la seconda metà del novecento: tra stato sociale e stato

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E - SOCIETÀ, ECONOMIA E POLITICA DOPO LA SECONDA GUERRA
MONDIALE
9 - LA SECONDA METÀ DEL NOVECENTO: TRA STATO SOCIALE E STATO
MINIMO
1. Lo stato nella seconda metà del `900
2. I partiti nella seconda metà del `900
3. Le ideologie nella seconda metà del `900
4. Le classi sociali negli anni ’50-‘80
5. I mezzi di comunicazione di massa dal secondo dopoguerra agli anni ’80:
televisione, pubblicità commerciale e sondaggi d’opinione.
1. Lo stato nella seconda metà del `900
1.1 Lo stato democratico
1.2 Lo stato sociale
1.3 Lo stato corporatista
All’inizio del XXI secolo i paesi dell’area occidentale sono caratterizzati politicamente
dalla presenza di ordinamenti democratici che si sono realizzati innestandosi sulle
precedenti tradizioni liberali. Nella sua forma più generalizzata ed estesa si tratta di una
democrazia politica in quanto garantisce l’uguaglianza giuridica e politica che non si lega
necessariamente a contenuti sociali tali da garantire l’effettiva uguaglianza dei cittadini.
La maggior parte degli studiosi ritiene che, ridotta all'essenziale, la democrazia debba
essere intesa come un particolare insieme di regole procedurali per prendere decisioni di valore
collettivo, ossia come un metodo politico. La specificazione di tali regole varia da uno
studioso all'altro, fermi restando comunque alcuni principi di fondo: che il potere tragga la
propria legittimità dal basso, che tutti (o quasi) i cittadini abbiano pari diritto di esprimersi
liberamente e di scegliere i propri rappresentanti nelle assemblee nazionali, che la
maggioranza governi, ma senza limitare i diritti della minoranza e senza intaccarne la
possibilità di diventare maggioranza a sua volta (vedi Popper). Ciò significa che al
funzionamento della democrazia è necessario soltanto un consenso intorno alle regole,
mentre è addirittura augurabile che esista una pluralità di credenze e di proposte politiche
tra loro conflittuali.
I meccanismi delle elezioni e della rappresentanza sono pertanto indicati come consustanziali alla moderna democrazia, rappresentativa e competitiva. Le elezioni sono lo
strumento attraverso cui i cittadini esprimono la loro preferenza per uno dei partiti in
competizione tra loro. La rappresentanza è lo strumento che connette la titolarità del potere
all'esercizio effettivo di esso, nel senso che il popolo, che è titolare del potere, non può
esercitarlo collettivamente, ma solo attraverso i suoi rappresentanti (in questo senso la
democrazia moderna differisce da quella diretta e partecipativa attuatasi nelle città greche
e caldeggiata da Rousseau).
Anche intesa solo come metodo politico la democrazia resta comunque un sistema con
molti punti critici per il sistema stesso. Così, ad esempio, le elezioni e la rappresentanza
che sono il corredo strumentale della democrazia ne rappresentano anche il tallone
d'Achille, poiché non sempre le elezioni sono libere e non sempre la rappresentanza è
genuina. Perché le elezioni siano libere davvero occorre, oltre alla segretezza del voto, che le
opinioni dei cittadini siano liberamente formate: anche se non è facile definire che cosa
questo significhi di preciso, tuttavia, data la potenza degli strumenti di manipolazione
dell'opinione pubblica, è innegabile che una democrazia che voglia restare tale deve
vigilare in questa direzione, ad es. salvaguardando al massimo il pluralismo
dell'informazione. Inoltre, per quanto attiene al rapporto tra elettori e rappresentanti eletti
LO STATO NELLA SECONDA
METÀ DEL `900
LO STATO DEMOCRATICO
215
esiste sempre il rischio (e alcuni studiosi, da Pareto, a Mosca, a Michels, affermarono sin dagli
inizi del secolo che si tratta non di un rischio, ma di una certezza) che nell'effettivo esercizio
LA DEMOCRAZIA _______________ = ____________________ politico fondato su ___________________ quali:
1 _________________________________________________________________________________________________________
2 tutti i cittadini hanno diritto di __________________________ e di ___________________________________________________
3 la ___________________ deve governare senza impedire che ________________________________________________________
4 la presenza di _______________________________________________________________________________________________
CARATTERISTICHE DELLA DEMOCRAZIA
1 ______________________
________________________ i cittadini scelgono i loro _____________________ tra ____________
2 ______________________
in __________________________ tra loro
LE PROBLEMATICITÀ DELLA DEMOCRAZIA
a) Elezioni
libertà di voto: ________________________ + libera formazione _____________________ garantita da _____________________
b) __________________________ 
________________ politica
c) la competizione politica
Democrazie _______________
Democrazie ___________________
Scontro tra
__________________
_________________________________________
elezioni
+ ________________ perché _______________________
(______________________)
- ______________ perché la maggioranza dipende
dagli _____________________________
rappresentatività
pochi _____________ meno tendenze _____________
+ rappresentati _________ e _________________
Leader
Forte ruolo
_______________________________
governo
__________________________________________
________________________________________
del potere da parte dei rappresentanti torni a riprodursi in qualche modo una pratica
«discendente» del potere, ossia che l'insieme dei rappresentanti divenga un gruppo a sé,
funzionante in pratica come una oligarchia, una casta.
Tralasciando molte altre questioni pur importanti (ad es. il rapporto tra democrazia e
particolari forme istituzionali, presidenziali o parlamentari, centralistiche o federalistiche,
o il rapporto tra democrazia e partiti politici), ricordiamo almeno l'importante distinzione
tra democrazie maggioritarie e democrazie consensuali, perché è un tema molto presente nel
dibattito politico italiano attuale. I due modelli poggiano su regole istituzionali e
soprattutto su forme di competizione politica diverse. Nel primo caso la competizione è
bipolare e le elezioni hanno un alto grado di decisività, poiché la forza elettoralmente
vincente assume pienamente la responsabilità di guidare il paese: in questo contesto il
numero dei partiti tende a ridursi, diventa più forte il ruolo dei leaders in ciascuna delle
216
opposte coalizioni, i governi dispongono di maggiore stabilità ed autorevolezza. Nel
secondo caso la competizione si svolge tra una molteplicità di forze politiche e dunque vi è
una maggiore rappresentanza dei ceti e delle tendenze ideologiche presenti nella società ma
ha un minor grado di decisività, non è assicurata la formazione di maggioranze, il ruolo del
leader è minore e l'azione del governo risulta più condizionata.
LO STATO SOCIALE
Accanto allo stabilizzarsi della forma politica democratica gli stati occidentali hanno Presenza dello stato nella ________
visto nel secondo dopoguerra ulteriormente dilatarsi la loro presenza nella vita
economica e sociale, fattore questo che è risultato essenziale per lo sviluppo economico. e sviluppo ____________________
Infatti, nel secondo dopoguerra si è generalizzato quel modello di sviluppo che si era già
l’allargamento del ______________
affermato negli USA negli anni ’20 e ’30. Modello di sviluppo in cui l’obiettivo primario
della produzione è quello di fornire a un numero sempre crescente di cittadini beni di
consumo che in passato erano stati a disposizione solo di un ristretto gruppo di
privilegiati.
Il boom produttivo fu possibile, tra gli anni ’50 e ’70, grazie alla disponibilità di petrolio
IL BOOM ECONOMICO DEGLI ANNI
a basso prezzo che consentiva di contenere a livelli bassissimi il costo dell’energia nel
contesto delle spese di produzione.
____-____
Tuttavia, tale strategia economica - basata sull'incremento costante della quantità di
beni di consumo immessi sul mercato - poteva reggere solo se i potenziali consumatori erano
messi in grado di acquistare i prodotti stessi. Fu necessario pertanto, nei due decenni
1950-1970, mantenere relativamente alti i salari dei lavoratori, in modo da garantire loro
un elevato potere d'acquisto. Ma poiché una simile scelta rischiava di comprimere i
profitti degli imprenditori e, di conseguenza, frenare gli investimenti, il potere d'acquisto
dei salari venne sostenuto anche da parte delle autorità pubbliche, che negli anni Sessanta si
preoccuparono di fornire in quantità crescente servizi sociali di ogni genere (pensioni,
assistenza sanitaria, istruzione gratuita). Con la nascita del cosiddetto Welfare State
(Stato del benessere o Stato assistenziale), una quota importante del salario, che in passato le
famiglie dovevano accantonare per, far fronte alle disgrazie improvvise, alle malattie o alla
vecchiaia, divenne improvvisamente disponibile per i consumi, cioè per l'acquisto di
beni sulla cui produzione in serie poggiava l'intero sistema economico.
IL BOOM ECONOMICO DEGLI ANNI ___-___
cause:
1) basso costo del ___________________ (energia) = bassi costi di ________________________________
2) alta potere d’acquisto dei _______________ dovuti a:
NON ____________________________________ perché:
+ salario = - ________________________  - _____________________  -______________________  - consumi
BENSÌ’ dallo _______________ attraverso la fornitura di _____________________ (pensioni, ______________________, ______
_____________)  + ______________________ per il consumo di __________________________ in serie
Il capitalismo post-bellico, insomma, mentre da un lato fece tesoro dei metodi di
produzione già collaudati nell'America degli anni precedenti la grande crisi del 1929,
dall'altro applicò pure i correttivi al sistema introdotti dal New Deal rooseveltiano e
teorizzati dall'economista inglese John Maynard Keynes (morto nel 1946). Soprattutto,
bisogna sottolineare la presenza dello stato nella vita economica e sociale: tutti i governi
occidentali, infatti, accettarono di garantire la piena occupazione e lo sviluppo
industriale, al prezzo di un crescente deficit di bilancio.
Il Welfare post-bellico fu inaugurato dai laburisti inglesi nel primo periodo di governo
(1945-50), quando edificarono, con una serie di provvedimenti "rivoluzionari", una
struttura di assistenza pubblica diretta a proteggere il cittadino "dalla e culla alla
Dal _____________________ al
Welfare state post-bellico:
il caso _______________________
l’assistenza dalla _______________
_____________________________
217
tomba". Essi raggiunsero il loro obiettivo, scaricando sulla collettività e su un efficiente
sistema di tassazione i costi dell'intera operazione. Il welfare state (Stato assistenziale)
divenne da allora l'ideale di tutte le socialdemocrazie. Esso prevedeva importanti conquiste sociali: gratuità delle cure mediche e ospedaliere, indennità di disoccupazione
capace di garantire un discreto livello di vita ai cittadini qualunque fosse il loro ruolo
produttivo, elevamento delle pensioni e miglioramento dell'insegnamento pubblico,
estensione dell'edilizia popolare e attenta programmazione urbanistica in modo tale da
eliminare il peso della rendita terriera e nel contempo garantire la massima razionalità
all'espansione urbana. Questi, sono gli elementi più caratteristici del nuovo modello
economico, presto generalizzatosi pur in forme e con intensità diverse, nei principali
paesi europei, la Germania in primo luogo, ma anche la Francia e, naturalmente, i
paesi scandinavi.
I problemi sarebbero esplosi a partire dagli anni Settanta e negli anni Ottanta:
poiché, deficit finanziari rischiarono di uscire dal controllo dei governi, per evitare la
bancarotta si dovette intervenire, limitando l'erogazione di quei servizi che il Welfare
State forniva ai propri cittadini. A mettere in crisi il modello di sviluppo dei paesi
occidentali contribuì in maniera determinante anche la rivoluzione dei prezzi del
petrolio del 1973, quando i paesi arabi, dopo che Israele aveva trasformato un attacco
dell’Egitto e della Siria in una loro dura sconfitta, dapprima bloccarono le forniture
ai paesi che avevano aiutato Israele e poi aumentarono il prezzo del petrolio da 2 $ al
barile a 11.
Anche se messo fortemente in crisi occorre sottolineare che l’azzeramento dello stato
sociale è non solo non auspicabile ma anche irrealizzabile, poiché causerebbe un
restringimento del mercato che penalizzerebbe l’intero sistema.
Se l’effettiva estensione dello stato sociale è stata messa in dubbio negli anni ’80 è ’90,
l’altro modo di manifestarsi nella società odierna dello stato è costituito dal suo ruolo di
mediatore dei conflitti sociali, mediatore comunque interessato a condizionare l’esito di
tali conflitti.
Secondo la concezione liberale classica, lo stato fissa le regole del gioco cui le diverse
componenti della società devono adeguarsi, lasciando che esse si scontrino tra loro,
senza intervenire a soffocare il conflitto o a condizionarne l'esito. Già si è visto come fin
dagli anni successivi alla prima guerra mondiale le cose fossero cambiate. Ma è soprattutto
dopo il 1945 che l'effettivo funzionamento delle democrazie occidentali si è discostato da
quel modello. Se tale difformità dal modello liberale debba essere valutata negativamente,
come un allontanamento dai sani princìpi del liberalismo, uno scivolamento verso uno
statalismo invadente o addirittura verso la servitù, oppure positivamente, come
un'opportuna correzione in senso solidaristico della pura logica del mercato, è rimasta e
rimane questione controversa.
