FRANCESCA BIONDI DAL MONTE
LO STATO SOCIALE DI FRONTE ALLE MIGRAZIONI.
DIRITTI SOCIALI, APPARTENENZA E DIGNITÀ DELLA PERSONA
«Homo sum, humani nihil a me alienum puto»
Publio Terenzio Afro1
SOMMARIO: 1. La “crisi” dei diritti sociali nelle comunità senza confini – 2. I diritti
sociali degli stranieri. Le condizioni del mancato riconoscimento – 2.1 Il diritto alla salute
tra iscrizione al SSN e regolare presenza sul territorio – 2.2 Il diritto all’assistenza sociale
tra residenza, permesso CE e cittadinanza – 2.3 Il diritto all’istruzione tra presenze regolari
e irregolari – 2.4 Il diritto all’abitazione – 2.5 I diritti dello straniero lavoratore – 3. I diritti
sociali degli stranieri come diritti “pluri-condizionati” – 3.1 Giurisprudenza costituzionale e
livelli di riconoscimento dei diritti sociali: presenza sul territorio e residenza – 3.2 (segue)
Possesso di determinati titoli di soggiorno e cittadinanza – 3.3 I diritti sociali degli stranieri
(e dei cittadini): localismo e discriminazioni indirette – 4. I diritti sociali dello straniero nel
prisma della tutela antidiscriminatoria – 5. La tutela dei diritti sociali dello straniero nel
dialogo tra Corti. La Corte europea dei diritti dell’uomo – 5.1 La giurisprudenza della Corte
di Giustizia sulla condizione giuridica dei cittadini di Paesi terzi – 6. Il riconoscimento dei
diritti sociali dello straniero tra effettività e qualità. Prospettive e problematicità legate alla

Una versione sintetica della presente relazione può leggersi nel Volume che raccoglie gli atti del Convegno con il
titolo «I diritti sociali degli stranieri. Politiche di appartenenza e condizioni di esclusione nello Stato sociale».
1
«Sono un uomo e nulla di ciò che è umano lo reputo a me estraneo». La frase è tratta dalla commedia
Heautontimorumenos (Il punitore di se stesso, v. 77) di Publio Terenzio Afro, del 163 a.C. Per il testo della commedia,
cfr. TERENZIO P. AFRO, Adelphoe Heautontimorumenos, a cura di L. PIAZZI, Milano, Mondadori, 2006.
2
qualità dei diritti – 7. Rilievi conclusivi. Le politiche di “appartenenza” e le scelte connesse
alle risorse finanziarie – 7.1 Il convitato di pietra. Superare il paradosso democratico delle
società moderne per contrastare i diritti sociali octroyés. – 7.2 La natura fondamentale dei
diritti sociali e il dovere di solidarietà.
1. LA “CRISI” DEI DIRITTI SOCIALI NELLE COMUNITÀ SENZA CONFINI
Alla base di ogni Stato sociale risiede un compromesso, che consiste nella ricerca di un
equilibrio tra lo sfruttamento della funzione allocativa intrinseca all’autoregolamentazione
del mercato e la necessità di evitare disparità e costi sociali inconciliabili con i requisiti di
integrazione di una società liberale e democratica. La questione è vecchia quanto il
capitalismo stesso, sostiene Habermas 2, e qualsiasi revoca di tale compromesso è idonea a
riaccendere le tendenze di crisi che esso aveva neutralizzato, favorendo la nascita di
sottoclassi separate dal resto della società. Sottoclassi che diventano sempre più numerose e
popolose e rivendicano il riconoscimento dei loro diritti, soprattutto di natura sociale, in
quanto strettamente attinenti a beni essenziali per la persona umana: il lavoro, la salute,
l’assistenza sociale, l’istruzione, la casa.
In questo quadro le istanze neoliberaliste accettano un maggior grado di diseguaglianza
sociale e ritengono giusta la valutazione della posizione espressa dai mercati finanziari a
livello mondiale e dalle spinte della cosiddetta “globalizzazione” 3, evidenziando il dilemma
2
J. HABERMAS, La costellazione postnazionale, Milano, Feltrinelli, 1999, 18.
Sul punto si veda A. SPADARO, Dai diritti “individuali” ai doveri “globali”, Rubettino, Soveria Mannelli, 2005,
69, il quale evidenzia, tra le altre cose, come le spinte della globalizzazione abbiano di fatto inciso sul potere di
decisione economico-finanziaria dei parlamenti nazionali e segnatamente sul potere di decisione fiscale, mettendo in
crisi il controllo democratico del bilancio e del rapporto spese/entrate negli stati nazionali, producendo effetti anche sul
concetto tradizionale di sovranità nazionale. Al riguardo R. BIN, Diritti e fraintendimenti: il nodo della rappresentanza,
in AA.VV., Studi in onore di Giorgio Berti, I, Jovene, Napoli 2005, 370, rileva più in generale come la riduzione del
livello delle prestazioni pubbliche legate ai diritti fondamentali, a cui oggi si assiste, non è affatto una scelta del popolo
3
3
che spinge i governi nazionali ad impegnarsi in un gioco di equilibri «dove determinati e
irrinunciabili obiettivi di tipo economico sono raggiungibili solo a spese di altri obiettivi di
tipo sociale e politico»4. In altri termini, il riconoscimento e la garanzia dei diritti e delle
libertà ci pongono di fronte ad una scelta “a somma zero”, «nel senso che ogni progresso nel
riconoscimento di un diritto o nella garanzia di una libertà comporta un regresso nel
riconoscimento di un altro diritto o nella garanzia di un’altra libertà» 5. Ciò per l’evidente
constatazione che tutti i diritti costano perché tutelarli costa e costa soprattutto garantirli in
modo uniforme ed equo: essi dipendono, infatti, dalla disponibilità collettiva a contribuirvi,
poiché la loro tutela è finanziata dalle entrate fiscali 6. Come è stato sostenuto in dottrina 7, è
quindi possibile ricostruire il rapporto tra espansione dei diritti e loro in-attuazione secondo
una proporzionalità di tipo diretto, per cui si assiste ad una sorta di «paradosso» che lega
l’allargamento/espansione dei diritti (sociali) ad una loro opposta e inevitabile mancata
attuazione, dovuta alla finitezza delle risorse economiche disponibili.
È bene in ogni caso evidenziare come l’argomento della scarsità delle risorse non possa
essere oltremodo enfatizzato fino a dimenticare la centralità delle scelte (di natura
sovrano, ma è una scelta imposta dall’esterno del sistema rappresentativo (patto di stabilità europeo, esigenza di
preservare i parametri fissati in sede comunitaria, condizioni poste dal fondo monetario internazionale). Sugli effetti
della globalizzazione sulla società civile e il welfare state, si veda R. DAHRENDORF, Quadrare il cerchio ieri e oggi,
Laterza, Roma-Bari, 2009, in part. 10 e ss.
4
J. HABERMAS, La costellazione postnazionale, cit., 20.
5
R. BIN, I diritti di chi non consuma, in G. COCCO (a cura di), Diritti dell’individuo e diritti del consumatore,
Giuffrè, Milano, 2010, 95.
6
Al riguardo si veda S. HOLMES e C. R. SUNSTEIN, The Costs of Rights – Why Liberty Depends on Taxes, New York
– London, 1999, trad. it. Il costo dei diritti, Il Mulino, Bologna, 2000. Cfr. inoltre R. B IN, Diritti e fraintendimenti, in
Ragion pratica, 14/2000, 19, per il quale anche le libertà “negative”, pur esprimendosi essenzialmente in una richiesta
di astensione dello Stato e delle pubbliche autorità, hanno un costo, in quanto tutti i diritti e le libertà per poter essere
garantiti hanno bisogno di un’organizzazione pubblica di riferimento. Con specifico riferimento ai diritti sociali, cfr. M.
MAZZIOTTI, voce Diritti sociali, in Enciclopedia del diritto, XII, Giuffrè, Milano, 1964, 806, secondo il quale essi
dipendono, nella loro concreta realtà, dall’organizzazione dello Stato.
7
Cfr. A. SPADARO, I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un nuovo “modello sociale europeo”: più sobrio,
solidale e sostenibile), in Rivista AIC, 4/2011, 4.
4
squisitamente politica) concernenti l’allocazione delle risorse disponibili 8 . Se quindi è
doverosamente necessario mantenere un punto di equilibrio finanziariamente condizionato
per garantire l’attuazione dei diritti enunciati, l’attuale momento di crisi economica impone
una riflessione anche sull’allocazione delle risorse disponibili, la quale deve tenere in
considerazione la tipologia dei diritti (o delle libertà) che è possibile sacrificare ovvero la
possibilità di sacrificare i diritti (e le libertà) di qualcuno a favore di altri. Infatti, non si può
far a meno di evidenziare come si stia prefigurando all’orizzonte «un vero e proprio lineare
regresso delle prestazioni»9, che vede sacrificare in primo luogo proprio i diritti sociali, con
una temibile “inclinazione” verso il basso del piano di tutela delle situazioni giuridiche dei
singoli. E ciò nonostante il riaffermarsi di esigenze primarie di tutela, che vedono il ritorno
della povertà e il suo modo di influire sulla complessiva dinamica dei diritti. Con la crisi
economica «sono tornati i “poveri”» 10 : un mondo che sembrava scomparso grazie alla
diffusione del benessere materiale – o che almeno era confinato in aree sociali più ristrette –
«e con essi è tornato, drammatico e ineludibile, il problema di come assicurare la tutela dei
loro diritti primari».
E come sempre accade quando si comprende che le risorse sono limitate, gli «ultimi
arrivati» (intendendo con essi coloro che hanno un legame meno intenso con il territorio in
quanto stranieri) divengono il primo bersaglio di politiche di esclusione sociale, finalizzate a
restringere la platea dei destinatari delle prestazioni “più costose”, e quindi soprattutto di
8
Sul punto D. BIFULCO, I diritti sociali nella prospettiva della mondializzazione, in Democrazia e diritto, 2005, 214.
A. RAUTI, La “giustizia sociale” presa sul serio. Prime riflessioni, in www.forumcostituzionale.it, 4. Al riguardo
si veda anche R. SIZA, Il progressivo scivolamento delle politiche sociali verso l’assistenza, in Prospettive sociali e
sanitarie, 3/2012, 1 e ss.
10
Come evidenzia S. RODOTÀ, Diritti dei poveri, poveri diritti, in Il Manifesto, 11.2.2012,
http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/6458, in corso di pubblicazione in Rivista di diritto privato. Con
riferimento alla lotta alla povertà quale impegno dello stato sociale, cfr. M. RUOTOLO, La lotta alla povertà come
dovere dei pubblici poteri. Alla ricerca dei fondamenti costituzionali del diritto ad un’esistenza dignitosa, in Diritto
pubblico, 2/2011, 391 e ss.
9
5
quelle di natura sociale 11, attraverso politiche discriminatorie che mettono a «dura prova la
categoria dei “diritti umani” tout court» 12 . Si assiste quindi ad una diminuzione delle
prestazioni offerte o ad una maggiore selezione dei beneficiari delle medesime che vede
spesso esclusi proprio i non cittadini, grazie alla “sperimentazione” – con sempre maggiore
frequenza – di politiche di appartenenza, finalizzate a favorire coloro che hanno un legame
più intenso ovvero duraturo con il territorio nazionale, regionale o locale 13.
Ecco quindi che il rapporto tra immigrazione e welfare si configura come uno dei temi
più problematici delle società contemporanee, caratterizzate da complessi conflitti sociali
riconducibili al “risentimento” che la cittadinanza nutre verso gli “altri” che usufruiscono
della protezione offerta dagli apparati pubblici, quasi che fossero «consumatori di risorse
usurpate ai legittimi proprietari dello Stato» 14 . I più frequenti problemi di convivenza
sembrano, infatti, nascere davanti alle graduatorie di assegnazione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica o in relazione al riconoscimento di prestazioni assistenziali anche agli
“ultimi arrivati”, in una “guerra” tra fasce più deboli della popolazione, talvolta messe in
11
Con riferimento ai diritti sociali, soprattutto nell’attuale momento di crisi dei sistemi di welfare, l’equilibrio
finanziario risulta essere il fattore condizionante più problematico, almeno per quanto riguarda i diritti sociali cosiddetti
di prestazione. Sul punto cfr. D. B IFULCO, L’inviolabilità dei diritti sociali, Jovene, Napoli, 2003, 18 e 164 e ss., che
evidenzia come ciò non incida sulla natura inviolabile degli stessi. Al riguardo si veda anche A. B ALDASSARRE, Diritti
inviolabili, in Enc. Giur. Treccani, vol. XI, 1989. La Corte costituzionale ha del resto in più occasioni evidenziato come
rientri nella discrezionalità del legislatore ordinario la determinazione dell’ammontare delle prestazioni sociali sulla
base delle disponibilità finanziarie. Tuttavia, come rileva R. BIN, Diritti e argomenti, Giuffrè, Milano, 1992, 107, tutti i
diritti (non solo quelli di cosiddetta “seconda generazione”) sono accumunati da una maggiore o minore dipendenza
dalle risorse disponibili, né è pensabile che il dato per cui il costo dei diritti sociali sia tendenzialmente più elevato
possa essere utilizzato per tracciare una linea di demarcazione tra i “veri” diritti e gli altri, in ragione dell’assoluta
arbitrarietà di tale criterio, che ad esso nega ogni evidenza scientifica.
12
A. SPADARO, I diritti sociali di fronte alla crisi, cit., 5.
13
Come vedremo, il riconoscimento di molti diritti sociali viene, infatti, ad essere condizionato dalla sussistenza di
un legame più o meno intenso con il territorio (rectius con l’amministrazione statale, regionale o locale che tale
prestazione deve erogare). Per una critica a tali tipologie di politiche, cfr. S. BENHABIB, I diritti degli altri, Raffaello
Cortina editore, Milano, 2004, in part. 123 e ss. Sul nesso soggetto-appartenza-diritti, si veda anche M. C. LOCCHI, I
diritti degli stranieri, Carocci editore, Roma, 25 e ss.
