Il rapporto tra Virgilio e il potere politico Durante una gita in barca sulle acque del fiume Mincio, partendo dai laghi di Mantova, ho potuto scorgere il territorio isolato che diede i natali a Virgilio; si chiamava Andes quel territorio, oggi identificato con Pietole, a cinque chilometri da Mantova, dove nacque Virgilio, nel 70 a.C., da famiglia semplice di contadini. Oggi possiamo solo immaginare quel podere dove il piccolo Virgilio respirava a pieni polmoni l’aria salubre della vita agreste. Virgilio Gli antenati di Virgilio però non erano mantovani, erano romani, vediamo come e perché. Mantova fu città fondata dagli etruschi nel VI secolo a.C., poi fu occupata dai galli fino a quando, verso la fine del III secolo a.C., giunsero i romani. Nel 222 a. C., i romani conquistarono Milano (l’antica Mediolanum), nel 218 a.C. fondarono le colonie di Cremona e Piacenza e nel 214 a.C. di Mantova, in quella che essi chiamavano Gallia Cisalpina. Pertanto, gli antenati di Virgilio erano vecchi coloni romani, giunti sul Mincio alcune generazioni prima della sua nascita. A 11 anni, Virgilio lasciò Mantova per motivi di studio; si recò prima a Cremona, dove si trovavano alcuni famosi maestri originari della Grecia, poi si trasferì a Milano, all’età di 17 anni, per compiere studi di retorica, come desiderava il padre. Il padre probabilmente voleva che facesse l’avvocato, ma Virgilio si rese presto conto di avere grandi difficoltà a parlare in pubblico, mentre i suoi primi componimenti poetici già suscitavano l’interesse del pubblico; fu così che capì che il suo destino era di fare il poeta. Movimenti dei due schieramenti nella guerra civile di Modena Dopo tre anni trascorsi nella città del lusso che lo metteva a disagio, Virgilio lasciò anche Milano per trasferirsi a Roma: aveva vent’anni. Era la Roma di Pompeo e di Cesare che si contendevano il primato politico, alla vigilia della guerra civile. Una guerra civile per il potere che iniziò nel 49 a.C. con la messa in fuga di Pompeo, proseguì con il quinquennio di potere dittatoriale di Cesare e finì con il suo assassinio nel 44 a.C.. Ne seguì un’altra guerra civile, quella di Modena che vide fronteggiarsi gli eserciti di Ottaviano e quelli di Antonio. La guerra fu vinta nel 43 a. C. da Ottaviano, pronipote e figlio adottivo di Cesare. Ottaviano prese una decisione orribile: assegnò ai veterani di guerra le terre delle città che avevano combattuto contro di lui e, visto che non bastavano, anche quelle dei paesi neutrali, espropriandole ai vecchi proprietari, senza alcun indennizzo, allontanandoli e costringendoli a emigrare; Mantova era rimasta neutrale, così anche il podere dei genitori di Virgilio venne espropriato con grande dolore del poeta che provò ad intervenire, ma senza ottenere risultati. Una pagina delle Bucoliche di Virgilio Virgilio era un cesariano, ma anche Roma non gli piaceva, perché troppo caotica e, inoltre, le guerre civili lo avevano portato a sognare un mondo diverso; scrisse in quel periodo le Bucoliche, dieci comandamenti poetici che descrivono un mondo agricolo e pastorale in cui regnano solo la pace e la concordia; iniziò l’opera nel 42 a.C. e la terminò nel 39 a.C., inserendovi anche alcuni riferimenti alla tragedia economica che era toccata alla sua famiglia. Busto del giovane Ottaviano Virgilio però ebbe la fortuna di fare il poeta in un’epoca in cui la poesia era un mezzo per celebrare le imprese e gli eroi dell’impero, in primis del suo imperatore e, per questo fine, i letterati venivano copiosamente finanziati. Mecenate prima e lo stesso Ottaviano poi, finanziarono Virgilio, ma anche Orazio, Ovidio e Properzio, con grandi capitali e ville. Virgilio fu destinatario di una villa a Napoli e di vari terreni nei dintorni. I poeti divenivano così talmente debitori dei loro “mecenati” da