Nelle democrazie occidentali si è più o meno stabilmente affermata una sorta di capitalismo regolato, fondato sulla prassi per cui i vari gruppi d'interesse (sindacati, associazioni imprenditoriali, professionali, di categoria, ecc.), la cui funzione è di «incanalare
le domande sociali verso i luoghi dell'autorità decisionale», contrattano continuamente le
proprie posizioni di reddito e di status o direttamente con lo stato o con le proprie
controparti, ma sempre con l'attiva mediazione dello stato. A questo scopo tali
organizzazioni individuano, e promuovono la difesa degli specifici interessi di una
determinata categoria e si incaricano di condurre negoziati e trovare compromessi
tra i contrapposti interessi delle parti sociali e dei settori economici. Tali organizzazioni, da
un lato, influenzano, con diversi gradi di efficacia, le politiche pubbliche, dall'altro,
svolgono nei confronti dei propri aderenti la duplice funzione di esprimerne le opinioni
e le richieste e al tempo stesso di orientarne i comportamenti in modo conforme ai
compromessi volta a volta raggiunti con gli interlocutori. Per indicare questo modo di
funzionare delle democrazie contemporanee sono stati introdotti negli anni '70 i termini di
corporatismo e neocorporativismo. Il corporatismo può essere definito come un modello di
cooperazione volontaria tra governo, sindacati e imprenditori nella formulazione e
- cure ________________________
-____________________________
-_____________________________
-_____________________________
-_____________________________
- ____________________________
CRISI DEL WELFARE STATE
1 deficit ______________________
___________________________
+ spesa sociale + interventi per lo
sviluppo ______________ =
deficit ______________________
2 la rivoluzione dei _____________
_______________ _______(1973)
LO STATO CORPORATISTA
Lo stato come ________________
dei _________________________
interessato ___________________
____________________________
Statalismo (neo________________)
o
_______________socialdemocrazia)
IL CAPITALISMO ________________:
IL CORPORATISMO E LA
__________
_____________________________
218
nell'attuazione di politiche mirate al raggiungimento di obiettivi come la piena
occupazione, la stabilità dei prezzi la crescita e la modernizzazione dell’economia . Prassi
politica che è anche detta concertazione.
IL CAPITALISMO ____________________________: IL CORPORATISMO E LA
___________________________________
gruppi d’interesse (_________________, associazioni _________________________, __________________, dei consumatori, _______)
con funzioni di:
a) raccogliere le esigenze di una certa _____________________ sociale
b) ___________________________posizioni di ________________ e _____________
con: - ___________________
- controparti e la mediazione _________________
c) orientare ___________________ __________________________________________________________
concertazione = collaborazione ____ _____________ tra stato e gruppi ___________________________
Tra i maggiori critici di questa politica della concertazione vi sono gli studiosi di
orientamento marxista che vedono nel capitalismo il maggiore beneficiario di tale politica
perché il corporatismo assicura la pace sociale e la compressione delle richieste sindacali entro
limiti di compatibilità con le esigenze del capitale. Secondo tali analisi, poiché l'obiettivo
dei governi è quello di "addomesticare" i sindacati per comprimere i salari e altre
domande sociali nell'interesse dell'accumulazione capitalistica, la concertazione non può
che esaurirsi nella definizione di una politica dei redditi. Essa verrà più facilmente accettata
in presenza di situazioni di difficoltà economica e quando al governo vi siano forze
politiche di sinistra, verso le quali le classi lavoratrici abbiano tradizionali rapporti
di fedeltà. Altri, invece, hanno sottolineato che la pratica della concertazione non solo
garantisce ai lavoratori redditi più elevati, maggiore sicurezza occupazionale, accresciuti
diritti, maggiori contributi assistenziali, ma "straripando" dalle politiche dei redditi verso
altre aree decisionali, ne amplia il peso nella direzione della società. Anche coloro che si
pongono da quest'ultimo ottimistico punto di vista sembrano essersi persuasi, negli ultimi
anni, che esistono dei rischi nella prassi corporatista, dal momento che essa può creare
nuove disparità sociali a vantaggio di quanti sono maggiormente garantiti. Esiste, infine,
una terza linea interpretativa, secondo la quale a base della pratica della concertazione
corporatista starebbe la disponibilità dei sindacati ad offrire moderazione salariale in
cambio del sostegno organizzativo loro assicurato dai governi contro la crisi di adesioni cui
vanno soggetti.
I paesi dove il corporatismo sembra avere dato i risultati migliori sono quelli in cui si sono
avute più stabili esperienze di governo socialdemocratico, come i paesi scandinavi, i Paesi
Bassi, l'Austria. Diversa sembra essere stata la fortuna del corporativismo in Francia e in
Italia: nell'un caso per la maggiore capacità dello Stato di conservare autonomi poteri
decisionali, nell'altro per le divisioni ideologiche che hanno frammentato la
rappresentanza degli interessi ed in entrambi per la più marcata dipendenza delle
organizzazioni dei lavoratori dai partiti politici di una sinistra che ha conservato tratti
antagonistici. In linea di massima si può dire che, specialmente a livello di politiche dei
redditi, i risultati hanno presentato poca stabilità, anche per le difficoltà che i sindacati
hanno incontrato a fare accettare alla base in modo durevole una linea di moderazione
salariale.
Per quanto concerne le conseguenze economiche del corporatismo, i liberisti sono convinti
che esse siano state senz'altro negative, dal momento che le rigidità introdotte nel mercato
del lavoro hanno finito col penalizzare la produttività dell'intero sistema. Dalla parte
opposta, invece, si afferma che, tutto sommato, la politica di accordi tra le parti sociali ha
prodotto risultati positivi, dal momento che ha ridotto la conflittualità sociale ed ha
favorito, con investimenti tesi ad innalzare i livelli di istruzione dei lavoratori, una generale
promozione delle capacità.
Un'analoga disparità di giudizi si riscontra nella valutazione delle conseguenze politiche. I
LE VALUTAZIONI DEL CORPORATISMO
corporatismo e governi __________
_____________________________
in Italia:
condizionato da:
+ divisioni __________________
 interessi più _______________
+ dipendenza dei sindacati dai partiti
di ________________ antagonisti
LE CONSEGUENZE _______________
219
critici liberali muovono questi rilievi: esiste un innegabile rapporto tra il peso accresciuto LE CONSEGUENZE _______________
degli interessi organizzati e l'inadeguatezza delle istituzioni pubbliche - governi e
parlamenti - a gestire efficacemente la guida delle società contemporanee, con pericolose
conseguenze di «ingovernabilità»; la pratica del corporativismo appanna la corretta
distinzione tra maggioranze e opposizioni, che è essenziale alla democrazia; la
contrattazione continua tra i gruppi di interesse può portare alla violazione dei
fondamentali diritti di libertà del singolo individuo. Dall'altra parte si ribatte che il
corporativismo, dimostrando la pacifica raggiungibilità di determinati obiettivi, ha
favorito la crescita del consenso verso le istituzioni dello stato democratico, che assicura
una maggiore protezione agli interessi più deboli che altrimenti non avrebbero la forza di
farsi valere, che garantisce una maggiore rispondenza delle decisioni alle esigenze della
società. Che non di una minaccia alla democrazia si tratti, ma anzi di un suo essenziale
LE VALUTAZIONI DEL CORPORATISMO
1 marxisti: corporatismo = pace sociale + _________________________ compatibili con ___________________ = “addomesticamento”
dei ___________________________  rafforzamento ________________________________
2 __________________________:
Corporatismo = + reddito, occupazione, diritti, assistenza  ridistribuzione _____ ______________
_________________________________
ma anche disparità sociali tra + e - ________________________
3 - ____________________________________: sindacati “addomesticati” perché: assicurano ___________________________________
in cambio di ________________________________________
LE CONSEGUENZE ECONOMICHE
1 ________________________________: + rigidità ____________________________________  - produttività
2 socialdemocratici: - ____________________________ + promozione _________________
LE CONSEGUENZE POLITICHE
1 liberali: a) ingovernabilità b) mancata distinzione tra ________ _____________________________ d) violazione __________________
2 ________________________________: a) crescita ______________________________ b) stato consente + forza _________________
____________ e + rispondenza __________________________________________________
c) crescita della ________________
connotato, sarebbe dimostrato, ad es., dalla vicenda della Spagna: uno dei passaggi decisivi
per la transizione dalla dittatura alla democrazia fu il «patto della Moncloa» nel 1977,
tra l'allora capo del governo, Suarez, che proveniva dalle file della Falange franchista,
e il Partito comunista spagnolo, un patto che, prevedendo l'adesione dei sindacati ad una
linea di moderazione salariale in cambio della reintroduzione di forme di democrazia nelle
relazioni di lavoro, assicurò alla Spagna le premesse per la ripresa economica e il
consolidamento del nuovo regime.
Meno controversa sembra essere, invece, l'individuazione dei mezzi che hanno permesso la
realizzazione del corporatismo. E stato l'ampliamento delle prestazioni dello stato sociale il Stato corporatista e stato _________
fattore che ha permesso di attutire i motivi generali di scontento e di malessere, così da
rendere costantemente praticabili le vie del compromesso: si pensi, ad esempio, agli
interventi nei confronti della disoccupazione.
Messa fortemente in crisi negli anni ’70 dai governi Thatcher, in Inghilterra e Reagan, in
USA, e comunque dalla deregulation e dalle privatizzazioni della destra liberale, la politica
della concertazione, nonché del Welfare state sembra essere stata rilanciata negli anni ’90
220
dalle vittorie elettorali di Clinton negli USA, Blair in Gran Bretagna e Prodi in Italia La crisi degli anni ______________
(l’alternarsi di governi di governi neoconservatori e socialdemocratici sembra, d’altra parte
e il rilancio degli anni __________
caratterizzare il primo decennio del secondo millennio), anche se l’idea che il mercato debba
essere maggiormente liberalizzato sembra comunque ormai essere accettata anche dalla ma con un mercato + ____________
forze socialdemocratiche.
__________________________
Ciò che maggiormente sta influendo sulla crisi dello stato corporatista è comunque costituito
dalla perdita di potere degli stati nazionali in connessione con la globalizzazione delle
interdipendenze che sfuggono al controllo del singolo stato (economiche, ma anche
ambientali, demografiche, ecc.). Quella che
viene correntemente chiamata la
globalizzazione dell'economia ha potenziato la forza dei mercati e di conseguenza, poichè
mercati e stati seguono logiche diverse, ha ridotto i margini di capacità decisionale
autonoma da parte degli stati. Una delle conseguenze di questa perdita di capacità è da
indicarsi nel fatto che la politica acquista un carattere per molti aspetti illusorio:
restringendosi il ventaglio delle scelte politiche realisticamente praticabili, sempre più gli
elettori sono chiamati a scegliere non tra politiche alternative, ma semplicemente tra
personaggi diversi.
Ma due osservazioni sembrano importanti. Anzitutto l'esperienza ci ha mostrato che
l'abdicazione dei poteri da parte degli stati è stata, in una certa misura almeno, anche
volontaria, in quanto il richiamarsi ai vincoli internazionali ha giustificato e rese
accettabili scelte di politica economico-sociale che altrimenti avrebbero incontrato
opposizioni più consistenti. Lo «scudiscio di Bruxelles», ovverosia i vincoli posti dalla
Unione europea, ha consentito alle forze politiche di avviare, ad es. in Italia, negli anni '90,
processi di risanamento finanziario che erano comunque inevitabili, ma che forse, in
assenza di questo pungolo, sarebbe stato più arduo intraprendere. In secondo luogo è opportuno richiamare quanto sostenuto da alcuni studiosi, secondo cui non si deve esagerare oltre misura l'impotenza degli stati a tenere sotto controllo il mondo econo mico,
se non a livello nazionale per lo meno a livello internazionale
«Paradossalmente, ma forse non sorprendentemente - ha scritto Hobsbawm1 - questo
indebolimento dello stato nazionale [è andato] di pari passo con la nuova moda di spezzare
gli stati nazionali in entità che a loro volta pretendevano di essere nuovi stati nazionali
più piccoli». Uno dei fenomeni nuovi degli ultimi decenni è stata la crescita dei movimenti
autonomisti, spesso a fondamenta etniche e nazionalistiche. In taluni casi essi hanno
prodotto divisioni all'interno di precedenti stati unitari (si pensi alla ex Jugoslavia, alla ex
URSS, alla ex Cecoslovacchia) e in altri hanno portato all'introduzione di ordinamenti
accentuatamente federalistici (si pensi al Belgio, all'Austria, alla Spagna, alla Gran
Bretagna, ma anche al Canada, al Brasile, nonché alle discussioni che su questo tema
da lungo tempo si svolgono in Italia). È un'ipotesi plausibile, che peraltro attende verifiche,
quella secondo cui proprio la perdita di incisività dell'azione degli stati nazionali a fronte
delle dimensioni mondiali dei problemi, accompagnata da una pressione fiscale che non
si riesce a ridurre in modo significativo (detto semplicemente: il fatto che dello stato
nazionale si vedono sempre meno i vantaggi e sempre più i costi) starebbe all'origine
della valorizzazione di identità più ravvicinate che non quelle nazionali. Né è un caso che
forze politiche tradizionalmente poco sensibili ai richiami nazionali, ma fedeli all'idea che
spetti alla politica governare l'economia, si riscoprano «patriottiche» nel momento in cui
la salvaguardia della sovranità dello stato nazionale appare la condizione per tenere in vita
quello che resta dello stato sociale e della pratica politica della contrattazione, contro
l'avanzata degli egoismi localistici e l'aggravamento dei condizionamenti economicofinanziari internazionali.