14
Al riguardo cfr. V. FERRANTE, L. ZANFRINI, Una parità imperfetta, Edizioni Lavoro, Roma, 2008, 13.
6
concorrenza dalla stessa propaganda politica: sintomo patologico di una società «che ha
smarrito il senso di comunità, che vive con disagio il confronto tra diversi e cerca
rassicurazioni nell’ostentazione di superiorità e nell’esaltazione identitaria» 15.
Il problema di fronte al quale i flussi migratori pongono gli Stati europei è, quindi, quello
di stabilire fino a che punto sia giustificabile far prevalere gli obblighi speciali attinenti ad
una determinata appartenenza statale contro obbligazioni universali superanti confini
politici. Gli utilitaristi tentano di fondare questo obbligo sui vantaggi reciproci che i membri
di una collettività traggono l’uno dall’altro 16. Non è un caso che gli Stati cerchino di limitare
il rilascio dei visti di ingresso agli stranieri solo quando esista una fondata speranza che essi
non sovraccarichino la bilancia corrente delle prestazioni e delle rivendicazioni.
In questo quadro assume un ruolo peculiare il legame di appartenenza del soggetto alla
comunità sociale, la cui importanza, secondo Walzer, risiede nella funzione di circoscrivere
ciò che i membri di una comunità politica devono l’uno all’altro, e a nessun altro, o a nessun
altro nella stessa misura 17 . Ed è la stessa fruizione dei benefici ad insegnare il valore
dell’appartenenza: per Walzer, infatti, se non provvedessimo gli uni agli altri, se non
15
Come rileva P. BENI, Crisi e politicità della cittadini, in Questione Giustizia, n. 3-4/2011, 11, in riferimento a
città, troppo spesso spaventate, «che si illudono di difendere il trattamento preferenziale che pretendono debba essere
loro riconosciuto circondandosi di muri».
16
Sul punto J. HABERMAS, Morale, diritto, politica, Einaudi, Torino, 129, il quale evidenzia come secondo questo
modello ogni membro può attendersi che il profitto ottenuto nello scambio con altri associati sia proporzionale alle
prestazioni da lui stesso fornite nei loro confronti. Questa ricostruzione non permette quindi di emarginare i lavoratori
stranieri, ma non è in grado di fondare alcun obbligo nei confronti di quelle categorie che non siano in grado di fornire
alcuna prestazione (malati, anziani, persone in condizione di disabilità).
17
Si veda M. Walzer, Sphere of Justice: a defence of pluralism and equality, Basic Books Inc. Publishers, New
York, 1983, trad. it., Sfere di giustizia, Feltrinelli, Milano, 1987, 72, che richiama anche J. R OUSSEAU, A discourse on
political economy, in The Social Contract and Discourses, trad. it. Discorso sull’economia politica, in Scritti politici,
UTET, Torino, 1970, 388, il quale si chiede come faranno gli uomini ad amare la patria «se per essi […] non
rappresenta niente di più di ciò che non può rifiutare a nessuno?». In posizione nettamente più radicali C. SCHMITT,
Verfassungslehre, V ed., Duncker & Humblot, Berlin, 1970, 169, il quale ritiene naturale l’esclusione degli stranieri dal
godimento non soltanto dei diritti politici ma anche dell’uguaglianza dinanzi alla legge, perché «altrimenti si
distruggerebbero la comunità e l’unità politica e scomparirebbe l’essenziale presupposto tra l’amico e il nemico».
7
riconoscessimo alcuna distinzione fra membri della comunità e stranieri, non avremmo
motivo di formare e mantenere comunità politiche 18. Il problema risiede poi nel capire quali
siano i confini di questa comunità e se essa sia “chiusa” ai nuovi arrivi.
La diversità culturale delle società occidentali riporta quindi alla vexata quaestio del
rapporto tra diritti dell’uomo e diritti del cittadino. A chi sostiene una sorta di
“scomposizione” della cittadinanza finalizzata ad ampliare il novero dei beneficiari dei
corrispondenti diritti 19 , si contrappongono forti pressioni per la riscoperta dell’identità
nazionale e di una definizione più “escludente” di cittadinanza che tenda a circoscrivere
l’ambito dei beneficiari del welfare state 20.
18
Al riguardo si veda anche G. GEMMA, Libertà degli stranieri nel rispetto della legalità, in R. BIN, G. BRUNELLI,
A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), Stranieri tra i diritti. Trattenimento, accompagnamento coattivo, riserva di
giurisdizione, Giappichelli, Torino, 2001, 91 e ss., che individua due modelli distinti nella configurazione dei diritti
degli stranieri: da un lato, quello della protezione degli interessi della comunità politica, dall’altro quello universalistico.
19
Di disaggregazione della cittadinanza parla S. BENHABIB, Another Cosmopolitanism, Oxford University Press,
New York, 2006, 45. Secondo P. COSTA, La cittadinanza, Laterza, Roma, 2005, 3, il concetto di cittadinanza ha subito
negli ultimi tempi le maggiori sollecitazioni, acquistando anche un significato più ampio riferito al rapporto politico
fondamentale fra un individuo e l’ordine politico-giuridico in cui egli si inserisce, prestandosi a colmare una sorta di
“vuoto lessicale e concettuale” che ha permesso di tematizzare un profilo decisivo dell’esperienza (il nesso individuoordine) per indicare il quale non disponiamo di denominazioni alternative. Come evidenzia C. S ALAZAR, “Tutto
scorre”: riflessioni su cittadinanza, identità e diritti alla luce dell’insegnamento di Eraclito, in Politica del diritto,
2001, 380, ogni discorso sulla cittadinanza risente infatti della visione cosmopolita dei rapporti internazionali legata alla
tutela dei diritti umani. Sul punto si veda anche T.H. MARSHALL, Cittadinanza e classe sociale, UTET, Torino, 1976, 7,
il quale definisce la cittadinanza come piena appartenenza ad una comunità: uno status che viene conferito a coloro che
sono membri a pieno diritto di una comunità. Sulle varie definizioni di cittadinanza cfr. P. SCHUCK, Three Models of
Citizenship (15.7.2009), Yale Law School, Public Law Working Paper n. 168; S. V ECA, Cittadinanza. Riflessioni
filosofiche sull’idea di emancipazione, Feltrinelli, Milano, 1990. Più in generale sono gli stessi flussi migratori a
costituire un fattore di accelerazione della crisi degli stati-nazione, sollecitando risposte specifiche in termini di diritti e
integrazione sociale e culturale, come rileva P. C ARROZZA, Nazione (voce), Digesto delle Disc. Pubbl., 1995, 126 e ss.
(ivi in part. 156).
20
In senso critico sul punto, cfr. L. FERRAJOLI, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, in D. ZOLO, La
cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma, 1994, 288, il quale evidenzia come nella crisi degli Stati e
delle comunità nazionali, la cittadinanza non sia più un fattore di inclusione e di uguaglianza, ma rappresenti invece
«l’ultimo privilegio di status, l’ultimo fattore di esclusione e discriminazione, l’ultimo relitto premoderno delle
disuguaglianze personali in contrasto con la conclamata universalità e uguaglianza dei diritti fondamentali». Sulla
«eclissi della cittadinanza» e gli effetti della globalizzazione, cfr. F. CERRONE, La cittadinanza e i diritti, in R. NANIA,
P. RIDOLA (a cura di), I diritti costituzionali, vol. I, Giappichelli, Torino, 2001, 264. Sull’ambivalenza del concetto di
cittadinanza, cfr. Z. BAUMAN, Modernity and Ambivalence, Polity Press, Cambridge, 1991, che la definisce come
8
Una delle sfide più complesse delle democrazie contemporanee è, quindi, rappresentata
dalla necessità di conciliare i crescenti livelli di diversità multiculturale con il senso di una
comune identità da porre alla base dei moderni sistemi di welfare. Il godimento dei diritti
sociali implica, infatti, il diritto a partecipare ugualmente ai vantaggi offerti dallo Stato,
affinché le disuguaglianze di fatto non distruggano l’uguaglianza giuridica, e rappresentano
«la parte che spetta a ciascuno nel conferimento delle risorse individuali in società» 21. Si
tratta quindi di interessi relativi al conseguimento e al godimento di beni essenziali per la
vita degli individui che fondano legittime esigenze da cui derivano a loro volta legittime
aspettative non come individui singoli, uno indipendente dall’altro, ma come individui
sociali, che vivono in società con altri individui22.
l’«ambivalenza della modernità»; R. B RUBAKER, Citizenship and Nationhood in France and Germany, Cambridge,
Harvard University Press, trad. it., Cittadinanza e nazionalità in Francia e Germania, Il Mulino, Bologna, 1997; G. U.
RESCIGNO, Cittadinanza: riflessioni sulla parola e sulla cosa, in Riv. dir. cost., 1997, 37 ss. Sul punto anche L.
ZANFRINI, Cittadinanze. Appartenenze e diritti nella società dell’immigrazione, Laterza, Roma, 2007, XXII, che
sottolinea come al cuore della cittadinanza stia questa singolare compresenza, da un lato, di universalismo di contenuti e
garanzie di diritti soggettivi e, dall’altro, di particolarismo espresso dall’appartenenza a uno specifico gruppo. In via
generale sul punto si rinvia alle opere di E. GROSSO, Le vie della cittadinanza. Le grandi radici storici di riferimento,
Cedam, Padova, 1997, e M. C UNIBERTI, La cittadinanza. Libertà dell'uomo e libertà del cittadino nella costituzione
italiana, Cedam, Padova 1997.
21
Cfr. M. MAZZIOTTI, ult. op. cit., 804, che nell’indagare il concetto dei diritti sociali, procede ad un’analisi della
funzione sociale dello Stato moderno e delle loro prime formulazioni nelle dichiarazioni di diritti. Sulle connessione tra
diritti sociali e forma di Stato, cfr. D. BIFULCO, Cittadinanza sociale, eguaglianza e forma di Stato, in L. CHIEFFI, (a
cura di), I diritti sociali tra regionalismo e prospettive federali, Cedam, Padova, 1999, 27 e ss. (ivi in part. 35).
22
Sul punto N. BOBBIO, Sui diritti sociali, in ID, Elementi di politica, Einaudi, Torino, 1998, 198; B. P EZZINI, La
decisione sui diritti sociali, Giuffrè, Milano, 2001, 3; P. CARROZZA, Riforme istituzionali e sistemi di welfare, in M.
CAMPEDELLI, P. CARROZZA E L. PEPINO (a cura di), Diritto di Welfare. Manuale di cittadinanza e istituzioni sociali, Il
Mulino, Bologna, 2010, 207. Sulla difficile definizione dei diritti sociali come «categoria» unitaria, cfr. C. SALAZAR,
Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2000, 15. In generale si veda A.
BALDASSARRE, Diritti sociali, in Enc. Giur. Treccani, XI, Roma, 1989, 1 e ss.; M. LUCIANI, Sui diritti sociali, in R.
ROMBOLI (a cura di), La tutela dei diritti fondamentali davanti alle Corti costituzionali, Giappichelli, Torino, 1994, 79 e
ss. Al riguardo si veda anche G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, trad. it. di L. FOÀ, Edizioni di
Comunità, Milano, 1949, 100, che lega i diritti sociali all’appartenenza a un gruppo, e cioè come «diritti di
partecipazione dei gruppi e degli individui che derivano dalla loro integrazione nelle unioni e garantiscono il carattere
democratico di queste ultime». Deve inoltre essere evidenziata la duplice natura dei diritti sociali, i quali si compongono
infatti di una matrice personalista, che si traduce nel diritto dei singoli alla fruizione di determinate prestazioni da parte
dei pubblici poteri, e dall’altro di una matrice pluralista che rimanda al profilo partecipativo dei diritti sociali, su cui
9
Tuttavia, come molti studi hanno evidenziato, è diffusa la concezione che il
multiculturalismo “eroda” la fiducia e il senso di comunità tra i cittadini creando un
rapporto inverso fra la gestione delle diversità etniche e le politiche redistributive 23. La
letteratura economica, in particolare, contiene un gran numero di studi sull’impatto dei
flussi migratori nelle società contemporanee, soprattutto finalizzati ad evidenziare la misura
in cui gli immigrati beneficiano dei sistemi di sicurezza sociale dei paesi di accoglienza, e di
come la generosità di tali sistemi influenzi gli stessi flussi migratori 24.
Per tale ragione l’indagine che si intende compiere vuole articolarsi come un percorso a
contrario, ponendo da subito in evidenza le condizioni – poste da leggi e fonti normative
secondarie – del mancato riconoscimento dei suddetti diritti (nella loro interezza o in
riferimento ad alcune singole prestazioni). Lo scopo è quello di analizzare le differenze di
trattamento tra cittadini e stranieri25, al fine di verificarne la conformità a Costituzione. Una
specifica attenzione sarà inoltre dedicata alla giurisprudenza, non solo nazionale ma anche
internazionale ed europea, che ha contribuito significativamente a tutelare i diritti sociali dei
chiaramente si veda D. BIFULCO, I diritti sociali declinati al singolare, ovvero della vocazione di fonte giuridica
propria del “diritto sociale”, in L. CHIEFFI (a cura di), Evoluzione dello stato delle autonomie e tutela dei diritti sociali,
Cedam, Padova 2001, 119.