doverne eseguire i dettami. Oggi si direbbe che erano stati “comprati”. La villa di Mecenate a Tivoli in un dipinto del 1783 A Napoli, Virgilio compose le Georgiche che dedicò, guarda caso, proprio a Mecenate, ma Virgilio andò oltre e superò il segno. Nell’opera non solo è lodata tutta la politica di Ottaviano, ma addirittura i veterani beneficiari delle espropriazioni, compresa la sua a Mantova, vennero descritti come eroi e difensori dei valori e del primato dell’Italia nel mondo. A Ottaviano, invece, Virgilio dedicò l’Eneide, il poema capolavoro di bellezza di Virgilio, anche se esalta troppo i valori etici, religiosi e politici dello Stato romano riorganizzato dal principe Ottaviano. Sincerità o servilismo e menzogna? Virgilio morì a Brindisi nel 19 a.C., di ritorno da Atene, a seguito di un’insolazione. Virgilio non aveva figli, così la sua notevole eredità venne suddivisa fra le personalità che più segnarono la sua vita (il fratellastro, il principe Ottaviano, Mecenate, due fraterni amici, due poeti). Tra le sue volontà ci fu però anche quella di dare alle fiamme l’Eneide perché la riteneva ancora imperfetta, ma Ottaviano, che tanto aveva investito ed atteso quest’opera, diede ordine di pubblicarla. Fu così che il grande capolavoro di Virgilio venne salvato dalle fiamme ed è giunto fino a noi. Tomba di Virgilio, Parco Piedigrotta, Napoli Virgilio fu sepolto a Napoli; la sua tomba è stata identificata in una costruzione di età augustea sita in un parco a Piedigrotta, dove è sepolto anche Giacomo Leopardi. Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 83 T. Fiore, La poesia di Virgilio, Bari, Laterza, 1946 P. Grimal, Virgilio. La seconda nascita di Roma, Milano, Rusconi, 1986 Georgiche, http://it.wikisource.org/wiki/Georgiche Bucoliche, a cura di M. Gioseffi, Milano, Cuem, 2005 Amos Nattini, un pittore da riscoprire Ho visto alcune opere del pittore Amos Nattini (Genova 1893 – Parma 1985), divenuto famoso per aver illustrato la Divina Commedia: ne sono rimasta positivamente impressionata. Ho trovato davvero notevoli il senso della prospettiva e la capacità di dare espressività alla moltitudine di volti dipinti in una stessa tela; soprattutto, è originale, e di chiara influenza dannunziana, la raffigurazione di figure muscolose, disegnate con rigore scientifico. Amos Nattini, Divina Commedia, Inferno Amos Nattini, per più di vent’anni, dal 1920, si dedicò a illustrare la Divina Commedia, dipingendo magistralmente cento canti in centro tavole, che lui chiamò Visioni. Fu Gabriele D’Annunzio ad incoraggiare e sostenere Nattini in questa colossale impresa. Nel 1939 le sue illustrazioni della Divina Commedia confluirono in una lussuosa edizione della Commedia, edita a tiratura limitata. Amos Nattini, Divina Commedia, Inferno, Canto XVIII Amos Nattini non è l’unico pittore che si occupò di illustrare l’opera di Dante, ma la sua interpretazione del poema si muove su toni originali; nei suoi dipinti sono centrali la forza e la muscolosità dei personaggi, superuomini dannunziani che si muovono in paesaggi sospesi, onirici, costituisce solo un debole sfondo. Amos Nattini, dove il dramma L’energia idroelettrica. La forza idrica in montagna, 1943, Collezione Cagnin Il suo talento fu coltivato sin da ragazzo con gli studi alla scuola di nudo dell’Accademia di Belle Arti e con quelli di anatomia dell’Università di Genova. Dopo Milano e Parigi, dove frequentò il bel mondo artistico-culturale, vennero gli anni della guerra durante i quali si trasferì a Oppiano di Gaiano, nei pressi di Collecchio (Parma), nell’ex eremo benedettino ricevuto in eredità per via materna, dove dipingerà fino alla fine dei suoi giorni, sempre su commissione. Con l’arrivo della guerra, Amos divenne partigiano, aiutò gli inglesi fuggiti dal campo di concentramento di Fontanellato, fu