E - SOCIETÀ, ECONOMIA E POLITICA DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE 9 - LA SECONDA METÀ DEL NOVECENTO: TRA STATO SOCIALE E STATO MINIMO 1. Lo stato nella seconda metà del `900 2. I partiti nella seconda metà del `900 3. Le ideologie nella seconda metà del `900 4. Le classi sociali negli anni ’50-‘80 5. I mezzi di comunicazione di massa dal secondo dopoguerra agli anni ’80: televisione, pubblicità commerciale e sondaggi d’opinione. 1. Lo stato nella seconda metà del `900 1.1 Lo stato democratico 1.2 Lo stato sociale 1.3 Lo stato corporatista All’inizio del XXI secolo i paesi dell’area occidentale sono caratterizzati politicamente dalla presenza di ordinamenti democratici che si sono realizzati innestandosi sulle precedenti tradizioni liberali. Nella sua forma più generalizzata ed estesa si tratta di una democrazia politica in quanto garantisce l’uguaglianza giuridica e politica che non si lega necessariamente a contenuti sociali tali da garantire l’effettiva uguaglianza dei cittadini. La maggior parte degli studiosi ritiene che, ridotta all'essenziale, la democrazia debba essere intesa come un particolare insieme di regole procedurali per prendere decisioni di valore collettivo, ossia come un metodo politico. La specificazione di tali regole varia da uno studioso all'altro, fermi restando comunque alcuni principi di fondo: che il potere tragga la propria legittimità dal basso, che tutti (o quasi) i cittadini abbiano pari diritto di esprimersi liberamente e di scegliere i propri rappresentanti nelle assemblee nazionali, che la maggioranza governi, ma senza limitare i diritti della minoranza e senza intaccarne la possibilità di diventare maggioranza a sua volta (vedi Popper). Ciò significa che al funzionamento della democrazia è necessario soltanto un consenso intorno alle regole, mentre è addirittura augurabile che esista una pluralità di credenze e di proposte politiche tra loro conflittuali. I meccanismi delle elezioni e della rappresentanza sono pertanto indicati come consustanziali alla moderna democrazia, rappresentativa e competitiva. Le elezioni sono lo strumento attraverso cui i cittadini esprimono la loro preferenza per uno dei partiti in competizione tra loro. La rappresentanza è lo strumento che connette la titolarità del potere all'esercizio effettivo di esso, nel senso che il popolo, che è titolare del potere, non può esercitarlo collettivamente, ma solo attraverso i suoi rappresentanti (in questo senso la democrazia moderna differisce da quella diretta e partecipativa attuatasi nelle città greche e caldeggiata da Rousseau). Anche intesa solo come metodo politico la democrazia resta comunque un sistema con molti punti critici per il sistema stesso. Così, ad esempio, le elezioni e la rappresentanza che sono il corredo strumentale della democrazia ne rappresentano anche il tallone d'Achille, poiché non sempre le elezioni sono libere e non sempre la rappresentanza è genuina. Perché le elezioni siano libere davvero occorre, oltre alla segretezza del voto, che le opinioni dei cittadini siano liberamente formate: anche se non è facile definire che cosa questo significhi di preciso, tuttavia, data la potenza degli strumenti di manipolazione dell'opinione pubblica, è innegabile che una democrazia che voglia restare tale deve vigilare in questa direzione, ad es. salvaguardando al massimo il pluralismo dell'informazione. Inoltre, per quanto attiene al rapporto tra elettori e rappresentanti eletti LO STATO NELLA SECONDA METÀ DEL `900 LO STATO DEMOCRATICO 215 esiste sempre il rischio (e alcuni studiosi, da Pareto, a Mosca, a Michels, affermarono sin dagli inizi del secolo che si tratta non di un rischio, ma di una certezza) che nell'effettivo esercizio LA DEMOCRAZIA _______________ = ____________________ politico fondato su ___________________ quali: 1 _________________________________________________________________________________________________________ 2 tutti i cittadini hanno diritto di __________________________ e di ___________________________________________________ 3 la ___________________ deve governare senza impedire che ________________________________________________________ 4 la presenza di _______________________________________________________________________________________________ CARATTERISTICHE DELLA DEMOCRAZIA 1 ______________________ ________________________ i cittadini scelgono i loro _____________________ tra ____________ 2 ______________________ in __________________________ tra loro LE PROBLEMATICITÀ DELLA DEMOCRAZIA a) Elezioni libertà di voto: ________________________ + libera formazione _____________________ garantita da _____________________ b) __________________________ ________________ politica c) la competizione politica Democrazie _______________ Democrazie ___________________ Scontro tra __________________ _________________________________________ elezioni + ________________ perché _______________________ (______________________) - ______________ perché la maggioranza dipende dagli _____________________________ rappresentatività pochi _____________ meno tendenze _____________ + rappresentati _________ e _________________ Leader Forte ruolo _______________________________ governo __________________________________________ ________________________________________ del potere da parte dei rappresentanti torni a riprodursi in qualche modo una pratica «discendente» del potere, ossia che l'insieme dei rappresentanti divenga un gruppo a sé, funzionante in pratica come una oligarchia, una casta. Tralasciando molte altre questioni pur importanti (ad es. il rapporto tra democrazia e particolari forme istituzionali, presidenziali o parlamentari, centralistiche o federalistiche, o il rapporto tra democrazia e partiti politici), ricordiamo almeno l'importante distinzione tra democrazie maggioritarie e democrazie consensuali, perché è un tema molto presente nel dibattito politico italiano attuale. I due modelli poggiano su regole istituzionali e soprattutto su forme di competizione politica diverse. Nel primo caso la competizione è bipolare e le elezioni hanno un alto grado di decisività, poiché la forza elettoralmente vincente assume pienamente la responsabilità di guidare il paese: in questo contesto il numero dei partiti tende a ridursi, diventa più forte il ruolo dei leaders in ciascuna delle 216 opposte coalizioni, i governi dispongono di maggiore stabilità ed autorevolezza. Nel secondo caso la competizione si svolge tra una molteplicità di forze politiche e dunque vi è una maggiore rappresentanza dei ceti e delle tendenze ideologiche presenti nella società ma ha un minor grado di decisività, non è assicurata la formazione di maggioranze, il ruolo del leader è minore e l'azione del governo risulta più condizionata. LO STATO SOCIALE Accanto allo stabilizzarsi della forma politica democratica gli stati occidentali hanno Presenza dello stato nella ________ visto nel secondo dopoguerra ulteriormente dilatarsi la loro presenza nella vita economica e sociale, fattore questo che è risultato essenziale per lo sviluppo economico. e sviluppo ____________________ Infatti, nel secondo dopoguerra si è generalizzato quel modello di sviluppo che si era già l’allargamento del ______________ affermato negli USA negli anni ’20 e ’30. Modello di sviluppo in cui l’obiettivo primario della produzione è quello di fornire a un numero sempre crescente di cittadini beni di consumo che in passato erano stati a disposizione solo di un ristretto gruppo di privilegiati. Il boom produttivo fu possibile, tra gli anni ’50 e ’70, grazie alla disponibilità di petrolio IL BOOM ECONOMICO DEGLI ANNI a basso prezzo che consentiva di contenere a livelli bassissimi il costo dell’energia nel contesto delle spese di produzione. ____-____ Tuttavia, tale strategia economica - basata sull'incremento costante della quantità di beni di consumo immessi sul mercato - poteva reggere solo se i potenziali consumatori erano messi in grado di acquistare i prodotti stessi. Fu necessario pertanto, nei due decenni 1950-1970, mantenere relativamente alti i salari dei lavoratori, in modo da garantire loro un elevato potere d'acquisto. Ma poiché una simile scelta rischiava di comprimere i profitti degli imprenditori e, di conseguenza, frenare gli investimenti, il potere d'acquisto dei salari venne sostenuto anche da parte delle autorità pubbliche, che negli anni Sessanta si preoccuparono di fornire in quantità crescente servizi sociali di ogni genere (pensioni, assistenza sanitaria, istruzione gratuita). Con la nascita del cosiddetto Welfare State (Stato del benessere o Stato assistenziale), una quota importante del salario, che in passato le famiglie dovevano accantonare per, far fronte alle disgrazie improvvise, alle malattie o alla vecchiaia, divenne improvvisamente disponibile per i consumi, cioè per l'acquisto di beni sulla cui produzione in serie poggiava l'intero sistema economico. IL BOOM ECONOMICO DEGLI ANNI ___-___ cause: 1) basso costo del ___________________ (energia) = bassi costi di ________________________________ 2) alta potere d’acquisto dei _______________ dovuti a: NON ____________________________________ perché: + salario = - ________________________ - _____________________ -______________________ - consumi BENSÌ’ dallo _______________ attraverso la fornitura di _____________________ (pensioni, ______________________, ______ _____________) + ______________________ per il consumo di __________________________ in serie Il capitalismo post-bellico, insomma, mentre da un lato fece tesoro dei metodi di produzione già collaudati nell'America degli anni precedenti la grande crisi del 1929, dall'altro applicò pure i correttivi al sistema introdotti dal New Deal rooseveltiano e teorizzati dall'economista inglese John Maynard Keynes (morto nel 1946). Soprattutto, bisogna sottolineare la presenza dello stato nella vita economica e sociale: tutti i governi occidentali, infatti, accettarono di garantire la piena occupazione e lo sviluppo industriale, al prezzo di un crescente deficit di bilancio. Il Welfare post-bellico fu inaugurato dai laburisti inglesi nel primo periodo di governo (1945-50), quando edificarono, con una serie di provvedimenti "rivoluzionari", una struttura di assistenza pubblica diretta a proteggere il cittadino "dalla e culla alla Dal _____________________ al Welfare state post-bellico: il caso _______________________ l’assistenza dalla _______________ _____________________________ 217 tomba". Essi raggiunsero il loro obiettivo, scaricando sulla collettività e su un efficiente sistema di tassazione i costi dell'intera operazione. Il welfare state (Stato assistenziale) divenne da allora l'ideale di tutte le socialdemocrazie. Esso prevedeva importanti conquiste sociali: gratuità delle cure mediche e ospedaliere, indennità di disoccupazione capace di garantire un discreto livello di vita ai cittadini qualunque fosse il loro ruolo produttivo, elevamento delle pensioni e miglioramento dell'insegnamento pubblico, estensione dell'edilizia popolare e attenta programmazione urbanistica in modo tale da eliminare il peso della rendita terriera e nel contempo garantire la massima razionalità all'espansione urbana. Questi, sono gli elementi più caratteristici del nuovo modello economico, presto generalizzatosi pur in forme e con intensità diverse, nei principali paesi europei, la Germania in primo luogo, ma anche la Francia e, naturalmente, i paesi scandinavi. I problemi sarebbero esplosi a partire dagli anni Settanta e negli anni Ottanta: poiché, deficit finanziari rischiarono di uscire dal controllo dei governi, per evitare la bancarotta si dovette intervenire, limitando l'erogazione di quei servizi che il Welfare State forniva ai propri cittadini. A mettere in crisi il modello di sviluppo dei paesi occidentali contribuì in maniera determinante anche la rivoluzione dei prezzi del petrolio del 1973, quando i paesi arabi, dopo che Israele aveva trasformato un attacco dell’Egitto e della Siria in una loro dura sconfitta, dapprima bloccarono le forniture ai paesi che avevano aiutato Israele e poi aumentarono il prezzo del petrolio da 2 $ al barile a 11. Anche se messo fortemente in crisi occorre sottolineare che l’azzeramento dello stato sociale è non solo non auspicabile ma anche irrealizzabile, poiché causerebbe un restringimento del mercato che penalizzerebbe l’intero sistema. Se l’effettiva estensione dello stato sociale è stata messa in dubbio negli anni ’80 è ’90, l’altro modo di manifestarsi nella società odierna dello stato è costituito dal suo ruolo di mediatore dei conflitti sociali, mediatore comunque interessato a condizionare l’esito di tali conflitti. Secondo la concezione liberale classica, lo stato fissa le regole del gioco cui le diverse componenti della società devono adeguarsi, lasciando che esse si scontrino tra loro, senza intervenire a soffocare il conflitto o a condizionarne l'esito. Già si è visto come fin dagli anni successivi alla prima guerra mondiale le cose fossero cambiate. Ma è soprattutto dopo il 1945 che l'effettivo funzionamento delle democrazie occidentali si è discostato da quel modello. Se tale difformità dal modello liberale debba essere valutata negativamente, come un allontanamento dai sani princìpi del liberalismo, uno scivolamento verso uno statalismo invadente o addirittura verso la servitù, oppure positivamente, come un'opportuna correzione in senso solidaristico della pura logica del mercato, è rimasta e rimane questione controversa. Nelle democrazie occidentali si è più o meno stabilmente affermata una sorta di capitalismo regolato, fondato sulla prassi per cui i vari gruppi d'interesse (sindacati, associazioni imprenditoriali, professionali, di categoria, ecc.), la cui funzione è di «incanalare le domande sociali verso i luoghi dell'autorità decisionale», contrattano continuamente le proprie posizioni di reddito e di status o direttamente con lo stato o con le proprie controparti, ma sempre con l'attiva mediazione dello stato. A questo scopo tali