Cartagine: antico esempio di integrazione culturale di successo

Il rapporto tra Virgilio e il
potere politico
Durante una gita in barca sulle acque del fiume Mincio,
partendo dai laghi di Mantova, ho potuto scorgere il
territorio isolato che diede i natali a Virgilio; si chiamava
Andes quel territorio, oggi identificato con Pietole, a cinque
chilometri da Mantova, dove nacque Virgilio, nel 70 a.C., da
famiglia semplice di contadini. Oggi possiamo solo immaginare
quel podere dove il piccolo Virgilio respirava a pieni polmoni
l’aria salubre della vita agreste.
Virgilio
Gli antenati di Virgilio però non erano mantovani, erano
romani, vediamo come e perché. Mantova fu città fondata dagli
etruschi nel VI secolo a.C., poi fu occupata dai galli fino a
quando, verso la fine del III secolo a.C., giunsero i romani.
Nel 222 a. C., i romani conquistarono Milano (l’antica
Mediolanum), nel 218 a.C. fondarono le colonie di Cremona e
Piacenza e nel 214 a.C. di Mantova, in quella che essi
chiamavano Gallia Cisalpina. Pertanto, gli antenati di
Virgilio erano vecchi coloni romani, giunti sul Mincio alcune
generazioni prima della sua nascita.
A 11 anni, Virgilio lasciò Mantova per motivi di studio; si
recò prima a Cremona, dove si trovavano alcuni famosi maestri
originari della Grecia, poi si trasferì a Milano, all’età di
17 anni, per compiere studi di retorica, come desiderava il
padre. Il padre probabilmente voleva che facesse l’avvocato,
ma Virgilio si rese presto conto di avere grandi difficoltà a
parlare in pubblico, mentre i suoi primi componimenti poetici
già suscitavano l’interesse del pubblico; fu così che capì che
il suo destino era di fare il poeta.
Movimenti
dei
due
schieramenti nella guerra
civile di Modena
Dopo tre anni trascorsi nella città del lusso che lo metteva a
disagio, Virgilio lasciò anche Milano per trasferirsi a Roma:
aveva vent’anni. Era la Roma di Pompeo e di Cesare che si
contendevano il primato politico, alla vigilia della guerra
civile. Una guerra civile per il potere che iniziò nel 49 a.C.
con la messa in fuga di Pompeo, proseguì con il quinquennio di
potere dittatoriale di Cesare e finì con il suo assassinio nel
44 a.C.. Ne seguì un’altra guerra civile, quella di Modena che
vide fronteggiarsi gli eserciti di Ottaviano e quelli di
Antonio. La guerra fu vinta nel 43 a. C. da Ottaviano,
pronipote e figlio adottivo di Cesare. Ottaviano prese una
decisione orribile: assegnò ai veterani di guerra le terre
delle città che avevano combattuto contro di lui e, visto che
non bastavano, anche quelle dei paesi neutrali, espropriandole
ai vecchi proprietari, senza alcun indennizzo, allontanandoli
e costringendoli a emigrare; Mantova era rimasta neutrale,
così anche il podere dei genitori di Virgilio venne
espropriato con grande dolore del poeta che provò ad
intervenire, ma senza ottenere risultati.
Una pagina delle Bucoliche
di Virgilio
Virgilio era un cesariano, ma anche Roma non gli piaceva,
perché troppo caotica e, inoltre, le guerre civili lo avevano
portato a sognare un mondo diverso; scrisse in quel periodo le
Bucoliche, dieci comandamenti poetici che descrivono un mondo
agricolo e pastorale in cui regnano solo la pace e la
concordia; iniziò l’opera nel 42 a.C. e la terminò nel 39
a.C., inserendovi anche alcuni riferimenti alla tragedia
economica che era toccata alla sua famiglia.
Busto del giovane
Ottaviano
Virgilio però ebbe la fortuna di fare il poeta in un’epoca in
cui la poesia era un mezzo per celebrare le imprese e gli eroi
dell’impero, in primis del suo imperatore e, per questo fine,
i letterati venivano copiosamente finanziati. Mecenate prima e
lo stesso Ottaviano poi, finanziarono Virgilio, ma anche
Orazio, Ovidio e Properzio, con grandi capitali e ville.