arrestato dalla Gestapo, poi rilasciato. Dopo la Liberazione, divenne sindaco (per sei mesi), quindi consigliere comunale socialista. Amos Nattini, Lago di Nemi, 1940-43, collezione privata Dopo i fasti della Belle époque francese e l’epopea della Divina Commedia, nel suo eremo parmense Amos Nattini si dedicò alle grandi battaglie, ai ritratti e a scene agresti. Amos Nattini, La primavera ante 1953, collezione Pietro Cagnin Le opere di Amos Nattini furono vendute a collezionisti, ma ce ne fu uno speciale, Pietro Cagnin che, con sacrifici e grande determinazione, divenne suo appassionato collezionista. Pietro Cagnin fu poi costretto a vendere i suoi tesori artistici per motivi economici, ma suo figlio Giampaolo è dal 2000 che sta cercando di ritrovare i quadri del padre e non ha ancora finito. I quadri di Amos Nattini della collezione Cagnin sono, di tanto in tanto, esposti in apprezzate mostre. Nel 2015 si è tenuta a Parma, al Palazzo della Pilotta, la mostra Amos Nattini, pittore di altri mondi; al MAR di Ravenna, fino al 10 gennaio 2016, si può visitare la mostra Divina Commedia. Le visioni di Doré, Scaramuzza, Nattini. Cinzia Malaguti Bibliografia: Art e Dossier, nr. 327 La storia dello zucchero La canna da zucchero è una pianta originaria della Nuova Guinea; nell’antichità si diffuse in tutta l’Asia e, grazie ai musulmani, giunse in Nord Africa e nella Spagna musulmana. Le tecniche che permettevano di trasformare il succo della canna in cristalli e, quindi, facilitarne il trasporto e la diffusione, furono sviluppate in India, a partire dal V secolo d.C. Furono però i crociati, di ritorno dal Medio Oriente, ad introdurre definitivamente nell’Europa cristiana quel prodotto, estratto dalla canna, che venne conosciuto con la sua denominazione araba: sukkar, zucchero. La diffusione dell’uso dello zucchero fu inizialmente molto lenta per il suo elevato prezzo, per il fatto che le abitudini alimentari cambiavano molto lentamente e per il fatto che la canna poteva essere coltivata solo in alcuni luoghi, come la Sicilia o il sud della penisola iberica. Fu così che vi furono aree in cui l’utilizzo dello zucchero si diffuse, pur lentamente, prima che in altre, per essere poi, a partire dal XV secolo, comune praticamente in tutto il continente europeo. Il consumo dello zucchero si diffuse anche grazie alle coltivazioni nelle isole atlantiche (Madeira, Azzorre e Canarie) di nuova conquista e, successivamente, in America, che divenne il principale centro di produzione mondiale. canna da zucchero zollette di zucchero e di canna Gli zuccherifici che vennero installati nelle isole atlantiche e poi in America erano situati in prossimità dei campi in cui si coltivava e raccoglieva la canna. C’erano mulini e laminatoi che pressavano la canna per estrarne il succo che poi veniva raccolto in calderoni dove cuoceva a lungo; il succo cotto veniva poi versato in stampi dove lo zucchero cristallizzava. Spremitura delle canne da zucchero Prima della diffusione dello zucchero, nei paesi europei veniva usato il miele, quale dolcificante, mentre lo zucchero, veniva relegato all’uso di aromatizzante; lo zucchero, infatti, fino alla fine del XV secolo, era utilizzato, come spezia, per mitigare i sapori, spesso molto intensi per la mancanza di efficaci metodi di conservazione degli alimenti. A partire dal XVI secolo, alcuni avvenimenti favorirono il sorpasso dello zucchero sul miele. Nei paesi protestanti, la produzione di miele decrebbe a causa del decadimento dei monasteri, che durante il Medioevo erano diventati dei grandi centri di apicoltori. Contemporaneamente, lo zucchero divenne progressivamente più economico ed il consumo crebbe notevolmente: durante il XVI secolo aumentò di 18 volte. La maggiore disponibilità ed accessibilità dello zucchero, contrariamente a