate dall’evangelo. L’evangelo di Gesù deve
inzuppare e saturare la nostra vita visibile ed invisibile. Il nostro corpo (come ci curiamo,
vestiamo, muoviamo, come viviamo la nostra sessualità, il linguaggio) e il nostro essere
interiore (le nostre passioni, motivazioni ed aspirazioni): tutto è tenuto insieme
dall’evangelo. C’è un’esigenza di totalità, di pienezza, di compattezza della vita.
Quali sono i rischi da cui questa preghiera mette in guardia? Intanto il rischio della
superficialità. Il cristianesimo può essere una pennellata di bianco su un muro umido e
sporco. Con questa pennellata superficiale pensiamo di risolvere il problema dell’umidità e
per un breve tempo sembra funzionare. Come avviene ciò? Impariamo un certo linguaggio
cristiano, ci assuefiamo a certe pratiche cristiane (la riunione di culto, il canto), ci
atteggiamo in modo decentemente cristiano. Il problema è che è solo un rivestimento
esterno e superficiale. Fuori dal contesto protetto siamo persone diverse, in situazioni di
stress viene fuori un’altra persona, e con l’andare del tempo tutto diventa grigio e confuso.
Il cristianesimo superficiale sembra essere la soluzione veloce ed immediata, ma alla fine
non porta da nessuna parte. Le macchie del nostro peccato riemergono ben presto. Le
nostre disfunzioni tornano a galla. La nostra irrequietezza si manifesta. L’evangelo di cui ci
parla Paolo deve invece penetrare oltre il rivestimento superficiale, deve andare in
profondità, deve intenerire i nostri tessuti, irrorare la nostra anima, catturare il nostro
cuore. La fede non è appoggiata soltanto alla vita, ma incuneata, ramificata ed integrata in
essa. Per questo Paolo ha poco prima parlato di pratiche di vita che aiutano ad andare in
profondità: coltivare la relazione con Dio, apprezzare la parola, pregare, gioire, cercare
sempre la volontà divina (vv. 19-21). Queste scelte di vita aiutano ad andare oltre la
superficie. Come chiesa, leggiamo libri insieme, preghiamo insieme, facciamo cose
insieme per andare oltre la banale superficialità di una religione anonima. Un cristianesimo
superficiale è una caricatura patetica del cristianesimo. Roma ha bisogno di persone
integralmente segnate e trasformate dall’evangelo. Siamo noi tra questi?
L’altro rischio è quello di un cristianesimo settoriale. Questo rischio lo corriamo quando la
nostra vita è fatta a compartimenti stagni, praticamente scollegati gli uni dagli altri.
L’evangelo ne tocca alcuni, ma non altri. Tocca la nostra domenica, ma non il lunedì. La
domenica diamo voce ad una certa devozione, ma il lunedì è un altro vangelo che ci
muove: siamo totalmente uguali a quelli che non credono nel modo di vestire, parlare,
lavorare. La domenica siamo “spirituali”, il lunedì siamo “furbi”. La domenica pensiamo a
Dio, il lunedì pensiamo a noi. Oppure quando ci sono aree della nostra vita che sono “offlimits”, aree protette dall’influenza dell’evangelo. Il tifo sportivo, ad esempio: ci sono
credenti che perdono la testa quando si tratta di tifare per la squadra del cuore: la loro
vera divinità. Oppure la musica: quando c’è un fanatismo verso cantanti o gruppi musicali.
O la famiglia: quando non si può mettere in discussione rapporti malsani esistenti. O la
politica, o … grumi di vita non ancora toccati dall’evangelo. La vita è allora fatta a spicchi.
Alcuni sanno di arancia, altri di cipolla. Alcuni sono toccati dall’evangelo, altri non lo sono
per niente. Questo è il cristianesimo settoriale.
Paolo ci dice che invece tutto il nostro essere (non un campo, non un giorno, non un
ambito, ma tutto!) deve essere integro, unito, ruotante intorno allo stesso centro. La vita
della chiesa è la medicina contro il cristianesimo settoriale. Nel confronto con gli altri,
facendo cose insieme per la gloria di Dio, le nostre settorialità emergono così come le
nostre superficialità: i lati di noi non ancora rimodellati dall’evangelo vengono fuori. Non
dobbiamo avere timore che ciò accada. Se vogliamo crescere, la vita della chiesa è la
palestra dove crescere per andare oltre verso la profondità, l’integrità, la maturità. Per
questo Paolo dice che bisogna riprendersi, incoraggiarsi, avere pazienza gli uni con gli altri
(v. 14). L’evangelo non lo si vive mai da soli. La chiesa è la famiglia dove coltivare la
compattezza della vita e la profondità della fede. Roma non ha bisogno soltanto di più
credenti individuali, ma di chiese, comunità di credenti, che respirano, praticano,
testimoniano questo evangelo biblico. Il peccato vuole frammentarci; l’evangelo vuole
compattarci. Il peccato vuole farci rimanere in superficie; l’evangelo vuole fare di noi
persone profonde. Saremo noi all’altezza?
2. Dio è affidabile
La lettera si conclude con questo scenario di grande responsabilità. L’ambizione
dell’evangelo è di formare persone intere. Proprio per questo l’ultimo pensiero è rivolto a
Dio. Senza di Dio saremmo condannati a frantumarci. Se dipendesse da noi, non
avremmo molte chances. Ma Dio è fedele e Lui farà anche questo. Lui ci ha chiamato
dalla perdizione alla salvezza; il suo impegno verso di noi non si è esaurito là, ma continua
ogni giorno. Lui ci ha eletti (1,4) e il suo proposito di salvezza continua.
Di tutto si può dubitare tranne della fedeltà di Dio. Dio è il pilastro della vita. Su di Lui si
può fare pieno affidamento. Le cose impossibili per noi sono possibili per Dio. Lui è il Dio
della pace (v. 23) che in Cristo ci ha permesso di fare pace con Lui. Senza di Lui la pace è
una speranza vana. Dio è un Dio di grazia (v. 28) che ricolma i suoi figli e figlie del suo
amore. Ha mostrato la sua grazia in modo supremo nel dono di suo Figlio Gesù che è
venuto a dare la sua vita per noi affinché potessimo essere salvati. Senza di Lui
rimaniamo in un mondo sottosopra, consegnati al giusto giudizio di Dio. Lui è il Dio che
viene (v. 23b): Gesù ha promesso che sarebbe tornato e questa promessa sicuramente si
avvererà. In fondo la tua vita si gioca su ciò che ritieni affidabile e sulla persona che ritieni
affidabile. Dio è il fedele per eccellenza e un Dio a cui sottomettersi per vivere per sempre.
Chi si affida Dio non sarà mai deluso! È questo il cristianesimo degno di essere vissuto. È
questo il nostro cristianesimo?
Leonardo De Chirico