Virgilio fu destinatario di una villa a Napoli e di vari
terreni nei dintorni. I poeti divenivano così talmente
debitori dei loro “mecenati” da doverne eseguire i dettami.
Oggi si direbbe che erano stati “comprati”.
La villa di Mecenate a
Tivoli in un dipinto del
1783
A Napoli, Virgilio compose le Georgiche che dedicò, guarda
caso, proprio a Mecenate, ma Virgilio andò oltre e superò il
segno. Nell’opera non solo è lodata tutta la politica di
Ottaviano, ma addirittura i veterani beneficiari delle
espropriazioni, compresa la sua a Mantova, vennero descritti
come eroi e difensori dei valori e del primato dell’Italia nel
mondo. A Ottaviano, invece, Virgilio dedicò l’Eneide, il poema
capolavoro di bellezza di Virgilio, anche se esalta troppo i
valori etici, religiosi e politici dello Stato romano
riorganizzato dal principe Ottaviano. Sincerità o servilismo e
menzogna?
Virgilio morì a Brindisi nel 19 a.C., di ritorno da Atene, a
seguito di un’insolazione. Virgilio non aveva figli, così la
sua notevole eredità venne suddivisa fra le personalità che
più segnarono la sua vita (il fratellastro, il principe
Ottaviano, Mecenate, due fraterni amici, due poeti). Tra le
sue volontà ci fu però anche quella di dare alle fiamme
l’Eneide perché la riteneva ancora imperfetta, ma Ottaviano,
che tanto aveva investito ed atteso quest’opera, diede ordine
di pubblicarla. Fu così che il grande capolavoro di Virgilio
venne salvato dalle fiamme ed è giunto fino a noi.
Tomba di Virgilio, Parco
Piedigrotta, Napoli
Virgilio fu sepolto a Napoli; la sua tomba è stata
identificata in una costruzione di età augustea sita in un
parco a Piedigrotta, dove è sepolto anche Giacomo Leopardi.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 83
T. Fiore, La poesia di Virgilio, Bari, Laterza, 1946
P. Grimal, Virgilio. La seconda nascita di Roma, Milano,
Rusconi, 1986
Georgiche, http://it.wikisource.org/wiki/Georgiche
Bucoliche, a cura di M. Gioseffi, Milano, Cuem, 2005
Amos Nattini, un pittore da
riscoprire
Ho visto alcune opere del pittore Amos Nattini (Genova 1893 –
Parma 1985), divenuto famoso per aver illustrato la Divina
Commedia: ne sono rimasta positivamente impressionata. Ho
trovato davvero notevoli il senso della prospettiva e la
capacità di dare espressività alla moltitudine di volti
dipinti in una stessa tela; soprattutto, è originale, e di
chiara influenza dannunziana, la raffigurazione di figure
muscolose, disegnate con rigore scientifico.
Amos
Nattini,
Divina
Commedia, Inferno
Amos Nattini, per più di vent’anni, dal 1920, si dedicò a
illustrare la Divina Commedia, dipingendo magistralmente cento
canti in centro tavole, che lui chiamò Visioni. Fu Gabriele
D’Annunzio ad incoraggiare e sostenere Nattini in questa
colossale impresa. Nel 1939 le sue illustrazioni della Divina
Commedia confluirono in una lussuosa edizione della Commedia,
edita a tiratura limitata.
Amos
Nattini,
Divina Commedia,
Inferno,
Canto
XVIII
Amos Nattini non è l’unico pittore che si occupò di illustrare
l’opera di Dante, ma la sua interpretazione del poema si muove
su toni originali; nei suoi dipinti sono centrali la forza e
la muscolosità dei personaggi, superuomini dannunziani che si
muovono in paesaggi sospesi, onirici,
costituisce solo un debole sfondo.
Amos
Nattini,
dove
il
dramma
L’energia
idroelettrica. La forza
idrica in montagna, 1943,
Collezione Cagnin
Il suo talento fu coltivato sin da ragazzo con gli studi alla
scuola di nudo dell’Accademia di Belle Arti e con quelli di
anatomia dell’Università di Genova. Dopo Milano e Parigi, dove
frequentò il bel mondo artistico-culturale, vennero gli anni
della guerra durante i quali si trasferì a Oppiano di Gaiano,
nei pressi di Collecchio (Parma), nell’ex eremo benedettino
ricevuto in eredità per via materna, dove dipingerà fino alla
fine dei suoi giorni, sempre su commissione. Con l’arrivo
della guerra, Amos divenne partigiano, aiutò gli inglesi
fuggiti dal campo di concentramento di Fontanellato, fu
arrestato dalla Gestapo, poi rilasciato. Dopo la Liberazione,
divenne sindaco (per sei mesi), quindi consigliere comunale
socialista.