quella del miele, determinò anche il cambiamento dell’uso gastronomico: invece di essere aggiunto ai piatti principali come condimento per mitigare i sapori forti, si iniziò ad usarlo negli antipasti dolci, nei dessert e per dolcificare caffè e tè. Oggi sappiamo tutti che il consumo dello zucchero deve essere limitato per il suo alto potere calorico e glicemico; nell’antichità, invece, gli si attribuivano proprietà diuretiche, digestive e di efficacia contro i problemi polmonari, pur sconsigliandone l’abuso in quanto controproducente. barbabietola da zucchero Lo zucchero che oggi utilizziamo è, per lo più, estratto dalla barbabietola da zucchero. L’estrazione dello zucchero dalla barbabietola ebbe inizio nel XIX secolo, quando venne sviluppato un procedimento industrialmente conveniente per l’estrazione. Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 83 S.W. Mintz, Storia dello zucchero tra politica e cultura, Torino, Einaudi, 1990 Cartagine: antico esempio di integrazione culturale di successo Ho visitato Cartagine, nell’attuale Tunisia, alcuni anni fa e la cosa che più mi sorprese fu la posizione sulla collina in faccia al mare, stupenda, un balcone sul Mar Mediterraneo. Dell’antica capitale fenicia, che il mito vuole sia stata fondata da una donna, la regina Didone, è rimasto poco; i romani comandati da Scipione Emiliano, rivali e vittoriosi, la ridussero in macerie nel 146 a. C. e sulle sue ceneri venne costruita una nuova città, capitale della provincia romana d’Africa. Il sito archeologico risulta una commistione di aspetti urbanistici di base di epoca fenicia a cui si sono integrati e sovrapposti aspetti architettonici di epoca romana. Cartagine è sito Patrimonio dell’Umanità Unesco. Mappa localizzazione sito archeologico La fondazione di Cartagine. Recentemente una squadra di archeologici tedeschi ha individuato, nel giacimento di Rue Ibn Chabaat di Cartagine, una zona denominata Quartiere di Didone che corrisponde agli strati più antichi della città punica. Sono state realizzate in questo punto delle datazioni con il carbonio 14 che hanno determinato date tra l’835 e l’800 a.C.; la fondazione di Cartagine, pertanto, risale al IX secolo avanti Cristo. Fu in quegli anni che un gruppo di fenici, minacciati dai vicini assiri, partirono da Tiro, in Fenicia, nell’attuale Libano e, dopo essersi fermati a Cipro, arrivarono sulle coste dell’attuale Tunisia dove crearono alleanze con le popolazioni locali. Maschera fenicia L’integrazione fenicia a Cartagine. Nell’area gli archeologi hanno individuato fori per conficcare pali usati in piccole capanne, tipiche forme di insediamento preesistenti l’arrivo dei fenici. Sembra che tutto il fronte meridionale della collina dove sorgeva Cartagine fosse edificato con queste capanne con coperture vegetali, tra le quali si aprivano spazi simili a piazze e dove si effettuavano gli scambi commerciali. Gli indigeni, infatti, avevano accolto positivamente l’arrivo, non aggressivo, dei fenici in quanto avevano capito che poteva essere incrementato il commercio dei loro prodotti e, quindi, i loro guadagni. Cartagine non fu una colonia isolata, ma sin dalle sue origini si aprì all’influenza di culture diverse; Cartagine aveva capito, da subito, che l’integrazione e la commistione le avrebbe assicurato il controllo sul territorio circostante, fondamentale per il suo successivo sviluppo. Fu così che Cartagine, unita e prosperosa, raggiunge in pochi decenni la supremazia su tutte le altre colonie fenicie del Mediterraneo. Rappresentazione di Cartagine vista dal mare in stampa spagnola del 1754 Lo sviluppo di Cartagine. Nel V secolo a.C., Cartagine si trasforma in un’importante città abitata fino a 400.000 abitanti; la città aveva edifici a più piani (una novità per l’epoca), un sistema fognario e un grande porto con