organizzazioni individuano, e promuovono la difesa degli specifici interessi di una determinata categoria e si incaricano di condurre negoziati e trovare compromessi tra i contrapposti interessi delle parti sociali e dei settori economici. Tali organizzazioni, da un lato, influenzano, con diversi gradi di efficacia, le politiche pubbliche, dall'altro, svolgono nei confronti dei propri aderenti la duplice funzione di esprimerne le opinioni e le richieste e al tempo stesso di orientarne i comportamenti in modo conforme ai compromessi volta a volta raggiunti con gli interlocutori. Per indicare questo modo di funzionare delle democrazie contemporanee sono stati introdotti negli anni '70 i termini di corporatismo e neocorporativismo. Il corporatismo può essere definito come un modello di cooperazione volontaria tra governo, sindacati e imprenditori nella formulazione e - cure ________________________ -____________________________ -_____________________________ -_____________________________ -_____________________________ - ____________________________ CRISI DEL WELFARE STATE 1 deficit ______________________ ___________________________ + spesa sociale + interventi per lo sviluppo ______________ = deficit ______________________ 2 la rivoluzione dei _____________ _______________ _______(1973) LO STATO CORPORATISTA Lo stato come ________________ dei _________________________ interessato ___________________ ____________________________ Statalismo (neo________________) o _______________socialdemocrazia) IL CAPITALISMO ________________: IL CORPORATISMO E LA __________ _____________________________ 218 nell'attuazione di politiche mirate al raggiungimento di obiettivi come la piena occupazione, la stabilità dei prezzi la crescita e la modernizzazione dell’economia . Prassi politica che è anche detta concertazione. IL CAPITALISMO ____________________________: IL CORPORATISMO E LA ___________________________________ gruppi d’interesse (_________________, associazioni _________________________, __________________, dei consumatori, _______) con funzioni di: a) raccogliere le esigenze di una certa _____________________ sociale b) ___________________________posizioni di ________________ e _____________ con: - ___________________ - controparti e la mediazione _________________ c) orientare ___________________ __________________________________________________________ concertazione = collaborazione ____ _____________ tra stato e gruppi ___________________________ Tra i maggiori critici di questa politica della concertazione vi sono gli studiosi di orientamento marxista che vedono nel capitalismo il maggiore beneficiario di tale politica perché il corporatismo assicura la pace sociale e la compressione delle richieste sindacali entro limiti di compatibilità con le esigenze del capitale. Secondo tali analisi, poiché l'obiettivo dei governi è quello di "addomesticare" i sindacati per comprimere i salari e altre domande sociali nell'interesse dell'accumulazione capitalistica, la concertazione non può che esaurirsi nella definizione di una politica dei redditi. Essa verrà più facilmente accettata in presenza di situazioni di difficoltà economica e quando al governo vi siano forze politiche di sinistra, verso le quali le classi lavoratrici abbiano tradizionali rapporti di fedeltà. Altri, invece, hanno sottolineato che la pratica della concertazione non solo garantisce ai lavoratori redditi più elevati, maggiore sicurezza occupazionale, accresciuti diritti, maggiori contributi assistenziali, ma "straripando" dalle politiche dei redditi verso altre aree decisionali, ne amplia il peso nella direzione della società. Anche coloro che si pongono da quest'ultimo ottimistico punto di vista sembrano essersi persuasi, negli ultimi anni, che esistono dei rischi nella prassi corporatista, dal momento che essa può creare nuove disparità sociali a vantaggio di quanti sono maggiormente garantiti. Esiste, infine, una terza linea interpretativa, secondo la quale a base della pratica della concertazione corporatista starebbe la disponibilità dei sindacati ad offrire moderazione salariale in cambio del sostegno organizzativo loro assicurato dai governi contro la crisi di adesioni cui vanno soggetti. I paesi dove il corporatismo sembra avere dato i risultati migliori sono quelli in cui si sono avute più stabili esperienze di governo socialdemocratico, come i paesi scandinavi, i Paesi Bassi, l'Austria. Diversa sembra essere stata la fortuna del corporativismo in Francia e in Italia: nell'un caso per la maggiore capacità dello Stato di conservare autonomi poteri decisionali, nell'altro per le divisioni ideologiche che hanno frammentato la rappresentanza degli interessi ed in entrambi per la più marcata dipendenza delle organizzazioni dei lavoratori dai partiti politici di una sinistra che ha conservato tratti antagonistici. In linea di massima si può dire che, specialmente a livello di politiche dei redditi, i risultati hanno presentato poca stabilità, anche per le difficoltà che i sindacati hanno incontrato a fare accettare alla base in modo durevole una linea di moderazione salariale. Per quanto concerne le conseguenze economiche del corporatismo, i liberisti sono convinti che esse siano state senz'altro negative, dal momento che le rigidità introdotte nel mercato del lavoro hanno finito col penalizzare la produttività dell'intero sistema. Dalla parte opposta, invece, si afferma che, tutto sommato, la politica di accordi tra le parti sociali ha prodotto risultati positivi, dal momento che ha ridotto la conflittualità sociale ed ha favorito, con investimenti tesi ad innalzare i livelli di istruzione dei lavoratori, una generale promozione delle capacità. Un'analoga disparità di giudizi si riscontra nella valutazione delle conseguenze politiche. I LE VALUTAZIONI DEL CORPORATISMO corporatismo e governi __________ _____________________________ in Italia: condizionato da: + divisioni __________________ interessi più _______________ + dipendenza dei sindacati dai partiti di ________________ antagonisti LE CONSEGUENZE _______________ 219 critici liberali muovono questi rilievi: esiste un innegabile rapporto tra il peso accresciuto LE CONSEGUENZE _______________ degli interessi organizzati e l'inadeguatezza delle istituzioni pubbliche - governi e parlamenti - a gestire efficacemente la guida delle società contemporanee, con pericolose conseguenze di «ingovernabilità»; la pratica del corporativismo appanna la corretta distinzione tra maggioranze e opposizioni, che è essenziale alla democrazia; la contrattazione continua tra i gruppi di interesse può portare alla violazione dei fondamentali diritti di libertà del singolo individuo. Dall'altra parte si ribatte che il corporativismo, dimostrando la pacifica raggiungibilità di determinati obiettivi, ha favorito la crescita del consenso verso le istituzioni dello stato democratico, che assicura una maggiore protezione agli interessi più deboli che altrimenti non avrebbero la forza di farsi valere, che garantisce una maggiore rispondenza delle decisioni alle esigenze della società. Che non di una minaccia alla democrazia si tratti, ma anzi di un suo essenziale LE VALUTAZIONI DEL CORPORATISMO 1 marxisti: corporatismo = pace sociale + _________________________ compatibili con ___________________ = “addomesticamento” dei ___________________________ rafforzamento ________________________________ 2 __________________________: Corporatismo = + reddito, occupazione, diritti, assistenza ridistribuzione _____ ______________ _________________________________ ma anche disparità sociali tra + e - ________________________ 3 - ____________________________________: sindacati “addomesticati” perché: assicurano ___________________________________ in cambio di ________________________________________ LE CONSEGUENZE ECONOMICHE 1 ________________________________: + rigidità ____________________________________ - produttività 2 socialdemocratici: - ____________________________ + promozione _________________ LE CONSEGUENZE POLITICHE 1 liberali: a) ingovernabilità b) mancata distinzione tra ________ _____________________________ d) violazione __________________ 2 ________________________________: a) crescita ______________________________ b) stato consente + forza _________________ ____________ e + rispondenza __________________________________________________ c) crescita della ________________ connotato, sarebbe dimostrato, ad es., dalla vicenda della Spagna: uno dei passaggi decisivi per la transizione dalla dittatura alla democrazia fu il «patto della Moncloa» nel 1977, tra l'allora capo del governo, Suarez, che proveniva dalle file della Falange franchista, e il Partito comunista spagnolo, un patto che, prevedendo l'adesione dei sindacati ad una linea di moderazione salariale in cambio della reintroduzione di forme di democrazia nelle relazioni di lavoro, assicurò alla Spagna le premesse per la ripresa economica e il consolidamento del nuovo regime. Meno controversa sembra essere, invece, l'individuazione dei mezzi che hanno permesso la realizzazione del corporatismo. E stato l'ampliamento delle prestazioni dello stato sociale il Stato corporatista e stato _________ fattore che ha permesso di attutire i motivi generali di scontento e di malessere, così da rendere costantemente praticabili le vie del compromesso: si pensi, ad esempio, agli interventi nei confronti della disoccupazione. Messa fortemente in crisi negli anni ’70 dai governi Thatcher, in Inghilterra e Reagan, in USA, e comunque dalla deregulation e dalle privatizzazioni della destra liberale, la politica della concertazione, nonché del Welfare state sembra essere stata rilanciata negli anni ’90 220 dalle vittorie elettorali di Clinton negli USA, Blair in Gran Bretagna e Prodi in Italia La crisi degli anni ______________ (l’alternarsi di governi di governi neoconservatori e socialdemocratici sembra, d’altra parte e il rilancio degli anni __________ caratterizzare il primo decennio del secondo millennio), anche se l’idea che il mercato debba essere maggiormente liberalizzato sembra comunque ormai essere accettata anche dalla ma con un mercato + ____________ forze socialdemocratiche. __________________________ Ciò che maggiormente sta influendo sulla crisi dello stato corporatista è comunque costituito dalla perdita di potere degli stati nazionali in connessione con la globalizzazione delle interdipendenze che sfuggono al controllo del singolo stato (economiche, ma anche ambientali, demografiche, ecc.). Quella che viene correntemente chiamata la globalizzazione dell'economia ha potenziato la forza dei mercati e di conseguenza, poichè mercati e stati seguono logiche diverse, ha ridotto i margini di capacità decisionale autonoma da parte degli stati. Una delle conseguenze di questa perdita di capacità è da indicarsi nel fatto che la politica acquista un carattere per molti aspetti illusorio: restringendosi il ventaglio delle scelte politiche realisticamente praticabili, sempre più gli elettori sono chiamati a scegliere non tra politiche alternative, ma semplicemente tra personaggi diversi. Ma due osservazioni sembrano importanti. Anzitutto l'esperienza ci ha mostrato che l'abdicazione dei poteri da parte degli stati è stata, in una certa misura almeno, anche volontaria, in quanto il richiamarsi ai vincoli internazionali ha giustificato e rese accettabili scelte di politica economico-sociale che altrimenti avrebbero incontrato opposizioni più consistenti. Lo «scudiscio di Bruxelles», ovverosia i vincoli posti dalla Unione europea, ha consentito alle forze politiche di avviare, ad es. in Italia, negli anni '90, processi di risanamento finanziario che erano comunque inevitabili, ma che forse, in assenza di questo pungolo, sarebbe stato più arduo intraprendere. In secondo luogo è opportuno richiamare quanto sostenuto da alcuni studiosi, secondo cui non si deve esagerare oltre misura l'impotenza degli stati a tenere sotto controllo il mondo econo mico, se non a livello nazionale per lo meno a livello internazionale «Paradossalmente, ma forse non sorprendentemente - ha scritto Hobsbawm1 - questo indebolimento dello stato nazionale [è andato] di pari passo con la nuova moda di spezzare gli stati nazionali in entità che a loro volta pretendevano di essere nuovi stati nazionali più piccoli». Uno dei fenomeni nuovi degli ultimi decenni è stata la crescita dei movimenti autonomisti, spesso a fondamenta etniche e nazionalistiche. In taluni casi essi hanno prodotto divisioni all'interno di precedenti stati unitari (si pensi alla ex Jugoslavia, alla ex URSS, alla ex Cecoslovacchia) e in altri hanno portato all'introduzione di ordinamenti accentuatamente federalistici (si pensi al Belgio, all'Austria, alla Spagna, alla Gran Bretagna, ma anche al Canada, al Brasile, nonché alle discussioni che su questo tema da lungo tempo si svolgono in Italia). È un'ipotesi plausibile, che peraltro attende verifiche, quella secondo cui proprio la perdita di incisività dell'azione degli stati nazionali a fronte delle dimensioni mondiali dei problemi, accompagnata da una pressione fiscale che non si riesce a ridurre in modo significativo (detto semplicemente: il fatto che dello stato nazionale si vedono sempre meno i vantaggi e sempre più i costi) starebbe all'origine della valorizzazione di identità più ravvicinate che non quelle nazionali. Né è un caso che forze politiche tradizionalmente poco sensibili ai richiami nazionali, ma fedeli all'idea che spetti alla politica governare l'economia, si riscoprano «patriottiche» nel momento in cui la salvaguardia della sovranità dello stato nazionale appare la condizione per tenere in vita quello che resta dello stato sociale e della pratica politica della contrattazione, contro l'avanzata degli egoismi localistici e l'aggravamento dei condizionamenti economicofinanziari internazionali. LA CRISI DELLO STATO CORPORATISTA L’impotenza dello stato a tenere sotto controllo la _______________ ________________: - l’uso per rendere accettabili scelte _____________________________ - il possibile controllo a livello _____________________________ 1 E.J. Hobsbawn (1917) storico inglese di ispirazione marxista, considerato uno dei massimi storici del Novecento, ha sviluppato i suoi studi soprattutto sulla storia inglese e europea dell’Ottocento e del Novecento 221 LA CRISI DELLO STATO CORPORATISTA Cause: 1 – crisi del Welfare state (deficit ___________________ + _________________________________________) (vedi pag. 4) 2 – globalizzazione _______________________________________ (vedi sotto) 3 – nuove forme di ______________________________________ (vedi pag. 9) 2 – LA CRISI DELLO STATO NAZIONALE Cause: Globalizzazione: + libero _________________ Le conseguenze della crisi dello stato nazionale: 1- -- intervento dello ___________ -- politiche __________________ = Scelte elettorali tra ______________ carattere ___________________ della politica 2 - bassa incisività azione dello ________________ + alta ________________________ = emergere di ______________ locali a- divisioni di stati ex-__________________ (____________________________) b- ________________________________ (Spagna, _____ _________Italia: __________) Questa perdita di potere dello stato territoriale nazionale è stata vista da alcuni storici come un cambiamento epocale. Tra questi C.S. Maier2 che opponendosi alla Difesa stato sociale e difesa _______ _____________________________ periodizzazione del '900 come «secolo breve», compreso tra la prima guerra mondiale e il crollo del comunismo, avanzata da E.J. Hobsbawm, ha individuato come più significativa una «epoca lunga», compresa tra gli anni '60 del XIX secolo e gli anni '70 del XX secolo, contraddistinta dal culmine dell’organizzazione territoriale dell'umanità. Per oltre un secolo, scrive Maier, la territorialità (con l'annessa «ossessione per i confini») è stato l'aspetto che più determinava le fedeltà, le possibilità economiche e i comportamenti pubblici degli individui, in quest'epoca «i destini dei popoli sembravano dipendere dai loro stati nazionali». Non a caso, egli osserva, i nuovi stati che sorsero nella seconda metà dell'Ottocento rifiutarono le soluzioni federaliste e si dotarono di istituzioni saldamente unitarie e centralizzate. Tutto ciò è cambiato nell'ultimo terzo del XX secolo. Lo spazio dello stato nazionale ha perduto rilevanza: a livello politico, dal momento che le decisioni che contano davvero oltrepassano le sue dimensioni territoriali cosicché lo «spazio dell'identità» sempre meno coincide con lo «spazio della decisione»; a livello economico, SVOLTA ___________________? SVOLTA ___________________? secolo ______________(Hobsbawn): (1914 -1990 contrapposizione sistema ___________________ /sistema ___________________) epoca __________________(Maier) o (1860- 1970 epoca degli _________ _____________________________) La crisi dello stato nazionale come _ ___________________ tra: spazio ______________________ e spazio ______________________ causata da: - economia: ______________________________________ - società: emergere _________________________________ a causa della crescente globalizzazione dei mercati; a livello sociale poiché la crisi del Welfare state fa avanzare le disuguaglianze all’interno dello stato nazionale e sgretola la fiducia nel controllo politico dei mutamenti sociali. 2 Charles S. Maier è professore di storia all'università di Harvard e uno dei più noti storici americani. Egli ha dedicato una delle sue ricerche più convincenti e impegnative (“La rifondazione dell’Europa borghese”) allo sviluppo delle idee corporative nell'Europa del primo dopoguerra concentrando le sue ricerche su tre stati campione: Italia, Francia e Germania. 222 Un altro aspetto della crisi dello stato corporatista è legato alla comparsa di nuove forme di associazionismo diverse da quelle dei tradizionali gruppi d’interesse presenti nello stato corporatista. Nuove forme di associazioni che sono quelle del volontariato, dette anche associazioni no-profit. Si tratta di associazioni diverse da quelle dei tradizionali gruppi d’interesse in quanto non agiscono in vista degli interessi del loro gruppo sociale di riferimento bensì in vista di interessi più generali. (ad esempio gli ambientalisti per la gestione dell’ambiente come patrimonio collettivo o i volontari che agiscono per la conservazione dei beni culturali) o di gruppi sociali più deboli (associazioni di aiuto agli immigrati, ai portatori di handicap, sul piano interno, o le associazioni terzomondiste). Questo tipo di associazione inoltre rifiuta il modello di rapporti sociali e politici che sta alla base del lo stato corporatista . Tali rapporti nello stato liberale ottocentesco erano di tipo prevalentemente conflittuale, caratterizzati da un duro scontro tra lavoratori e datori di lavoro. Nello stato corporatista pur perdendo parte della conflittualità i rapporti sociali e politici rimangono comunque fondati sulla competizione per cui tendono a prevalere i gruppi più forti per numero, importanza strategica, peso all’interno dell’opinione pubblica, ecc…, le associazioni no-profit sembrano invece configurare un modello di rapporti sociali fondato non tanto sulla competizione quanto sulla solidarietà. Solidarietà che è intesa sia come scelta di responsabilità individuale da opporsi alla delega al sistema, sia come legame sociale fondamentale sulla cui base dar vita a nuovi rapporti economici (commercio equo e solidale, banche etniche, gruppi d’acquisto, …). In quanto tentativi di configurare nuovi rapporti economici fondati sulla solidarietà queste esigenze si ricollegano a un valore tradizionalmente presente, da un lato, nel mondo cattolico più sensibile all’egualitarismo e, dall’altro, negli ideali del socialismo e del comunismo. 3 – LE NUOVE FORME DI ASSOCIAZIONISMO le associazioni _________________ <> rispetto ai gruppi ____________ a- agiscono in vista di ___________ _____________________________ b- rifiuto rapporti politico-sociali _______________/______________ privilegia rapporti fondati sulla ____________________________ Solidarietà come: a- scelta di ____________________ ctr ___________________________ b- nuovi ______________________ le radici: egualitarismo __________ e ___________________________ 2. I partiti nella seconda metà del `900 I PARTITI NELLA SECONDA I grandi partiti di massa che dominavano la scena nei primi decenni del secolo, in particolare quelli socialisti, erano connotati da caratteristiche abbastanza precise: un'elevata centralizzazione e una notevole disciplina imposta ai propri membri; una notevole "ideologizzazione" e una forte carica ideale, tale da contraddistinguerli nettamente gli uni dagli altri; un alto livello di mobilitazione di massa e una chiara identificazione del proprio riferimento di classe; un alto grado di coinvolgimento nella società civile sotto forma di strutture organizzative, cooperative, circoli permanenti ecc. Con il secondo dopoguerra, invece, sembra scomparire quasi del tutto sia il vecchio modello borghese di partito di rappresentanza individuale (i tradizionali partiti "liberali") sia il partito d'integrazione di massa, prodotti di un'epoca in cui esistevano rigide divisioni di classe, che si vanno trasformando in un partito "del popolo", inteso in senso interclassista Questo nuovo tipo d'organizzazione agisce quasi come l'imprenditore sul mercato economico il quale cerca di rendere più ampie le vendite del proprio prodotto offrendo merci il più possibile adeguate alla "domanda". Il nuovo modello di partito infatti opera sul mercato politico nel tentativo di rendere più larghe le fasce di elettorato sensibili alle sue parole d'ordine e al suo programma. Di conseguenza, contrariamente al partito di massa prebellico, il moderno partito è, in primo luogo, decisamente "deideologizzato", privo cioè di una precisa identità ideologica (o confessionale) che rischierebbe di elevare barriere pericolose nei confronti di settori potenziali di consenso elettorale. In secondo luogo, il nuovo tipo, di partito è caratterizzato, come scrive O. Kirchheimer3, da «un ulteriore rafforzamento dei gruppi dirigenti di vertice, le cui azioni e omissioni sono ora considerate dal punto di vista del loro contributo all'efficienza METÀ DEL `900 3 O. Kirchheimer ha scritto “Le trasformazione dei sistemi politici nell’Europa occidentale” negli anni sessanta individuando delle linee guida nella trasformazione che si stavano verificando nei partiti di massa. 223 dell'intero sistema sociale, piuttosto che dell'identificazione con gli obiettivi della loro organizzazione particolare». In terzo luogo, la trasformazione del modello tradizionale di partito comporta anche «una minore accentuazione di una specifica classe sociale o di una clientela confessionale di fronte alla necessità di assumere l'intero elettorato nazionale, senza alcuna eccezione». Questa trasformazione - da cui precisava Kirchheimer, che scriveva a metà degli anni ‘60, erano esclusi i notevoli residui dei due vecchi partiti classisti di massa, i partiti comunisti francese e italiano (e lo stessa cosa si può sostenere per la Democrazia cristiana per quanto riguarda i partiti confessionali) - comporta una netta modificazione del ruolo stesso dei partiti, che diventano mezzi di mediazione a livello politico tra le posizioni dei diversi gruppi di interesse (forze economiche, sindacati, corporazioni varie ecc.). Per questa via, i compiti stessi del partito politico si fanno più limitati, mentre tendono a scomparire le differenze tra i diversi partiti contrapposti, sempre più "sostituibili". Infatti, prima il partito si faceva elaboratore di un preciso progetto di società che cercava di realizzare governando il paese, mentre ora i partiti si limitano a garantire l’efficienza del sistema promuovendo l’accordo tra i vari gruppi d’interesse. Infine, anche il rapporto con il cittadino si è andato modificando. Nel caso del vecchio partito d'integrazione, il cittadino, se lo desiderava, poteva essergli più vicino. Si I PARTITI NELLA SECONDA METÀ DEL `900 Prima metà ‘900: il partito d’integrazione di _______________: 1 centralizzazione e _____________________ 2 __________________________ e netta contrapposizione 3 preciso riferimento di _____________ e capacità di ___________________ 4 coinvolgimento nella __________________________ Seconda metà ‘900: IL PARTITO ______________________ la ricerca del consenso di _________ _____________________________ CARATTERISTICHE: 1 ___________________________________________________ 2 rafforzamento dei _____________________ 3 non si identifica con __________________________________________ 4 nuovo ruolo: mediatori tra i _____________________________________ a cui si presentano come garanti dell’__________________________ i partiti non hanno più un _________________________________ alternativo condividono l’accettazione del ______________________ partiti _________________________ 5 il rapporto cittadino-partito Prima metà ‘900: partito = canale di ________________ e _________________________ seconda metà del ‘900:partito = canale della ___________ ____________________________ trattava, allora, di una organizzazione meno specializzata, in parte canale di protesta, in parte fonte di protezione, di identificazione e socializzazione e in parte creatrice di immagini del futuro. Ora, nel mondo diverso del partito pigliatutto, il cittadino trova una struttura relativamente remota, il cui compito principale sembra essere divenuto quello di garantire il "consenso", cioè la legittimazione del sistema mentre le forze reali, la burocrazia, il governo, l'industria, lavorano al riparo di ogni controllo diretto. 224 Kirchheimer sembra indicare nello sviluppo economico del secondo dopoguerra e nel passeggio a un'economia opulenta, capace di sostenere le nuove funzioni assistenziali dello Stato, la ragione principale dell'affermarsi del nuovo modello politico. Sarebbe stato infatti il maggior benessere indotto dallo sviluppo a sostituire quelle funzioni di controllo e di socializzazione prima svolte dalle strutture del partito d'integrazione di massa, e a "conciliare" le esigenze delle masse con le funzioni di governo dello Stato. In effetti l'affermarsi del nuovo modello politico coincide con il diffondersi in Europa delle prime esperienze compiute di costruzione dello "Stato assistenziale", di un tipo di governo della società, cioè, che affidando alle strutture pubbliche il compito di garantire il benessere e la sopravvivenza dei cittadini con la sottrazione ai meccanismi di funzionamento del mercato di alcune funzioni minime relative alla distribuzione del reddito e all'assistenza sociale. Il passaggio dal partito d’integrazione al partito del consenso si è accompagnato a una forte deradicalizzazione del conflitto politico garantendo una sostanziale parlameritarizzazione di esso, dal momento che il sistema sociale appare sostanzialmente accettato da tutti, e determinando, nel contempo, una lenta ma progressiva diminuzione dei livelli di partecipazione di massa alla vita politica e anche alle consultazioni elettorali. CAUSA DELLE MODIFICHE DEI PARTITI: funzioni di ___________________e ________________________svolte prima dai partiti ora svolte dal _____ nuovo modello di partito e ________ _____________________________ Effetti delle modifiche dei partiti: 1condivisione del sistema __________________________ del conflitto 2 minor_______________________ 3 Le ideologie nella seconda metà del `900 3.0 La condivisione del sistema 3 1 Socialdemocratici 3.2 Neoliberali o neoconservatori 3.3 La nuova sinistra: dalla contestazione giovanile ai “no global” LE IDEOLOGIE NELLA SECONDA METÀ DEL `900 All’interno del dibattito politico della seconda metà del ‘900 tra le forze, prevalenti a livello parlamentare e di opinione pubblica, che condividono l’accettazione del sistema economico-sociale (mercato di massa) e politico (democrazia rappresentativa e competitiva) e possibile distinguere un’area di centro-destra, neoconservatrice o neoliberale, e un’area di centro-sinistra costituita dalla socialdemocrazia. La tradizione