23
Al riguardo cfr. K. BANTING e W. KYMLICKA, Immigration, Multiculturalism, and the Welfare State, in Ethics &
International Affairs, Volume 20(3), 2006, 281 e ss., e sempre degli stessi A., Do multiculturalism policies erode the
welfare state?, in P. VAN PARIJS (a cura di), Cultural Diversity versus Economic Solidarity, Deboeck Université Press,
Bruxelles, 2004, 227 e ss., nonché più in generale i contributi contenuti in K. BANTING , W. KYMLICKA (a cura di),
Multiculturalism and the welfare state, Oxford University Press, Oxford-New York, 2006. Sulle connessioni tra
immigrazione e welfare state si vedano anche gli approfondimenti contenuti in M. BOMMES, A. GEDDES, Immigration
and Welfare: Challenging the Borders of the Welfare State, Routledge, London, 2000.
24
Cfr. gli studi di G. BORJAS, Immigration and Welfare Magnets, in Journal of Labor Economics, 1999, 607 e ss.; T.
BOERI, B. MCCORMICK (a cura di), Immigrazione e Stato sociale in Europa, Università Bocconi, Milano, 2002; A.
BARRETT e Y. MCCARTHY, Immigrants and Welfare Programmes: Exploring the Interactions between Immigrant
Characteristics, Immigrant Welfare Dependence and Welfare Policy, in Oxford Review of Economic Policy, 2008, 3,
542 e ss.; T. BOERI, Immigration to the Land of Redistribution, IZA discussion paper n. 4273/2009.
25
Il presente lavoro avrà ad oggetto esclusivamente i diritti sociali dei cittadini provenienti da Paesi terzi, al quale ci
si riferirà indistintamente con il termine di straniero, migrante, non cittadino, cittadino di Paese terzo. Per ragioni di
ampiezza, la presente analisi non tratterà la condizione giuridica dei cittadini comunitari e dei loro familiari, anche
provenienti da Paesi terzi, nonché la condizione giuridica dei migranti che chiedono protezione internazionale.
10
non cittadini, grazie ad un dialogo verso standard di tutela più elevati, fondati soprattutto sul
principio di non discriminazione.
Ne esce una storia di rivendicazioni, compiuta soprattutto in via giurisprudenziale, che
stimola una continua e rinnovata riflessione su alcuni fenomeni tipici del nostro
costituzionalismo, tra i quali il superamento dello status civitatis quale criterio di
riconoscimento dei diritti della persona. Tale analisi permetterà di mettere in luce anche i
riflessi che certe politiche di “chiusura” possono avere sugli stessi cittadini, offrendo
l’occasione per ripensare alcune scelte in materia di diritti sociali, tra localismo e vincoli
finanziari.
2. I DIRITTI SOCIALI DEGLI STRANIERI. LE CONDIZIONI DEL MANCATO RICONOSCIMENTO
L’indagine che si intende compiere nel presente paragrafo vuole mettere in luce le
condizioni per le quali certi diritti sociali (ovvero certe prestazioni) non sono egualmente
riconosciute alla generalità delle persone che si trovano su un determinato territorio, bensì
solo ad alcuni di essi, secondo criteri di inclusione/esclusione che meritano di essere
indagati in questa sede
26
. A tal proposito saranno specificamente considerati quei diritti
sociali legati a bisogni fondamentali della persona umana, quali il diritto alla salute,
26
Per un approfondimento generale su immigrazione e sanità, istruzione, alloggio e integrazione, si rinvia a B.
NASCIMBENE (a cura di), Diritto degli stranieri, Padova, Cedam, 2004, p. 973 ss. Tra i lavori più recenti, si veda G.
BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, Jovene, Napoli, 2007, 282 e ss.; B. PEZZINI, Una questione che
interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non-cittadino, in AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino. Atti
del XXIV Convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti. Cagliari, 16-17 ottobre 2009, Napoli,
Jovene, 2010, 163 ss.; G. BASCHERINI, A. CERVO, I diritti sociali degli immigrati, in C. PINELLI (a cura di), Esclusione
sociale. Politiche pubbliche e garanzie dei diritti, Passigli, Firenze, 2012, 17 e ss. Per un approfondimento del tema,
anche in chiave comparata, cfr. G. ROMEO, La cittadinanza sociale nell’era del cosmopolitismo: uno studio comparato,
Cedam, Padova, 2011, 131 e ss.
11
all’assistenza sociale, all’istruzione, all’abitazione e al lavoro 27. Se è nella natura degli stessi
diritti sociali l’essere strettamente attinenti alla protezione di beni essenziali alla persona,
appare utile indagare anche se esistono dei confini a tale “essenzialità” legittimanti una
diversa allocazione delle prestazioni (e delle risorse che ne permettono l’attuazione) tra la
popolazione.
Il riferimento principale sarà costituito dall’analisi della normativa vigente. Come noto,
infatti, i diritti sociali hanno una struttura condizionata alla mediazione legislativa
necessaria per definire le condizioni di accesso e fruizione del bene oggetto del diritto,
mediazione legislativa che con riferimento specifico agli stranieri deve essere esercitata in
conformità a quanto previsto dalle norme e dai trattati internazionali, come affermato
dall’art. 10 della Costituzione 28.
In via generale, il testo unico in materia di immigrazione 29 prevede che allo straniero
comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato siano riconosciuti i diritti
fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni
internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.
Mentre appare più ampia la tutela dello straniero regolarmente soggiornante nel territorio, al
27
Secondo V. ONIDA, Eguaglianza e diritti sociali, in AA. VV., Corte costituzionale e principio di uguaglianza,
Cedam, Padova, 2002, 103, sono diritti sociali fondamentali il diritto a procurarsi con il proprio lavoro i mezzi di
sussistenza per sé e per i propri familiari, il diritto ad ottenere i mezzi di sussistenza in tutte le ipotesi in cui vengano
meno o diminuiscano le capacità lavorative, il diritto all’istruzione, il diritto alla tutela e al ripristino della salute
individuale ed il diritto ad usufruire di un’abitazione dignitosa. Sui diritti sociali come diritti fondamentali, cfr. P.
CARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2011, 489 e ss.; A. BALDASSARRE, Diritti
della persona e valori costituzionali, Giappichelli, Torino, 1997, 208 e ss., e A. D’ALOIA , Storie “costituzionali” dei
diritti sociali, in AA.VV., Scritti in onore di Michele Scudiero, Jovene, Napoli, 2008, 716. Al riguardo si veda anche
A. PIZZORUSSO, Le «generazioni» dei diritti nel costituzionalismo moderno, in M. CAMPEDELLI, P. CARROZZA, L.
PEPINO (a cura di) Diritto di welfare, cit., 52.
28
Come evidenzia B. PEZZINI, Una questione che interroga l’uguaglianza, cit., 167. Sul rispetto della riserva di
legge in materia di immigrazione e la “legislazione per circolari”, cfr. P. BONETTI, La condizione giuridica del cittadino
extracomunitario, Maggioli, Rimini, 1993, 24.
29
Cfr. art. 2 del d.lgs. 286/1998. Per brevità nel prosieguo del lavoro ci riferirà al citato decreto come “testo unico”.
12
quale sono riconosciuti i diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, è assicurata
parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e
degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai
pubblici servizi, e, con specifico riferimento ai lavoratori stranieri regolarmente
soggiornanti e alle loro famiglie, è assicurata parità di trattamento e piena uguaglianza di
diritti rispetto ai lavoratori italiani.
La principale distinzione nel riconoscimento dei diritti risiede, quindi, tra stranieri
regolarmente o non regolarmente presenti sul territorio 30. Tuttavia lo stesso testo unico, così
come molte discipline regionali e locali di cui si darà conto 31 , introducono distinzioni
30
Al riguardo si veda E. ROSSI, Da cittadini vs. stranieri a regolari vs. irregolari. Considerazioni sull’evoluzione
della disciplina giuridica dei non cittadini nell’ordinamento italiano, in corso di pubblicazione in Rivista di Diritto
Costituzionale, 2012.
31
A seguito della revisione costituzionale del 2001, molte Regioni hanno infatti adottato proprie leggi in materia di
integrazione sociale degli stranieri e assistenza sociale, contribuendo a delineare autonomamente un quadro completo e
specifico degli interventi a favore degli stranieri sul territorio regionale. Al riguardo cfr. P. B ONETTI, I principi, i diritti
e i doveri. Le politiche migratorie, in B. NASCIMBENE, Diritto degli stranieri, cit., 175 e ss. Con riferimento ad alcune
esperienze concrete si veda T. CAPONIO, Città italiane e immigrazione. Discorso pubblico e politiche a Milano,
Bologna e Napoli, Bologna, 2006. Del resto, la stessa giurisprudenza costituzionale ha progressivamente riconosciuto
uno spazio di intervento sempre più ampio alla legislazione regionale in materia di immigrazione, circoscrivendo la
competenza statale esclusiva alla «programmazione dei flussi di ingresso ovvero al soggiorno degli stranieri nel
territorio nazionale». Sul riparto di competenze in materia di immigrazione si veda A. R UGGERI, C. SALAZAR, «Ombre e
nebbia» nel riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di emigrazione/immigrazione dopo la riforma del
Titolo V, in M. REVENGA SANCHEZ (a cura di), Problemas constitucionales de la inmigration: una vision desde Italia y
España, Tirant lo Blanch, Valencia, 2005, 309 e ss; P. PASSAGLIA, «Immigrazione» e «condizione giuridica» degli
stranieri extracomunitari: la Corte costituzionale precisa i termini del riparto di competenza (…e torna sulla portata
delle enunciazioni di principio contenute negli statuti), in Foro it., 2006, I, 351; D. STRAZZARI, Riparto di competenze
tra Stato e Regioni: alla ricerca del confine perduto?, in Le Regioni, 2006, 1036 ss., C. SALAZAR, Leggi regionali sui
diritti degli immigrati”, Corte costituzionale e “vertigine della lista”: considerazioni su alcune recenti questioni di
costituzionalità proposte dal governo in via principale, in S. GAMBINO, G. D’IGNAZIO (a cura di), Immigrazione e diritti
fondamentali, Giuffrè, Milano, 2010, 392 e ss. Per un commento delle più recenti decisioni della Corte costituzionale in
materia, si veda G. BASCHERINI, Il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di immigrazione al tempo del
“pacchetto sicurezza”. Osservazioni a margine delle sentenze 269 e 299 del 2010, in Giur. Cost., 2010, 3901; L.
RONCHETTI, I diritti fondamentali alla prova delle migrazioni (a proposito delle sentenze nn. 299 del 2010 e 61 del
2011), in Rivista AIC, 3/2011, 3; D. STRAZZARI, Stranieri regolari, irregolari, “neocomunitari” o persone? Gli spazi
d’azione regionale in materia di trattamento giuridico dello straniero in un’ambigua sentenza della Corte, in Le
Regioni, 5/2011, 1037 e ss.
13
ulteriori, contribuendo ad una progressiva frammentazione della condizione giuridica dello
straniero sul territorio nazionale 32.
2.1 IL DIRITTO ALLA SALUTE TRA ISCRIZIONE AL S.S.N. E REGOLARE PRESENZA SUL
TERRITORIO
Iniziando dal diritto alla salute, occorre preliminarmente sottolineare come, dei molteplici
profili ad esso riconducibili, ai fini della nostra indagine rilevi in particolare la pretesa
positiva dell’individuo a che la Repubblica predisponga le strutture e i mezzi idonei a
garantire cure adeguate a tutti e cure gratuite agli indigenti33.
Con specifico riferimento agli stranieri, l’effettività e garanzia del diritto alla salute,
proclamato come fondamentale all’art. 32 Cost., soffre di due importanti condizioni
rappresentante dall’iscrizione al servizio sanitario nazionale e dalla regolarità della presenza
sul territorio 34 . Sono due condizioni dalle quali dipende nel primo caso l’obbligo di
32
Di per sé la condizione giuridica dello straniero risulta di difficile definizione, in considerazione delle molteplicità
e varietà di fonti che si sovrappongono, come rileva E. GROSSO, Straniero (statuto costituzionale dello), Digesto delle
discipline pubblicistiche, XV, UTET, Torino, 1999, 158, per cui le diverse figure giuridiche che vengono genericamente
ricondotte al termine “straniero” sono caratterizzate da un solo dato comune rappresentato dall’assenza della qualità di
cittadino italiano. Sul punto si veda P. PASSAGLIA, R. ROMBOLI, La condizione giuridica dello straniero nella
prospettiva della Corte costituzionale, in M. REVENGA SANCHEZ (a cura di), Problemas constitucionales de la
inmigration, cit., 11 e ss. (ivi in part. 13). A tale complessità si aggiunge, come vedremo, anche la frammentazione della
condizione giuridica dello straniero derivante dalle differenti discipline regionali e locali.
33
In generale sul punto, P. CARETTI, I diritti fondamentali, cit., 517 e ss.; C. TRIPODINA, Commento all’art. 32, in S.
BARTOLE, R. BIN (a cura di), Commentario alla Costituzione, Cedam, Padova, 2008, 321 e ss., A. MANGIA ,
“Attuazione” legislativa ed “applicazione” giudiziaria del diritto alla salute, in Diritto Pubblico, 3/1998, 751 e ss., B.
PEZZINI, Principi costituzionali e politica della sanità: il contributo della giurisprudenza costituzionale alla definizione
del diritto sociale alla salute, in C. E. GALLO, B. PEZZINI, Profili attuali del diritto alla salute, Giuffrè, Milano, 1998, 7
e ss. Con specifico riferimento ai diversi modelli sanitari regionali, tra livelli essenziali e federalismo fiscale, si vedano i
contributi contenuti in E. CATELANI, G.C. FERONI, N.C. GRISOLIA, Diritto alla salute tra uniformità e differenziazione,
Giappichelli, Torino, 2011.
34
Per una completa ricostruzione delle previsioni del testo unico in materia di salute dello straniero, cfr. V.