Amos Nattini, Lago di Nemi,
1940-43, collezione privata
Dopo i fasti della Belle époque francese e l’epopea della
Divina Commedia, nel suo eremo parmense Amos Nattini si dedicò
alle grandi battaglie, ai ritratti e a scene agresti.
Amos Nattini, La primavera
ante
1953,
collezione
Pietro Cagnin
Le opere di Amos Nattini furono vendute a collezionisti, ma ce
ne fu uno speciale, Pietro Cagnin che, con sacrifici e grande
determinazione, divenne suo appassionato collezionista. Pietro
Cagnin fu poi costretto a vendere i suoi tesori artistici per
motivi economici, ma suo figlio Giampaolo è dal 2000 che sta
cercando di ritrovare i quadri del padre e non ha ancora
finito. I quadri di Amos Nattini della collezione Cagnin sono,
di tanto in tanto, esposti in apprezzate mostre.
Nel 2015 si è tenuta a Parma, al Palazzo della Pilotta, la
mostra Amos Nattini, pittore di altri mondi; al MAR
di Ravenna, fino al 10 gennaio 2016, si può visitare la mostra
Divina Commedia. Le visioni di Doré, Scaramuzza, Nattini.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Art e Dossier, nr. 327
La storia dello zucchero
La canna da zucchero è una pianta originaria della Nuova
Guinea; nell’antichità si diffuse in tutta l’Asia e, grazie ai
musulmani, giunse in Nord Africa e nella Spagna musulmana. Le
tecniche che permettevano di trasformare il succo della canna
in cristalli e, quindi, facilitarne il trasporto e la
diffusione, furono sviluppate in India, a partire dal V secolo
d.C.
Furono però i crociati, di ritorno dal Medio Oriente, ad
introdurre definitivamente nell’Europa cristiana quel
prodotto, estratto dalla canna, che venne conosciuto con la
sua denominazione araba: sukkar, zucchero.
La diffusione dell’uso dello zucchero fu inizialmente molto
lenta per il suo elevato prezzo, per il fatto che le abitudini
alimentari cambiavano molto lentamente e per il fatto che la
canna poteva essere coltivata solo in alcuni luoghi, come la
Sicilia o il sud della penisola iberica. Fu così che vi furono
aree in cui l’utilizzo dello zucchero si diffuse, pur
lentamente, prima che in altre, per essere poi, a partire dal
XV secolo, comune praticamente in tutto il continente europeo.
Il consumo dello zucchero si diffuse anche grazie alle
coltivazioni nelle isole atlantiche (Madeira, Azzorre e
Canarie) di nuova conquista e, successivamente, in America,
che divenne il principale centro di produzione mondiale.
canna
da
zucchero
zollette di zucchero
e
di
canna
Gli zuccherifici che vennero installati nelle isole atlantiche
e poi in America erano situati in prossimità dei campi in cui
si coltivava e raccoglieva la canna. C’erano mulini e
laminatoi che pressavano la canna per estrarne il succo che
poi veniva raccolto in calderoni dove cuoceva a lungo; il
succo cotto veniva poi versato in stampi dove lo zucchero
cristallizzava.
Spremitura
delle
canne da zucchero
Prima della diffusione dello zucchero, nei paesi europei
veniva usato il miele, quale dolcificante, mentre lo zucchero,
veniva relegato all’uso di aromatizzante; lo zucchero,
infatti, fino alla fine del XV secolo, era utilizzato, come
spezia, per mitigare i sapori, spesso molto intensi per la
mancanza di efficaci metodi di conservazione degli alimenti.