della sinistra socialista e marxista appare invece più vicina all’esperienza di contestazione e rifiuto del sistema condiviso espressa soprattutto negli anni ’70-’80 dalla nuova sinistra e dai movimenti per i diritti civili o in tempi più recenti, dai movimenti ambientalisti e dei no-global e comunque dal delle associazionismo no-profit. LE IDEOLOGIE NELLA SECONDA METÀ DEL `900 La condivisione del sistema: (mercato di _______________ + democrazia___________________) a ______________________________________ (centro-_____________________) b ______________________________________(centro _____________________) La contestazione del sistema: la nuova ___________________ SOCIALDEMOCRATICI L’area socialdemocratica è sicuramente caratterizzata dal ritenere che lo stato democratico debba sia garantire le libertà individuali, sia favorire, almeno in una certa misura, l’effettivo godimento di tali libertà attraverso una politica di redistribuzione del reddito. All’interno dell’area socialdemocratica vi sono in gran parte le forze che erano state l’espressione del movimento operaio quali i vecchi partiti socialdemocratici, sul modello di quello tedesco, che avevano accettato i capisaldi del sistema borghese, il libero mercato, la proprietà privata e il lo stato deve garantire: ___________________________ + favorirne _____________________ attraverso la __________________ del reddito 225 parlamentarismo, già nel corso degli anni ’20, nonché i partiti socialisti e comunisti che man mano dopo la caduta del regime staliniano, l’invasione russa dell’Ungheria (195), la repressione della primavera di Praga (1968), il disfacimento dell’URSS hanno abbandonato la prospettiva rivoluzionaria e della costituzione di una nuova forma di società alternativa a quella capitalista. I socialdemocratici sono stati sicuramente la principale forza promotrice del Welfare state che, come abbiamo già osservato, ha avuto i successi maggiori in quei paesi in cui più salda è stata la guida socialdemocratica. Sul piano teorico e filosofico l’area socialdemocratica ha trovato i suoi punti di riferimento in pensatori come Popper, soprattutto per quel che riguarda la metodologia politica, il riformismo, e Rawls, per quel che riguarda il problema del rapporto tra libertà e giustizia. John Rawls (1921) è uno dei filosofi liberals più significativi dell'attuale dibattito eticopolitico. A lui si deve il libro che, pubblicato nel 1971, ha segnato una svolta nel dibattito sulla libertà e la giustizia: si tratta di “Una teoria della giustizia”. Per chiarire il problema del rapporto tra libertà e giustizia Rawls propone di effettuare un esperimento mentale che riprende i concetti del contrattualismo di Hobbes, Locke e Rouseau. Infatti, in questo esperimento mentale occorre risalire a una sorta di “stato di natura”, che l’autore chiama “posizione originaria”, in cui porre coloro che sono posti a fondare uno stato e, quindi, a scegliere i principi di giustizia che ne devono regolare l’organizzazione e la vita. Nella posizione originaria, le persone - intese come enti morali e razionali - sono immaginate come all'oscuro delle condizioni che avranno in futuro (se saranno cioè poveri, ricchi, bisognosi...). Tale ignoranza, relativamente alla propria posizione futura, unita all'eguaglianza della condizione originaria, è una garanzia dell'equità nella definizione dei principi di giustizia. Secondo Rawls, le persone razionali, se poste in una condizione originaria di eguaglianza, sotto il velo di ignoranza sceglierebbero i seguenti due principi di giustizia: 1) il principio di libertà: un'eguale libertà per tutti e un'eguale possibilità accedere alle cariche pubbliche e ai posti di responsabilità nella società. L’uguale libertà per tutti viene identificata nelle libertà civili e politiche fondamentali, quali: il diritto di voto, attivo e passivo; la libertà di parola e di riunione; la libertà di pensiero e di coscienza; la proprietà dei beni personali; le garanzie legali, come ad esempio la libertà dall'arresto e dalla detenzione arbitraria. Manca soltanto il diritto di proprietà dei mezzi di produzione, perché, secondo l'autore può essere sospeso in talune circostanze, senza che ciò configuri una violazione delle libertà fondamentali dell'individuo. 2) il principio di "differenza". Non conoscendo la propria particolare posizione sociale, infatti, ogni persona razionale dovrebbe optare per la «giustizia come equità»: per la concezione, cioè, che identifica la giustizia con l'ordinamento sociale che assicura la più ampia libertà uguale per tutti compatibile con la coesione sociale, e insieme che consente solo quelle differenze economiche e sociali che, accrescendo la ricchezza complessiva, rendono la condizione dei meno avvantaggiati comunque migliore che in ordinamenti sociali più egualitari. Secondo Rawls, invece, scegliere come regola sociale il principio utilitaristico della più grande felicità collettiva sarebbe irrazionale, perché presupporrebbe da parte di tutti il fatto di accettare una condizione personale illimitatamente cattiva allo scopo di realizzare il massimo benessere sociale medio oppure il massimo benessere complessivo, una scelta che nessun essere interessato potrebbe approvare razionalmente. Questo perché, secondo Rawls, l’individuo razionale nella posizione originaria e sotto il velo dell’ignoranza adotta la «strategia di maximin». Strategia di maximin è quella regola di decisione che consiglia di minimizzare i danni possibili. Una tale regola trae la sua giustificazione dalla constatazione che l'esito finale della nostra condotta è quasi sempre incerto perché dipende da ciò che facciamo, ma anche da un imprecisato numero di ulteriori circostanze ignote. La strategia di maximin suggerire la linea d'azione che, nel caso sfortunato dell’insuccesso, condurrebbe a un risultato comunque meno grave di quello sfortunato cui si potrebbe andare incontro nelle linee d'azione alternative; suggerisce, cioè, la linea d'azione che prevede il l’abbandono della prospettiva __________________________ e della società _________________ La promozione del ______________ I teorici: Popper (?) la metodologia ___________________ Rawls i rapportati tra _________ _________ e __________________ J. RAWLS 226 massimo dei minimi. La concezione di Rawls mette capo a una concezione della società anti-meritocratica e cooperativa, per cui i membri, se agiscono razionalmente, non possono che ritenere dannose le ingiustizie. Infatti il principio della “giustizia come equità” richiede , scrive Rawls “ di riparare i torti dovuti al caso in direzione dell'eguaglianza. Se si vuole assicurare a tutti un'effettiva eguaglianza di opportunità, la società deve prestare maggiore attenzione a coloro che sono nati con meno doti o in posizioni sociali meno favorevoli.”. Infatti, le ineguaglianze economiche e sociali, come ad esempio la diversa distribuzione del potere e della ricchezza, sono giuste soltanto se producono benefici che vanno a compensare i membri meno avvantaggiati della società. Principio che evidentemente richiede la redistribuzione del reddito e afferma la necessità di una riparazione della società verso coloro che sono più poveri e meno fortunati. J. RAWLS L’esperimento _________________ del __________________________ La posizione __________________ = stato di _________________ in cui si sceglie i principi di giustizia _____________________________________ condizione di: 1 ignoranza del ____________________________________ 2 ___________________________ Scelta razionale = 1 principio di ________________: uguale liberta per tutti: diritto di ______________________ libertà di __________________proprietà dei ___________________ garanzie______________________ proprietà dei mezzi di produzione può essere _________________ = possibilità di accedere ai posti di ____________________________ 2 principio di _________________: Giustizia = consentire le differenze che accrescono _____________________________ rendendo la condizione migliore per tutti la scelta della _________________________________irrazionale perché: pone condizione personale __________________ CTR benessere sociale __________________ MA l’individuo ______________ sceglie la strategia del _________________= minimizzare i ________________ _____________ scegliendo il _____ _____________________________ nella posizione originaria: ____________________ = essere tra gli svantaggiati massimo dei minimi = migliorare il più possibile la situazione degli _____________________________ consentendo le _________________ che accrescono _________________complessiva riparando alle _________ A partire dalla fine degli anni ’70 – inizio anni ’80, in seguito alla crisi petrolifera e del Welfare state , dapprima nei paesi anglosassoni e poi anche in altri paesi dell’area occidentale, i movimenti neoconservatori o neoliberali hanno conquistato il potere. Per molti versi lo scontro tra neoliberali e socialdemocratici ha sostanzialmente caratterizzato la vita politica di tre decenni (1980-2010). Non è un caso se il trionfo politico dei neoconservatori si è verificato in una fase di profonde trasformazioni culturali e sociali. Più volte, nella società contemporanea, è avvenuto che in momenti di grande cambiamento si registrasse da parte di ampi settori una richiesta di "tradizione", di ritorno ai valori consolidati, alle gerarchie sociali stabili. Quando, sul finire degli anni settanta, la nuova destra americana cominciò a fare sentire pubblicamente la sua voce, i suoi primi bersagli furono, oltre i resti della nuova NEOLIBERALI O NEOCONSERVATORI La vita politica dagli anni ’70-’80: lo scontro tra _________________ e ___________________________ Crisi (del petrolio, del welfare) e bisogno di ritorno ______________ 227 sinistra, il femminismo e il movimento degli omosessuali; tra le sue prime richieste vi fu il ritorno alla morale sessuale cristiana tradizionale e il ristabilimento della potenza americana nel mondo. La mobilitazione neoconservatrice sembrava volersi indirizzare soprattutto contro quei fenomeni che simboleggiavano la caduta dell'ordine sociale e morale consueto. Anche negli altri paesi i movimenti neoconservatori nelle loro varie espressioni (dal thatcherismo inglese al fronte nazionale francese, fino ai movimenti antisemiti e nazionalistici sorti in Russia nella seconda metà degli anni ottanta) hanno fatto appello soprattutto al disorientamento di una parte della società di fronte a cambiamenti che rimettevano in causa regole di comportamento e giudizi consolidati. Sentimenti di questo tipo sono presenti quasi per definizione in tutti gli strati sociali, compreso il proletariato industriale e gli stessi ceti marginali; e, in effetti, i movimenti e i partiti della "nuova destra" hanno trovato un appoggio elettorale largo e ampiamente distribuito, e sarebbe riduttivo definirli come espressione degli interessi di un solo ceto. E vero, però, che il loro sviluppo non sarebbe stato possibile senza l'apporto specifico dei ceti medi. Negli anni settanta, la fiducia di questo ceto sociale conobbe in molti paesi un autentico crollo: esso subiva insieme il peso crescente dell'imposizione fiscale e i colpi dell'inflazione, che minava i suoi risparmi e indeboliva il suo potere d'acquisto, e (in una situazione di generale appiattimento dei redditi) vedeva assottigliarsi i margini di differenza sociale dalla classe operaia. Era quindi spinto a tentare di organizzarsi autonomamente, magari a imitazione del movimento sindacale, e a richiedere una restaurazione dell'ordine precedente la crisi, una limitazione del potere dei sindacati, una riduzione delle imposte. Tutte parole d'ordine, queste ultime, che vennero riprese nei paesi anglosassoni dal movimento neoconservatore e ne assicurarono il duraturo successo, mentre nei paesi dell'Europa settentrionale vennero fatte proprie dai tradizionali partiti "borghesi" e dalla Democrazia cristiana tedesca. Si può parlare di un ideologia neoconservatrice nell'epoca della "crisi delle ideologie"? Probabilmente sarebbe eccessivo parlare di una visione organica e unitaria, anche perché esistono numerose sfumature diverse di neoconservatorismo; ma è possibile individuare alcuni princìpi e un sistema di valori aggressivamente difeso. Inoltre, si può dire che l'affermazione dei neoconservatori abbia coinciso con un irrigidimento delle posizioni dei partiti di destra, che erano stati nei decenni precedenti dominati da un'ala pragmatica attenta più alla difesa di concreti interessi che all'affermazione di valori e all'esaltazione di simboli. In questo senso, la nuova destra può ben essere definita "ideologica". Cardine essenziale di questa ideologia si è rivelato naturalmente l'anticomunismo: la contrapposizione netta fra i valori del mondo libero e quelli "dell'impero del male” (come il presidente americano Regan definì l'Urss ancora nel 1985), che era sembrata attenuarsi dopo anni di distensione internazionale, è stata rivendicata dai neoconservatori come principio essenziale di ordine: ciò ha significato tra l'altro un parziale ritorno al clima della guerra fredda, superato in seguito solo dall'avvio della disgregazione del sistema di dominio sovietico. Altro cardine di questa ideologia è apparsa l'esaltazione del mercato come massimo e sostanzialmente unico principio regolatore dell'economia e della società, e la rivendicazione di una netta riduzione dell'intervento economico dello Stato. Su questo punto le posizioni neoconservatrici sono quindi divenute "senso comune" largamente diffuso, anche se in realtà la presenza dello Stato nell'economia non è affatto diminuita là dove la nuova destra ha raggiunto il potere: è piuttosto aumentata, ma con caratteristiche relativamente nuove. Forte è inoltre stato il richiamo ai valori patriottici, alla base dell'impulso impresso da tutti i gruppi neoconservatori allo sviluppo delle forze armate e delle spese militari. Le presidenze statunitensi si sono giovate degli interventi militari in varie parti del mondo (dall’America latina all’Iraq), e il governo Thatcher