CASAMASSIMA, Il diritto all’assistenza sanitaria degli stranieri in Italia, in M. REVENGA SANCHEZ (a cura di),
Problemas constitucionales de la inmigration, cit., 433 e ss. (ivi in part. 442).
14
pagamento per le prestazioni ricevute e nel secondo la fruizione di un complesso più
ristretto di prestazioni.
Con riferimento all’iscrizione al S.S.N., essa risulta obbligatoria per la maggior parte
degli stranieri (tutti coloro che sono titolari di un permesso di soggiorno per motivi di
lavoro, per motivi familiari, per asilo politico, per asilo umanitario, per richiesta di asilo, per
attesa adozione, per affidamento, per acquisto della cittadinanza), ed i benefici si estendono
anche ai familiari. Coloro che non rientrano in tali categorie sono tenuti ad assicurarsi
contro il rischio di malattie ed infortunio mediante polizza assicurativa privata ovvero
mediante iscrizione facoltativa al S.S.N., estesa anche ai familiari a carico, pagando un
contributo annuale determinato con decreto interministeriale 35 . Tale iscrizione non è
frazionabile, è valida per l’anno solare e non ha decorrenza retroattiva rispetto alla data di
rilascio del permesso di soggiorno, proprio perché l’iscrizione ha valore costitutivo del
diritto all’assicurazione sanitaria 36. Una volta avvenuta essa dà diritto a pari condizioni di
trattamento rispetto al cittadino italiano. In mancanza di iscrizione vengono comunque
assicurate le prestazioni sanitarie dietro pagamento del relativo costo, determinate dalle
Regioni e dalle Province Autonome.
35
Per l’iscrizione volontaria al S.S.N. è previsto il pagamento di un contributo (euro 387,34 annui), ridotto per gli
studenti stranieri e gli stranieri collocati alla pari. Problematico è l’accesso al servizio sanitario nazionale per le persone
straniere con età superiore ai 65 anni che ottengono il ricongiungimento familiare con un figlio/figlia straniero residente
in Italia, i quali sono tenuti al possesso di una polizza assicurativa ovvero all’iscrizione volontaria al S.S.N., pagando un
contributo il cui importo deve essere stabilito con decreto del Ministero della Salute. Tale decreto non è tuttavia stato
ancora emanato. Al fine di favorire la copertura sanitaria di tale categoria di stranieri, nelle more dell’emanazione del
decreto, in data 23.7.2010 la Regione Emilia Romagna ha emanato una circolare rifacendosi alle tariffe generali previste
in materia di iscrizione volontaria, salvo conguaglio.
36
Per gli stranieri per i quali l’iscrizione è obbligatoria, essa retroagisce al momento dell’ingresso sul territorio
nazionale.
15
L’aspetto più problematico concerne la condizione di regolarità 37. Ai cittadini stranieri
non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno sono, infatti, assicurate
soltanto le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali per malattia ed
infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute
individuale e collettiva. Come chiarito dalla normativa di rango secondario 38, le cure urgenti
garantite sono tutte quelle prestazioni sanitarie «che non possono essere differite senza
pericolo per la vita o danno per la salute della persona», mentre rientrano tra le cure
essenziali «le prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non
pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare
maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o
aggravamenti)». È stato, altresì, affermato il principio della continuità delle cure urgenti ed
essenziali, nel senso di assicurare alla persona il ciclo terapeutico e riabilitativo completo
riguardo alla possibile risoluzione dell’evento morboso. La stessa legislazione specifica poi
in dettaglio quali prestazioni sono garantite, con una particolare attenzione a quelle relative
alla tutela della gravidanza e della maternità, e alla tutela della salute del minore.
Si tratta, quindi, di un complesso di prestazioni numericamente inferiori, che coprono
(dovrebbero coprire) ogni tipo di prestazione essenziale per la vita della persona. La
valutazione di tale attinenza alla tutela della persona rimane comunque al personale medico,
il quale si è mostrato – soprattutto negli ultimi anni – assai molto sensibile alle “istanze
della persona umana”. Basti pensare alla campagna promossa dagli stessi medici 39 a seguito
37
Con specifico riferimento alla condizione di non regolare presenza sul territorio, cfr. E. GROSSO, Stranieri
irregolari e diritto alla salute: l’esperienza giurisprudenziale, in R. BALDUZZI (a cura di), Cittadinanza, Corti, Salute,
Cedam, Padova, 2007, 157 e ss.
38
Cfr. circolare n. 5 del 24.3.2000 del Ministero della salute.
39
Si ricorda il movimento di sensibilizzazione della società civile rappresentato dalla campagna “Divieto di
segnalazione. Siamo medici e infermieri non siamo spie”, lanciata da Medici Senza Frontiere (MSF).
16
della proposta – non divenuta legge – di abrogare il divieto di segnalazione dello straniero
non regolarmente presente che accede alle strutture sanitarie 40 : presidio di garanzia ed
effettività del diritto alla salute del migrante 41.
La necessità di fruire di cure urgenti ed essenziali può inoltre costituire un motivo di
impugnazione dell’eventuale decreto di espulsione nel frattempo ricevuto: tale garanzia, non
legislativamente prevista, è stata “creata” in via giurisprudenziale dalla Corte
costituzionale 42. Essa è rimessa ad una valutazione caso per caso del giudice in sede di
impugnazione del provvedimento amministrativo, il quale – sebbene supportato da
consulenze mediche – si trova a dover interpretare gli incerti confini dell’essenzialità ed
urgenza delle cure.
A conferma comunque della garanzia offerta al diritto alla salute, deve inoltre essere
evidenziato che la legislazione, pur affermando che di norma non esiste il principio della
gratuità delle prestazioni erogate dal S.S.N. ai cittadini non iscritti, prevede che le
prestazioni siano erogate senza oneri a carico degli stranieri irregolarmente presenti qualora
40
L’art. 35 del testo unico prevede che l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le
norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il
referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano. Al fine di garantire l’anonimato del paziente, si prevede che in
sede di prima erogazione dell’assistenza la prescrizione e la registrazione delle prestazioni vengano effettuate
assegnando al paziente un codice regionale a sigla STP (Straniero temporaneamente presente), come indicato nell’art.
43, comma 3, del regolamento di attuazione, che ha validità semestrale ed è rinnovabile in caso di permanenza dello
straniero sul territorio nazionale. Tale codice identificativo garantisce l’anonimato del soggetto e deve essere utilizzato
sia per la rendicontazione, ai fini del rimborso, delle prestazioni erogate dalle strutture accreditate del S.S.N., sia per la
prescrizione, su ricettario regionale, dei farmaci.
41
Tale proposta emendativa, formulata in sede di discussione della l. 94/2009, non è stata approvata. La vigenza del
divieto è stata ribadita sia dal Ministero dell’interno (circolare n. 12 del 27.11.2009), che dalle singole Regioni,
intervenute con apposite circolari finalizzate a scongiurare qualsiasi incertezza interpretativa, soprattutto a seguito
dell’entrata in vigore del reato di ingresso e soggiorno sul territorio (art. 10-bis del d.lgs. 286/1998).
42
Cfr. Corte cost. sent. 252/2001, con la quale la Corte, adottando una decisione interpretativa di rigetto, ha chiarito
che di fronte ad un ricorso avverso un provvedimento di espulsione si dovrà, qualora vengano invocate esigenze di
salute dell’interessato, preventivamente valutare tale profilo e nel caso non procedere all’espulsione del soggetto che
potrebbe subire, per via dell’immediata esecuzione del provvedimento, un irreparabile pregiudizio del suo diritto alla
salute.
17
privi di risorse economiche sufficienti, fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a
parità di condizioni con il cittadino italiano.
Alla luce della rilevanza costituzionale del diritto alla salute, la più recente
giurisprudenza ha riconosciuto anche il diritto al risarcimento dei danni conseguenti alla
lesione dell’integrità personale prescindendo dalla verifica della condizione di reciprocità,
richiesta da un primo orientamento giurisprudenziale. Sul punto la Corte di Cassazione ha
avuto modo di affermare che la condizione di reciprocità è applicabile solo in relazione a
diritti non fondamentali della persona, «poiché i diritti fondamentali come quelli alla vita,
all’incolumità ed alla salute, in quanto riconosciuti dalla Costituzione, non possono essere
limitati da detto articolo [art. 16 delle preleggi al c.c., ndr] e la relativa tutela va quindi
assicurata, senza alcuna disparità di trattamento, a tutte le persone, indipendentemente dalla
cittadinanza comunitaria od extracomunitaria»43.
2.2 IL DIRITTO ALL’ASSISTENZA SOCIALE TRA RESIDENZA, PERMESSO CE E CITTADINANZA
43
Cfr. Corte di Cassazione, Sez. III civ., sent. 7.5.2009, n. 10504. Sul punto si veda anche Corte di Cassazione, Sez.
III civ., sent. 2.2.2012, n. 1453, e Corte di Cassazione, Sez. III civ, sentenza 11.1.2011, n. 450. Nella giurisprudenza
costituzionale cfr. sent. 11/1968, relativa al divieto di iscrizione all’albo professionale dell’ordine dei giornalisti per gli
stranieri cittadini di uno Stato che non prevede in proposito il trattamento di reciprocità. Sul punto si veda anche Corte
cost. sent. 54/1979 in materia di estradizione e parità di trattamento tra stranieri provenienti da Stati diversi. La
legittimità della condizione di reciprocità a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 10, comma 2, Cost. ha originato in
dottrina un acceso dibattito con soluzioni interpretative differenti. Tra i vari contributi si veda P. BARILE, Diritti
dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984, 30; M. LUCIANI, Cittadini e stranieri come titolari dei
diritti fondamentali. L’esperienza italiana, in Riv. Crit. di Dir. Priv., 1992, 222; G. D’ORAZIO, Lo straniero nella
Costituzione italiana, Cedam, Padova, 1992, 368; A PATRONI GRIFFI, I diritti dello straniero tra Costituzione e politiche
regionali, in L. CHIEFFI (a cura di), I diritti sociali tra regionalismo e prospettive federali, cit., 344; A. PACE,
Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, Cedam, Padova, 2003, 319. Di recente sul punto V. ONIDA,
Lo statuto costituzionale del non cittadino, in AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino, cit., 10, per il quale
la condizione di reciprocità ha senso solo quando si parla di rapporto tra Stati, mentre non dovrebbe avere alcun ruolo
quando si parla di diritti dei singoli, cittadini di uno o di altro Stato.
18
Le condizioni di accesso (o meglio di esclusione) degli stranieri dal diritto all’assistenza
sociale 44 si comprendono adottando una prospettiva diacronica, alla luce dei molteplici e
recenti interventi giurisprudenziali “correttivi” che hanno interessato questo settore.
La condizione di partenza fissata dal testo unico è il possesso di un permesso di
soggiorno di durata almeno annuale ovvero della carta di soggiorno (oggi permesso CE per
soggiornanti di lungo periodo 45). In tali casi è prevista l’equiparazione ai cittadini italiani ai
fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza
sociale. Le principali prestazioni economiche di assistenza sociale riguardano le
provvidenze per invalidi civili, per ciechi civili, sordomuti, indigenti, persone affette da
particolari malattie (sia previste dalla legislazione nazionale che erogate dagli enti locali). In
riferimento a tali prestazioni la legge finanziaria per il 2001 ha ridotto drasticamente la
platea dei possibili beneficiari, richiedendo in ogni caso il possesso della carta di soggiorno.
Affianco a tale previsione convivono altre normative specifiche, tra cui quella in materia di
assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori, riservato ai soli cittadini comunitari
(italiani e di altri Stati dell’Unione Europea), e quindi precluso totalmente allo straniero 46; la
social card, inizialmente prevista a favore dei soli cittadini italiani e di recente estesa anche
44
Per un commento all’art. 38 Cost. sotto il profilo più generale del diritto alla sicurezza sociale, cfr. C. TRIPODINA ,
Art. 38, in S. BARTOLE, R. BIN (a cura di), Commentario alla Costituzione, Cedam, Padova, 2008, 370. In generale sul
punto si veda A. ALBANESE, Diritto all’assistenza e servizi sociali. Intervento pubblico e attività dei privati, Milano,
Giuffrè, 2007.
45
Le modalità di rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (d’ora in poi chiamato per
brevità permesso CE) sono disciplinate all’art. 9 del testo unico, così come modificato dal d.lgs. 3/2007, recante
“Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo”. Per
ottenere tale titolo di soggiorno lo straniero deve essere in possesso da almeno 5 anni di un permesso di soggiorno in
corso di validità; deve dimostrare la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e di
un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale
pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria. Tale titolo si differenzia dal semplice
permesso di soggiorno perché è a tempo indeterminato.
46
Al riguardo è pendente una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Monza con ordinanza
9.3.2011 (cfr. reg. ord. n. 241 del 2011, pubbl. su G.U. del 23.11.2011, n. 49).
19
ai titolari del permesso CE; l’assegno sociale, gravato dell’ulteriore requisito della residenza
decennale nel territorio, in un coacervo di normative di difficile ricostruzione. Senza
considerare le prestazioni di assistenza sociale introdotte dalle stesse Regioni o erogate dagli
enti locali, nell’ambito delle loro competenze ed attribuzioni, talvolta legate alla
cittadinanza italiana, altre volte alla cittadinanza comunitaria, altre ancora alla residenza più
o meno prolungata sul territorio.
Sono assai noti i casi dei bonus bebè riservati ai soli cittadini italiani (emblematico il caso
bresciano che portò la Giunta, dopo la condanna giurisprudenziale, a ritirare la prestazione
per tutti, cittadini e stranieri47), così come il trasporto gratuito per invalidi in Lombardia,
l’accesso ai servizi sociali in Friuli Venezia Giulia (riservato ai cittadini comunitari residenti
da almeno tre anni sul territorio regionale), a cui si aggiungono normative tecnicamente “più
raffinate” nell’introdurre regimi escludenti, basate sulla residenza prolungata sul territorio 48.