LA CRISI DELLO STATO
CORPORATISTA
L’impotenza dello stato a tenere
sotto controllo la _______________
________________:
- l’uso per rendere accettabili scelte
_____________________________
- il possibile controllo a livello
_____________________________
1
E.J. Hobsbawn (1917) storico inglese di ispirazione marxista, considerato uno dei massimi storici del
Novecento, ha sviluppato i suoi studi soprattutto sulla storia inglese e europea dell’Ottocento e del
Novecento
221
LA CRISI DELLO STATO CORPORATISTA
Cause: 1 – crisi del Welfare state
(deficit ___________________ + _________________________________________) (vedi pag. 4)
2 – globalizzazione  _______________________________________ (vedi sotto)
3 – nuove forme di ______________________________________ (vedi pag. 9)
2 – LA CRISI DELLO STATO NAZIONALE
Cause: Globalizzazione: + libero _________________
Le conseguenze della crisi dello stato nazionale: 1-
-- intervento dello ___________
-- politiche __________________ = Scelte elettorali tra ______________
carattere ___________________ della politica
2 - bassa incisività azione dello ________________ + alta ________________________ =
emergere di ______________ locali
a- divisioni di stati ex-__________________ (____________________________)
b- ________________________________ (Spagna, _____ _________Italia: __________)
Questa perdita di potere dello stato territoriale nazionale è stata vista da alcuni storici
come un cambiamento epocale. Tra questi C.S. Maier2 che opponendosi alla
Difesa stato sociale e difesa _______ _____________________________
periodizzazione del '900 come «secolo breve», compreso tra la prima guerra mondiale e il
crollo del comunismo, avanzata da E.J. Hobsbawm, ha individuato come più significativa
una «epoca lunga», compresa tra gli anni '60 del XIX secolo e gli anni '70 del XX secolo,
contraddistinta dal culmine dell’organizzazione territoriale dell'umanità. Per oltre un
secolo, scrive Maier, la territorialità (con l'annessa «ossessione per i confini») è stato
l'aspetto che più determinava le fedeltà, le possibilità economiche e i comportamenti
pubblici degli individui, in quest'epoca «i destini dei popoli sembravano dipendere dai
loro stati nazionali». Non a caso, egli osserva, i nuovi stati che sorsero nella seconda metà
dell'Ottocento rifiutarono le soluzioni federaliste e si dotarono di istituzioni saldamente
unitarie e centralizzate. Tutto ciò è cambiato nell'ultimo terzo del XX secolo. Lo spazio
dello stato nazionale ha perduto rilevanza: a livello politico, dal momento che le decisioni
che contano davvero oltrepassano le sue dimensioni territoriali cosicché lo «spazio
dell'identità» sempre meno coincide con lo «spazio della decisione»; a livello economico,
SVOLTA ___________________?
SVOLTA ___________________?
secolo ______________(Hobsbawn):
(1914 -1990 contrapposizione sistema ___________________ /sistema ___________________)
epoca __________________(Maier)
o
(1860- 1970 epoca degli _________ _____________________________)
La crisi dello stato nazionale come _ ___________________ tra: spazio ______________________ e spazio ______________________
causata da: - economia: ______________________________________ - società: emergere _________________________________
a causa della crescente globalizzazione dei mercati; a livello sociale poiché la crisi del
Welfare state fa avanzare le disuguaglianze all’interno dello stato nazionale e sgretola la
fiducia nel controllo politico dei mutamenti sociali.
2
Charles S. Maier è professore di storia all'università di Harvard e uno dei più noti storici americani. Egli ha
dedicato una delle sue ricerche più convincenti e impegnative (“La rifondazione dell’Europa borghese”) allo
sviluppo delle idee corporative nell'Europa del primo dopoguerra concentrando le sue ricerche su tre stati
campione: Italia, Francia e Germania.
222
Un altro aspetto della crisi dello stato corporatista è legato alla comparsa di nuove forme
di associazionismo diverse da quelle dei tradizionali gruppi d’interesse presenti nello
stato corporatista. Nuove forme di associazioni che sono quelle del volontariato, dette
anche associazioni no-profit. Si tratta di associazioni diverse da quelle dei tradizionali
gruppi d’interesse in quanto non agiscono in vista degli interessi del loro gruppo sociale
di riferimento bensì in vista di interessi più generali. (ad esempio gli ambientalisti per la
gestione dell’ambiente come patrimonio collettivo o i volontari che agiscono per la
conservazione dei beni culturali) o di gruppi sociali più deboli (associazioni di aiuto agli
immigrati, ai portatori di handicap, sul piano interno, o le associazioni terzomondiste).
Questo tipo di associazione inoltre rifiuta il modello di rapporti sociali e politici che sta
alla base del lo stato corporatista . Tali rapporti nello stato liberale ottocentesco erano di
tipo prevalentemente conflittuale, caratterizzati da un duro scontro tra lavoratori e datori
di lavoro. Nello stato corporatista pur perdendo parte della conflittualità i rapporti sociali
e politici rimangono comunque fondati sulla competizione per cui tendono a prevalere i
gruppi più forti per numero, importanza strategica, peso all’interno dell’opinione
pubblica, ecc…, le associazioni no-profit sembrano invece configurare un modello di
rapporti sociali fondato non tanto sulla competizione quanto sulla solidarietà.
Solidarietà che è intesa sia come scelta di responsabilità individuale da opporsi alla
delega al sistema, sia come legame sociale fondamentale sulla cui base dar vita a nuovi
rapporti economici (commercio equo e solidale, banche etniche, gruppi d’acquisto, …).
In quanto tentativi di configurare nuovi rapporti economici fondati sulla solidarietà
queste esigenze si ricollegano a un valore tradizionalmente presente, da un lato, nel
mondo cattolico più sensibile all’egualitarismo e, dall’altro, negli ideali del socialismo e
del comunismo.
3 – LE
NUOVE FORME DI
ASSOCIAZIONISMO
le associazioni _________________
<> rispetto ai gruppi ____________
a- agiscono in vista di ___________
_____________________________
b- rifiuto rapporti politico-sociali
_______________/______________
privilegia rapporti fondati sulla
____________________________
Solidarietà come:
a- scelta di ____________________
ctr ___________________________
b- nuovi ______________________
le radici: egualitarismo __________
e ___________________________
2. I partiti nella seconda metà del `900
I PARTITI NELLA SECONDA
I grandi partiti di massa che dominavano la scena nei primi decenni del secolo, in
particolare quelli socialisti, erano connotati da caratteristiche abbastanza precise:
un'elevata centralizzazione e una notevole disciplina imposta ai propri membri; una
notevole "ideologizzazione" e una forte carica ideale, tale da contraddistinguerli
nettamente gli uni dagli altri; un alto livello di mobilitazione di massa e una
chiara identificazione del proprio riferimento di classe; un alto grado di coinvolgimento
nella società civile sotto forma di strutture organizzative, cooperative, circoli
permanenti ecc. Con il secondo dopoguerra, invece, sembra scomparire quasi del tutto
sia il vecchio modello borghese di partito di rappresentanza individuale (i tradizionali
partiti "liberali") sia il partito d'integrazione di massa, prodotti di un'epoca in cui
esistevano rigide divisioni di classe, che si vanno trasformando in un partito "del
popolo", inteso in senso interclassista Questo nuovo tipo d'organizzazione agisce quasi
come l'imprenditore sul mercato economico il quale cerca di rendere più ampie le
vendite del proprio prodotto offrendo merci il più possibile adeguate alla "domanda". Il
nuovo modello di partito infatti opera sul mercato politico nel tentativo di rendere più
larghe le fasce di elettorato sensibili alle sue parole d'ordine e al suo programma. Di
conseguenza, contrariamente al partito di massa prebellico, il moderno partito è, in primo
luogo, decisamente "deideologizzato", privo cioè di una precisa identità ideologica (o
confessionale) che rischierebbe di elevare barriere pericolose nei confronti di settori
potenziali di consenso elettorale.
In secondo luogo, il nuovo tipo, di partito è caratterizzato, come scrive O.
Kirchheimer3, da «un ulteriore rafforzamento dei gruppi dirigenti di vertice, le cui azioni e
omissioni sono ora considerate dal punto di vista del loro contributo all'efficienza
METÀ DEL `900
3
O. Kirchheimer ha scritto “Le trasformazione dei sistemi politici nell’Europa occidentale” negli anni
sessanta individuando delle linee guida nella trasformazione che si stavano verificando nei partiti di massa.
223
dell'intero sistema sociale, piuttosto che dell'identificazione con gli obiettivi della loro
organizzazione particolare». In terzo luogo, la trasformazione del modello tradizionale di
partito comporta anche «una minore accentuazione di una specifica classe sociale o di una
clientela confessionale di fronte alla necessità di assumere l'intero elettorato nazionale,
senza alcuna eccezione».
Questa trasformazione - da cui precisava Kirchheimer, che scriveva a metà degli anni
‘60, erano esclusi i notevoli residui dei due vecchi partiti classisti di massa, i partiti
comunisti francese e italiano (e lo stessa cosa si può sostenere per la Democrazia
cristiana per quanto riguarda i partiti confessionali) - comporta una netta modificazione
del ruolo stesso dei partiti, che diventano mezzi di mediazione a livello politico tra le
posizioni dei diversi gruppi di interesse (forze economiche, sindacati, corporazioni
varie ecc.). Per questa via, i compiti stessi del partito politico si fanno più limitati,
mentre tendono a scomparire le differenze tra i diversi partiti contrapposti, sempre più
"sostituibili". Infatti, prima il partito si faceva elaboratore di un preciso progetto di
società che cercava di realizzare governando il paese, mentre ora i partiti si limitano
a garantire l’efficienza del sistema promuovendo l’accordo tra i vari gruppi
d’interesse.
Infine, anche il rapporto con il cittadino si è andato modificando. Nel caso del
vecchio partito d'integrazione, il cittadino, se lo desiderava, poteva essergli più vicino. Si
I PARTITI NELLA SECONDA METÀ DEL `900
Prima metà ‘900:
il partito d’integrazione di _______________:
1 centralizzazione e _____________________ 2 __________________________ e netta contrapposizione
3 preciso riferimento di _____________ e capacità di ___________________ 4 coinvolgimento nella __________________________
Seconda metà ‘900:
IL PARTITO ______________________
la ricerca del consenso di _________ _____________________________
CARATTERISTICHE:
1 ___________________________________________________ 2 rafforzamento dei _____________________
3 non si identifica con __________________________________________
4 nuovo ruolo:
mediatori tra i _____________________________________ a cui si presentano come garanti dell’__________________________
i partiti non hanno più un _________________________________ alternativo condividono l’accettazione del ______________________
partiti _________________________
5 il rapporto cittadino-partito
Prima metà ‘900: partito = canale di ________________ e _________________________
seconda metà del ‘900:partito = canale della ___________ ____________________________
trattava, allora, di una organizzazione meno specializzata, in parte canale di protesta, in
parte fonte di protezione, di identificazione e socializzazione e in parte creatrice di
immagini del futuro. Ora, nel mondo diverso del partito pigliatutto, il cittadino trova una
struttura relativamente remota, il cui compito principale sembra essere divenuto quello di
garantire il "consenso", cioè la legittimazione del sistema mentre le forze reali, la
burocrazia, il governo, l'industria, lavorano al riparo di ogni controllo diretto.
224
Kirchheimer sembra indicare nello sviluppo economico del secondo dopoguerra e nel
passeggio a un'economia opulenta, capace di sostenere le nuove funzioni assistenziali
dello Stato, la ragione principale dell'affermarsi del nuovo modello politico. Sarebbe
stato infatti il maggior benessere indotto dallo sviluppo a sostituire quelle funzioni di
controllo e di socializzazione prima svolte dalle strutture del partito d'integrazione di
massa, e a "conciliare" le esigenze delle masse con le funzioni di governo dello Stato.
In effetti l'affermarsi del nuovo modello politico coincide con il diffondersi in Europa
delle prime esperienze compiute di costruzione dello "Stato assistenziale", di un tipo di
governo della società, cioè, che affidando alle strutture pubbliche il compito di
garantire il benessere e la sopravvivenza dei cittadini con la sottrazione ai meccanismi
di funzionamento del mercato di alcune funzioni minime relative alla distribuzione del
reddito e all'assistenza sociale.
Il passaggio dal partito d’integrazione al partito del consenso si è accompagnato a una
forte deradicalizzazione del conflitto politico garantendo una sostanziale
parlameritarizzazione di esso, dal momento che il sistema sociale appare sostanzialmente
accettato da tutti, e determinando, nel contempo, una lenta ma progressiva diminuzione
dei livelli di partecipazione di massa alla vita politica e anche alle consultazioni
elettorali.
CAUSA DELLE MODIFICHE DEI
PARTITI:
funzioni di ___________________e
________________________svolte
prima dai partiti ora svolte dal _____
nuovo modello di partito e ________
_____________________________
Effetti delle modifiche dei partiti:
1condivisione del sistema

__________________________ del
conflitto
2 minor_______________________
3 Le ideologie nella seconda metà del `900
3.0 La condivisione del sistema
3 1 Socialdemocratici
3.2 Neoliberali o neoconservatori
3.3 La nuova sinistra: dalla contestazione giovanile ai “no global”
LE IDEOLOGIE NELLA
SECONDA METÀ DEL `900
All’interno del dibattito politico della seconda metà del ‘900 tra le forze,
prevalenti a livello parlamentare e di opinione pubblica, che condividono
l’accettazione del sistema economico-sociale (mercato di massa) e politico
(democrazia rappresentativa e competitiva) e possibile distinguere un’area di
centro-destra, neoconservatrice o neoliberale, e un’area di centro-sinistra costituita
dalla socialdemocrazia.
La tradizione della sinistra socialista e marxista appare invece più vicina
all’esperienza di contestazione e rifiuto del sistema condiviso espressa soprattutto
negli anni ’70-’80 dalla nuova sinistra e dai movimenti per i diritti civili o in
tempi più recenti, dai movimenti ambientalisti e dei no-global e comunque dal
delle associazionismo no-profit.