della guerra delle Falkland-Malvinas contro l'Argentina (1982) per ottenere uno stabile e duraturo consenso popolare. Si può in tal senso parlare di un ritorno a forme di patriottismo esasperato e in qualche misura evocante i riti del tifo sportivo, fenomeno che si era già manifestato soprattutto negli anni precedenti la prima guerra mondiale. Storicamente diverso, ma significativo, si è dimostrato anche il richiamo Anni ’70 neoconservatori e il ritorno _______________ e ____________ consueta contro il ______________________ provocato dai cambiamenti La crisi del ceto medio negli anni ’70: imposizione ________________ + ___________________________ _= -- potere _____________________ -- ___________________________ richiesta di _________________ fatta propria da ________________ e ____________________________ L’IDEOLOGIA NEOCONSERVATRICE 1 ____________________________ 2 mercato come unico ___________ del ______________ e della ______ riduzione della _________________ _____________________________ 3 patriottismo e ________________ 228 della Democrazia cristiana tedesca ai valori nazionali e patriottici in occasione 4 il richiamo ai valori ___________ dell'unificazione delle due Germanie (1989-91). L'ideologia dei neoconservatori ha rivelato inoltre significative convergenze con movimenti e tendenze emersi in ambito religioso, soprattutto in reazione alle trasformazioni dei comportamenti e della morale: così è avvenuto nei confronti del grande sviluppo del "fondamentalismo" in ambiente protestante, ma anche di movimenti integralistici in ambito cattolico, e di tipo patriottico ultrareligioso in ambiente ortodosso. Queste correnti hanno mostrato l'esigenza di ristabilire l'autorità dei princìpi religiosi sulla società secolarizzata, di contrastare cioè in qualche modo la tendenza alla scristianizzazione della vita sociale, e la volontà di tornare a una fede certa e tradizionale, chiudendo così, con un ritorno ai fondamenti della religione, i grandi dibattiti che hanno attraversato la teologia degli ultimi decenni. I gruppi evangelici sono stati determinanti nel "riallineamento" politico negli Usa, e l'alleanza tra forze conservatrici e gruppi religiosi decisi a rilanciare l'influenza della Chiesa ortodossa ha inciso in modo imprevisto sul panorama politico della Russia degli anni ottanta. Inoltre, i movimenti neoconservatori in tutto il mondo hanno fatto proprie le battaglie di ampi settori religiosi contro l'aborto. Sotto la categoria di neoliberali o neoconservatori coesistono posizioni anche molto differenti, ma in genere accomunate da un'idea "negativa" di libertà (come assenza di costrizione), accompagnata dall’intenzione di ridurre al minimo l'intervento dello Stato nella vita del cittadino, fino quasi ad abolirlo (tale è la tesi degli anarco-individualisti). Il maggiore rappresentante di tale "liberalismo individualistico" è R. Nozick (1938), il padre ispiratore della destra neoliberista. Nozick si riallaccia alla tradizione liberale classica, da John Locke a John Stuart Mill, per sostenere l'assoluta priorità degli individui sulla società. Egli è convinto che oltre gli individui non si dia altra entità significativa. L’assunto di fondo della sua filosofia è che ci sono soltanto individui, con le loro vite personali e i loro diritti. Egli, sul piano filosofico, sostiene una visione dell'uomo come individuo isolato, spogliato di ogni ruolo e di ogni norma socialmente imposti, dotato di diritti indipendenti da ogni riferimento al sesso, all'età, al colore della pelle, alle credenze, alla famiglia e alla patria. Ogni uomo è un'esistenza separata e indipendente, e deve vivere seguendo un proprio personale piano di vita. Con l'espressione "diritti" Nozick intende i «diversi confini» che limitano le legittime sfere di azione dei singoli: queste sfere sono «inviolabili», ovvero non possono essere varcate senza il consenso dell'individuo. Analogamente a Locke, Nozick ritiene che l'individuo abbia il diritto di perseguire liberamente (cioè, libero da costrizioni esterne) i propri piani di vita, attraverso il diritto alla proprietà, che, se posseduto a giusto titolo, non può subire nessuna limitazione. Per quanto riguarda il tema della giusta proprietà, il ragionamento di Nozick - in linea sempre con Locke - si compone di tre argomenti. Il possesso della proprietà è giusto se rispetta queste condizioni: 1) giustizia nell'acquisizione: valida acquisizione originaria da parte di qualcuno di cose non possedute da nessuno o tramite donazione; 2) giustizia nei trasferimenti: valido passaggio della proprietà da individuo a individuo, fondato, cioè, su uno scambio volontario e non imposto violentemente o fraudolentemente; 3) conclusione: la giustizia nel possesso della proprietà è «storica», cioè dipende dalla correttezza dei vari trasferimenti che la proprietà ha subito a partire dalla validità dell'acquisizione originaria. Similmente al diritto di proprietà tutti i diritti del cittadino sono illimitati per cui si pone una questione molto importante: se i diritti degli individui sono talmente forti ed estesi, quale spazio resta allo Stato e alle sue funzioni? La risposta di Nozick è che lo Stato deve interferire il meno possibile nella vita individuale: lo Stato deve essere «minimo» e non intrusivo. I suoi compiti sono quelli del «guardiano notturno» della concezione liberale classica, cioè di garantire nell'ambito del proprio territorio il rispetto della legge, attraverso la punizione (con l'uso della forza) per chi trasgredisce usando violenza su altri, frodando, non mantenendo i patti. Qualsiasi stato più esteso violerà i diritti delle persone di non essere costrette a compiere certe cose, ed è ingiustificato. Al di fuori di questi compiti lo Stato non I principi teorici del neoliberalismo: 1- libertà = ____________________ ____________________________ 2 stato _______________________ ROBERT NOZICK L’assoluta priorità ______________ sulla _______________________ Individui____________________ e personali ____________________ 229 può e non deve andare, altrimenti lede i diritti degli individui. Lo stato non può usare il suo apparato coercitivo allo scopo di far sì che alcuni cittadini ne aiutino altri, o per proibire alla gente attività per il suo proprio bene e per la sua propria protezione. Così uno Stato che pensasse di provvedere a redistribuire il reddito e a riequilibrare le condizioni sociali, perseguendo politiche di "riparazione" nei confronti delle persone meno avvantaggiate, sarebbe uno Stato che non considera le singole persone come "fini", ma semplicemente come "mezzi" in vista del bene della società, intesa come "la maggior parte" degli uomini (alla maniera dell'utilitarismo) o la totalità (alla maniera di Rawls). Secondo Nozick, non si può estendere alla società il discorso che vale per gli individui: «Come individui, ciascuno di noi a volte preferisce sottoporsi a dolori o sacrifici per ottenere un benessere maggiore o per evitare un danno maggiore [...] Perché non sostenere, analogamente, che qualche persona deve fare sacrifici da cui altre persone trarranno vantaggi maggiori, per amore del bene sociale complessivo? Ma un'entità sociale, il cui bene sopporti qualche sacrificio per il proprio bene, non esiste. Ci sono solo individui, individui differenti, con le loro vite individuali. Usando uno di questi individui per il vantaggio di altri si usa lui e si giova agli altri e basta. Che cosa succede? Che gli viene fatto qualcosa a profitto di ROBERT NOZICK Diritti = sfere d’azione __________________ che consentono all’individuo di realizzare i propri______________________ attraverso _____________________ la giusta proprietà: 1 giusta ______________________: - non era di ___________________ - è stata _____________________ 2 giustizia nei trasferimenti: _____________________________________________________ La giustizia è _________________ (… ovvero chi prima _________________________________________) Diritti individuali _______________e ruolo dello stato lo stato ______________________ ovvero “_______________________________________” garantisce_______________________ punendo ____________________ (violenza, frode, non mantenuto i patti violano i diritti degli ______ o gli impegni liberamente presi) La politica sociale = considerare gli individui come ___________ in vista del bene __________________ Lo stato non può imporre la ___________________ perché ciò significa usare una _________________a favore degli _______________ altri. Ciò è nascosto sotto il discorso del bene sociale complessivo». Comportandosi in questo modo, osserva Nozick, «[lo Stato] non rispetta e non considera sufficientemente il fatto che [ogni persona] è una persona separata e che la sua è l'unica vita che possiede. Quella persona non riceve dal suo sacrificio un bene che ne superi il valore, e nessuno ha facoltà di imporglielo, e meno di tutti uno stato o un governo che pretenda la sua fedeltà e che perciò dev'essere scrupolosamente neutrale nei confronti dei propri cittadini» (“Anarchia, stato e individuo”) . In definitiva, Nozick è convinto che non sia giustificato alcun sacrificio da parte di un La forma di società deve essere individuo per solidarietà con gli altri. liberamente __________________ All’interno dello stato minimo è possibile qualsiasi forma di società, di tipo privatistico ma anche comunista o umanitaria , anche se solo sulla base di una LA NUOVA SINISTRA : LA CRITICA AL partecipazione individuale strettamente volontaria. SISTEMA La scelta socialdemocratica della maggioranza dei partiti storici della sinistra (partiti socialisti e comunisti) ha portato, a partire dalla fine degli anni ’60, alla formazione di una nuova sinistra contraria sia alla socialdemocrazia che al marxismo-leninismo-stalininismo. contraria a: - ____________________________ - ____________________________ 230 La prima modalità in cui si è espressa ed anche il primo momento della sua elaborazione è sicuramente costituito dalla contestazione giovanile degli anni ’60. L'ordine politico delle società sviluppate dell'Occidente e anche quello di alcuni dei paesi "satellite" dell'Urss venne scosso in modo simultaneo, nel 1967-69, da un movimento largamente spontaneo che aveva per protagonisti soprattutto i giovani. Improvvisa e per certi versi imprevedibile, la rivolta giovanile si manifestò sotto forma di ribellione violentemente critica nei confronti dell'ordine dominante. L'istituzione più presa di mira dal movimento fu quella scolastica, attraversata proprio in quegli anni da una profonda crisi. Negli anni del dopoguerra, le istituzioni scolastiche di tutti i paesi industrializzati dell'Occidente videro un aumento massiccio delle iscrizioni a tutti i livelli dalle elementari fino all’università dovuto sia al boom demografico degli anni ’50 ne ’60, sia al fatto che l’allargamento dell’istruzione era uno degli obiettivi del Welfare state. Il movimento americano "per i diritti civili" aveva costituito, fin dall'inizio degli anni sessanta, il prototipo di questa dinamica. Nato nelle università del Nord, il movimento studentesco si era dato come obiettivo essenziale la piena attuazione di quella democrazia americana che la costituzione prometteva ma che la società degli anni cinquanta aveva almeno in parte negato in vario modo, ad esempio con la repressione nei confronti dei comunisti e della sinistra, con il militarismo diffuso, con la persistenza della segregazione razziale in particolare nel Sud. Proprio in alcuni stati del Sud, d'altra parte, appunto negli anni cinquanta era venuto maturando un movimento nero per l'eguaglianza, diretto soprattutto dai leader religiosi protestanti delle comunità di colore. Un importante successo politico era stato conseguito dal movimento nel 1959, quando la corte suprema americana aveva ordinato la fine della segregazione nelle scuole. A questo punto, la resistenza del tradizionale potere bianco del Sud si era fatta minacciosa: si temeva in particolare che lo sviluppo del movimento nero portasse alla fine dell'esclusione di fatto dei neri dal voto, che era stata praticata in tutto il Sud, anche con l'aiuto dell'organizzazione razzista del Ku Klux Klan, dagli anni successivi alla guerra civile. In appoggio al movimento nero del Sud, gli studenti di molte università del Nord degli Stati Uniti diedero inizio alle "marce al sud", che consistevano in massicce campagne di invio di militanti durante l'estate, con il compito di proteggere il diritto al voto della popolazione di colore. Vi furono, in risposta, assassini e linciaggi, mentre i tradizionali leader politici bianchi assumevano posizioni di aperto sostegno alla violenza. Nell'insieme, però, il movimento ottenne significativi successi politici, contribuendo al superamento della segregazione. Al suo interno ebbe inizio un ampio dibattito, che avrebbe toccato anche il problema della differenza fra i sessi (ponendo le premesse alla nascita del movimento femminista) e poi quello del coinvolgimento americano nella guerra del Vietnam. Intanto a partire dal novembre 1967, in diversi paesi europei (Italia, Francia, Germania occidentale, la stessa Spagna soggetta alla dittatura franchista) si diffusero agitazioni studentesche: dapprima concentrata nelle università, che vennero occupate e dove il movimento tentò di dar vita a forme di "controeducazione" alternativa a quella ufficiale, l'opposizione “extraparlamentare”, come all'epoca veniva definita, progettava di investire progressivamente tutta la società. Era il progetto di una "lunga marcia attraverso le istituzioni", formulato in origine dalla nuova sinistra tedesca: un movimento che avrebbe dovuto attraversare l'intera società, trasformandola in profondità. Si trattava di un progetto che si contrapponeva al modello classico della rivoluzione leninista; concentrato sulla presa del potere politico: cambiare la società, oltre e più che l'apparato statale, era infatti la vera finalità di un movimento che aveva le sue radici nelle trasformazioni culturali e sociali profonde da cui era caratterizzata la condizione giovanile. Ben