A partire dal XVI secolo, alcuni avvenimenti favorirono il
sorpasso dello zucchero sul miele. Nei paesi protestanti, la
produzione di miele decrebbe a causa del decadimento dei
monasteri, che durante il Medioevo erano diventati dei grandi
centri di apicoltori. Contemporaneamente, lo zucchero divenne
progressivamente più economico ed il consumo crebbe
notevolmente: durante il XVI secolo aumentò di 18 volte. La
maggiore disponibilità ed accessibilità dello zucchero,
contrariamente a quella del miele, determinò anche il
cambiamento dell’uso gastronomico: invece di essere aggiunto
ai piatti principali come condimento per mitigare i sapori
forti, si iniziò ad usarlo negli antipasti dolci, nei dessert
e per dolcificare caffè e tè.
Oggi sappiamo tutti che il consumo dello zucchero deve essere
limitato per il suo alto potere calorico e glicemico;
nell’antichità, invece, gli si attribuivano proprietà
diuretiche, digestive e di efficacia contro i problemi
polmonari, pur sconsigliandone l’abuso in quanto
controproducente.
barbabietola da zucchero
Lo zucchero che oggi utilizziamo è, per lo più, estratto dalla
barbabietola da zucchero. L’estrazione dello zucchero dalla
barbabietola ebbe inizio nel XIX secolo, quando venne
sviluppato un procedimento industrialmente conveniente per
l’estrazione.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 83
S.W. Mintz, Storia dello zucchero tra politica e cultura,
Torino, Einaudi, 1990
Cartagine: antico esempio di
integrazione culturale di
successo
Ho visitato Cartagine, nell’attuale Tunisia, alcuni anni fa e
la cosa che più mi sorprese fu la posizione sulla collina in
faccia al mare, stupenda, un balcone sul Mar Mediterraneo.
Dell’antica capitale fenicia, che il mito vuole sia stata
fondata da una donna, la regina Didone, è rimasto poco; i
romani comandati da Scipione Emiliano, rivali e vittoriosi, la
ridussero in macerie nel 146 a. C. e sulle sue ceneri venne
costruita una nuova città, capitale della provincia romana
d’Africa. Il sito archeologico risulta una commistione di
aspetti urbanistici di base di epoca fenicia a cui si sono
integrati e sovrapposti aspetti architettonici di epoca
romana. Cartagine è sito Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Mappa localizzazione sito
archeologico
La fondazione di Cartagine. Recentemente una squadra di
archeologici tedeschi ha individuato, nel giacimento di Rue
Ibn Chabaat di Cartagine, una zona denominata Quartiere di
Didone che corrisponde agli strati più antichi della città
punica. Sono state realizzate in questo punto delle datazioni
con il carbonio 14 che hanno determinato date tra l’835 e
l’800 a.C.; la fondazione di Cartagine, pertanto, risale al IX
secolo avanti Cristo. Fu in quegli anni che un gruppo di
fenici, minacciati dai vicini assiri, partirono da Tiro, in
Fenicia, nell’attuale Libano e, dopo essersi fermati a Cipro,
arrivarono sulle coste dell’attuale Tunisia dove crearono
alleanze con le popolazioni locali.
Maschera fenicia
L’integrazione fenicia a Cartagine. Nell’area gli archeologi
hanno individuato fori per conficcare pali usati in piccole
capanne, tipiche forme di insediamento preesistenti l’arrivo
dei fenici. Sembra che tutto il fronte meridionale della
collina dove sorgeva Cartagine fosse edificato con queste
capanne con coperture vegetali, tra le quali si aprivano spazi
simili a piazze e dove si effettuavano gli scambi commerciali.
Gli indigeni, infatti, avevano accolto positivamente l’arrivo,
non aggressivo, dei fenici in quanto avevano capito che poteva
essere incrementato il commercio dei loro prodotti e, quindi,
i loro guadagni. Cartagine non fu una colonia isolata, ma sin
dalle sue origini si aprì all’influenza di culture diverse;
Cartagine aveva capito, da subito, che l’integrazione e la
commistione le avrebbe assicurato il controllo sul territorio
circostante, fondamentale per il suo successivo sviluppo. Fu
così che Cartagine, unita e prosperosa, raggiunge in pochi
decenni la supremazia su tutte le altre colonie fenicie del
Mediterraneo.
Rappresentazione
di
Cartagine vista dal mare in
stampa spagnola del 1754
Lo sviluppo di Cartagine. Nel V secolo a.C., Cartagine si
trasforma in un’importante città abitata fino a 400.000
abitanti; la città aveva edifici a più piani (una novità per
l’epoca), un sistema fognario e un grande porto con attività
sia commerciale che militare.