LE IDEOLOGIE NELLA SECONDA METÀ DEL `900
La condivisione del sistema:
(mercato di _______________ + democrazia___________________)
a ______________________________________ (centro-_____________________)
b ______________________________________(centro _____________________)
La contestazione del sistema: la nuova ___________________
SOCIALDEMOCRATICI
L’area socialdemocratica è sicuramente caratterizzata dal ritenere che lo stato
democratico debba sia garantire le libertà individuali, sia favorire, almeno in una
certa misura, l’effettivo godimento di tali libertà attraverso una politica di
redistribuzione del reddito. All’interno dell’area socialdemocratica vi sono in gran
parte le forze che erano state l’espressione del movimento operaio quali i vecchi
partiti socialdemocratici, sul modello di quello tedesco, che avevano accettato i
capisaldi del sistema borghese, il libero mercato, la proprietà privata e il
lo stato deve garantire:
___________________________ +
favorirne _____________________
attraverso la __________________
del reddito
225
parlamentarismo, già nel corso degli anni ’20, nonché i partiti socialisti e
comunisti che man mano dopo la caduta del regime staliniano, l’invasione russa
dell’Ungheria (195), la repressione della primavera di Praga (1968), il
disfacimento dell’URSS hanno abbandonato la prospettiva rivoluzionaria e della
costituzione di una nuova forma di società alternativa a quella capitalista.
I socialdemocratici sono stati sicuramente la principale forza promotrice del
Welfare state che, come abbiamo già osservato, ha avuto i successi maggiori in
quei paesi in cui più salda è stata la guida socialdemocratica.
Sul piano teorico e filosofico l’area socialdemocratica ha trovato i suoi punti di
riferimento in pensatori come Popper, soprattutto per quel che riguarda la
metodologia politica, il riformismo, e Rawls, per quel che riguarda il problema del
rapporto tra libertà e giustizia.
John Rawls (1921) è uno dei filosofi liberals più significativi dell'attuale dibattito eticopolitico. A lui si deve il libro che, pubblicato nel 1971, ha segnato una svolta nel dibattito sulla
libertà e la giustizia: si tratta di “Una teoria della giustizia”.
Per chiarire il problema del rapporto tra libertà e giustizia Rawls propone di effettuare un
esperimento mentale che riprende i concetti del contrattualismo di Hobbes, Locke e
Rouseau. Infatti, in questo esperimento mentale occorre risalire a una sorta di “stato di
natura”, che l’autore chiama “posizione originaria”, in cui porre coloro che sono posti a
fondare uno stato e, quindi, a scegliere i principi di giustizia che ne devono regolare
l’organizzazione e la vita.
Nella posizione originaria, le persone - intese come enti morali e razionali - sono
immaginate come all'oscuro delle condizioni che avranno in futuro (se saranno cioè poveri,
ricchi, bisognosi...). Tale ignoranza, relativamente alla propria posizione futura, unita
all'eguaglianza della condizione originaria, è una garanzia dell'equità nella definizione dei
principi di giustizia. Secondo Rawls, le persone razionali, se poste in una condizione
originaria di eguaglianza, sotto il velo di ignoranza sceglierebbero i seguenti due principi di
giustizia: 1) il principio di libertà: un'eguale libertà per tutti e un'eguale possibilità accedere alle
cariche pubbliche e ai posti di responsabilità nella società. L’uguale libertà per tutti viene
identificata nelle libertà civili e politiche fondamentali, quali: il diritto di voto, attivo e
passivo; la libertà di parola e di riunione; la libertà di pensiero e di coscienza; la
proprietà dei beni personali; le garanzie legali, come ad esempio la libertà dall'arresto
e dalla detenzione arbitraria. Manca soltanto il diritto di proprietà dei mezzi di
produzione, perché, secondo l'autore può essere sospeso in talune circostanze, senza che
ciò configuri una violazione delle libertà fondamentali dell'individuo.
2) il principio di "differenza". Non conoscendo la propria particolare posizione sociale,
infatti, ogni persona razionale dovrebbe optare per la «giustizia come equità»: per la
concezione, cioè, che identifica la giustizia con l'ordinamento sociale che assicura la
più ampia libertà uguale per tutti compatibile con la coesione sociale, e insieme che consente
solo quelle differenze economiche e sociali che, accrescendo la ricchezza complessiva,
rendono la condizione dei meno avvantaggiati comunque migliore che in ordinamenti
sociali più egualitari. Secondo Rawls, invece, scegliere come regola sociale il principio
utilitaristico della più grande felicità collettiva sarebbe irrazionale, perché
presupporrebbe da parte di tutti il fatto di accettare una condizione personale illimitatamente
cattiva allo scopo di realizzare il massimo benessere sociale medio oppure il massimo
benessere complessivo, una scelta che nessun essere interessato potrebbe approvare
razionalmente. Questo perché, secondo Rawls, l’individuo razionale nella posizione
originaria e sotto il velo dell’ignoranza adotta la «strategia di maximin». Strategia di
maximin è quella regola di decisione che consiglia di minimizzare i danni possibili.
Una tale regola trae la sua giustificazione dalla constatazione che l'esito finale della
nostra condotta è quasi sempre incerto perché dipende da ciò che facciamo, ma anche da
un imprecisato numero di ulteriori circostanze ignote. La strategia di maximin
suggerire la linea d'azione che, nel caso sfortunato dell’insuccesso, condurrebbe a un
risultato comunque meno grave di quello sfortunato cui si potrebbe andare incontro
nelle linee d'azione alternative; suggerisce, cioè, la linea d'azione che prevede il
l’abbandono della prospettiva
__________________________ e
della società _________________
La promozione del ______________
I teorici:
Popper (?)  la metodologia
___________________
Rawls  i rapportati tra _________
_________ e __________________
J. RAWLS
226
massimo dei minimi.
La concezione di Rawls mette capo a una concezione della società anti-meritocratica e
cooperativa, per cui i membri, se agiscono razionalmente, non possono che ritenere dannose
le ingiustizie. Infatti il principio della “giustizia come equità” richiede , scrive Rawls “ di riparare i
torti dovuti al caso in direzione dell'eguaglianza. Se si vuole assicurare a tutti un'effettiva eguaglianza
di opportunità, la società deve prestare maggiore attenzione a coloro che sono nati con meno doti o in
posizioni sociali meno favorevoli.”. Infatti, le ineguaglianze economiche e sociali, come ad esempio la
diversa distribuzione del potere e della ricchezza, sono giuste soltanto se producono benefici che vanno
a compensare i membri meno avvantaggiati della società. Principio che evidentemente richiede la
redistribuzione del reddito e afferma la necessità di una riparazione della società verso coloro che sono
più poveri e meno fortunati.
J. RAWLS
L’esperimento _________________ del __________________________
La posizione __________________
= stato di _________________ in cui si sceglie i principi di giustizia _____________________________________
condizione di: 1 ignoranza del ____________________________________ 2 ___________________________
Scelta razionale =
1 principio di ________________:
uguale liberta per tutti: diritto di ______________________ libertà di __________________proprietà dei ___________________
garanzie______________________ proprietà dei mezzi di produzione può essere _________________
= possibilità di accedere ai posti di ____________________________
2 principio di _________________:
Giustizia = consentire le differenze che accrescono _____________________________ rendendo la condizione migliore per tutti
la scelta della _________________________________irrazionale perché:
pone
condizione personale __________________
CTR
benessere sociale __________________
MA l’individuo ______________ sceglie la strategia del _________________= minimizzare i ________________ _____________
scegliendo il _____ _____________________________
nella posizione originaria: ____________________ = essere tra gli svantaggiati
massimo dei minimi = migliorare il più possibile la situazione degli _____________________________
consentendo le _________________ che accrescono _________________complessiva riparando alle _________
A partire dalla fine degli anni ’70 – inizio anni ’80, in seguito alla crisi petrolifera e del Welfare state ,
dapprima nei paesi anglosassoni e poi anche in altri paesi dell’area occidentale, i movimenti
neoconservatori o neoliberali hanno conquistato il potere. Per molti versi lo scontro tra neoliberali e
socialdemocratici ha sostanzialmente caratterizzato la vita politica di tre decenni (1980-2010).
Non è un caso se il trionfo politico dei neoconservatori si è verificato in una fase di
profonde trasformazioni culturali e sociali. Più volte, nella società contemporanea, è
avvenuto che in momenti di grande cambiamento si registrasse da parte di ampi settori
una richiesta di "tradizione", di ritorno ai valori consolidati, alle gerarchie sociali
stabili.
Quando, sul finire degli anni settanta, la nuova destra americana cominciò a fare
sentire pubblicamente la sua voce, i suoi primi bersagli furono, oltre i resti della nuova
NEOLIBERALI
O NEOCONSERVATORI
La vita politica dagli anni ’70-’80:
lo scontro tra _________________
e ___________________________
Crisi (del petrolio, del welfare) e
bisogno di ritorno ______________
227
sinistra, il femminismo e il movimento degli omosessuali; tra le sue prime richieste vi
fu il ritorno alla morale sessuale cristiana tradizionale e il ristabilimento della potenza
americana nel mondo. La mobilitazione neoconservatrice sembrava volersi indirizzare
soprattutto contro quei fenomeni che simboleggiavano la caduta dell'ordine sociale e
morale consueto.
Anche negli altri paesi i movimenti neoconservatori nelle loro varie espressioni (dal
thatcherismo inglese al fronte nazionale francese, fino ai movimenti antisemiti e
nazionalistici sorti in Russia nella seconda metà degli anni ottanta) hanno fatto appello
soprattutto al disorientamento di una parte della società di fronte a cambiamenti che
rimettevano in causa regole di comportamento e giudizi consolidati.
Sentimenti di questo tipo sono presenti quasi per definizione in tutti gli strati sociali,
compreso il proletariato industriale e gli stessi ceti marginali; e, in effetti, i
movimenti e i partiti della "nuova destra" hanno trovato un appoggio elettorale largo e
ampiamente distribuito, e sarebbe riduttivo definirli come espressione degli interessi di
un solo ceto. E vero, però, che il loro sviluppo non sarebbe stato possibile senza l'apporto specifico dei ceti medi. Negli anni settanta, la fiducia di questo ceto sociale
conobbe in molti paesi un autentico crollo: esso subiva insieme il peso crescente
dell'imposizione fiscale e i colpi dell'inflazione, che minava i suoi risparmi e indeboliva
il suo potere d'acquisto, e (in una situazione di generale appiattimento dei redditi)
vedeva assottigliarsi i margini di differenza sociale dalla classe operaia. Era quindi spinto
a tentare di organizzarsi autonomamente, magari a imitazione del movimento sindacale,
e a richiedere una restaurazione dell'ordine precedente la crisi, una limitazione del potere dei sindacati, una riduzione delle imposte. Tutte parole d'ordine, queste ultime,
che vennero riprese nei paesi anglosassoni dal movimento neoconservatore e ne
assicurarono il duraturo successo, mentre nei paesi dell'Europa settentrionale vennero
fatte proprie dai tradizionali partiti "borghesi" e dalla Democrazia cristiana tedesca.
Si può parlare di un ideologia neoconservatrice nell'epoca della "crisi delle
ideologie"? Probabilmente sarebbe eccessivo parlare di una visione organica e unitaria,
anche perché esistono numerose sfumature diverse di neoconservatorismo; ma è
possibile individuare alcuni princìpi e un sistema di valori aggressivamente difeso.
Inoltre, si può dire che l'affermazione dei neoconservatori abbia coinciso con un irrigidimento delle posizioni dei partiti di destra, che erano stati nei decenni precedenti
dominati da un'ala pragmatica attenta più alla difesa di concreti interessi che
all'affermazione di valori e all'esaltazione di simboli. In questo senso, la nuova
destra può ben essere definita "ideologica". Cardine essenziale di questa ideologia si è
rivelato naturalmente l'anticomunismo: la contrapposizione netta fra i valori del mondo
libero e quelli "dell'impero del male” (come il presidente americano Regan definì l'Urss
ancora nel 1985), che era sembrata attenuarsi dopo anni di distensione internazionale, è
stata rivendicata dai neoconservatori come principio essenziale di ordine: ciò ha significato
tra l'altro un parziale ritorno al clima della guerra fredda, superato in seguito solo
dall'avvio della disgregazione del sistema di dominio sovietico.
Altro cardine di questa ideologia è apparsa l'esaltazione del mercato come massimo
e sostanzialmente unico principio regolatore dell'economia e della società, e la
rivendicazione di una netta riduzione dell'intervento economico dello Stato. Su questo
punto le posizioni neoconservatrici sono quindi divenute "senso comune" largamente
diffuso, anche se in realtà la presenza dello Stato nell'economia non è affatto diminuita là dove la nuova destra ha raggiunto il potere: è piuttosto aumentata, ma con
caratteristiche relativamente nuove. Forte è inoltre stato il richiamo ai valori patriottici,
alla base dell'impulso impresso da tutti i gruppi neoconservatori allo sviluppo delle
forze armate e delle spese militari. Le presidenze statunitensi si sono giovate degli
interventi militari in varie parti del mondo (dall’America latina all’Iraq), e il governo
Thatcher della guerra delle Falkland-Malvinas contro l'Argentina (1982) per ottenere
uno stabile e duraturo consenso popolare. Si può in tal senso parlare di un ritorno
a forme di patriottismo esasperato e in qualche misura evocante i riti del tifo sportivo,
fenomeno che si era già manifestato soprattutto negli anni precedenti la prima guerra
mondiale. Storicamente diverso, ma significativo, si è dimostrato anche il richiamo
Anni ’70 neoconservatori e il ritorno
_______________ e ____________
consueta
contro il ______________________
provocato dai cambiamenti
La crisi del ceto medio negli anni
’70:
imposizione ________________ +
___________________________ _=
-- potere _____________________
-- ___________________________
 richiesta di _________________
fatta propria da ________________
e ____________________________
L’IDEOLOGIA NEOCONSERVATRICE
1 ____________________________
2 mercato come unico ___________
del ______________ e della ______
riduzione della _________________
_____________________________
3 patriottismo e ________________
228
della Democrazia cristiana tedesca ai valori nazionali e patriottici in occasione
4 il richiamo ai valori ___________
dell'unificazione delle due Germanie (1989-91).