47
Cfr. Tribunale di Brescia, ordinanza 26 gennaio 2009, n. 335, confermata in sede di reclamo con ordinanza del 20
febbraio 2009. Il caso è interessante perché nonostante il giudice avesse ordinato l’estensione del beneficio a
prescindere dal possesso della cittadinanza, il Comune sopprimeva l’incentivo economico per tutti, italiani e stranieri,
motivandolo con l’impossibilità di dare attuazione alla «finalità prioritaria di sostegno alla natalità delle famiglie di
cittadinanza italiana». Il tribunale è quindi nuovamente intervenuto sulla questione ed ha ordinato la cessazione della
condotta discriminatoria, rilevando il carattere ritorsivo della condotta comunale che, di fatto, paralizzava gli effetti
della prima decisione giudiziale con un comportamento che, pur ristabilendo una parità di trattamento tra italiani e
stranieri, risultava pregiudizievole sia per gli stranieri esclusi che per gli originari beneficiari. Cfr. Tribunale di Brescia,
ordinanza del 12 marzo 2009, confermata in sede di reclamo con l’ordinanza 27 maggio 2009. Sul punto si veda di
recente anche il caso del Comune di Adro, il quale obbligato dal giudice a riaprire i termini di un bando per
l’erogazione di prestazioni sociali, consentendo anche agli stranieri di parteciparvi, aveva chiesto la restituzione dei
contributi ai cittadini comunitari che li avevano già percepiti al fine di procedere a ripartire lo stanziamento inizialmente
previsto anche a favore dei nuovi beneficiari stranieri. La misura è stata sospesa in via cautelare da TAR Lombardia,
Sez. distaccata Brescia, ordinanza 10.2.2012, n. 94.
48
Come noto tali discipline possono celare forme di discriminazione indiretta, attraverso l’adozione di misure
apparentemente neutre, ma che sono tuttavia in grado di pregiudicare maggiormente gli interessi dei soggetti
appartenenti ad un medesimo gruppo/categoria. Tra i più recenti merita di essere segnalato quello del Friuli Venezia
Giulia, il quale pur facendo riferimento espresso ai requisiti previsti dal testo unico (permesso annuale o permesso CE)
restringe la platea dei beneficiari a quelli residenti nel territorio nazionale da non meno di cinque anni e nel territorio
regionale da almeno ventiquattro mesi. Cfr. art. 9 della L.R. Friuli Venezia Giulia 30 novembre 2011, n. 16, recante
“Disposizioni di modifica della normativa regionale in materia di accesso alle prestazioni sociali e di personale”. Nel
suo complesso la legge friuliana introduce molteplici previsioni dirette a limitare il riconoscimento di prestazioni
20
Merita di essere in particolare segnalato il caso di un comune friulano 49 che ha disposto
non soltanto l’esclusione dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti dagli interventi di
assistenza sociale erogabili dall’amministrazione, ma ha dato anche l’indicazione al
personale competente di provvedere alla segnalazione all’autorità di pubblica sicurezza di
eventuali richieste di assistenza presentate da cittadini stranieri in stato di bisogno, al fine
dell’avvio di eventuali provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale 50. È quindi
evidente come previsioni di questo tipo possano incidere fortemente sull’effettività dei
diritti garantiti allo straniero, che si vedrà bene dal recarsi presso le strutture amministrative
per paura di scoprire, suo malgrado, di non possedere più i requisiti per soggiornare sul
territorio, e ciò tanto più a seguito dell’entrata in vigore del reato di ingresso e soggiorno
irregolare sul territorio 51.
Rilevanti sono comunque le difformità esistenti tra territorio e territorio. Si pensi, infatti,
che alcune Regioni, nell’ambito delle proprie competenze, hanno esteso certe prestazioni di
assistenza sociale anche agli stranieri non regolarmente presenti sul territorio 52. Gli esempi
assistenziali a favore degli stranieri e per tale ragione è stata impugnata dal Governo. Per le motivazioni si veda la
delibera del Consiglio dei Ministri del 27.1.2012. Per le limitazioni introdotte al godimento di prestazioni assistenziali
in ragione della residenza prolungata sul territorio e del permesso CE sono altresì pendenti, al momento in cui si scrive,
le questioni di legittimità costituzionale concernenti le seguenti leggi: legge Trentino Alto Adige 14.12.2011, n. 8 (cfr.
delibera del Consiglio dei Ministri del 3.2.2012), legge della Provincia Autonoma di Bolzano 28 ottobre 2011, n. 12
(cfr. delibera del Consiglio dei Ministri del 23.12.2011), e legge della Regione Calabria 20.12.2011, n. 44 (cfr. delibera
del Consiglio dei Ministri del 14.2.2012).
49
Cfr. ordinanza 23.1.2008, n. 4, del Sindaco del Comune di Azzano Decimo, in Provincia di Pordenone.
50
Con l’ordinanza si incarica, infatti, gli uffici comunali, e più precisamente i servizi socio-sanitari, il servizio
demografico, il servizio di vigilanza, di procedere «a vagliare attentamente le documentazioni o autocertificazioni
presentate a comprova di una condizione di indigenza (cioè sotto la soglia dell’assegno sociale) che diventano
incompatibili con il diritto di soggiorno, per le eventuali segnalazioni alle autorità competenti».
51
Con la successiva ordinanza 9 aprile 2008, n. 10, il medesimo Comune ha poi escluso i cittadini comunitari ed
extracomunitari dalle forme di sostegno al reddito nei limiti in cui tali provvidenze possano costituire elemento
essenziale per l’acquisizione ed il perdurare del permesso di soggiorno.
52
Si richiamano in particolare le misure introdotte con la legge della Regione Toscana 9.6.2009, n. 29, con la legge
della Regione Puglia 4.12.2009, n. 32, e con la legge della Regione Campania 8.2.2010, n. 6. Tali leggi sono state
oggetto di impugnazione da parte del Governo; i ricorsi sono stati decisi dalla Corte costituzionale rispettivamente con
21
sono molteplici e danno conto di un complesso asistematico di normative, talvolta
incoerenti tra loro, indice di un “localismo” nel godimento dei diritti fondamentali che
incide sulla condizione giuridica dello straniero, così come su quella del cittadino. In alcune
occasioni, le discipline che subordinano certe prestazioni alla residenza prolungata sul
territorio si applicano anche ai cittadini italiani, che si vedranno quindi preferire coloro che
integrano tale requisito, siano essi altri cittadini o stranieri53.
La giurisprudenza ordinaria e quella costituzionale hanno “demolito” in gran parte tale
sistema di preclusioni, riaffermando – in riferimento alle singole prestazioni di volta in volta
oggetto di giudizio – la piena parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri
regolarmente soggiornanti. In particolare, per quanto riguarda la richiesta del permesso CE,
è stata dichiarata l’illegittimità dell’esclusione dello straniero regolarmente soggiornante dal
godimento dell’indennità di accompagnamento, della pensione di inabilità, dell’assegno di
invalidità e, con particolare riferimento al minore straniero in condizione di disabilità,
dell’indennità di frequenza 54 . Così come è stato riaffermato il pieno ed incondizionato
accesso al sistema dei servizi sociali55.
2.3 IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE TRA PRESENZE REGOLARI E IRREGOLARI
Il diritto all’istruzione risulta variamente modulato a seconda della condizione dei
destinatari. Con riferimento ai minori, la legislazione statale preclude qualsiasi limitazione
le sentenze 269/2010, 299/2010 e 61/2011. Nell’ambito delle materie di competenza regionale, la Corte ha affermato la
legittimità degli interventi regionali diretti a tutelare i diritti fondamentali degli stranieri non regolarmente presenti sul
territorio. Sul punto sia consentito rinviare a F. BIONDI DAL MONTE, Regioni, Immigrazione e diritti fondamentali, in Le
Regioni, 5/2011, 1087 e ss.
53
Sul punto si veda M. GORLANI, Accesso al welfare state e libertà di circolazione: quanto «pesa» la residenza
regionale?, in Le Regioni, 2006, 345 e ss.
54
Si vedano rispettivamente le sentenze della Corte costituzionale nn. 306/2008, 11/2009, 187/2010 e 329/2011.
55
Sul punto cfr. Corte cost. sentenza 40/2011. Sulla giurisprudenza costituzionale in materia di diritti sociali degli
stranieri si veda nello specifico infra § 3.
22
nell’accesso alla scuola, alla luce della particolare tutela che deve essere loro riservata, a
prescindere dalla condizione di cittadinanza ovvero dal possesso del permesso di
soggiorno 56. Per tale ragione, in tema di istruzione, il testo unico si riferisce semplicemente
ai minori presenti sul territorio, i quali sono soggetti all’obbligo scolastico; ad essi si
applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi
educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica 57 . Tale garanzia sembra
estendersi, perlomeno in via giurisprudenziale, anche alla scuola dell’infanzia, avente
anch’essa finalità formative, essendo rivolta a favorire l’espressione delle potenzialità
cognitive, affettive e relazionali del minore. Essa, pur non obbligatoria, si inserisce infatti
nel più generale sistema scolastico nazionale, rientrando nell’ambito di quei “servizi
educativi” «che completano il più generale aspetto educativo, di cui il diritto all’istruzione è
parte»58.
Con riferimento all’istruzione degli adulti è invece richiesta la regolarità della presenza
sul territorio e l’esibizione del permesso di soggiorno per la fruizione delle prestazioni
56
Alla luce delle fonti internazionali la condizione giuridica del minore comunitario ed extracomunitario dovrebbe,
infatti, essere in tutto parificata a quella del minore italiano. Si ricorda che ai sensi dell’art. 19 del testo unico i minori
stranieri non possono essere espulsi. Tuttavia una condizione di particolare vulnerabilità caratterizza i figli di genitori
non regolarmente presenti sul territorio, i quali nella maggior parte dei casi non sono in possesso di documenti, sebbene
abbiano il diritto di ottenere un permesso di soggiorno fino alla maggiore età, dal momento che tali documenti
andrebbero richiesti dai genitori alla Questura.
57
Si veda l’art. 38 del testo unico. L’aspetto maggiormente preoccupante relativo all’inserimento degli alunni nelle
scuole ha riguardato la proposta di istituire apposite classi separate o classi-ponte. Ha, infatti, sollevato molteplici
critiche l’approvazione di una mozione parlamentare nella quale si impegnava il Governo a rivedere il sistema di
accesso degli alunni stranieri alle scuole di ogni ordine e grado, autorizzando il loro ingresso previo superamento di test
e specifiche prove di valutazione, nonché a istituire classi ponte, propedeutiche all’ingresso degli studenti stranieri nelle
classi permanenti. Sul punto si veda G. BRUNELLI, Welfare e immigrazione: le declinazioni dell’eguaglianza, in Le
Istituzioni del Federalismo, 5/2008, 554. Sui criteri di inserimento nelle classi di istituti di istruzione secondaria di II
grado si veda da ultimo la Circolare del Ministero dell’Istruzione del 27.1.2012, n. 465, che prevede di regola
l’iscrizione alla classe corrispondente all’età anagrafica, salva diversa valutazione del collegio dei docenti.
58
Cfr. Tribunale di Milano, ordinanza 11.2.2008, con la quale è stata dichiarata discriminatoria la circolare del
Comune di Milano che richiedeva per l’accesso alla scuola dell’infanzia l’esibizione del permesso di soggiorno da parte
del genitore. Per un commento cfr. F. CORTESE, Scuole dell’infanzia e discriminazione: la “circolare Moratti” e la
rinnovata dimensione del diritto all’istruzione, in www.forumcostituzionale.it.
23
scolastiche 59 . È garantita parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani nell’accesso
all’istruzione universitaria e ai relativi interventi per il diritto allo studio, compresi gli
interventi non destinati alla generalità degli studenti, quali borse di studio, prestiti d’onore
ed servizi abitativi. In riferimento a tali prestazioni, lo stesso testo unico esclude
espressamente l’obbligo di reciprocità 60.
Nonostante quanto affermato dal testo unico sia in riferimento ai minori che agli adulti,
anche questo settore non è scevro da pratiche escludenti, soprattutto per l’accesso a
prestazioni di sostegno allo studio, come sussidi e borse di studio 61. Tra i casi più recenti si
segnala la legge della Provincia Autonoma di Bolzano che limita le agevolazioni per la
frequenza di una scuola situata fuori dalla Provincia e per le prestazioni di natura economica
(tese a favorire la realizzazione del diritto allo studio) ai residenti da almeno cinque anni sul
territorio provinciale. Le sovvenzioni per l’apprendimento delle lingue straniere sono
addirittura riservate ai cittadini comunitari residenti ininterrottamente per un anno nella
Provincia, escludendo quindi del tutto i cittadini provenienti da Paesi terzi 62. Un aspetto
assai delicato è poi costituito dalle rette di ingresso alle università, talvolta maggiorate
rispetto a quelle richieste per i cittadini italiani o comunitari 63 . Pratiche escludenti che
59
L’art. 6 del testo unico esclude espressamente le sole prestazioni scolastiche obbligatorie dai settori per i quali è
necessaria esibizione del permesso di soggiorno.
60
Cfr. art. 39, comma 3, lett. c), del testo unico, il quale nell’escludere l’obbligo di reciprocità si riferisce a: borse di
studio, sussidi e premi agli studenti stranieri. Deve tuttavia rilevarsi che in materia di borse di studio per il
perfezionamento all’estero, di cui all’art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 398, è previsto il requisito della
cittadinanza italiana.