presto, però, lo scontro fra il movimento studentesco e le istituzioni politiche giunse a momenti di grande intensità (marzo: violenti scontri fra studenti e polizia a Roma; aprile: mobilitazione di piazza a Berlino ovest e in altre città tedesche dopo l'attentato contro il leader studentesco Rudi Dutschke). L'espressione "nuova sinistra" venne tenuta a battesimo, nel 1960, da Wright Mills, Le origini: LA CONTESTAZIONE _____________ (anni ______) La ___________________epicentro della contestazione In USA: Movimento studentesco e movimento per _________________ la fine della ___________________ nelle scuole le “marce del sud” e la difesa del _____________________________ In ____________: l’occupazione delle _____________ IL PROGETTO POLITICO: 231 uno dei maggiori sociologi americani e uno degli intellettuali che più influenzarono i movimenti giovanili. Gli elementi di novità nei movimenti giovanili erano molteplici e vari. In primo luogo era ritenuto estremamente importante il riferimento alle lotte dei popoli del terzo mondo, alle rivoluzioni del mondo arabo, dell'Asia e di Cuba. L'Unione Sovietica non veniva più assunta come Stato-guida, ma anzi come uno dei garanti, insieme con gli Usa, dell'ordine da abbattere. In secondo luogo, la nuova sinistra rifiutava la convinzione, comune a tutta la sinistra tradizionale, secondo cui l'evoluzione storica lavorava necessariamente in favore dell'emancipazione del proletariato e dei popoli oppressi. Il timore di una razionalizzazione capitalistica che integrasse i ceti proletari dei paesi avanzati nello sfruttamento dei popoli del "terzo movimento studentesco e ________ mondo", sopprimendo ogni spazio reale di dissenso, rendeva l a ribellione una ______________ in _____________ necessità morale oltre che un compito politico. Il riferimento alla classe operaia, ancora forte in una parte della nuova sinistra europea soprattutto dove, come in Francia e in e _______________ Italia, erano presenti forti partiti comunisti d’opposizione, era invece fondamentalmente assente in quella statunitense. IL PROGETTO POLITICO: (differenze con ________________) 1 - la “lunga marcia __________________________________________ presa del potere ___________________ occupazione dello ____________ ( ________________________) ctr cambiare _____________________ 2 – riferimento alle _____________________________________________________ URSS da ________________________ a garante dell’ordine ___________________________ insieme agli ________ 3 - evoluzione storica ______________________ del proletariato ctr razionalizzazioni _______________ ____________________ _______________________ del proletariato LA PROTESTA SOCIALE IN ITALIA In Italia il progetto di cambiare la società portò il movimento studentesco a collegarsi con le lotte del movimento operaio, in tal modo nel nostro paese l’ondata delle agitazioni non si esaurì tra la primavera e l'autunno del 1968, come in Francia o in Germania, ma continuò e si allargò, fin oltre la metà degli anni settanta, tanto che si può parlare di un ciclo di protesta di ampia durata. Alla base dello sviluppo italiano degli anni cinquanta e sessanta vi era stato un forte aumento della produttività non accompagnato da un proporzionale aumento dei salari e ciò aveva consentito ad alcuni settori della nostra economia di acquistare importanti posizioni sul mercato internazionale. Questa situazione era resa possibile, fra l'altro, dallo scarso potere contrattuale del movimento sindacale, che non era riuscito a imporre una crescita salariale adeguata. Alla fine degli anni sessanta la situazione si rovesciò: il movimento sindacale, che si era a questo punto conquistato una base di massa in precedenza sconosciuta, puntò a recuperare il potere d'acquisto dei lavoratori con una massiccia redistribuzione dei redditi. Una prima manifestazione del nuovo clima si ebbe negli scioperi, dapprima spontanei poi guidati dalle organizzazioni sindacali, del maggio-giugno 1969 alla Fiat. Nell'autunno successivo, che proprio per le lotte sindacali che lo caratterizzarono fu chiamato "autunno caldo", in occasione del rinnovo dei contratti collettivi di lavoro di alcune delle più importanti categorie operaie gli scioperi coinvolsero milioni di lavoratori in tutto il paese, interessati non solo alle rivendicazioni relative al salario e all'orario di lavoro, ma anche, alla questione della salute sul luogo di lavoro, alla difesa dei diritti sindacali, NEGLI ANNI SETTANTA lo sviluppo degli anni __________ bassi livelli ____________________ e scarso potere _________________ L’autunno______________: salari, salute __________________, diritti sindacali 232 alle riforme di alcuni servizi sociali. Il movimento di protesta sindacale sarebbe continuato e si sarebbe sviluppato negli anni successivi, per declinare gradualmente nel periodo successivo alla crisi petrolifera, quando l'Italia registrò livelli di inflazione e di recessione più gravi di quelli degli altri paesi occidentali (1974-75). Lo sviluppo della protesta si accompagnò anche a un rinnovamento del movimento sindacale. Questo si radicò più profondamente nelle fabbriche attraverso l'istituzione dei delegati di reparto, che sul modello anglosassone dovevano rappresentare tutti i diversi gruppi di lavoratori sia presso l'impresa sia presso le organizzazioni sindacali, e attraverso il ricorso ad assemblee plenarie dei lavoratori per le decisioni di maggior rilievo. Questi sviluppi della democrazia sindacale furono favoriti anche da una rilevante innovazione legislativa: la legge detta "statuto dei lavoratori", promulgata nel 1970, permetteva per la prima volta in Italia la piena libertà di organizzazione sui luoghi di lavoro. Nel periodo 1969-79, inoltre, il movimento sindacale italiano ampliò il proprio raggio di azione oltre la sfera della difesa dei lavoratori sul luogo di lavoro, per occuparsi di questioni sociali più generali, come la casa, la sanità, il sistema educativo. Esso contava, in questo modo, di dare impulso a riforme che il sistema politico stentava a varare, e di rimediare alle carenze dell'azione dei partiti. Si è parlato, anche per questo motivo, di una funzione di "supplenza" esercitata dai sindacati nei primi anni settanta: alla scollatura, già evidente allora, tra partiti e società civile, rimediava in parte la presenza dei sindacati, più capillare e più democratica che in passato, in tutti gli aspetti della vita sociale. Il movimento sindacale che guidò le proteste del periodo era, per la prima volta dal 1948, un movimento unitario, che cercava di ridimensionare il peso delle contrapposizioni tra i partiti al suo interno. Le principali organizzazioni dei lavoratori rimanevano tre e ben distinte: la Cgil (Confederazione generale italiana del lavoro), di gran lunga la maggiore, guidata da dirigenti in larga misura appartenenti al Partito comunista e in misura minore a quello socialista; la Cisl (Confederazione italiana sindacati liberi), il cui gruppo dirigente era collegato al partito democratico cristiano; la Uil (Unione italiana lavoratori), la minore delle tre, guidata da dirigenti socialisti, socialdemocratici e repubblicani. Accanto al movimento sindacale un ruolo di rilievo nella vita sociale italiana del periodo, fu svolto anche dalla "nuova sinistra", cioè dai gruppi e movimenti che erano sorti dal movimento studentesco nel 1968-69, e che negli- anni successivi diedero vita a piccoli partiti, non privi di un seguito fra i lavoratori dell'industria e presenti su larga parte del territorio nazionale. Ricordiamo fra gli altri "Lotta continua", "Avanguardia operaia", "Il manifesto" (quest'ultimo sorto da una scissione all'interno del Pci). I gruppi della nuova sinistra parteciparono attivamente alle mobilitazioni operaie e sociali e promossero l'impegno politico delle giovani generazioni. L'identità dei nuovi movimenti e poi dei gruppi che si formarono alla sinistra del Partito comunista era fondata sul rifiuto del gradualismo e del riformismo, e sull'intransigenza rivoluzionaria, il che comportava anche il progetto, almeno teorico, di un sovvertimento radicale, e in prospettiva anche violento, delle istituzioni. Essi avevano quindi un atteggiamento molto critico verso le posizioni del Pci, accusato di avere abbandonato gli ideali rivoluzionari. Il progetto di cambiamento della società, elaborato dalla nuova sinistra, si andava intanto allargando a nuove tematiche che sono emerse già nel corso degli anni ’70, quali quelle dei diritti civili o, nel decennio successivo, le tematiche a mbientali. Sempre nel corso degli anni settanta una parte minoritaria della nuova sinistra scelse la via del terrorismo per esprimere la sua opposizione al sistema. Intanto sul finire degli anni settanta l'ondata della protesta sociale sembrò gradualmente attenuarsi e dopo una fase di drammatiche tensioni, si instaurò un clima di relativa pace sindacale. Il motivo del declino va individuato fondamentalmente nella crisi strisciante dell'economia, inaugurata dalla crisi petrolifera e prolungatasi per tutto il decennio. La crisi economica accelerò il rinnovamento tecnologico degli impianti anche con I SINDACATI: ____________________________ e assemblee Lo statuto __________________ Sindacati e supplenza dei ________: presenza del sindacato nella_______ ___________________ Il sindacato ___________________ Cgil ___________ _________ I gruppi della ________________: gli extraparlamentari nuove generazioni e impegno ___________________ il rifiuto del __________________ e la via rivoluzionaria Il progetto di ________________ ___________. Le nuove tematiche: (precedentemente: ______________ e fabbrica) 1 diritti civili (anni ________) 2 ____________ (anni ’80-’90) Il terrorismo di ______________ La fine della _________________ ___________________ 1 la crisi ______________________ 233 l'introduzione delle nuove tecnologie elettronico-informatiche, portando allo smobilitazione di alcuni settori economici ormai indeboliti (come la grande industria alimentare e la siderurgia) e allo sviluppo di piccole e medie aziende, la cosiddetta economia sommersa, in cui era, ed è tuttora, occupata una manodopera relativamente marginale e scarsamente garantita. Inoltre, lo stesso sviluppo dell'occupazione nei servizi a svantaggio di quella nell'industria comportò in realtà un indebolimento del movimento sindacale: i lavoratori italiani dei servizi, particolarmente di quelli a controllo pubblico, tesero a organizzarsi in sindacati "autonomi" di categoria, generalmente separati, o decisamente contrapposti, ai sindacati confederali nazionali. La perdita di potere contrattuale dei sindacati si è successivamente aggravata grazie all’affermarsi di nuove forme di rapporti di lavoro che hanno trasformato il lavoro dipendente in lavoro autonomo o comunque non garantiscono più al lavoratore la continuità del rapporto di lavoro. Infine, le nuove istanze che cominciarono a farsi sentire dopo il 1972-73 - il femminismo, la difesa dell'ambiente, i diritti civili - contribuirono a indebolire l’ideologia classista che aveva fino ad allora accomunato nuova sinistra, movimento sindacale, organizzazioni politiche "classiche" della sinistra. crisi _______________________ introduzione tecnologie _____________________________ + piccole _____________ + lavoratori dei ____________ sindacati _______________ = indebolimento _________________ nuovi rapporti _________________ 2 nuove istanze (______________ e ____________________________) I primi dibattiti politici sugli effetti inquinanti dello sviluppo si affermarono negli anni sessanta in America. Tra le prime battaglie ambientaliste vi fu sicuramente quella contro indebolimento ideologie _________ l’uso indiscriminato di pesticidi e erbicidi in agricoltura che destarono numerosi dibattiti, polemiche, interesse fra la gente comune e stimolarono il nascere delle prime legislazioni L’AMBIENTALISMO orientate alla tutela pubblica vietando l’uso di determinati principi. Negli anni settanta la coscienza ambientalista ricevette una spinta propulsiva dal verificarsi di alcuni casi di gravissimo inquinamento (ad esempio la nuvola tossica di Seveso che costrinse all’abbandono e all’isolamento dell’intera zona) e dalla pubblicazione dei primi studi, come “Il rapporto sui limiti dello sviluppo” del Club di Roma (associazione non governativa di scienziati, economisti, uomini d’affari e politici che si proponeva di studiare i cambiamenti ambientali su scala mondiale) sugli effetti dell’inquinamento sull’ecosistema terrestre e sulla disponibilità di risorse non rinnovabili.4 Le prime organizzazioni politiche nate dai movimenti ambientalisti si sono affermate tra glia anni settanta (Austria, Inghilterra) e gli anni ottanta (Germania e Italia, 1985), anche se non tutti i movimenti ambientalisti hanno intrapreso un’attività politica diretta, in quanto molti di loro hanno cercato di mantenere il carattere associazionistico e apartitico (WWF, Legambiente). A partire dagli anni ottanta le battagli degli ambientalisti si sono concentrate soprattutto contro l’utilizzo del nucleare come fonte di energia alternativa al petrolio, a cui si oppongono per ragioni ambientali e politiche e a cui preferiscono l’uso di energie rinnovabili. Un’ulteriore battaglia, stimolata in Italia dal periodico verificarsi di catastrofi “naturali/innaturali” (alluvioni, frane, ecc..), è stata condotta a difesa dell’assetto idrogeologico del territorio. Tale battaglia ha portato in evidenza le problematiche legate a una corretta gestione del territorio e delle sue risorse. Si sono evidenziati gli effetti devastanti di un modello di sviluppo fondato sull’urbanizzazione e cementificazione di enormi aree urbane, sull’impoverimento del territorio agricolo destinato alla monocoltura, sulla canalizzazione delle acque dei fiumi e dei torrenti con criteri di gestione esclusivamente privatistici. 4 Le previsioni sulla disponibilità di risorse e l’andamento dei principali indicatori in esame (ad esempio l’incremento demografico) ha seguito sinora piuttosto bene quanto previsto dal Rapporto e il superamento dei limiti fisici del pianeta è diventato sempre più vicino. 