attività sia commerciale che militare. Gli 80 elefanti schierati da Annibale nella battaglia di Zama La politica di espansione nel Mediterraneo e le tre guerre puniche (264 a.C. – 146 a. C.) Unita e prosperosa, Cartagine cominciò ad avere ambizioni di egemonia sul Mediterraneo. Fu così che cominciò a porre le basi di quello che sarebbe stato chiamato “imperialismo cartaginese”: stipulò accordi politicoeconomici con altri stati della regione e costruì un potente esercito. Cartagine puntava all’egemonia sul Mediterraneo e, in particolare, al controllo della Sicilia, ma non aveva fatto bene i conti con Roma, con la quale entrò in conflitto. Scoppiò così la prima guerra punica dove Cartagine fu sconfitta, dovette cedere la Sicilia e pagare un alto riscatto di guerra. Cartagine ci riprovò con Annibale, ma dopo la sconfitta nella battaglia di Zama, si arrese al generale romano Scipione che impose durissime condizioni alla città. Roma e Cartagine tornarono a scontrarsi nella terza guerra punica che decretò la sconfitta definitiva di Cartagine, assediata e distrutta da Scipione Emiliano. La fondazione di Cartagine con Didone in un dipinto di William Turner (1815) Cartagine e Didone. La leggenda vorrebbe che a capo dei coloni fenici in fuga vi fosse la regina Didone, in fuga dal fratello che le aveva ucciso il marito e zio per questioni ereditarie. I fenici sbarcarono in una baia presso la quale sorgeva una collina e Didone dovette patteggiare con il sovrano della popolazione locale per poter sbarcare; Didone lo convinse a venderle il terreno che potesse essere contenuto in una pelle di bue, dichiarando che ne aveva bisogno per far riposare i suoi uomini; fatto l’accordo, la regina fece tagliare la pelle di bue in sottilissime strisce con le quali coprì la superficie necessaria per fondare una città. Famosa è anche la leggenda della Didone abbandonata da Enea: la partenza non annunciata del condottiero troiano Enea, per fondare una nuova città in Italia, avrebbe provocato il suicidio della regina cartaginese. Miti e leggende! Il tofet di Cartagine La visita del sito archeologico. Dell’antica Cartagine fenicia possiamo ancora ammirare: i resti dell’impianto urbano, del porto, tratti delle antiche strade, importanti edifici di culto come il tofet, un santuario a cielo aperto nel quale erano sepolti i resti dei sacrifici. Dell’antica Cartagine romana possiamo ammirare: l’acquedotto, le tracce degli antichi luoghi d’incontro o di ricreazione come il forum, il teatro, le terme di Antonino Pio (le più grandi rinvenute fuori Roma), i resti di residenze private e di templi. Al Musée National de Carthage sono poi esposti, per motivi di conservazione e sicurezza, reperti rinvenuti nel sito, quali betili e stele, sarcofagi in marmo, gioielli, mosaici ed anfore. Buona visita storica a Cartagine! Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 83 W. Huss, Cartagine, Bologna, Il Mulino, 1999 R. Miles, Carthago delenda est. Ascesa e caduta di un’antica civiltà, Milano, Mondadori, 2012 S. Moscati, Introduzione alle guerre puniche: origini e sviluppo dell’impero di Cartagine, Torino, SEI, 1994 Leggi anche: A nord della Tunisia, tra spiagge e storia Cinema – Star Wars il risveglio della forza Con Star Wars: il risveglio della forza siamo giunti al settimo episodio della serie. Non ho visto i precedenti, ma questo mi è piaciuto per l’azione incessante che non lascia tempo alla distrazione, per gli effetti speciali, per la bellezza e la stravaganza delle figure e dei costumi, per l’effetto spettacolare delle scene. Star Wars episodio 7, Kylo Ren La trama si snoda in una serie di avvenimenti nella lotta tra il male e l’oscurità, rappresentato dal Primo Ordine, ed il bene e la luce, rappresentato dalla Resistenza e dai suoi amici. Notevole l’interpretazione della giovane