61
Alcuni enti territoriali hanno ad esempio escluso i cittadini comunitari dall’erogazione dei finanziamenti per i
corsi di studio o dall’assegnazione di premi per studenti meritevoli, seppur in possesso del permesso CE per
soggiornanti di lungo periodo. Sull’illegittimità di tale tipologia di previsione, cfr. Tribunale di Bolzano ordinanza del
16 giugno 2009 (R.g. n. 379/09) e Tribunale di Brescia, ordinanza del 19.1.2010, n. 4536/09.
62
La legge è stato oggetto di impugnazione da parte del Governo, cfr. supra nota 48.
63
Al riguardo cfr. Tribunale di Bologna, ordinanza 23.12.2006, pubblicata su I Diritti dell’Uomo, 2/2007, 27 e ss.,
con la quale è stata dichiarata illegittima la previsione di una nota università privata che applicava agli studenti
extraeuropei una tassa di iscrizione fissa, corrispondente alla fascia massima di contribuzione. Per un commento, cfr. C.
24
sembrano difficilmente compatibili con quel principio di parità di trattamento
precedentemente affermato. Esse peraltro dovrebbero essere contrastate con ancor più forza
a seguito dell’entrata in vigore dell’accordo di integrazione 64, il quale sembra incentrare
l’adempimento del patto tra cittadino straniero e Stato proprio su obblighi formativi, quali la
conoscenza della lingua italiana e l’educazione civica.
2.4 IL DIRITTO ALL’ABITAZIONE
Anche il diritto sociale all’abitazione non è un diritto pieno ed incondizionato per il
cittadino straniero, seppure riconosciuto dalla Corte costituzionale come diritto
fondamentale della persona 65.
Il testo unico disciplina l’accesso dello straniero all’abitazione graduandolo a seconda del
titolo di soggiorno posseduto. Possono accedere ai centri accoglienza predisposti dalle
Regioni gli stranieri regolarmente soggiornanti (per motivi diversi dal turismo) che siano
temporaneamente impossibilitati a provvedere autonomamente alle proprie esigenze
alloggiative e di sussistenza. Lo straniero regolarmente soggiornante può accedere anche ad
alloggi sociali, collettivi o privati, nell’ambito delle strutture alloggiative predisposte dagli
PONTERIO, Anche l’università discrimina: rette più alte per studenti non comunitari, a commento dell’ordinanza
23.12.2006 del Tribunale di Bologna, in Dir. Imm. e Citt., 2007, 2, 97 e ss.
64
Cfr. art. 4 bis del testo unico, con il quale è stato introdotto l’obbligo per lo straniero maggiore di anni 16 di
sottoscrivere un accordo di integrazione al momento del rilascio del permesso di soggiorno. Per un commento si veda F.
DAL CANTO, Commento all’art. 1, comma 25, in G. DE FRANCESCO, A. GARGANI, D. MANZIONE, A. PERTICI (a cura di),
Commentario al “Pacchetto sicurezza”. L. 15 luglio 2009, n. 94, Torino, UTET, 2011, 159 ss. In data 1.3.2012 è
entrato in vigore il d.p.r. 179/2011, contenente la disciplina dell’accordo: lo straniero avrà due anni di tempo per
apprendere la lingua italiana e conoscere l’organizzazione delle istituzioni. I crediti iniziali saranno 16 e potranno essere
incrementati attraverso l’acquisizione di percorsi di formazione professionale, il conseguimento di titoli di studio,
l’iscrizione al S.S.N., la stipula di un contratto di affitto o l’acquisto di un immobile, etc. Lo straniero al termine del
periodo di validità del permesso dovrà raggiungere 30 crediti, o almeno 17, per avere una proroga di un anno, durante il
quale dovrà raggiungere la soglia stabilita dall’accordo. Se i crediti saranno pari o inferiori a 0 lo straniero potrà essere
espulso.
65
Cfr. Corte cost. sent. 404/1988 e da ultimo 61/2011. In dottrina cfr. P. C ARETTI, I diritti fondamentali, cit., 515 e
ss., e F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 1995, 58 e ss.
25
enti locali. Tuttavia soltanto gli stranieri titolari di un permesso CE ovvero di un permesso
di soggiorno almeno biennale hanno diritto di accedere, in condizioni di parità con i
cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione
delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni Regione o dagli enti locali per
agevolare l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia,
recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione 66.
Tale ultima previsione risponde, con ogni evidenza, alla necessità che la concessione di
certe agevolazioni ai non cittadini sia ancorata alla durata della loro permanenza in Italia e
quindi al livello di non precarietà di tale residenza. Deve tuttavia essere osservato come il
criterio del possesso di un permesso biennale, a differenza del permesso CE, non soddisfi in
modo ragionevole questa esigenza 67 . Se infatti per il rilascio di quest’ultimo titolo è
necessario, tra le altre cose, il «possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di
soggiorno in corso di validità», il permesso biennale è rilasciato discrezionalmente dal
Questore qualora il lavoratore straniero sia titolare di un contratto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato o sia un lavoratore autonomo. Infatti, anche in presenza delle predette
condizioni, la legge non obbliga il Questore al rilascio di tale titolo di soggiorno, ma lascia
all’autorità amministrativa una mera facoltà, per cui uno straniero al primo ingresso
potrebbe in teoria avere un permesso di soggiorno biennale ed uno straniero residente in
66
Sulle condizioni di accesso degli stranieri all’edilizia residenziale pubblica nel testo unico e nelle discipline
regionali, si veda F. CORVAJA, L’accesso dello straniero extracomunitario all’edilizia residenziale pubblica, in Dir.
Imm. e Citt., 2009, 89 e ss.
67
Al riguardo cfr. ordinanza del 9.2.2009 del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia ritenuta
manifestamente inammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza 76/2010. A parere della Corte il giudice a quo
avrebbe, infatti, del tutto omesso di accertare (ed indicare) se le previsioni del d.l. 112/2008 fossero o meno applicabili
nel giudizio principale, quali requisiti aggiuntivi a quello contemplato nel testo unico. Inoltre l’ordinanza di rimessione
censura il citato art. 40, comma 6, nella parte in cui non tiene conto del periodo complessivo di permanenza del
lavoratore extracomunitario in Italia, «prospettando, quindi, la necessità di una disciplina modulata avendo riguardo
anche alla pregressa presenza in Italia, che peraltro neppure precisa, e, in tal modo, ha lasciato indeterminato il
contenuto del richiesto intervento additivo, non indicando una soluzione costituzionalmente obbligata».
26
Italia da quattro anni un permesso annuale di volta in volta rinnovato. Sotto questo profilo,
tale condizione di accesso sembra dunque irragionevole.
Rispetto a quanto previsto dal testo unico, sempre con riferimento agli alloggi di edilizia
residenziale pubblica, devono aggiungersi anche requisiti ulteriori, legati alla residenza
prolungata sul territorio. A livello nazionale è stato, infatti, approvato un piano nazionale di
edilizia abitativa «al fine di superare in maniera organica e strutturale il disagio sociale e il
degrado urbano derivante dai fenomeni di alta tensione abitativa». L’offerta di abitazioni di
edilizia residenziale è destinata prioritariamente a varie categorie di soggetti, tra le quali:
«gli immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio
nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione»68. Requisiti analoghi sono
previsti per l’accesso ai contributi integrativi.
Le sopracitate previsioni si pongono in linea con una serie di limitazioni già sperimentate
a livello regionale e locale proprio in materia di abitazione, al fine di restringere la platea dei
beneficiari a coloro che dimostrano un maggior radicamento sul territorio nazionale o
regionale. Alcuni Comuni hanno ad esempio condizionato l’accesso alla condizione di
reciprocità, ossia a condizione che nello Stato di origine dell’interessato fosse riconosciuta
pari possibilità di accesso del cittadino italiano all’edilizia pubblica, altri hanno invece
introdotto tra i requisiti di accesso la durata della residenza o dell’attività lavorativa sul
68
In riferimento a tali previsioni, in senso critico, cfr. M. VRENNA, Il decreto legge n. 112 e le misure per il
contenimento della spesa sociale e di quella sanitaria: piano casa, assegno sociale e questioni aperte sul trattamento
dei comunitari, in Gli Stranieri, 2008, 568 e ss., e C. CORSI, Il diritto all’abitazione è ancora un diritto
costituzionalmente garantito anche agli stranieri?, in Dir. Imm. e Citt., 3-4/2008, 147. In riferimento a tale previsione
la Corte costituzionale, nell’ambito di un giudizio sollevato in via principale tra Stato e Regioni, ha evidenziato che
l’individuazione prioritaria di tali categorie sociali (tra cui gli immigrati) rientra a pieno titolo nella determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni. In particolare «la legge statale, in coerenza con la sua funzione di individuare i
“livelli minimi”, stabilisce un ordine inderogabile di priorità, il quale non esclude la possibilità che le Regioni, una volta
soddisfatte le esigenze delle categorie deboli specificamente elencate, possano, nell’ambito del proprio territorio,
individuare altre categorie meritevoli di sostegno, cui ritengono utile e necessario fornire il supporto degli interventi
pubblici in materia di edilizia residenziale» (sent. 121/2010, § 7 Cons. in dir).
27
territorio comunale o regionale. Altri bandi e delibere hanno, infine, previsto l’attribuzione
di punti aggiuntivi in relazione al possesso della cittadinanza italiana o a seconda della
durata della residenza 69.
Peraltro non si può fare a meno di rilevare come l’abitazione, oltre che un diritto, sia al
contempo un onere per lo straniero, il quale per il rinnovo del permesso di soggiorno, per il
ricongiungimento familiare e per il rilascio del permesso CE deve dimostrare il possesso di
un alloggio, dotato di particolari caratteristiche 70. Una limitazione di tale diritto è quindi
idonea ad incidere fortemente su tutta un’altra serie di diritti fondamentali, come il diritto
all’unità familiare, e sulle stesse condizioni di ingresso e soggiorno sul territorio 71.
Non è un caso che proprio all’abitazione il legislatore abbia dedicato particolare
attenzione nel disciplinare i requisiti di ingresso dello straniero sul territorio: nel contratto di
soggiorno, il datore di lavoro deve, infatti, garantire che il lavoratore abbia un alloggio
69
Per un’analisi delle varie discipline regionali e locali, sia consentito rinviare a F. BIONDI DAL MONTE, I livelli
essenziali delle prestazioni e il diritto all’abitazione degli stranieri, in G. CAMPANELLI, M. CARDUCCI, N. GRASSO, V.
TONDI DELLA MURA (a cura di), Diritto costituzionale e diritto amministrativo: un confronto giurisprudenziale, Atti del
Convegno annuale del Gruppo di Pisa, Lecce 19-20 giugno 2009, Giappichelli, Torino, 2010, 213 e ss. Sul punto la
giurisprudenza costituzionale non ha invece offerto molte indicazioni. Una prima pronuncia, su cui torneremo, è
l’ordinanza 32/2008 con la quale è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata in
riferimento ad una disciplina regionale che subordinava l’accesso all’e.r.p. alla residenza o attività lavorativa almeno
quinquennale sul territorio regionale. Più di recente, la Corte costituzionale è tornata sulla questione con la citata
ordinanza 76/2010 (cfr. supra nota 67). Sulle pratiche discriminatorie in materia di accesso all’e.r.p. si veda la
raccomandazione UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) 30.1.2012, n. 14.
70
Allo straniero non si chiede di possedere un’abitazione qualsiasi, ma «un alloggio […] che rientri nei parametri
minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica» per la stipula del contratto di soggiorno (art.
5-bis, lett. a, del testo unico), un alloggio «conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa, accertati
dai competenti uffici comunali» per lo straniero che chiede il ricongiungimento (art. 29, comma 3, lett. a, del testo
unico), «un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia
residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità
sanitaria locale competente per territorio» per lo straniero che richiede il permesso CE per soggiornanti di lungo periodo
(art. 9 del testo unico).
71
Al riguardo potrebbe aggiungersi la considerazione di F. BILANCIA, Brevi riflessioni sul diritto all’abitazione, in
AA. VV., Studi in onore di Franco Modugno, Ed. Scientifica, Napoli, 2011, 353, che evidenzia la rilevanza sistematica
del diritto all’abitazione «in considerazione dei suoi fondamentali riflessi nella costruzione della stessa nozione di
cittadinanza in senso sostanziale, servente cioè alle garanzie del rispetto della dignità sociale dell’individuo».
28
idoneo; il lavoratore autonomo deve dimostrare di disporre di idonea sistemazione
alloggiativa; così come il familiare che vuole ricongiungersi e lo straniero che richiede il
permesso CE per soggiornanti di lungo periodo. Sembra quindi che il legislatore abbia
voluto in un certo senso “prevenire”, per quanto possibile, situazioni nelle quali lo straniero
sia costretto a ricoveri di fortuna o a situazioni abitative che lo costringano a condizioni di
vita non dignitose; è tuttavia evidente come il legame così creato tra soggiorno/permanenza
sul territorio e abitazione renda ancor più peculiare la garanzia di tale diritto per lo straniero.
2.5 I DIRITTI DELLO STRANIERO LAVORATORE
Con la costituzionalizzazione dei diritti sociali negli ordinamenti statali del dopoguerra il
diritto al lavoro è divenuto il fulcro di un più ampio sistema di diritti, individuali e collettivi,
ad esso strettamente connessi. Come noto, all’art. 1 della Costituzione si afferma che l’Italia
è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, e al lavoro e ai lavoratori la Costituzione
si riferisce sia nell’ambito del titolo III relativo ai rapporti economici che, più in generale,
nell’art. 4 Cost. quale diritto, ma anche dovere, funzionale al progresso materiale e
spirituale della società 72.