234 L’AMBIENTALISMO ANNI ’60: le battaglie contro _______________________________ ANNI ’70: - ______________________________________________________ - gli studi sui limiti _______________________________________ - le organizzazioni _______________________________________ ANNI ’80: - le lotte contro il __________________________ - la difesa ________________________________ la critica al modello di ___________________________: la gestione ___________________________ del territorio: cementificazione + __________________________ + ____________________________ ANNI ’90 + _______________________________ (sviluppo _________________ o decrescita _________________) + carattere _______________________________________ + incisività _______________________________________ Negli anni novanta le tematiche ambientaliste hanno trovato una loro maggiore unitarietà e una maggiore propositività attorno all’idea di “sviluppo compatibile” o, ancora più radicalmente di “decrescita”. Inoltre esse hanno anche assunto un carattere più sociale coinvolgendo, ad esempio, le tematiche relative ai rapporti Nord-Sud del mondo o all’occupazione (creazione di nuovi posti di lavoro legati alla gestione del territorio) e una maggiore incisività sui comportamenti individuali (campagne di boicottaggio delle multinazionali, modelli alternativi di consumo, ecc…). Il concetto di sviluppo sostenibile è stato definito e ridefinito più volte da molte commissioni internazionali, anche sotto l’egida dell’ONU. Esso viene definito come lo sviluppo che fornisce elementi ambientali, sociali e opportunità economiche a tutti gli abitanti di una comunità senza creare una minaccia alla vitalità del sistema naturale, urbano e sociale da cui queste opportunità dipendono. Ciò significa che le attività economiche non possono utilizzare le risorse ambientali e sociali al di là del limite costituito dalle loro capacità di rigenerarsi. Si tratta dell’applicazione del principio di responsabilità del filosofo Hans Jonas: “Agisci in modo che gli effetti della tue azioni siano compatibili con la continuità di una vita autenticamente umana sulla terra”5. 1 – LO SVILUPPO COMPATIBILE Lo sviluppo senza ______________ ____________________________ “agisci in modo che le tue azioni siano ______________________ ____________________________” (H. Jonas) La nuova etica e la responsabilità __________________ (vedi nota) 5 H. Jonas (1903-1993) partendo dalle riflessioni sulla tecnica e le sue applicazioni in campo medico e genetico, ha perseguite l'obiettivo di riconsiderare il discorso etico contemporaneo, andando oltre Kant e l'etica delle intenzioni. La sua diagnosi della condizione contemporanea è impietosa, disincantata e densa di timori sul futuro dell'ambiente, dell'uomo e della società. Partendo da siffatta "etica della paura" per le conseguenze del dominio tecnologico sulla natura e sull'uomo, è giunto a tracciare i lineamenti di una nuova "etica della responsabilità", che tiene conto delle sorti future dell'umanità e raccoglie la sfida della società tecnologica. Le massime dell'etica dell'intenzione ("sia fatta giustizia e perisca pure il mondo") possono valere ancora per il ristretto ambito dei rapporti tra gli individui: «Ama il prossimo come te stesso», «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te»... Secondo Jonas, però, occorre integrare quelle norme con un'altra visione, quella dell'etica della responsabilità ("sia fatta giustizia affinché non perisca il mondo"). Non basta essere a posto con la propria coscienza, ma si deve anche prevedere quali influssi le nostre azioni attuali potranno causare nel futuro (dell'umanità e del pianeta), ad esempio, ponendoci la domanda: «se continuiamo a consumare energia e inquinare il pianeta con gli attuali ritmi che destino riserveremo ai nostri figli e nipoti?». Secondo Jonas, un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano potrebbe essere il seguente: «Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana», oppure, tradotto in negativo: «Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione non distruggano la possibilità futura di una vita siffatta» o anche, più semplicemente: «Non compromettere 235 Anche se solo per l’aspetto ambientale il principio dello sviluppo sostenibile sembra essere stato accettato dalla comunità internazionale. Ad esempio, è stato sottoscritto (1997) un accordo internazionale, noto con il nome di protocollo di Kyoto, con il quale 118 nazioni del mondo, con la notevole eccezione degli USA, si sono impegnate a ridurre le emissioni di gas serra per rimediare ai cambiamenti climatici in atto. Secondo una parte del movimento ambientalista il compito degli ambientalisti è ora quello di far pressioni perché l’accordo venga sottoscritto dagli Stati Uniti e perché ciascun stato effettivamente lavori per risparmiare energia, attraverso l’ottimizzazione sia della produzione che del consumo (impianti ed edifici ad alta efficienza, educazione al consumo consapevole) e lo sviluppo delle fonti alternative di energia per sostituire il massiccio ricorso ai combustibili fossili. I sostenitori della decrescita ritengono invece che il concetto di sviluppo sostenibile sia diventato un modo per cercare di rendere compatibile ciò che in realtà non lo è, ovvero gli interessi economici della società e quelli della natura. Osserva Serge Latouche(19) che storicamente lo sviluppo finisce sempre con il coincidere con la sola crescita economica, ovvero con la progressiva mercificazione dei rapporti tra le persone e con la natura. Un’economia di mercato, un’economia capitalista è comunque volta a sfruttare, valorizzare, trarre profitto dalle risorse naturali e da quelle umane. Di fronte alla globalizzazione che tende a trasformare il mondo in un mercato planetario occorre concepire una società nella quale i valori economici non siano più centrali o unici. L’economia deve essere rimessa al suo posto come semplice mezzo per la vita umana e non come fine ultimo. Questo è reso necessario non solo dal pericolo della distruzione delle condizioni di vita sulla terra ma anche per far uscire l’umanità dalla miseria psichica e dall’ingiustizia sociale. Sicuramente centrale nell’atteggiamenti critico dei sostenitori della decrescita, che significativamente indicano come felice o conviviale, è la constatazione che nemmeno ai benestanti viene offerto un tipo di vita conviviale, felice a causa del carattere antisociale di una società che promuove l’interesse, la competizione, lo sfruttamento. Una società della decrescita deve quindi, innanzitutto, rivedere i valori in cui crede, e sulla cui base le persone organizzano la loro vita, e adattare la produzione ai rapporti sociali in funzione del cambiamento di valori. Quest’ultimi, i valori, devono promuovere sia la ridistribuzione della ricchezza che nuovi stili di vita e di consumo, dal momento che ciò a cui dobbiamo aspirare è un miglioramento della qualità della vita e non una crescita illimitata del PIL. Qualità della vita che presuppone tutt’altra organizzazione sociale in cui le relazioni interindividuali prevalgono sulla produzione e sul consumo di prodotti inutili o nocivi, il tempo libero sul tempo dedicato al lavoro non creativo. Le strategie per realizzare la società della decrescita, secondo Latouche, partono innanzitutto da un’operazione di “decolonizzazione” del nostro immaginario, colonizzato dal consumismo, che comporta una “diseconomizzazione” delle menti in modo da poter mettere al centro della vita umana altri significati e altre ragioni di essere che non siano l’espansione della produzione e del consumo. Questa operazione che è vista come una “sovversione cognitiva” è considerata da Latouche come la condizione preliminare per un sovvertimento politico e sociale. La sovversione si traduce nell’assunzione di nuovi stili di vita, individuali e comunitari, che si attualizzano innanzitutto nella resistenza nei confronti delle assurdità del sistema economico. Ad esempio, rifiutando l’amplificazione dello scambio tipico dell’economia capitalista globalizzata per cui una merce, tipo l’acqua minerale, viene imbottigliata al Nord e venduta al Sud e viceversa, un non senso che ha naturalmente un grave impatto ambientale. Sul piano politico-organizzativo i sostenitori della decrescita ritengono necessario cercare di collegare tra di loro tutte quelle esperienze che si oppongono alla mercificazione totale del mondo per creare una vera società autonoma ai margini dell’economia dominante. Società che deve essere creata da un processo di democrazia associativa che richiama per Il protocollo di ________________ e la sua _______________________ 2 – LA DECRESCITA FELICE – SERGE LATOUCHE sviluppo = crescita _____________ + _____________ mercificazione dei rapporti tra le ______________ ____________________________ distruzione __________________ + ingiustizia __________________ + _____________________________ Carattere _______________ della società ___________ individuale LA SOCIETÀ DELLA ____________ ______________________ le condizioni di una permanenza illimitata dell'umanità sulla terra» oppure, più in generale: «Nelle tue scelte attuali includi la futura integrità dell'Uomo tra gli oggetti della tua volontà» 236 molti versi il progetto di futura società degli anarchici. Processo che coinvolge, da un lato, i progetti volontari e volontaristici di chi nei paesi industrializzati rifiuta in tutto o in parte il modo di vita proposto dal sistema mettendo in atto modi di lavorare, di produrre, di usare il denaro e di vivere diversi ( ad esempio, banche del tempo, banche etniche, comunità neorurali o comunque introducendo nella prassi economica i concetti di solidarietà, cooperazione, amicizia) e dall’altro, al Sud gli esclusi dal progresso, coloro per i quali l’alternativa è l’unica forma di sopravvivenza. nuovi _______________ : + _________________________ LA SOCIETÀ DELLA __________________________________ - _____________________ ridistribuzione _______________ e nuovi _____________________ + tempo libero per: _____________________________ e lavoro _____________________ -- tempo per produzione e consumo di ____________________ o nocivi La strategia per la realizzazione della ____________________ 1 - La sovversione _______________________: decolonizzare l’_______________ per diseconomizzare ________________ 2 la sovversione sociale: a) l’assunzione di _______________________ che esprimono la resistenza contro le ___________ ____ del sistema economico b) l’associazione di chi si oppone alla _______________________ creazione di una società __________ ai margini dell’ ________________ coinvolgendo: 1- nei _____________________: chi ______________________ mette in atto stili di vita __________ 2- nei _____________________: gli __________________________________________________ Serge Latouche e i sostenitori della “decrescita felice” sono sicuramente una delle componenti del cosiddetto movimento dei “no global” in cui convivono componenti, estranee al mondo politico tradizionale e che operano nella società civile in ambiti diverse e con caratteristiche peculiari (ad esempio, associazioni ambientaliste e missionarie). Anche sul piano ideologico il movimento no global ha tratto ispirazione da lavori e intellettuali diversi tra di loro e sparsi in tutto il mondo. Tra di essi Naomi Klein il cui libro “No logo”, serrata critica contro il potere economico e psicologico delle multinazionali, è considerato da alcuni il manifesto del movimento. Oppure Toni Negri, ex leader di “Autonomia operaia” coinvolto e condannato in quanto ideologo in un processo di terrorismo, che vede nella globalizzazione il processo attraverso cui si costituisce “l’impero mondiale” destinato a sostituire lo stato nazionale. In Italia anche alcuni ambienti cattolici, sensibili ai problemi del terzo mondo, sono molto vicini al movimento come, ad esempio, il missionario Alex Zanatelli. Di fatto il movimento no global vuole essere una rinascita della società civile minacciata dai poteri politici ed economici che la vogliono asservire ai loro scopi, promuovere la democrazia diretta e partecipativa, il consumo critico, l’ambientalismo, il pacifismo, l’antiproibizionismo ed è in larga misura non violento. A chi sostiene che la globalizzazione e il capitalismo, a cui i no global si oppongono, sono inevitabili essi hanno risposto coniando lo slogan “Un altro mondo è possibile”. 