L'ideologia dei neoconservatori ha rivelato inoltre significative convergenze con
movimenti e tendenze emersi in ambito religioso, soprattutto in reazione alle
trasformazioni dei comportamenti e della morale: così è avvenuto nei confronti del
grande sviluppo del "fondamentalismo" in ambiente protestante, ma anche di movimenti integralistici in ambito cattolico, e di tipo patriottico ultrareligioso in ambiente
ortodosso. Queste correnti hanno mostrato l'esigenza di ristabilire l'autorità dei princìpi
religiosi sulla società secolarizzata, di contrastare cioè in qualche modo la tendenza alla
scristianizzazione della vita sociale, e la volontà di tornare a una fede certa e
tradizionale, chiudendo così, con un ritorno ai fondamenti della religione, i grandi
dibattiti che hanno attraversato la teologia degli ultimi decenni. I gruppi evangelici
sono stati determinanti nel "riallineamento" politico negli Usa, e l'alleanza tra forze
conservatrici e gruppi religiosi decisi a rilanciare l'influenza della Chiesa ortodossa ha
inciso in modo imprevisto sul panorama politico della Russia degli anni ottanta. Inoltre,
i movimenti neoconservatori in tutto il mondo hanno fatto proprie le battaglie di ampi
settori religiosi contro l'aborto.
Sotto la categoria di neoliberali o neoconservatori coesistono posizioni anche molto
differenti, ma in genere accomunate da un'idea "negativa" di libertà (come assenza di
costrizione), accompagnata dall’intenzione di ridurre al minimo l'intervento dello Stato
nella vita del cittadino, fino quasi ad abolirlo (tale è la tesi degli anarco-individualisti). Il
maggiore rappresentante di tale "liberalismo individualistico" è R. Nozick (1938), il padre
ispiratore della destra neoliberista.
Nozick si riallaccia alla tradizione liberale classica, da John Locke a John Stuart
Mill, per sostenere l'assoluta priorità degli individui sulla società. Egli è convinto
che oltre gli individui non si dia altra entità significativa. L’assunto di fondo della sua
filosofia è che ci sono soltanto individui, con le loro vite personali e i loro diritti. Egli, sul
piano filosofico, sostiene una visione dell'uomo come individuo isolato, spogliato di ogni
ruolo e di ogni norma socialmente imposti, dotato di diritti indipendenti da ogni riferimento
al sesso, all'età, al colore della pelle, alle credenze, alla famiglia e alla patria. Ogni uomo è
un'esistenza separata e indipendente, e deve vivere seguendo un proprio personale
piano di vita.
Con l'espressione "diritti" Nozick intende i «diversi confini» che limitano le legittime sfere
di azione dei singoli: queste sfere sono «inviolabili», ovvero non possono essere
varcate senza il consenso dell'individuo. Analogamente a Locke, Nozick ritiene che
l'individuo abbia il diritto di perseguire liberamente (cioè, libero da costrizioni esterne) i
propri piani di vita, attraverso il diritto alla proprietà, che, se posseduto a giusto titolo,
non può subire nessuna limitazione. Per quanto riguarda il tema della giusta proprietà,
il ragionamento di Nozick - in linea sempre con Locke - si compone di tre argomenti. Il
possesso della proprietà è giusto se rispetta queste condizioni: 1) giustizia
nell'acquisizione: valida acquisizione originaria da parte di qualcuno di cose non possedute
da nessuno o tramite donazione; 2) giustizia nei trasferimenti: valido passaggio della
proprietà da individuo a individuo, fondato, cioè, su uno scambio volontario e non imposto
violentemente o fraudolentemente; 3) conclusione: la giustizia nel possesso della proprietà è
«storica», cioè dipende dalla correttezza dei vari trasferimenti che la proprietà ha subito a
partire dalla validità dell'acquisizione originaria.
Similmente al diritto di proprietà tutti i diritti del cittadino sono illimitati per cui si pone
una questione molto importante: se i diritti degli individui sono talmente forti ed estesi, quale
spazio resta allo Stato e alle sue funzioni? La risposta di Nozick è che lo Stato deve interferire
il meno possibile nella vita individuale: lo Stato deve essere «minimo» e non intrusivo. I
suoi compiti sono quelli del «guardiano notturno» della concezione liberale classica, cioè di
garantire nell'ambito del proprio territorio il rispetto della legge, attraverso la punizione (con
l'uso della forza) per chi trasgredisce usando violenza su altri, frodando, non
mantenendo i patti. Qualsiasi stato più esteso violerà i diritti delle persone di non essere
costrette a compiere certe cose, ed è ingiustificato. Al di fuori di questi compiti lo Stato non
I principi teorici del neoliberalismo:
1- libertà = ____________________
____________________________
2 stato _______________________
ROBERT NOZICK
L’assoluta priorità ______________
sulla _______________________
Individui____________________ e
personali ____________________
229
può e non deve andare, altrimenti lede i diritti degli individui. Lo stato non può usare il suo
apparato coercitivo allo scopo di far sì che alcuni cittadini ne aiutino altri, o per proibire alla gente
attività per il suo proprio bene e per la sua propria protezione. Così uno Stato che pensasse di
provvedere a redistribuire il reddito e a riequilibrare le condizioni sociali, perseguendo politiche
di "riparazione" nei confronti delle persone meno avvantaggiate, sarebbe uno Stato che non
considera le singole persone come "fini", ma semplicemente come "mezzi" in vista del bene della
società, intesa come "la maggior parte" degli uomini (alla maniera dell'utilitarismo) o la totalità
(alla maniera di Rawls). Secondo Nozick, non si può estendere alla società il discorso che
vale per gli individui: «Come individui, ciascuno di noi a volte preferisce sottoporsi a dolori o
sacrifici per ottenere un benessere maggiore o per evitare un danno maggiore [...] Perché non
sostenere, analogamente, che qualche persona deve fare sacrifici da cui altre persone trarranno
vantaggi maggiori, per amore del bene sociale complessivo? Ma un'entità sociale, il cui bene
sopporti qualche sacrificio per il proprio bene, non esiste. Ci sono solo individui, individui
differenti, con le loro vite individuali. Usando uno di questi individui per il vantaggio di altri si
usa lui e si giova agli altri e basta. Che cosa succede? Che gli viene fatto qualcosa a profitto di
ROBERT NOZICK
Diritti = sfere d’azione __________________ che consentono all’individuo di realizzare i propri______________________ attraverso
_____________________
la giusta proprietà:
1 giusta ______________________: - non era di ___________________ - è stata _____________________
2 giustizia nei trasferimenti: _____________________________________________________
La giustizia è _________________ (… ovvero chi prima _________________________________________)
Diritti individuali _______________e ruolo dello stato
lo stato ______________________ ovvero “_______________________________________”
garantisce_______________________ punendo ____________________ (violenza, frode, non mantenuto i patti  violano i diritti degli
______ o gli impegni liberamente presi)
La politica sociale = considerare gli individui come ___________ in vista del bene __________________
Lo stato non può imporre la ___________________ perché ciò significa usare una _________________a favore degli _______________
altri. Ciò è nascosto sotto il discorso del bene sociale complessivo». Comportandosi in questo
modo, osserva Nozick, «[lo Stato] non rispetta e non considera sufficientemente il fatto che [ogni
persona] è una persona separata e che la sua è l'unica vita che possiede. Quella persona non riceve
dal suo sacrificio un bene che ne superi il valore, e nessuno ha facoltà di imporglielo, e meno di tutti
uno stato o un governo che pretenda la sua fedeltà e che perciò dev'essere scrupolosamente
neutrale nei confronti dei propri cittadini» (“Anarchia, stato e individuo”) . In
definitiva, Nozick è convinto che non sia giustificato alcun sacrificio da parte di un La forma di società deve essere
individuo per solidarietà con gli altri.
liberamente __________________
All’interno dello stato minimo è possibile qualsiasi forma di società, di tipo
privatistico ma anche comunista o umanitaria , anche se solo sulla base di una
LA NUOVA SINISTRA : LA CRITICA AL
partecipazione individuale strettamente volontaria.
SISTEMA
La scelta socialdemocratica della maggioranza dei partiti storici della sinistra
(partiti socialisti e comunisti) ha portato, a partire dalla fine degli anni ’60, alla
formazione di una nuova sinistra contraria sia alla socialdemocrazia che al
marxismo-leninismo-stalininismo.
contraria a:
- ____________________________
- ____________________________
230
La prima modalità in cui si è espressa ed anche il primo momento della sua
elaborazione è sicuramente costituito dalla contestazione giovanile degli anni ’60.
L'ordine politico delle società sviluppate dell'Occidente e anche quello di alcuni dei paesi
"satellite" dell'Urss venne scosso in modo simultaneo, nel 1967-69, da un movimento
largamente spontaneo che aveva per protagonisti soprattutto i giovani. Improvvisa e per
certi versi imprevedibile, la rivolta giovanile si manifestò sotto forma di ribellione
violentemente critica nei confronti dell'ordine dominante. L'istituzione più presa di mira
dal movimento fu quella scolastica, attraversata proprio in quegli anni da una profonda
crisi.
Negli anni del dopoguerra, le istituzioni scolastiche di tutti i paesi industrializzati
dell'Occidente videro un aumento massiccio delle iscrizioni a tutti i livelli dalle
elementari fino all’università dovuto sia al boom demografico degli anni ’50 ne ’60, sia al
fatto che l’allargamento dell’istruzione era uno degli obiettivi del Welfare state.
Il movimento americano "per i diritti civili" aveva costituito, fin dall'inizio degli anni
sessanta, il prototipo di questa dinamica. Nato nelle università del Nord, il movimento
studentesco si era dato come obiettivo essenziale la piena attuazione di quella
democrazia americana che la costituzione prometteva ma che la società degli anni
cinquanta aveva almeno in parte negato in vario modo, ad esempio con la
repressione nei confronti dei comunisti e della sinistra, con il militarismo diffuso, con
la persistenza della segregazione razziale in particolare nel Sud. Proprio in alcuni stati
del Sud, d'altra parte, appunto negli anni cinquanta era venuto maturando un
movimento nero per l'eguaglianza, diretto soprattutto dai leader religiosi protestanti
delle comunità di colore. Un importante successo politico era stato conseguito dal
movimento nel 1959, quando la corte suprema americana aveva ordinato la fine della
segregazione nelle scuole. A questo punto, la resistenza del tradizionale potere bianco
del Sud si era fatta minacciosa: si temeva in particolare che lo sviluppo del
movimento nero portasse alla fine dell'esclusione di fatto dei neri dal voto, che era
stata praticata in tutto il Sud, anche con l'aiuto dell'organizzazione razzista del Ku
Klux Klan, dagli anni successivi alla guerra civile.
In appoggio al movimento nero del Sud, gli studenti di molte università del Nord
degli Stati Uniti diedero inizio alle "marce al sud", che consistevano in massicce
campagne di invio di militanti durante l'estate, con il compito di proteggere il diritto al
voto della popolazione di colore. Vi furono, in risposta, assassini e linciaggi, mentre i
tradizionali leader politici bianchi assumevano posizioni di aperto sostegno alla
violenza. Nell'insieme, però, il movimento ottenne significativi successi politici,
contribuendo al superamento della segregazione. Al suo interno ebbe inizio un
ampio dibattito, che avrebbe toccato anche il problema della differenza fra i sessi
(ponendo le premesse alla nascita del movimento femminista) e poi quello del coinvolgimento americano nella guerra del Vietnam.
Intanto a partire dal novembre 1967, in diversi paesi europei (Italia, Francia, Germania
occidentale, la stessa Spagna soggetta alla dittatura franchista) si diffusero agitazioni
studentesche: dapprima concentrata nelle università, che vennero occupate e dove il
movimento tentò di dar vita a forme di "controeducazione" alternativa a quella ufficiale,
l'opposizione “extraparlamentare”, come all'epoca veniva definita, progettava di investire
progressivamente tutta la società. Era il progetto di una "lunga marcia attraverso le
istituzioni", formulato in origine dalla nuova sinistra tedesca: un movimento che avrebbe
dovuto attraversare l'intera società, trasformandola in profondità. Si trattava di un progetto
che si contrapponeva al modello classico della rivoluzione leninista; concentrato sulla presa
del potere politico: cambiare la società, oltre e più che l'apparato statale, era infatti la
vera finalità di un movimento che aveva le sue radici nelle trasformazioni
culturali e sociali profonde da cui era caratterizzata la condizione giovanile. Ben presto,
però, lo scontro fra il movimento studentesco e le istituzioni politiche giunse a momenti di
grande intensità (marzo: violenti scontri fra studenti e polizia a Roma; aprile: mobilitazione
di piazza a Berlino ovest e in altre città tedesche dopo l'attentato contro il leader studentesco
Rudi Dutschke).