72
Al riguardo è ormai uniforme la posizione della dottrina nel ritenere che di un tale diritto, in termini assoluti, non
possa parlarsi, e ciò sebbene il diritto al lavoro sia in un certo senso il simbolo dell’uguaglianza sostanziale, come
evidenziato da A. D’ALOIA, Eguaglianza sostanziale e diritto diseguale, Padova, Cedam, 2002, p. 29, richiamando
anche la posizione di C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, 1976, p. 149. Esso si configura ad un
tempo come diritto di libertà, relativo alla scelta dell’esperienza lavorativa in rapporto alle proprie attitudini e
preferenze, e pretesa verso le istituzioni pubbliche e verso i soggetti privati. Tuttavia, in entrambe le direzioni la dottrina
ha escluso la configurabilità in capo al soggetto di una pretesa assoluta ad ottenere un posto di lavoro ovvero a
conservarlo, sebbene ciò non escluda, ed anzi presupponga, la predisposizione da parte dello Stato di idonei meccanismi
di garanzia. Sul punto si veda inoltre P. CARETTI, I diritti fondamentali, cit., 492 e ss.; G. ROLLA, La tutela
costituzionale dei diritti, Giuffrè, Milano, 2003, 215 e ss.
29
Ai lavoratori è dedicata particolare attenzione nel testo unico in materia di immigrazione,
sia perché il lavoro risulta essere il canale “ordinario” e principale di ingresso sul territorio
nazionale, sia perché in attuazione della convenzione OIL n. 143 del 24 giugno 1975,
ratificata dall’Italia con legge 10 aprile 1981, n. 158, a tutti i lavoratori stranieri
regolarmente soggiornanti nel territorio e alle loro famiglie è garantita parità di trattamento
e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.
Pertanto, se il legislatore conserva ampia discrezionalità nella determinazione delle
condizioni di accesso del lavoratore straniero sul territorio, una volta autorizzato l’ingresso,
questi deve godere del medesimo trattamento riconosciuto al lavoratore italiano 73 . Tale
affermazione, sebbene legislativamente prevista, così come ribadita in via giurisprudenziale,
sembra soffrire di alcune limitazioni. Infatti, a seguito delle modifiche apportate al testo
unico dalla legge Bossi-Fini, è stata notevolmente appesantita la posizione del datore di
lavoro che intenda stipulare un contratto di lavoro con un lavoratore straniero: è previsto
che, anche per ogni contratto di lavoro stipulato con un lavoratore straniero successivamente
al suo ingresso (quindi non soltanto con uno straniero al primo ingresso, ma anche con uno
straniero già soggiornante in Italia), il datore debba garantire il reperimento di un alloggio
(per il lavoratore) che soddisfi i requisiti previsti dalle leggi regionali sull’edilizia
residenziale pubblica e debba coprire le eventuali spese di rimpatrio per lo stesso lavoratore.
Tali requisiti aggiuntivi potrebbero, infatti, costituire un deterrente per il datore di lavoro
all’assunzione di uno straniero, e, di conseguenza, un fattore di esclusione del lavoratore
73
Anche la Corte costituzionale ha evidenziato che, una volta che i lavoratori extracomunitari sono autorizzati al
lavoro subordinato stabile in Italia, essi sono posti in condizioni di parità con i cittadini italiani, godendo di tutti i diritti
riconosciuti ai lavoratori italiani. Sul punto si veda Corte cost. sent. 454/1998, relativa al collocamento obbligatorio
degli stranieri in condizione di invalidità. Per un commento alla decisione si rinvia a P. BONETTI, La parità di
trattamento tra stranieri e cittadini nell’accesso al collocamento obbligatorio degli invalidi: quando la Corte
costituzionale decide di decidere, in Giur. Cost., 1998, 3772 e ss.
30
straniero che sia rimasto privo di occupazione dalla possibilità di rientro nel mercato del
lavoro.
Assai problematica risulta la condizione del lavoratore straniero non regolarmente
presente sul territorio, non soltanto perché si tratta di un lavoratore irregolare, e quindi
invisibile al sistema previdenziale statale, ma anche perché, proprio a seguito dell’entrata in
vigore della l. 94/2009, risulta essere un soggetto ancora più vulnerabile, stretto nel timore
di essere segnalato all’autorità giudiziaria 74. Peraltro in alcuni casi è stato negato il diritto
del lavoratore (non regolarmente presente sul territorio) alla retribuzione ritenendo il
contratto di lavoro nullo per causa illecita 75. La Cassazione ha tuttavia evidenziato come,
sebbene si tratti di un contratto in violazione della legge, la nullità o annullamento del
medesimo non produca effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, essendo
state violate disposizioni poste a tutela del prestatore di lavoro, con conseguente diritto alla
retribuzione e ai contributi76. L’argomentazione fornita a supporto di tali conclusioni merita
di essere brevemente ripresa. Tra le disposizioni a tutela del prestatore di lavoro la
Cassazione include, infatti, «la disciplina del permesso di soggiorno», la quale «ha (anche)
la finalità di tutelare il lavoratore straniero». Secondo la Corte «[q]uesto esito interpretativo
risulta coerente con la razionalità complessiva del sistema, laddove si consideri che, se si
74
Al riguardo cfr. ordinanza del Tribunale di Voghera del 20.11.2009, con la quale è stata sollevata questione di
legittimità costituzionale dell’art.10 bis del d.lgs. 286/1998, in combinato disposto con l’art. 331 c.p.p., per asserita
violazione degli artt. 2, 3 comma 1, 10 commi 1 e 2, 24 commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui non
prevede una deroga all’obbligo di denuncia del reato previsto e punito dalla stessa norma nei confronti dell’autorità
giudiziaria adita dallo straniero privo di titolo di soggiorno per la tutela di diritti di rango costituzionale. L’ordinanza –
inspiegabilmente – non risulta ancora giunta alla Corte costituzionale. In generale sulla problematica tensione tra il
riconoscimento dei diritti fondamentali e la gestione del fenomeno migratorio si veda F. SCUTO, Contrasto
all’immigrazione “irregolare” e tutela dei diritti fondamentali: un equilibrio non ancora raggiunto, in S. GAMBINO, G.
D’IGNAZIO (a cura di), Immigrazione e diritti fondamentali, cit., 587 e ss.
75
Già prima dell’introduzione della citata fattispecie penale si veda la criticata sentenza del Tribunale di Padova, n.
737 del 19.10.2007. In dottrina, cfr. S. CAMPILONGO, I1 diritto alla tutela giurisdizionale del lavoratore straniero privo
del permesso: due decisioni a confronto, in Dir. Imm. e Citt., 2/2008, 79 e ss.
76
Si veda Cass. civ., sez. IV, sentenza 26.3.2010, n 7380.
31
permettesse al datore di lavoro che ha occupato lavoratori extracomunitari in violazione di
legge di essere esentato dagli oneri retributivi e contributivi, si altererebbero le regole
basilari del mercato e della concorrenza, consentendo a chi viola la legge sull’immigrazione
di fruire di condizioni incisivamente più vantaggiose rispetto a quelle cui è soggetto il
datore di lavoro che rispetta la legge». Sul tema è intervenuta anche l’Unione europea con la
direttiva 2009/52/CE, del 18.6.2009, introducendo una serie di norme minime relative a
sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi
terzi il cui soggiorno è irregolare 77.
Merita, infine, un’ultima menzione la questione relativa alla condizione di cittadinanza
per l’accesso ad alcune professioni non necessariamente legate all’esercizio di pubbliche
funzioni: questione che tutt’oggi risulta regolata da un’ampia ma discorde giurisprudenza, in
assenza di un chiarimento legislativo. Alcuni ambiti lavorativi, non direttamente connessi
all’esercizio di pubbliche funzioni (medici, infermieri, autisti di aziende pubbliche) risultano
tuttora preclusi ai lavoratori stranieri78, essendo ancora richiesta la cittadinanza italiana 79.
77
La direttiva esplicita l’obbligo per il datore di lavoro di corrispondere al lavoratore illegalmente impiegato ogni
retribuzione arretrata, comprese le imposte e i contributi previdenziali che il datore di lavoro avrebbe pagato in caso di
assunzione legale del cittadino di un Paese terzo. Tale obbligo non è espressamente previsto nel d.lgs. 109/2012 di
recepimento della direttiva, che, tra i vari aspetti, introduce una disposizione transitoria volta a regolarizzare i lavoratori
stranieri impiegai irregolarmente.
78
Al riguardo cfr. M. CENTINI, L’accesso degli stranieri non comunitari al pubblico impiego: un problema
costituzionale, 2011, in F. ANGELINI, M. BENVENUTI, A. SCHILLACI (a cura di), Le nuove frontiere del diritto
dell’immigrazione: integrazione, diritti, sicurezza, Jovene, Napoli, 2011, 187 e ss. Con specifico riferimento all’accesso
al lavoro presso un’azienda di trasporto pubblico, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale, dichiarata
tuttavia inammissibile dalla Corte con la criticata ordinanza n. 71/2009. Per un commento cfr. A. PACE, Dalla
«presbiopia» comunitaria alla «miopia» costituzionale?, in Giur. cost., 2009, 672 e ss. Al riguardo si veda anche Corte
cost. ord. 139/2011, relativa all’accesso al pubblico impiego. La questione è stata dichiarata inammissibile poiché, a
parere della Corte, il giudizio incidentale è stato utilizzato in maniera distorta, chiedendo cioè un avallo della
interpretazione già ritenuta preferibile e costituzionalmente adeguata dallo stesso giudice a quo, nonché già applicata.
79
Sull’illegittimità di tali preclusioni, cfr. Corte d’Appello di Firenze, sentenza 30.9.2005, n. 11333; Tribunale di
Pistoia, ordinanza 7.5.2005. Tra le più recenti, cfr. Tribunale di Milano, ordinanza 5.10.2011, n. 12913, in relazione alla
condizione di cittadinanza comunitaria per l’accesso alla professione di operatore socio-sanitario e infermiere, e
32
Tali preclusioni riguardano, talvolta, anche l’accesso al lavoro da parte delle categorie
cosiddette protette 80.
3. I DIRITTI SOCIALI DEGLI STRANIERI COME DIRITTI “PLURI-CONDIZIONATI”
L’indagine
sopra
delineata
restituisce
un quadro
notevolmente
frammentato,
caratterizzato anche da antinomie tra quanto previsto dalla legislazione nazionale e quanto
previsto a livello regionale e locale.
In generale si può evidenziare come ogni diritto/prestazione sociale preso in
considerazione sia condizionato a fattori esterni e contingenti rispetto alla condizione fisica
o comunque personale che legittima il godimento di quei medesimi diritti/prestazioni per il
cittadino italiano: possesso di un permesso annuale, possesso di un permesso CE o, ancora,
residenza per un certo periodo di tempo sul territorio (nazionale, regionale o locale). Inoltre,
prestazioni sociali analoghe vengono riconosciute in base a periodi di residenza differenti da
territorio a territorio, talvolta un solo anno, altre volte 3 o 5. Si può quindi godere di certe
prestazioni soltanto in alcuni territori, pur essendo in possesso delle medesime condizioni
personali. Se poi si considerano i condizionamenti “effettivi” dei diritti sociali – a parte
quello fuorviante della sola scarsità delle risorse – come la partecipazione delle grandi
multinazionali all’indirizzo e alla gestione della salute pubblica, l’effettiva diffusione
Tribunale di Trieste, giudice del lavoro, decreto 17.3.2012, in riferimento ad un concorso per infermieri nel quale
veniva richiesto il permesso CE.
80
Si veda la decisione del Tribunale di Firenze 27.1.2012, con la quale, ai sensi dell’art. 44 del d.lgs. 286/1998, è
stato dichiarato il carattere discriminatorio dell’avviso di selezione indetto dal Ministero per i Beni Culturali per
l’assunzione di personale appartenente alle “categorie protette”, avendo richiesto tra i requisiti di partecipazione quello
della cittadinanza italiana o comunitaria, escludendo quindi i cittadini di Paesi terzi. Il testo della sentenza è reperibile
sul sito www.asgi.it
33
dell’informazione, i condizionamenti derivanti dal diritto di proprietà intellettuale 81, i diritti
sociali degli stranieri risultano essere diritti pluri-condizionati.
Da tale ricostruzione si rilevano evidenti disparità di trattamento tra cittadini e stranieri, e
tra gli stessi stranieri, in contrasto con quanto previsto anche dalla Costituzione, che certo
non contempla tali tipologie di distinzioni, ma si riferisce allo straniero nella sua unitarietà.
Come è stato evidenziato dalla Corte costituzionale fin dal 1967 82, la tutela costituzionale
dello straniero complessivamente considerato, e la connessa protezione costituzionale dei
suoi diritti fondamentali, trova fondamento nella lettura sistematica di tre disposizioni
costituzionali: l’art. 2, nella parte in cui riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo;
l’art. 3, in quanto riconosce la pari dignità sociale e l’eguaglianza di tutti i “cittadini”
(riferibile, come si vedrà, ad ogni “persona”); l’art. 10, comma 2, in forza del quale la
condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei
trattati internazionali 83 . La Corte ha, inoltre, in più occasioni affermato che i diritti
inviolabili spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica,
ma in quanto esseri umani» (sentenza n. 105 del 2001), e che la condizione giuridica dello
straniero non deve essere considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati e
81
D. BIFULCO, I diritti sociali nella prospettiva della mondializzazione, cit., 215.
Cfr. Corte cost. sent. 120/1967.