attrice britannica Daisy Ridley, nei panni di Rey; nel cast c’è anche Harrison Ford che interpreta Han Solo; nella parte dei cattivi, merita una nota positiva l’attore statunitense Adam Driver nei panni di Kylo Ren. Star Wars il risveglio della forza, il cast La regia è di J. J. Abrams che è anche produttore e sceneggiatore del film; Abrams è stato, tra l’altro, l’autore di Mission Impossible III e di alcuni episodi di Star Trek. Star Wars episodio 7, scena del film con il droide e Rey Tra le figure stravaganti, è davvero simpatico il droide a forma di palla. Nella produzione del film Star Wars: il risveglio della forza sono state utilizzate location reali, modellini in scala e immagini al computer. Le riprese sul posto sono state realizzate ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, più precisamente quelle nel deserto, mentre quelle sulla neve sono state realizzate in Islanda, quelle nei paesaggi verdeggianti in Irlanda e la scena finale sul promontorio è stata girata a Skellig Michael, un’isola irlandese. Skellig Michael, una delle location del film Star Wars 7, Niki.L/wikimedia commons Durante le riprese Harrison Ford ha avuto un infortunio alla caviglia che lo ha costretto ad abbandonare il set per otto settimane, con il conseguente slittamento generale del termine delle riprese del film. Star Wars il risveglio della forza, Han Solo Star Wars: il risveglio della forza è il primo film della serie di proprietà della Walt Disney, dopo l’accorpamento della Lucasfilm nel 2012. Che altro dire? Andate al cinema e divertitevi guardando Star Wars: il risveglio della forza! Cinzia Malaguti Cinema – Il ponte delle spie Il ponte delle spie è un film tratto da una storia vera che risale ai tempi della guerra fredda e nel periodo durante e immediatamente successivo alla costruzione del muro di Berlino. Il ponte che dà il titolo al film è il Ponte Glienicke che collega Berlino a Postdam; il Ponte Glienicke fu utilizzato, durante la guerra fredda, da Stati Uniti e Unione Sovietica per scambiarsi le rispettive spie prigioniere, da qui il soprannome di ponte delle spie. Ponte Glienicke, Ovest – Est confine La vicenda narrata è quella di James B. Donovan, avvocato di Brooklyn, che viene incaricato di negoziare il rilascio di Francis Gary Powers, pilota di aereo spia U-2, fatto prigioniero dai sovietici dopo l’abbattimento del suo aereo. Il 10 febbraio 1962, sul ponte Glienicke, Powers ed il giovane studente Frederic Pryor vennero liberati in cambio del rilascio del colonnello Rudolf Ivanovich Abel, nota spia russa. New York Times 1962 articolo sullo scambio sul ponte delle spie Il film Il ponte delle spie ha la regia di Steven Spielberg e già questa è una garanzia. Il Ponte delle spie è infatti un film ben fatto; si distinguono bene una prima parte, dove prevale la valorizzazione dell’importanza del rispetto dei diritti civili, da una seconda parte, molto più dinamica, movimentata, il cui svolgimento riesce a tenere il fiato in sospeso, creando un’atmosfera da grande film di spionaggio. L’ambientazione de Il ponte delle spie è di tipo storico, ma il richiamo (nella prima parte) al rispetto dei diritti civili è forte e sempre attuale; la spia russa doveva essere difesa da uno dei migliori avvocati americani in nome della giustizia e della libertà. Berlino, il Ponte Glienicke oggi Nei panni dell’avvocato Donovan c’è il sempre bravo Tom Hanks, mentre in quelli di Rudolf Abel c’è l’attore inglese Mark Rylance, in un’ottima interpretazione che gli è valsa il premio Oscar 2016 quale miglior attore non protagonista. Tom Hanks in Il ponte delle spie Il ponte delle spie è stato premiato dalla critica americana tra i migliori dieci film dell’anno: 2015 – National Board of Review of Motion Pictures e 2015 – American Film Institute. Buona visione! Cinzia Malaguti