L'espressione "nuova sinistra" venne tenuta a battesimo, nel 1960, da Wright Mills,
Le origini:
LA CONTESTAZIONE _____________
(anni ______)
La ___________________epicentro
della contestazione
In USA:
Movimento studentesco e
movimento per _________________
la fine della ___________________
nelle scuole
le “marce del sud” e la difesa del
_____________________________
In ____________:
l’occupazione delle _____________
IL PROGETTO POLITICO:
231
uno dei maggiori sociologi americani e uno degli intellettuali che più influenzarono i
movimenti giovanili. Gli elementi di novità nei movimenti giovanili erano molteplici e
vari. In primo luogo era ritenuto estremamente importante il riferimento alle lotte dei
popoli del terzo mondo, alle rivoluzioni del mondo arabo, dell'Asia e di Cuba.
L'Unione Sovietica non veniva più assunta come Stato-guida, ma anzi come uno dei
garanti, insieme con gli Usa, dell'ordine da abbattere. In secondo luogo, la nuova
sinistra rifiutava la convinzione, comune a tutta la sinistra tradizionale, secondo cui
l'evoluzione storica lavorava necessariamente in favore dell'emancipazione del
proletariato e dei popoli oppressi. Il timore di una razionalizzazione capitalistica che
integrasse i ceti proletari dei paesi avanzati nello sfruttamento dei popoli del "terzo movimento studentesco e ________
mondo", sopprimendo ogni spazio reale di dissenso, rendeva l a ribellione una
______________ in _____________
necessità morale oltre che un compito politico. Il riferimento alla classe operaia, ancora
forte in una parte della nuova sinistra europea soprattutto dove, come in Francia e in e _______________
Italia, erano presenti forti partiti comunisti d’opposizione, era invece
fondamentalmente assente in quella statunitense.
IL PROGETTO POLITICO:
(differenze con ________________)
1 - la “lunga marcia __________________________________________
presa del potere ___________________  occupazione dello ____________
( ________________________)
ctr
cambiare _____________________
2 – riferimento alle _____________________________________________________
URSS da ________________________ a garante dell’ordine ___________________________ insieme agli ________
3 - evoluzione storica  ______________________ del proletariato
ctr
razionalizzazioni _______________ ____________________  _______________________ del proletariato
LA PROTESTA SOCIALE IN ITALIA
In Italia il progetto di cambiare la società portò il movimento studentesco a collegarsi
con le lotte del movimento operaio, in tal modo nel nostro paese l’ondata delle
agitazioni non si esaurì tra la primavera e l'autunno del 1968, come in Francia o in
Germania, ma continuò e si allargò, fin oltre la metà degli anni settanta, tanto che si
può parlare di un ciclo di protesta di ampia durata.
Alla base dello sviluppo italiano degli anni cinquanta e sessanta vi era stato un forte aumento
della produttività non accompagnato da un proporzionale aumento dei salari e ciò aveva
consentito ad alcuni settori della nostra economia di acquistare importanti posizioni sul
mercato internazionale. Questa situazione era resa possibile, fra l'altro, dallo scarso potere
contrattuale del movimento sindacale, che non era riuscito a imporre una crescita salariale
adeguata. Alla fine degli anni sessanta la situazione si rovesciò: il movimento sindacale, che
si era a questo punto conquistato una base di massa in precedenza sconosciuta, puntò a recuperare il potere d'acquisto dei lavoratori con una massiccia redistribuzione dei redditi. Una
prima manifestazione del nuovo clima si ebbe negli scioperi, dapprima spontanei poi guidati
dalle organizzazioni sindacali, del maggio-giugno 1969 alla Fiat.
Nell'autunno successivo, che proprio per le lotte sindacali che lo caratterizzarono
fu chiamato "autunno caldo", in occasione del rinnovo dei contratti collettivi di lavoro di
alcune delle più importanti categorie operaie gli scioperi coinvolsero milioni di lavoratori in
tutto il paese, interessati non solo alle rivendicazioni relative al salario e all'orario di lavoro,
ma anche, alla questione della salute sul luogo di lavoro, alla difesa dei diritti sindacali,
NEGLI ANNI SETTANTA
lo sviluppo degli anni __________
bassi livelli ____________________
e scarso potere _________________
L’autunno______________:
salari, salute __________________,
diritti sindacali
232
alle riforme di alcuni servizi sociali. Il movimento di protesta sindacale sarebbe
continuato e si sarebbe sviluppato negli anni successivi, per declinare gradualmente nel
periodo successivo alla crisi petrolifera, quando l'Italia registrò livelli di inflazione e di
recessione più gravi di quelli degli altri paesi occidentali (1974-75).
Lo sviluppo della protesta si accompagnò anche a un rinnovamento del movimento
sindacale. Questo si radicò più profondamente nelle fabbriche attraverso l'istituzione dei
delegati di reparto, che sul modello anglosassone dovevano rappresentare tutti i diversi
gruppi di lavoratori sia presso l'impresa sia presso le organizzazioni sindacali, e attraverso il
ricorso ad assemblee plenarie dei lavoratori per le decisioni di maggior rilievo. Questi
sviluppi della democrazia sindacale furono favoriti anche da una rilevante innovazione
legislativa: la legge detta "statuto dei lavoratori", promulgata nel 1970, permetteva per la
prima volta in Italia la piena libertà di organizzazione sui luoghi di lavoro.
Nel periodo 1969-79, inoltre, il movimento sindacale italiano ampliò il proprio
raggio di azione oltre la sfera della difesa dei lavoratori sul luogo di lavoro, per
occuparsi di questioni sociali più generali, come la casa, la sanità, il sistema
educativo. Esso contava, in questo modo, di dare impulso a riforme che il sistema
politico stentava a varare, e di rimediare alle carenze dell'azione dei partiti. Si è parlato,
anche per questo motivo, di una funzione di "supplenza" esercitata dai sindacati nei
primi anni settanta: alla scollatura, già evidente allora, tra partiti e società civile,
rimediava in parte la presenza dei sindacati, più capillare e più democratica che in
passato, in tutti gli aspetti della vita sociale.
Il movimento sindacale che guidò le proteste del periodo era, per la prima volta dal
1948, un movimento unitario, che cercava di ridimensionare il peso delle
contrapposizioni tra i partiti al suo interno. Le principali organizzazioni dei lavoratori
rimanevano tre e ben distinte: la Cgil (Confederazione generale italiana del lavoro), di
gran lunga la maggiore, guidata da dirigenti in larga misura appartenenti al Partito
comunista e in misura minore a quello socialista; la Cisl (Confederazione italiana
sindacati liberi), il cui gruppo dirigente era collegato al partito democratico cristiano; la Uil (Unione italiana lavoratori), la minore delle tre, guidata da dirigenti
socialisti, socialdemocratici e repubblicani.
Accanto al movimento sindacale un ruolo di rilievo nella vita sociale italiana del
periodo, fu svolto anche dalla "nuova sinistra", cioè dai gruppi e movimenti che erano
sorti dal movimento studentesco nel 1968-69, e che negli- anni successivi diedero vita
a piccoli partiti, non privi di un seguito fra i lavoratori dell'industria e presenti su
larga parte del territorio nazionale. Ricordiamo fra gli altri "Lotta continua",
"Avanguardia operaia", "Il manifesto" (quest'ultimo sorto da una scissione
all'interno del Pci). I gruppi della nuova sinistra parteciparono attivamente alle
mobilitazioni operaie e sociali e promossero l'impegno politico delle giovani
generazioni.
L'identità dei nuovi movimenti e poi dei gruppi che si formarono alla sinistra del
Partito comunista era fondata sul rifiuto del gradualismo e del riformismo, e
sull'intransigenza rivoluzionaria, il che comportava anche il progetto, almeno
teorico, di un sovvertimento radicale, e in prospettiva anche violento, delle
istituzioni. Essi avevano quindi un atteggiamento molto critico verso le posizioni del
Pci, accusato di avere abbandonato gli ideali rivoluzionari.
Il progetto di cambiamento della società, elaborato dalla nuova sinistra, si andava
intanto allargando a nuove tematiche che sono emerse già nel corso degli anni ’70,
quali quelle dei diritti civili o, nel decennio successivo, le tematiche a mbientali.
Sempre nel corso degli anni settanta una parte minoritaria della nuova sinistra scelse la via
del terrorismo per esprimere la sua opposizione al sistema.
Intanto sul finire degli anni settanta l'ondata della protesta sociale sembrò gradualmente
attenuarsi e dopo una fase di drammatiche tensioni, si instaurò un clima di relativa pace
sindacale.
Il motivo del declino va individuato fondamentalmente nella crisi strisciante
dell'economia, inaugurata dalla crisi petrolifera e prolungatasi per tutto il decennio. La
crisi economica accelerò il rinnovamento tecnologico degli impianti anche con
I SINDACATI:
____________________________ e
assemblee
Lo statuto __________________
Sindacati e supplenza dei ________:
presenza del sindacato nella_______
___________________
Il sindacato ___________________
Cgil
___________
_________
I gruppi della ________________:
gli extraparlamentari
nuove generazioni e impegno
___________________
il rifiuto del __________________
e la via rivoluzionaria
Il progetto di ________________
___________. Le nuove tematiche:
(precedentemente: ______________
e fabbrica)
1 diritti civili (anni ________)
2 ____________ (anni ’80-’90)
Il terrorismo di ______________
La fine della _________________
___________________
1 la crisi ______________________
233
l'introduzione delle nuove tecnologie elettronico-informatiche, portando allo
smobilitazione di alcuni settori economici ormai indeboliti (come la grande industria
alimentare e la siderurgia) e allo sviluppo di piccole e medie aziende, la cosiddetta
economia sommersa, in cui era, ed è tuttora, occupata una manodopera relativamente
marginale e scarsamente garantita. Inoltre, lo stesso sviluppo dell'occupazione nei servizi a
svantaggio di quella nell'industria comportò in realtà un indebolimento del movimento
sindacale: i lavoratori italiani dei servizi, particolarmente di quelli a controllo pubblico,
tesero a organizzarsi in sindacati "autonomi" di categoria, generalmente separati, o
decisamente contrapposti, ai sindacati confederali nazionali.
La perdita di potere contrattuale dei sindacati si è successivamente aggravata grazie
all’affermarsi di nuove forme di rapporti di lavoro che hanno trasformato il lavoro
dipendente in lavoro autonomo o comunque non garantiscono più al lavoratore la
continuità del rapporto di lavoro.
Infine, le nuove istanze che cominciarono a farsi sentire dopo il 1972-73 - il femminismo, la
difesa dell'ambiente, i diritti civili - contribuirono a indebolire l’ideologia classista che
aveva fino ad allora accomunato nuova sinistra, movimento sindacale, organizzazioni
politiche "classiche" della sinistra.
crisi _______________________
introduzione tecnologie
_____________________________
+ piccole _____________
+ lavoratori dei ____________ 
sindacati _______________
=
indebolimento _________________
nuovi rapporti _________________
2 nuove istanze (______________ e
____________________________)
I primi dibattiti politici sugli effetti inquinanti dello sviluppo si affermarono negli anni
sessanta in America. Tra le prime battaglie ambientaliste vi fu sicuramente quella contro indebolimento ideologie _________
l’uso indiscriminato di pesticidi e erbicidi in agricoltura che destarono numerosi dibattiti,
polemiche, interesse fra la gente comune e stimolarono il nascere delle prime legislazioni
L’AMBIENTALISMO
orientate alla tutela pubblica vietando l’uso di determinati principi.
Negli anni settanta la coscienza ambientalista ricevette una spinta propulsiva dal verificarsi
di alcuni casi di gravissimo inquinamento (ad esempio la nuvola tossica di Seveso che
costrinse all’abbandono e all’isolamento dell’intera zona) e dalla pubblicazione dei primi
studi, come “Il rapporto sui limiti dello sviluppo” del Club di Roma (associazione non
governativa di scienziati, economisti, uomini d’affari e politici che si proponeva di studiare
i cambiamenti ambientali su scala mondiale) sugli effetti dell’inquinamento sull’ecosistema
terrestre e sulla disponibilità di risorse non rinnovabili.4
Le prime organizzazioni politiche nate dai movimenti ambientalisti si sono affermate tra
glia anni settanta (Austria, Inghilterra) e gli anni ottanta (Germania e Italia, 1985), anche se
non tutti i movimenti ambientalisti hanno intrapreso un’attività politica diretta, in quanto
molti di loro hanno cercato di mantenere il carattere associazionistico e apartitico (WWF,
Legambiente).
A partire dagli anni ottanta le battagli degli ambientalisti si sono concentrate soprattutto
contro l’utilizzo del nucleare come fonte di energia alternativa al petrolio, a cui si
oppongono per ragioni ambientali e politiche e a cui preferiscono l’uso di energie
rinnovabili. Un’ulteriore battaglia, stimolata in Italia dal periodico verificarsi di catastrofi
“naturali/innaturali” (alluvioni, frane, ecc..), è stata condotta a difesa dell’assetto
idrogeologico del territorio. Tale battaglia ha portato in evidenza le problematiche legate a
una corretta gestione del territorio e delle sue risorse. Si sono evidenziati gli effetti
devastanti di un modello di sviluppo fondato sull’urbanizzazione e cementificazione di
enormi aree urbane, sull’impoverimento del territorio agricolo destinato alla monocoltura,
sulla canalizzazione delle acque dei fiumi e dei torrenti con criteri di gestione
esclusivamente privatistici.
4
Le previsioni sulla disponibilità di risorse e l’andamento dei principali indicatori in esame (ad esempio
l’incremento demografico) ha seguito sinora piuttosto bene quanto previsto dal Rapporto e il superamento
dei limiti fisici del pianeta è diventato sempre più vicino.