Gli 80 elefanti schierati
da Annibale nella battaglia
di Zama
La politica di espansione nel Mediterraneo e le tre guerre
puniche (264 a.C. – 146 a. C.) Unita e prosperosa, Cartagine
cominciò ad avere ambizioni di egemonia sul Mediterraneo. Fu
così che cominciò a porre le basi di quello che sarebbe stato
chiamato “imperialismo cartaginese”: stipulò accordi politicoeconomici con altri stati della regione e costruì un potente
esercito. Cartagine puntava all’egemonia sul Mediterraneo e,
in particolare, al controllo della Sicilia, ma non aveva fatto
bene i conti con Roma, con la quale entrò in conflitto.
Scoppiò così la prima guerra punica dove Cartagine fu
sconfitta, dovette cedere la Sicilia e pagare un alto riscatto
di guerra. Cartagine ci riprovò con Annibale, ma dopo la
sconfitta nella battaglia di Zama, si arrese al generale
romano Scipione che impose durissime condizioni alla città.
Roma e Cartagine tornarono a scontrarsi nella terza guerra
punica che decretò la sconfitta definitiva di Cartagine,
assediata e distrutta da Scipione Emiliano.
La fondazione di Cartagine
con Didone in un dipinto di
William Turner (1815)
Cartagine e Didone. La leggenda vorrebbe che a capo dei coloni
fenici in fuga vi fosse la regina Didone, in fuga dal fratello
che le aveva ucciso il marito e zio per questioni ereditarie.
I fenici sbarcarono in una baia presso la quale sorgeva una
collina e Didone dovette patteggiare con il sovrano della
popolazione locale per poter sbarcare; Didone lo convinse a
venderle il terreno che potesse essere contenuto in una pelle
di bue, dichiarando che ne aveva bisogno per far riposare i
suoi uomini; fatto l’accordo, la regina fece tagliare la pelle
di bue in sottilissime strisce con le quali coprì la
superficie necessaria per fondare una città. Famosa è anche la
leggenda della Didone abbandonata da Enea: la partenza non
annunciata del condottiero troiano Enea, per fondare una nuova
città in Italia, avrebbe provocato il suicidio della regina
cartaginese. Miti e leggende!
Il tofet di Cartagine
La visita del sito archeologico. Dell’antica Cartagine fenicia
possiamo ancora ammirare: i resti dell’impianto urbano, del
porto, tratti delle antiche strade, importanti edifici di
culto come il tofet, un santuario a cielo aperto nel quale
erano sepolti i resti dei sacrifici. Dell’antica Cartagine
romana possiamo ammirare: l’acquedotto, le tracce degli
antichi luoghi d’incontro o di ricreazione come il forum, il
teatro, le terme di Antonino Pio (le più grandi rinvenute
fuori Roma), i resti di residenze private e di templi. Al
Musée National de Carthage sono poi esposti, per motivi di
conservazione e sicurezza, reperti rinvenuti nel sito, quali
betili e stele, sarcofagi in marmo, gioielli, mosaici ed
anfore.
Buona visita storica a Cartagine!
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 83
W. Huss, Cartagine, Bologna, Il Mulino, 1999
R. Miles, Carthago delenda est. Ascesa e caduta di un’antica
civiltà, Milano, Mondadori, 2012
S. Moscati, Introduzione alle guerre puniche: origini e
sviluppo dell’impero di Cartagine, Torino, SEI, 1994
Leggi anche:
A nord della Tunisia, tra spiagge e storia
Cinema
–
Star
Wars
il
risveglio della forza
Con Star Wars: il risveglio della forza siamo giunti al
settimo episodio della serie. Non ho visto i precedenti, ma
questo mi è piaciuto per l’azione incessante che non lascia
tempo alla distrazione, per gli effetti speciali, per la
bellezza e la stravaganza delle figure e dei costumi, per
l’effetto spettacolare delle scene.