4. Le classi sociali negli anni ’50-‘80 I NO GLOBAL le componenti: gli ideologi: - N. Klein: la critica alle _________ T. Negri: dallo stato nazionale all’________________________ A. Zanatelli: Nord e Sud del ______ La società contro i poteri _________ e __________________ LE CLASSI SOCIALI NEGLI ANNI ’50‘80 LA CLASSE OPERAIA incremento_________________ aumento_____________________ Nel parlare di "classe operaia" nel periodo 1950-80 va tenuto presente che si fa riferimento non a un'entità statica, ma a un raggruppamento sociale mutevole e instabile. maggior ____________________ 237 Non solo in questo periodo la classe operaia conobbe un incremento del reddito e un rapido mutamento nelle abitudini di consumo e nei livelli di istruzione, ma la sua stessa composizione interna andò mutando, in seguito ai fenomeni di "mobilità sociale" descritti precedentemente. Il caso degli Usa è ancora una volta uno dei più chiari. Nel corso degli anni cinquanta e sessanta le nuove generazioni di alcuni dei gruppi etnici che avevano costituito gran parte della classe operaia americana nei decenni precedenti (irlandesi, italiani, polacchi) poterono, anche grazie alla maggiore scolarizzazione, trovare lavoro in settori diversi, dai servizi alla scuola alle comunicazioni. Ciò comportava non necessariamente un aumento di reddito, ma generalmente un miglioramento di status. Contemporaneamente, altri gruppi giunti più di recente nelle città, come i neri che avevano cominciato a emigrare in massa dal Sud al Nord negli anni venti, i portoricani, gli immigrati messicani (clandestini o legali) andavano a completare i ranghi della grande industria. La condizione operaia si presentava per tutti come una condizione potenzialmente transitoria. Un processo analogo è avvenuto in Europa ed è alla base dei flussi migratori che si sono mossi negli anni cinquanta e sessanta tra le diverse aree del continente (dalle zone sudorientali alla Svizzera, alla Germania, al Belgio) e anche all'interno di alcuni paesi, in particolare dal Sud al Nord dell'Italia, le potenze già coloniali, come la Francia e la Gran Bretagna, hanno invece attratto la nuova manodopera soprattutto dalle ex colonie. In tutti questi paesi è toccato appunto al proletariato immigrante addossarsi le mansioni meno qualificate man mano che la manodopera locale assumeva funzioni meglio pagate. Il processo di formazione e riformazione della classe operaia ha da un lato contribuito a disinnescare la portata politica dei conflitti di lavoro, in quanto i lavoratori con maggiore potere di intervento in campo politico, quelli più radicati nei diversi paesi, erano anche in generale i più relativamente privilegiati; ma ha anche portato al rinnovarsi ricorrente del conflitto tra la gerarchia di fabbrica e i "nuovi" gruppi sociali che, dapprima, rifiutavano di adattarvisi e, poi, trasportavano nella nuova situazione lavorativa i legami interpersonali e le abitudini precedenti la fabbrica. Anche questo fenomeno, quindi, ha prodotto un ricorrere ciclico del conflitto di lavoro, che non ha probabilmente mai minacciato seriamente l'ordine complessivo della società (benché in alcune aree dell'Europa meridionale il movimento operaio fosse egemonizzato da forze dichiaratamente rivoluzionarie), ma ha costituito uno dei maggiori fattori di cambiamento sociale nel periodo 1929-70. Un'espressione come "colletti bianchi" include a partire dagli anni ’50 ancora un altro gruppo sociale, la cui vastità e rilevanza è stata realmente "scoperta" solo nel corso degli anni sessanta. I lavoratori dei servizi, gli addetti alla distribuzione delle merci come al settore della sanità e alla gestione quotidiana della vita urbana, sono anch'essi una categoria in crescita, tanto più rapida quanto più la vita sociale si specializza e il mercato si appropria anche di aspetti dell'esistenza che in precedenza rientravano nell'ambito familiare. Così, per esempio, lo sviluppo nelle moderne società industriali-impiegatizie dell'abitudine a consumare un pasto fuori di casa ha dato luogo a un vastissimo settore economico, fatto di ristoranti, self service,fast food ecc. Questo fenomeno sociale ed economico è esploso in Italia solo negli anni settanta, ma in altri paesi, primo fra tutti gli Usa, aveva conosciuto il suo vero boom negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale. I lavoratori dei servizi, dipendenti da imprese di piccole e medie dimensioni, non vengono generalmente fatti rientrare nella classe operaia proprio perché non producono beni, ma la loro condizione è quella di un proletariato spesso a reddito ancora inferiore e generalmente meno protetto. In seguito alla crescita di questo settore e di quello impiegatizio alla fine degli anni sessanta alcuni osservatori avrebbero cominciato a notare un nuovo fenomeno: la classe operaia di fabbrica, maggioritaria, (sia pure in termini relativi) dagli anni venti in alcuni paesi, dagli anni quaranta o cinquanta in altri, tra cui l'Italia, stava perdendo terreno. I MUTAMENTI NELLA _____________ USA : nuove ______________________ vecchi gruppi etnici scolarizzazione lavori______________________ + status __________ nuovi gruppi _________________ operai EUROPA : migrazioni: a-interne al__________________ b-interne ai __________________ c- da altri ___________________ (ex-colonie) conseguenze: 1 -_________________________ ____________________________ 2- _______________________ __________________________ I CETI MEDI una nuova componente: ________ ____________________________ addetti: - alla _______________________ - alla _______________________ - ai servizi alla _______________ il mercato si appropria delle attività _______________ no classe operaia perché _______ _________________ ma reddito __________e lavoro __________ 238 5. I mezzi di comunicazione di massa dal secondo dopoguerra agli anni ’80: televisione, pubblicità commerciale e sondaggi d’opinione. A caratterizzare il panorama dei mezzi di comunicazione di massa tra il secondo dopoguerra e gli anni ’80 è stata sicuramente la televisione. La tecnologia della televisione venne messa a punto in diversi paesi europei e negli Usa nel corso degli anni trenta. Risale al 1936, in Gran Bretagna l'avvio delle prime trasmissioni televisive regolari, destinate ancora a poche migliaia di abbonati; in Italia, le prime trasmissioni ancora sperimentali vennero avviate nel 1938. Lo sviluppo del nuovo mezzo venne temporaneamente bloccato dallo scoppio della guerra, quando lo sforzo dell'industria, e in particolare dell'industria elettrica più avanzata, venne monopolizzato dalle esigenze militari; proprio in quegli anni, invece, la radio conobbe in molti paesi un boom imprevisto anche perché essa consentiva alla popolazione di superare i vincoli posti dalla censura militare e di ascoltare le posizioni e le informazioni del nemico. Subito dopo la guerra, la televisione conobbe un successo rapidissimo, dapprima negli Usa, poi in Europa occidentale. In Italia le prime trasmissioni televisive si ebbero nel 1954: all'inizio degli anni sessanta la platea televisiva comprendeva già la grande maggioranza della popolazione. Nel corso degli anni la televisione ha poi assorbito le più varie forme di comunicazione esistenti, dal cinema al teatro, dalla tradizione radiofonica all'intrattenimento di piazza. La televisione si è presentata, in tutto il mondo, soprattutto come continuazione e sviluppo della radio. In quasi tutti i paesi industrializzati furono le compagnie radiofoniche (in Italia la Rai, che aveva preso il posto dell'Eiar alla caduta del fascismo) a sperimentare e poi ad avviare le trasmissioni televisive; molti fra i primi dirigenti e autori televisivi provenivano dalla radio. Strumento quotidiano di spettacolo e di informazione domestica, la televisione ha ripreso inoltre dalla radio la tradizione delle trasmissioni in diretta e il "palinsesto"; esso consisteva nella programmazione per fasce orarie, realizzate in modo da fornire nei diversi momenti della giornata quelle trasmissioni più desiderabili da parte del pubblico che si trovasse in casa. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale il consumo di spettacoli cinematografici da parte degli italiani era divenuto un'abitudine tanto consueta e generalizzata che all'epoca dell'avvento della televisione si raggiunse una media di sedici spettacoli all'anno, ovvero più di uno al mese, per ogni abitante della penisola. Si tratta di una cifra tanto più significativa se si tiene conto del fatto che in numerose comunità rurali non c'era una sala cinematografica. Con l'avvento della televisione cominciò, nonostante l'intenso sviluppo economico, il declino del consumo del cinema in sala; questa tendenza sarebbe proseguita inarrestabile fino ai nostri giorni. Secondo le previsioni di molti, lo sviluppo della televisione era destinato inesorabilmente a fare sparire la radiofonia. In realtà, come spesso è accaduto nella storia delle comunicazioni, la "vecchia" tecnologia non venne soppressa dal sopraggiungere della più recente, ma venne piuttosto spinta a occupare nuovi spazi e ad assumere nuove funzioni. Da mezzo "familiare" la radio divenne mezzo individuale, facendosi mobile e miniaturizzandosi (si pensi agli apparecchi a transistor, lanciati alla fine degli anni cinquanta). Anche il pubblico in parte cambiò fisionomia: chi ascoltava la radio non era più la vasta platea composita degli spettacoli serali, ma, a seconda delle fasce orarie, il pubblico giovanile, quello femminile e così via. Con l'avvento della televisione, mezzo autenticamente "di massa", la radio cominciò a specializzarsi, avviando una tendenza che si sarebbe accentuata ulteriormente negli anni settanta. Ormai la casa non era più un luogo privato, separato e protetto nei confronti di una comunicazione pubblica, che aveva come sua sede privilegiata la piazza, le strade, le sale. Essa era divenuta un nodo essenziale del sistema della comunicazione: poteva sia mettersi in contatto simultaneo con altri punti attraverso la rete telefonica, sia accogliere i messaggi più diversi sulle onde della radio e della televisione, sia ancora ospitare i più diversi LA TELEVISIONE la sperimentazione l’assorbimento delle altre forme ____________________________ la continuità con la ___________ il___________ = programmazione per _________________destinata _____________________ diversi televisione e _________________ la radio da mezzo ___________ a mezzo ______________________ la casa come nodo del _________ ______________ 239 patrimoni culturali: dopo i libri, la musica in dischi, le riproduzioni d'arte, sino alle recenti "videoteche". Savigliano anni ’60. Grande folla alla Sagra del grano per le esibizioni dei primi divi della televisione PUBBLICITÀ COMMERCIALE Come si finanziano le comunicazioni di massa? I mezzi più tradizionali (dall'editoria libraria e cinematografica al teatro e al cinema) vengono pagati dai loro utenti con l'acquisto o di un oggetto che contiene una certa quantità di informazioni, come un libro o un disco, oppure di un biglietto che dà diritto di assistere a uno spettacolo. Con la divulgazione della stampa popolare ottocentesca e poi soprattutto con la diffusione della radio e della televisione, si è assistito a un fenomeno nuovo: lo sviluppo di mezzi gratuiti o a prezzi talmente bassi da non coprire se non una parte minima dei costi, come i giornali da un centesimo che si imposero negli Usa alla fine dell'Ottocento. Tutti questi mezzi sopravvivono solo grazie alla pubblicità. Il pubblicitario è un comunicatore di tipo particolare: non vende i suoi messaggi al pubblico, ma, al contrario, compra dai giornali e dalle reti televisive lo spazio o il tempo necessario per diffondere i propri messaggi ("annunci" o "spot"), inserendoli all'interno di altri messaggi, di informazione o di spettacolo; egli poi rivende quanto acquistato al suo vero cliente, le aziende. L'economia della pubblicità funziona in modo per così dire speculare rispetto all'economia delle merci: le aziende, cioè gli stessi soggetti che vendono i prodotti, acquistano il tempo e l'attenzione del pubblico, cioè dei potenziali acquirenti delle loro merci. Qual è il risultato che si intende ottenere attraverso gli investimenti, anche ingenti, richiesti dalla pubblicità? Mentre la propaganda ha l'ambizione di influenzare le coscienze, la pubblicità ha quella solo apparentemente più modesta di condizionare i comportamenti. Essenzialmente, si mira a condizionare i comportamenti di consumo, in particolare si cerca di indurre il consumatore a scegliere abitualmente e quasi macchinalmente un certo marchio, preferendolo a quelli concorrenti. Non a caso i settori economici che spendono di più per la pubblicità sono quelli nei quali molte aziende producono merci sostanzialmente equivalenti fra loro (il caso più noto è rappresentato dal mercato dei detersivi): solo il maggiore attaccamento al marchio spinge il cliente a scegliere un prodotto al posto di quello di un altro concorrente. Nata come fenomeno relativamente marginale negli ultimi decenni del secolo scorso, la pubblicità commerciale moderna si è affermata a partire dagli anni venti come il principale motore del sistema delle comunicazioni. Essa ha man mano assorbito e rielaborato tutti i linguaggi, indirizzandoli ai propri scopi di persuasione immediata. Secondo il liberalismo ottocentesco, l'opinione pubblica era una collettività di individui capaci sia di acquisire e valutare le opinioni espresse da altri, che di farsi una propria opinione e anche di esprimerla. In base a quest'immagine, il primo mezzo di comunicazione di massa, la stampa, aveva la funzione non di guidare o manipolare l'opinione pubblica, ma di rappresentarla. Nel corso del Novecento, anche per la perdita di fiducia, da parte degli intellettuali, nell'autonomia di pensiero delle "masse", si fece strada una concezione differente. Non erano le opinioni dichiarate, ma al contrario gli stati d'animo inespressi della popolazione, a provocare i comportamenti politici più sorprendenti e influenti. Quindi ciò che davvero contava, in una società moderna, non e finanziamento dei _________ __________________________ L’economia della pubblicità Le aziende prendono _____________ + ___________ dei loro futuri ______________ poi _____ glielo fanno _______ scopo: condizionare _________ attraverso l’attaccamento al ___ ______e non al _____________ SONDAGGI D’OPINIONE ‘800 opinione pubblica = minoranza in grado di _______________ e ______ ___________ delle opinioni 240 erano tanto le opinioni espresse sulla stampa, quanto le convinzioni latenti, magari parzialmente inconsapevoli. Da questa concezione nacque negli anni trenta (la fondazione del maggiore istituto di ricerca, il Gallup, risale al 1935) una nuova industria, quella del "sondaggio d'opinione". Attraverso questo strumento, gruppi di specialisti cercavano, e cercano, per esempio, di conoscere le opinioni di un elettorato prima del voto. In questa logica l’opinione pubblica non viene interpretata dal confronto fra le opinioni liberamente espresse da una minoranza di intellettuali e giornalisti, ma dalle risposte ai questionari, cioè dal computo delle opinioni di un campione statistico: un'altra minoranza, ma scelta con criteri di "rappresentatività". In questa logica, l'interprete dell'opinione pubblica non si presenta più come un intellettuale o come un politico, ma come un tecnico-specialista, che fornisce al ceto politico e alle aziende le conoscenze relative alla "volontà popolare". dalle opinioni alle ___________ __________________________ dalla _____________________ di intellettuali alla minoranza scelta statisticamente 241