234
L’AMBIENTALISMO
ANNI ’60:
le battaglie contro _______________________________
ANNI ’70: -
______________________________________________________
- gli studi sui limiti _______________________________________
- le organizzazioni _______________________________________
ANNI ’80: - le lotte contro il __________________________
- la difesa ________________________________
la critica al modello di ___________________________: la gestione ___________________________ del territorio:
cementificazione + __________________________ + ____________________________
ANNI ’90 + _______________________________ (sviluppo _________________ o decrescita _________________)
+ carattere _______________________________________
+ incisività _______________________________________
Negli anni novanta le tematiche ambientaliste hanno trovato una loro maggiore unitarietà e
una maggiore propositività attorno all’idea di “sviluppo compatibile” o, ancora più
radicalmente di “decrescita”. Inoltre esse hanno anche assunto un carattere più sociale
coinvolgendo, ad esempio, le tematiche relative ai rapporti Nord-Sud del mondo o
all’occupazione (creazione di nuovi posti di lavoro legati alla gestione del territorio) e una
maggiore incisività sui comportamenti individuali (campagne di boicottaggio delle
multinazionali, modelli alternativi di consumo, ecc…).
Il concetto di sviluppo sostenibile è stato definito e ridefinito più volte da molte
commissioni internazionali, anche sotto l’egida dell’ONU. Esso viene definito come lo
sviluppo che fornisce elementi ambientali, sociali e opportunità economiche a tutti gli
abitanti di una comunità senza creare una minaccia alla vitalità del sistema naturale, urbano
e sociale da cui queste opportunità dipendono. Ciò significa che le attività economiche non
possono utilizzare le risorse ambientali e sociali al di là del limite costituito dalle loro
capacità di rigenerarsi. Si tratta dell’applicazione del principio di responsabilità del filosofo
Hans Jonas: “Agisci in modo che gli effetti della tue azioni siano compatibili con la
continuità di una vita autenticamente umana sulla terra”5.
1 – LO SVILUPPO COMPATIBILE
Lo sviluppo senza ______________
____________________________
“agisci in modo che le tue azioni
siano ______________________
____________________________”
(H. Jonas)
La nuova etica e la responsabilità
__________________ (vedi nota)
5
H. Jonas (1903-1993) partendo dalle riflessioni sulla tecnica e le sue applicazioni in campo medico e
genetico, ha perseguite l'obiettivo di riconsiderare il discorso etico contemporaneo, andando oltre Kant e
l'etica delle intenzioni. La sua diagnosi della condizione contemporanea è impietosa, disincantata e densa di
timori sul futuro dell'ambiente, dell'uomo e della società. Partendo da siffatta "etica della paura" per le
conseguenze del dominio tecnologico sulla natura e sull'uomo, è giunto a tracciare i lineamenti di una
nuova "etica della responsabilità", che tiene conto delle sorti future dell'umanità e raccoglie la sfida della
società tecnologica. Le massime dell'etica dell'intenzione ("sia fatta giustizia e perisca pure il mondo")
possono valere ancora per il ristretto ambito dei rapporti tra gli individui: «Ama il prossimo come te stesso», «Non
fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te»... Secondo Jonas, però, occorre integrare quelle norme
con un'altra visione, quella dell'etica della responsabilità ("sia fatta giustizia affinché non perisca il
mondo"). Non basta essere a posto con la propria coscienza, ma si deve anche prevedere quali influssi
le nostre azioni attuali potranno causare nel futuro (dell'umanità e del pianeta), ad esempio,
ponendoci la domanda: «se continuiamo a consumare energia e inquinare il pianeta con gli attuali ritmi che
destino riserveremo ai nostri figli e nipoti?».
Secondo Jonas, un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano potrebbe essere il seguente: «Agisci in
modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente
umana», oppure, tradotto in negativo: «Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione non
distruggano la possibilità futura di una vita siffatta» o anche, più semplicemente: «Non compromettere
235
Anche se solo per l’aspetto ambientale il principio dello sviluppo sostenibile sembra essere
stato accettato dalla comunità internazionale. Ad esempio, è stato sottoscritto (1997) un
accordo internazionale, noto con il nome di protocollo di Kyoto, con il quale 118 nazioni
del mondo, con la notevole eccezione degli USA, si sono impegnate a ridurre le emissioni
di gas serra per rimediare ai cambiamenti climatici in atto.
Secondo una parte del movimento ambientalista il compito degli ambientalisti è ora quello
di far pressioni perché l’accordo venga sottoscritto dagli Stati Uniti e perché ciascun stato
effettivamente lavori per risparmiare energia, attraverso l’ottimizzazione sia della
produzione che del consumo (impianti ed edifici ad alta efficienza, educazione al consumo
consapevole) e lo sviluppo delle fonti alternative di energia per sostituire il massiccio
ricorso ai combustibili fossili.
I sostenitori della decrescita ritengono invece che il concetto di sviluppo sostenibile sia
diventato un modo per cercare di rendere compatibile ciò che in realtà non lo è, ovvero gli
interessi economici della società e quelli della natura. Osserva Serge Latouche(19) che
storicamente lo sviluppo finisce sempre con il coincidere con la sola crescita economica,
ovvero con la progressiva mercificazione dei rapporti tra le persone e con la natura.
Un’economia di mercato, un’economia capitalista è comunque volta a sfruttare,
valorizzare, trarre profitto dalle risorse naturali e da quelle umane. Di fronte alla
globalizzazione che tende a trasformare il mondo in un mercato planetario occorre
concepire una società nella quale i valori economici non siano più centrali o unici.
L’economia deve essere rimessa al suo posto come semplice mezzo per la vita umana e
non come fine ultimo. Questo è reso necessario non solo dal pericolo della distruzione delle
condizioni di vita sulla terra ma anche per far uscire l’umanità dalla miseria psichica e
dall’ingiustizia sociale.
Sicuramente centrale nell’atteggiamenti critico dei sostenitori della decrescita, che
significativamente indicano come felice o conviviale, è la constatazione che nemmeno ai
benestanti viene offerto un tipo di vita conviviale, felice a causa del carattere antisociale di
una società che promuove l’interesse, la competizione, lo sfruttamento.
Una società della decrescita deve quindi, innanzitutto, rivedere i valori in cui crede, e sulla
cui base le persone organizzano la loro vita, e adattare la produzione ai rapporti sociali in
funzione del cambiamento di valori. Quest’ultimi, i valori, devono promuovere sia la
ridistribuzione della ricchezza che nuovi stili di vita e di consumo, dal momento che ciò a
cui dobbiamo aspirare è un miglioramento della qualità della vita e non una crescita
illimitata del PIL. Qualità della vita che presuppone tutt’altra organizzazione sociale in cui
le relazioni interindividuali prevalgono sulla produzione e sul consumo di prodotti inutili o
nocivi, il tempo libero sul tempo dedicato al lavoro non creativo.
Le strategie per realizzare la società della decrescita, secondo Latouche, partono
innanzitutto da un’operazione di “decolonizzazione” del nostro immaginario, colonizzato
dal consumismo, che comporta una “diseconomizzazione” delle menti in modo da poter
mettere al centro della vita umana altri significati e altre ragioni di essere che non siano
l’espansione della produzione e del consumo. Questa operazione che è vista come una
“sovversione cognitiva” è considerata da Latouche come la condizione preliminare per un
sovvertimento politico e sociale.
La sovversione si traduce nell’assunzione di nuovi stili di vita, individuali e comunitari,
che si attualizzano innanzitutto nella resistenza nei confronti delle assurdità del sistema
economico. Ad esempio, rifiutando l’amplificazione dello scambio tipico dell’economia
capitalista globalizzata per cui una merce, tipo l’acqua minerale, viene imbottigliata al
Nord e venduta al Sud e viceversa, un non senso che ha naturalmente un grave impatto
ambientale.
Sul piano politico-organizzativo i sostenitori della decrescita ritengono necessario cercare
di collegare tra di loro tutte quelle esperienze che si oppongono alla mercificazione totale
del mondo per creare una vera società autonoma ai margini dell’economia dominante.
Società che deve essere creata da un processo di democrazia associativa che richiama per
Il protocollo di ________________
e la sua _______________________
2 – LA DECRESCITA FELICE – SERGE
LATOUCHE
sviluppo = crescita _____________
+ _____________  mercificazione
dei rapporti tra le ______________
____________________________
distruzione __________________ +
ingiustizia __________________ +
_____________________________
Carattere _______________ della
società  ___________ individuale
LA SOCIETÀ DELLA ____________
______________________
le condizioni di una permanenza illimitata dell'umanità sulla terra» oppure, più in generale: «Nelle tue
scelte attuali includi la futura integrità dell'Uomo tra gli oggetti della tua volontà»
236
molti versi il progetto di futura società degli anarchici. Processo che coinvolge, da un lato, i
progetti volontari e volontaristici di chi nei paesi industrializzati rifiuta in tutto o in parte il
modo di vita proposto dal sistema mettendo in atto modi di lavorare, di produrre, di usare il
denaro e di vivere diversi ( ad esempio, banche del tempo, banche etniche, comunità
neorurali o comunque introducendo nella prassi economica i concetti di solidarietà,
cooperazione, amicizia) e dall’altro, al Sud gli esclusi dal progresso, coloro per i quali
l’alternativa è l’unica forma di sopravvivenza.
nuovi _______________ :
+ _________________________
LA SOCIETÀ DELLA __________________________________
- _____________________
ridistribuzione _______________ e nuovi _____________________
+ tempo libero per: _____________________________ e lavoro _____________________
-- tempo per produzione e consumo di ____________________ o nocivi
La strategia per la realizzazione della ____________________
1 - La sovversione _______________________: decolonizzare l’_______________ per diseconomizzare ________________
2 la sovversione sociale:
a) l’assunzione di _______________________ che esprimono la resistenza contro le ___________ ____ del sistema economico
b) l’associazione di chi si oppone alla _______________________  creazione di una società __________ ai margini dell’
________________ coinvolgendo: 1- nei _____________________: chi ______________________ mette in atto stili di vita __________
2- nei _____________________: gli __________________________________________________
Serge Latouche e i sostenitori della “decrescita felice” sono sicuramente una delle
componenti del cosiddetto movimento dei “no global” in cui convivono componenti,
estranee al mondo politico tradizionale e che operano nella società civile in ambiti diverse e
con caratteristiche peculiari (ad esempio, associazioni ambientaliste e missionarie). Anche
sul piano ideologico il movimento no global ha tratto ispirazione da lavori e intellettuali
diversi tra di loro e sparsi in tutto il mondo.
Tra di essi Naomi Klein il cui libro “No logo”, serrata critica contro il potere economico e
psicologico delle multinazionali, è considerato da alcuni il manifesto del movimento.
Oppure Toni Negri, ex leader di “Autonomia operaia” coinvolto e condannato in quanto
ideologo in un processo di terrorismo, che vede nella globalizzazione il processo attraverso
cui si costituisce “l’impero mondiale” destinato a sostituire lo stato nazionale. In Italia
anche alcuni ambienti cattolici, sensibili ai problemi del terzo mondo, sono molto vicini al
movimento come, ad esempio, il missionario Alex Zanatelli.
Di fatto il movimento no global vuole essere una rinascita della società civile minacciata
dai poteri politici ed economici che la vogliono asservire ai loro scopi, promuovere la
democrazia diretta e partecipativa, il consumo critico, l’ambientalismo, il pacifismo,
l’antiproibizionismo ed è in larga misura non violento.
A chi sostiene che la globalizzazione e il capitalismo, a cui i no global si oppongono, sono
inevitabili essi hanno risposto coniando lo slogan “Un altro mondo è possibile”.
4. Le classi sociali negli anni ’50-‘80
I NO GLOBAL
le componenti:
gli ideologi:
- N. Klein: la critica alle _________
T. Negri: dallo stato nazionale
all’________________________
A. Zanatelli: Nord e Sud del ______
La società contro i poteri _________
e __________________
LE CLASSI SOCIALI NEGLI ANNI ’50‘80
LA CLASSE OPERAIA
incremento_________________
aumento_____________________
Nel parlare di "classe operaia" nel periodo 1950-80 va tenuto presente che si fa
riferimento non a un'entità statica, ma a un raggruppamento sociale mutevole e instabile. maggior ____________________
237
Non solo in questo periodo la classe operaia conobbe un incremento del reddito e un
rapido mutamento nelle abitudini di consumo e nei livelli di istruzione, ma la sua stessa
composizione interna andò mutando, in seguito ai fenomeni di "mobilità sociale" descritti
precedentemente.
Il caso degli Usa è ancora una volta uno dei più chiari. Nel corso degli anni cinquanta e
sessanta le nuove generazioni di alcuni dei gruppi etnici che avevano costituito gran parte
della classe operaia americana nei decenni precedenti (irlandesi, italiani, polacchi)
poterono, anche grazie alla maggiore scolarizzazione, trovare lavoro in settori diversi, dai
servizi alla scuola alle comunicazioni. Ciò comportava non necessariamente un aumento
di reddito, ma generalmente un miglioramento di status. Contemporaneamente, altri
gruppi giunti più di recente nelle città, come i neri che avevano cominciato a emigrare in
massa dal Sud al Nord negli anni venti, i portoricani, gli immigrati messicani (clandestini
o legali) andavano a completare i ranghi della grande industria. La condizione operaia si
presentava per tutti come una condizione potenzialmente transitoria.