Star Wars episodio 7, Kylo
Ren
La trama si snoda in una serie di avvenimenti nella lotta tra
il male e l’oscurità, rappresentato dal Primo Ordine, ed il
bene e la luce, rappresentato dalla Resistenza e dai suoi
amici. Notevole l’interpretazione della giovane attrice
britannica Daisy Ridley, nei panni di Rey; nel cast c’è anche
Harrison Ford che interpreta Han Solo; nella parte dei
cattivi, merita una nota positiva l’attore statunitense Adam
Driver nei panni di Kylo Ren.
Star Wars il risveglio
della forza, il cast
La regia è di J. J. Abrams che è anche produttore e
sceneggiatore del film; Abrams è stato, tra l’altro, l’autore
di Mission Impossible III e di alcuni episodi di Star Trek.
Star Wars episodio 7, scena
del film con il droide e
Rey
Tra le figure stravaganti, è davvero simpatico il droide a
forma di palla.
Nella produzione del film Star Wars: il risveglio della forza
sono state utilizzate location reali, modellini in scala e
immagini al computer. Le riprese sul posto sono state
realizzate ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, più precisamente
quelle nel deserto, mentre quelle sulla neve sono state
realizzate in Islanda, quelle nei paesaggi verdeggianti in
Irlanda e la scena finale sul promontorio è stata girata a
Skellig Michael, un’isola irlandese.
Skellig Michael, una delle
location del film Star Wars
7, Niki.L/wikimedia commons
Durante le riprese Harrison Ford ha avuto un infortunio alla
caviglia che lo ha costretto ad abbandonare il set per otto
settimane, con il conseguente slittamento generale del termine
delle riprese del film.
Star Wars il risveglio
della forza, Han Solo
Star Wars: il risveglio della forza è il primo film della
serie di proprietà della Walt Disney, dopo l’accorpamento
della Lucasfilm nel 2012.
Che altro dire? Andate al cinema e divertitevi guardando Star
Wars: il risveglio della forza!
Cinzia Malaguti
Cinema – Il ponte delle spie
Il ponte delle spie è un film tratto da una storia vera che
risale ai tempi della guerra fredda e nel periodo durante e
immediatamente successivo alla costruzione del muro di
Berlino.
Il ponte che dà il titolo al film è il Ponte Glienicke che
collega Berlino a Postdam; il Ponte Glienicke fu utilizzato,
durante la guerra fredda, da Stati Uniti e Unione Sovietica
per scambiarsi le rispettive spie prigioniere, da qui il
soprannome di ponte delle spie.
Ponte Glienicke,
Ovest – Est
confine
La vicenda narrata è quella di James B. Donovan, avvocato di
Brooklyn, che viene incaricato di negoziare il rilascio di
Francis Gary Powers, pilota di aereo spia U-2, fatto
prigioniero dai sovietici dopo l’abbattimento del suo aereo.
Il 10 febbraio 1962, sul ponte Glienicke, Powers ed il giovane
studente Frederic Pryor vennero liberati in cambio del
rilascio del colonnello Rudolf Ivanovich Abel, nota spia
russa.
New York Times
1962
articolo
sullo scambio sul
ponte delle spie
Il film Il ponte delle spie ha la regia di Steven Spielberg e
già questa è una garanzia. Il Ponte delle spie è infatti un
film ben fatto; si distinguono bene una prima parte, dove
prevale la valorizzazione dell’importanza del rispetto dei
diritti civili, da una seconda parte, molto più dinamica,
movimentata, il cui svolgimento riesce a tenere il fiato in
sospeso, creando un’atmosfera da grande film di spionaggio.
L’ambientazione de Il ponte delle spie è di tipo storico, ma
il richiamo (nella prima parte) al rispetto dei diritti civili
è forte e sempre attuale; la spia russa doveva essere difesa
da uno dei migliori avvocati americani in nome della giustizia
e della libertà.
Berlino, il Ponte Glienicke
oggi
Nei panni dell’avvocato Donovan c’è il sempre bravo Tom Hanks,
mentre in quelli di Rudolf Abel c’è l’attore inglese Mark
Rylance, in un’ottima interpretazione che gli è valsa il
premio Oscar 2016 quale miglior attore non protagonista.
Tom Hanks in Il ponte delle
spie
Il ponte delle spie è stato premiato dalla critica americana
tra i migliori dieci film dell’anno: 2015 – National Board of
Review of Motion Pictures e 2015 – American Film Institute.
Buona visione!
Cinzia Malaguti