Un processo analogo è avvenuto in Europa ed è alla base dei flussi migratori che si sono
mossi negli anni cinquanta e sessanta tra le diverse aree del continente (dalle zone sudorientali alla Svizzera, alla Germania, al Belgio) e anche all'interno di alcuni paesi, in
particolare dal Sud al Nord dell'Italia, le potenze già coloniali, come la Francia e la Gran
Bretagna, hanno invece attratto la nuova manodopera soprattutto dalle ex colonie. In tutti
questi paesi è toccato appunto al proletariato immigrante addossarsi le mansioni meno
qualificate man mano che la manodopera locale assumeva funzioni meglio pagate. Il
processo di formazione e riformazione della classe operaia ha da un lato contribuito a
disinnescare la portata politica dei conflitti di lavoro, in quanto i lavoratori con maggiore
potere di intervento in campo politico, quelli più radicati nei diversi paesi, erano anche in
generale i più relativamente privilegiati; ma ha anche portato al rinnovarsi ricorrente del
conflitto tra la gerarchia di fabbrica e i "nuovi" gruppi sociali che, dapprima, rifiutavano
di adattarvisi e, poi, trasportavano nella nuova situazione lavorativa i legami interpersonali e le abitudini precedenti la fabbrica.
Anche questo fenomeno, quindi, ha prodotto un ricorrere ciclico del conflitto di lavoro,
che non ha probabilmente mai minacciato seriamente l'ordine complessivo della società
(benché in alcune aree dell'Europa meridionale il movimento operaio fosse egemonizzato
da forze dichiaratamente rivoluzionarie), ma ha costituito uno dei maggiori fattori di
cambiamento sociale nel periodo 1929-70.
Un'espressione come "colletti bianchi" include a partire dagli anni ’50 ancora un
altro gruppo sociale, la cui vastità e rilevanza è stata realmente "scoperta" solo nel
corso degli anni sessanta. I lavoratori dei servizi, gli addetti alla distribuzione delle merci
come al settore della sanità e alla gestione quotidiana della vita urbana, sono
anch'essi una categoria in crescita, tanto più rapida quanto più la vita sociale si
specializza e il mercato si appropria anche di aspetti dell'esistenza che in precedenza
rientravano nell'ambito familiare. Così, per esempio, lo sviluppo nelle moderne società
industriali-impiegatizie dell'abitudine a consumare un pasto fuori di casa ha dato luogo
a un vastissimo settore economico, fatto di ristoranti, self service,fast food ecc. Questo
fenomeno sociale ed economico è esploso in Italia solo negli anni settanta, ma in altri
paesi, primo fra tutti gli Usa, aveva conosciuto il suo vero boom negli anni a cavallo
della seconda guerra mondiale. I lavoratori dei servizi, dipendenti da imprese di piccole e
medie dimensioni, non vengono generalmente fatti rientrare nella classe operaia proprio
perché non producono beni, ma la loro condizione è quella di un proletariato spesso a
reddito ancora inferiore e generalmente meno protetto. In seguito alla crescita di questo
settore e di quello impiegatizio alla fine degli anni sessanta alcuni osservatori avrebbero cominciato a notare un nuovo fenomeno: la classe operaia di fabbrica,
maggioritaria, (sia pure in termini relativi) dagli anni venti in alcuni paesi, dagli anni
quaranta o cinquanta in altri, tra cui l'Italia, stava perdendo terreno.
I MUTAMENTI NELLA _____________
USA :
nuove ______________________
vecchi gruppi etnici
scolarizzazione
lavori______________________
+ status __________
nuovi gruppi _________________
operai
EUROPA :
migrazioni:
a-interne al__________________
b-interne ai __________________
c- da altri ___________________
(ex-colonie)
conseguenze:
1 -_________________________
____________________________
2- _______________________
__________________________
I CETI MEDI
una nuova componente: ________
____________________________
addetti:
- alla _______________________
- alla _______________________
- ai servizi alla _______________
il mercato si appropria delle
attività _______________
no classe operaia perché _______
_________________ ma reddito
__________e lavoro __________
238
5. I mezzi di comunicazione di massa dal secondo dopoguerra agli anni ’80:
televisione, pubblicità commerciale e sondaggi d’opinione.
A caratterizzare il panorama dei mezzi di comunicazione di massa tra il secondo
dopoguerra e gli anni ’80 è stata sicuramente la televisione.
La tecnologia della televisione venne messa a punto in diversi paesi europei e negli Usa
nel corso degli anni trenta. Risale al 1936, in Gran Bretagna l'avvio delle prime trasmissioni televisive regolari, destinate ancora a poche migliaia di abbonati; in Italia, le
prime trasmissioni ancora sperimentali vennero avviate nel 1938. Lo sviluppo del nuovo
mezzo venne temporaneamente bloccato dallo scoppio della guerra, quando lo sforzo
dell'industria, e in particolare dell'industria elettrica più avanzata, venne monopolizzato
dalle esigenze militari; proprio in quegli anni, invece, la radio conobbe in molti paesi un
boom imprevisto anche perché essa consentiva alla popolazione di superare i vincoli
posti dalla censura militare e di ascoltare le posizioni e le informazioni del nemico.
Subito dopo la guerra, la televisione conobbe un successo rapidissimo, dapprima negli
Usa, poi in Europa occidentale. In Italia le prime trasmissioni televisive si ebbero nel
1954: all'inizio degli anni sessanta la platea televisiva comprendeva già la grande
maggioranza della popolazione. Nel corso degli anni la televisione ha poi assorbito le più
varie forme di comunicazione esistenti, dal cinema al teatro, dalla tradizione radiofonica
all'intrattenimento di piazza.
La televisione si è presentata, in tutto il mondo, soprattutto come continuazione e
sviluppo della radio. In quasi tutti i paesi industrializzati furono le compagnie
radiofoniche (in Italia la Rai, che aveva preso il posto dell'Eiar alla caduta del fascismo)
a sperimentare e poi ad avviare le trasmissioni televisive; molti fra i primi dirigenti e
autori televisivi provenivano dalla radio.
Strumento quotidiano di spettacolo e di informazione domestica, la televisione ha
ripreso inoltre dalla radio la tradizione delle trasmissioni in diretta e il "palinsesto"; esso
consisteva nella programmazione per fasce orarie, realizzate in modo da fornire nei
diversi momenti della giornata quelle trasmissioni più desiderabili da parte del pubblico
che si trovasse in casa. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale il consumo di
spettacoli cinematografici da parte degli italiani era divenuto un'abitudine tanto
consueta e generalizzata che all'epoca dell'avvento della televisione si raggiunse una
media di sedici spettacoli all'anno, ovvero più di uno al mese, per ogni abitante della
penisola. Si tratta di una cifra tanto più significativa se si tiene conto del fatto che
in numerose comunità rurali non c'era una sala cinematografica. Con l'avvento della
televisione cominciò, nonostante l'intenso sviluppo economico, il declino del consumo
del cinema in sala; questa tendenza sarebbe proseguita inarrestabile fino ai nostri
giorni.
Secondo le previsioni di molti, lo sviluppo della televisione era destinato
inesorabilmente a fare sparire la radiofonia.
In realtà, come spesso è accaduto nella storia delle comunicazioni, la "vecchia"
tecnologia non venne soppressa dal sopraggiungere della più recente, ma venne
piuttosto spinta a occupare nuovi spazi e ad assumere nuove funzioni. Da mezzo
"familiare" la radio divenne mezzo individuale, facendosi mobile e miniaturizzandosi
(si pensi agli apparecchi a transistor, lanciati alla fine degli anni cinquanta). Anche il
pubblico in parte cambiò fisionomia: chi ascoltava la radio non era più la vasta platea
composita degli spettacoli serali, ma, a seconda delle fasce orarie, il pubblico
giovanile, quello femminile e così via. Con l'avvento della televisione, mezzo
autenticamente "di massa", la radio cominciò a specializzarsi, avviando una tendenza
che si sarebbe accentuata ulteriormente negli anni settanta. Ormai la casa non era più
un luogo privato, separato e protetto nei confronti di una comunicazione pubblica, che
aveva come sua sede privilegiata la piazza, le strade, le sale. Essa era divenuta un
nodo essenziale del sistema della comunicazione: poteva sia mettersi in contatto
simultaneo con altri punti attraverso la rete telefonica, sia accogliere i messaggi più
diversi sulle onde della radio e della televisione, sia ancora ospitare i più diversi
LA TELEVISIONE
la sperimentazione
l’assorbimento delle altre forme
____________________________
la continuità con la ___________
il___________ = programmazione
per _________________destinata
_____________________ diversi
televisione e _________________
la radio da mezzo ___________ a
mezzo ______________________
la casa come nodo del _________
______________
239
patrimoni culturali: dopo i libri, la musica in dischi, le riproduzioni d'arte, sino alle
recenti "videoteche".
Savigliano anni ’60. Grande folla
alla Sagra del grano per le
esibizioni dei primi divi della
televisione
PUBBLICITÀ COMMERCIALE
Come si finanziano le comunicazioni di massa? I mezzi più tradizionali (dall'editoria
libraria e cinematografica al teatro e al cinema) vengono pagati dai loro utenti con
l'acquisto o di un oggetto che contiene una certa quantità di informazioni, come un libro
o un disco, oppure di un biglietto che dà diritto di assistere a uno spettacolo. Con la
divulgazione della stampa popolare ottocentesca e poi soprattutto con la diffusione della
radio e della televisione, si è assistito a un fenomeno nuovo: lo sviluppo di mezzi gratuiti
o a prezzi talmente bassi da non coprire se non una parte minima dei costi, come i
giornali da un centesimo che si imposero negli Usa alla fine dell'Ottocento. Tutti questi
mezzi sopravvivono solo grazie alla pubblicità. Il pubblicitario è un comunicatore di
tipo particolare: non vende i suoi messaggi al pubblico, ma, al contrario, compra dai
giornali e dalle reti televisive lo spazio o il tempo necessario per diffondere i propri
messaggi ("annunci" o "spot"), inserendoli all'interno di altri messaggi, di informazione o di spettacolo; egli poi rivende quanto acquistato al suo vero cliente, le
aziende.
L'economia della pubblicità funziona in modo per così dire speculare rispetto
all'economia delle merci: le aziende, cioè gli stessi soggetti che vendono i prodotti,
acquistano il tempo e l'attenzione del pubblico, cioè dei potenziali acquirenti delle loro
merci. Qual è il risultato che si intende ottenere attraverso gli investimenti, anche
ingenti, richiesti dalla pubblicità? Mentre la propaganda ha l'ambizione di influenzare le
coscienze, la pubblicità ha quella solo apparentemente più modesta di condizionare i
comportamenti. Essenzialmente, si mira a condizionare i comportamenti di consumo, in
particolare si cerca di indurre il consumatore a scegliere abitualmente e quasi
macchinalmente un certo marchio, preferendolo a quelli concorrenti. Non a caso i settori
economici che spendono di più per la pubblicità sono quelli nei quali molte aziende
producono merci sostanzialmente equivalenti fra loro (il caso più noto è rappresentato dal
mercato dei detersivi): solo il maggiore attaccamento al marchio spinge il cliente a
scegliere un prodotto al posto di quello di un altro concorrente. Nata come fenomeno
relativamente marginale negli ultimi decenni del secolo scorso, la pubblicità
commerciale moderna si è affermata a partire dagli anni venti come il principale motore
del sistema delle comunicazioni. Essa ha man mano assorbito e rielaborato tutti i
linguaggi, indirizzandoli ai propri scopi di persuasione immediata.
Secondo il liberalismo ottocentesco, l'opinione pubblica era una collettività di individui
capaci sia di acquisire e valutare le opinioni espresse da altri, che di farsi una propria
opinione e anche di esprimerla. In base a quest'immagine, il primo mezzo di
comunicazione di massa, la stampa, aveva la funzione non di guidare o manipolare
l'opinione pubblica, ma di rappresentarla. Nel corso del Novecento, anche per la perdita di
fiducia, da parte degli intellettuali, nell'autonomia di pensiero delle "masse", si fece strada
una concezione differente. Non erano le opinioni dichiarate, ma al contrario gli stati
d'animo inespressi della popolazione, a provocare i comportamenti politici più
sorprendenti e influenti. Quindi ciò che davvero contava, in una società moderna, non
e finanziamento dei _________
__________________________
L’economia della pubblicità
Le aziende prendono
_____________ + ___________
dei loro futuri ______________
poi _____ glielo fanno _______
scopo: condizionare _________
attraverso l’attaccamento al ___
______e non al _____________
SONDAGGI D’OPINIONE
‘800 opinione pubblica =
minoranza in grado di
_______________ e ______
___________ delle opinioni
240
erano tanto le opinioni espresse sulla stampa, quanto le convinzioni latenti, magari
parzialmente inconsapevoli. Da questa concezione nacque negli anni trenta (la fondazione
del maggiore istituto di ricerca, il Gallup, risale al 1935) una nuova industria, quella del
"sondaggio d'opinione". Attraverso questo strumento, gruppi di specialisti cercavano, e
cercano, per esempio, di conoscere le opinioni di un elettorato prima del voto. In
questa logica l’opinione pubblica non viene interpretata dal confronto fra le opinioni
liberamente espresse da una minoranza di intellettuali e giornalisti, ma dalle risposte ai
questionari, cioè dal computo delle opinioni di un campione statistico: un'altra minoranza,
ma scelta con criteri di "rappresentatività". In questa logica, l'interprete dell'opinione
pubblica non si presenta più come un intellettuale o come un politico, ma come un
tecnico-specialista, che fornisce al ceto politico e alle aziende le conoscenze relative alla
"volontà popolare".
dalle opinioni alle ___________
__________________________
dalla _____________________
di intellettuali alla minoranza
scelta statisticamente
241
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