83
Sul punto si veda E. ROSSI, Da cittadini vs. stranieri a regolari vs. irregolari, cit. Al riguardo cfr. anche C. CORSI,
Lo Stato e lo straniero, Cedam, Padova, 2001, 99, e P. STANCATI, Le libertà civili del non cittadino, in AA.VV., Lo
statuto costituzionale del non cittadino, cit., 38, l’art. 117, comma 1, Cost., il quale ritiene che debba inoltre farsi
riferimento all’art. 117, comma 1. Cost., che rafforza, inequivocabilmente, il disposto dell’art. 10, comma 2, «definendo
con una intensità e compiutezza precettiva maggiore - avendo, cioè, riguardo alla qualità e natura del vincolo di
conformità - quanto già tale ultima norma [l’art. 10 Cost., ndr] disponeva in ordine al rapporto intercorrente fra fonte
legislativa e fonte internazionale». Infatti, a seguito della modifica operata dalla l. cost. 3/2001 all’art. 117 Cost., il
primo comma di tale articolo prevede espressamente che la potestà legislativa statale e regionale sia esercitata nel
rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
82
34
peggiorativi84. Il principio costituzionale di uguaglianza non tollera, infatti, discriminazioni
fra la posizione del cittadino e quella dello straniero quando venga riferito al godimento dei
diritti inviolabili dell’uomo (v., fra le tante, la sentenza n. 62 del 1994)
85
, nella
consapevolezza, tuttavia, che il riconoscimento ai non cittadini di un diritto riconosciuto ai
cittadini non comporta una completa parificazione tra le due condizioni. Differenti
situazioni di fatto possano legittimare un diverso trattamento nel godimento dei medesimi
diritti tra cittadino e straniero (sentenza n. 104/1969), sebbene esse non debbano essere
precostituite dalla stessa legge, dovendo invece scaturire da una «fattuale diversità,
originaria e non legislativamente derivata»86. L’indagine sui diritti sociali dei non cittadini
impone, quindi, una riflessione sulla natura “legislativa” o “fattuale” delle diversità sopra
evidenziate: riflessione che si intende compiere alla luce del percorso tracciato dalla
giurisprudenza costituzionale.
84
Al riguardo si veda anche Corte cost. sent. 249/2010, relativa alla illegittimità dell’aggravante dell’avere
commesso il fatto «trovandosi illegalmente sul territorio nazionale», e sent. 245/2011, relativa alla illegittimità del
divieto di contrarre matrimonio per lo straniero non regolarmente presente sul territorio.
85
La Corte costituzionale, nell’affermare il riconoscimento dei diritti inviolabili della persona e in generale
l’applicazione anche allo straniero del principio di cui all’art. 3 Cost., ha esercitato un sindacato di ragionevolezza sulla
pertinenza di ogni differenziazione della condizione di straniero da quella di cittadino. Come evidenziato da R. BIN, G.
PITRUZZELLA, Diritto Costituzionale, XI ed., Giappichelli, Torino, 2008, 485, l’eguaglianza dello straniero nel
godimento dei diritti inviolabili è un principio e non una regola tassativa. Sull’applicazione del principio di uguaglianza
al cittadino straniero cfr. L. PALADIN, voce Eguaglianza (diritto costituzionale), in Enciclopedia del Diritto, XIV,
Giuffrè, Milano, 1965, 530; M. CUNIBERTI, La cittadinanza, Padova, Cedam, 1997, 159 e ss.; G. D’ORAZIO, Lo
straniero nella Costituzione italiana, cit., 222 e ss.; A. PIZZORUSSO, Che cos’è l’eguaglianza, Editori Riuniti, Roma,
1983, 69. Per un commento alla giurisprudenza costituzionale si veda A. PACE, Dai diritti fondamentali del cittadino ai
diritti dell’uomo, in Rivista AIC, 2.7.2010 (ivi in part. 12 e ss.).
86
Come osserva A. PUGIOTTO, «Purché se ne vadano». La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi
di allontanamento dello straniero, in AA. VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino, cit., 389, tali differenze di
fatto non possono ovviamente essere precostituite dalla stessa legge, se «non si vuole cadere in un gioco di specchi
deformanti dove il legislatore crea quelle stesse differenze, cui poi si appella per giustificare la legittimità costituzionale
delle proprie successive scelte discrezionali». Sulla considerazione delle differenze di fatto tra cittadini e stranieri nella
giurisprudenza della Corte costituzionale, cfr. M.C. LOCCHI, Facta sunt servanda: per un diritto di realtà in tema di
uguaglianza degli stranieri, in Quad. Cost. 3/2010, 573.
35
3.1 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E LIVELLI DI RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI
SOCIALI : PRESENZA SUL TERRITORIO E RESIDENZA
La normativa sopra analizzata sembra distinguere più livelli di riconoscimento dei diritti
sociali in ragione della mera presenza dello straniero sul territorio, della residenza (più o
meno prolungata), del possesso di un determinato titolo di soggiorno o della cittadinanza
(italiana o comunitaria), secondo un progressivo incremento delle prestazioni riconosciute
che vede fortemente limitate quelle riservate allo straniero non regolarmente soggiornante
(si pensi alle cure urgenti ed essenziali rispetto alla generalità delle prestazioni attinenti al
diritto alla salute) per arrivare a prestazioni ulteriori riservate ad una platea più ristretta di
beneficiari (si pensi a certe erogazioni assistenziali o all’accesso all’edilizia residenziale
pubblica, riservato al titolare del permesso CE). Molte delle sopramenzionate discipline
sono state oggetto di giudizi di legittimità costituzionale ed hanno permesso alla Corte
costituzionale di delineare uno “statuto” dei diritti sociali dello straniero, alla luce
soprattutto del principio di uguaglianza e di quello di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost.
Il primo livello di riconoscimento che deriva dall’analisi della legislazione vigente è
fondato sulla mera presenza sul territorio. A tale condizione consegue il riconoscimento di
un novero di prestazioni inferiori, strettamente connesse alla tutela della vita umana. In
particolare si fa riferimento al carattere di urgenza ed essenzialità delle prestazioni
strettamente
connesse
all’ambito
della
dignità
umana,
fondamento
ultimo
del
riconoscimento di ogni diritto inviolabile 87 . La Corte costituzionale ha in più occasioni
87
In generale sul punto si veda A. CASSESE, I diritti umani oggi, Laterza, Roma-Bari, 2005, 54 e ss., e G.
OESTREICH, Storia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, a cura di G. Gozzi, Laterza, Roma-Bari, 2004, 138, per
il quale la dignità umana esprime quella tendenza sociale prevalente: quel valore, cioè, che sussume in sé e riunisce tutti
i diritti fondamentali. Al riguardo A. R UGGERI, A. SPADARO, Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale (Prime
notazioni), in V. ANGIOLINI (a cura di), Libertà e giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 1992, 226,
evidenziano come tutte le questioni che attengono ai diritti della personalità e alle connesse libertà tocchino il concetto
36
affermato che lo straniero è titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione
riconosce spettanti alla persona (sentenza n. 148 del 2008) ed in particolare, con riferimento
al diritto all’assistenza sanitaria, che esiste «un nucleo irriducibile del diritto alla salute
protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di
impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare
l’attuazione di quel diritto». Quest’ultimo deve perciò essere riconosciuto «anche agli
stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il
soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio
dello stesso» (sentenza n. 252 del 2001). Con riferimento alla tutela dei diritti fondamentali,
nell’ambito delle proprie competenze, anche le Regioni possono legittimamente adottare
misure di assistenza per gli stranieri non regolarmente presenti sul territorio, garantendo, ad
esempio, interventi socio-assistenziali urgenti ed indifferibili e forme di prima accoglienza
abitativa.
Dalle argomentazioni che la Corte costituzionale ha elaborato nella citata sentenza
252/2001 – riprese da ultimo anche nelle sentenze 269 e 299/2010 e 61/2011 – la
discrezionalità del legislatore nei confronti dello straniero presente sul territorio nazionale
incontra quindi il limite della garanzia del “nucleo duro”, irriducibile, dei diritti
fondamentali, mentre per la restante parte il legislatore ha un margine di operatività più
ampio, sottoposto comunque al sindacato costituzionale di ragionevolezza
88
. Tale
di dignità dell’uomo; concetto che, tuttavia, per quello che è stato definito un singolare paradosso, «sembra tanto più
giuridicamente indefinibile quanto, di solito, più intuitivamente evidente». Sul primato della persona umana quale
soggetto titolare dei diritti all’uguaglianza distributiva, cfr. A. GIORGIS, La costituzionalizzazione dei diritti
all’uguaglianza sostanziale, Jovene, Napoli, 213. Per un approfondimento di tale aspetto con riferimento alla peculiare
categoria dei rom e sinti, cfr. P. BONETTI, I nodi giuridici della condizione di rom e sinti in Italia, in P. BONETTI, A.
SIMONE, T. VITALE, La condizione giuridica di rom e sinti in Italia, Giuffrè, Milano, 2011, 23.
88
Sull’ammissibilità di differenze di trattamento tra cittadini e stranieri, cfr. B. PEZZINI, Una questione che
interroga l’uguaglianza, cit., 217, la quale distingue tra la “catena della cittadinanza”, nella quale vengono richiamate le
37
ricostruzione si fonda sul presupposto della possibile (ammissibile) “scomponibilità” di tali
diritti tra prestazioni più o meno essenziali89. Posizione confermata dalla Corte anche nella
successiva sentenza 306/2008, laddove si precisa che il legislatore italiano può subordinare,
non irragionevolmente, l’erogazione di determinate prestazioni alla luce del carattere non
episodico e di non breve durata del titolo di soggiorno dello straniero, purché esse non siano
inerenti a rimediare gravi situazioni di urgenza. La difficoltà interpretativa risiede tuttavia
nel comprendere cosa debba intendersi per urgenza, e quanto possa tenere la distinzione tra
nucleo duro ed altre prestazioni eccedenti l’essenziale 90 . Come è stato evidenziato in
dottrina, dal momento che la protezione di tale nucleo è strettamente connessa alla tutela
della dignità della persona, appare assai difficile escludere tale lesione tutte le volte in cui
non vi sia un pregiudizio grave o irreparabile 91. Del resto è la nozione stessa di «nucleo
norme che sono strettamente associate alla cittadinanza, e la “catena del personalismo”, in cui si connettono le norme
che costruiscono il catalogo dei diritti inviolabili della persona umana.
89
Ovviamente tale giurisprudenza si riferisce ai cosiddetti diritti sociali di prestazione.
90
In altre occasioni la Corte ha parlato di «nucleo indefettibile di garanzie» quale limite invalicabile all’intervento
normativo discrezionale del legislatore. Si veda da ultimo Corte cost. sent. 80/2010 in relazione al diritto all’istruzione
della persone in condizione di disabilità. Sulla distinzione tra nucleo del diritto e prestazioni eccedenti l’essenziale, cfr.
in dottrina E. ROSSI, I diritti dei non cittadini nell’ordinamento interno, in E. ROSSI (a cura di), Problemi attuali delle
libertà costituzionali, Plus, 2009, 72 e ss. Al riguardo A. R UGGERI, Note introduttive ad uno studio sui diritti e i doveri
costituzionali degli stranieri, in Rivista AIC 2/2011, 10, evidenzia tuttavia come, se si muove dalla premessa del
carattere autenticamente “fondamentale” di alcuni diritti, «piana ed obbligata è la conseguenza che essi, proprio perché
tali, devono essere riconosciuti a tutti, e a tutti nel medesimo modo o grado (senza, dunque, distinguere tra parte e parte
dei diritti stessi) ed al medesimo titolo, siccome appunto “fondamentali”». In senso critico sulla distinzione tra ciò che è
fondamentale e ciò che non lo è, cfr. M. CUNIBERTI, L’illegittimità costituzionale dell’esclusione dello straniero dalle
prestazioni sociali previste dalla legislazione regionale, in Le Regioni, 2006, 516.
91
Al riguardo si veda A. RUGGERI, Note introduttive ad uno studio, cit., 7, il quale nell’evidenziare l’incerta ed
oscura individuazione del concetto di nucleo irriducibile si chiede se, qualora sia in gioco la salute dello straniero
irregolare, la sua dignità non sia lesa soltanto in presenza di un pregiudizio grave o irreparabile, ma anche in tutti i casi
in cui vengano negati ad una persona umana medicinali di cui essa ha bisogno, senza che incomba un pregiudizio grave
ed irreparabile per la sua salute. In generale, sulla ricostruzione del contenuto essenziale dei diritti cfr. Q. CAMERLENGO,
La vocazione cosmopolitica dei sistemi costituzionali alla luce del comune nucleo essenziale, in S. STAIANO (a cura di),
Giurisprudenza costituzionale e principi fondamentali. Alla ricerca del nucleo duro delle Costituzioni, Atti del
Convegno annuale del Gruppo di Pisa, Capri 3-4 giugno 2005, Giappichelli, Torino, 2006, 85. Sulla problematica
distinzione tra il contenuto essenziale del diritto e le modalità con cui esso può essere esercitato si veda R. BIN, Diritti e
fraintendimenti, cit., 366.
38
irriducibile» – al pari di quella che fa leva sul «contenuto essenziale» del diritto – a scontare
un’indeterminatezza fisiologica 92 , quasi un’impossibilità di univoca definizione, dovuta
all’elevato tasso di discrezionalità che caratterizza l’individuazione di cosa debba
considerarsi tale in un dato momento storico 93. Un approfondimento specifico di questo
aspetto porterebbe lontano dal nostro ambito di indagine; risulta comunque utile ricordare la
matrice sostanzialmente giurisprudenziale della nozione di “nucleo duro/irriducibile di un
diritto”, finalizzata a dimostrare l’incostituzionalità delle disposizioni legislative che vi
incidono ovvero ad escluderla quando tale ambito non risulti intaccato: un ambito che deve
ritenersi inviolabile anche al legislatore costituzionale 94 e che deve ritenersi indisponibile a
qualsiasi bilanciamento, anche nei confronti degli stranieri non regolarmente presenti sul
territorio.
Un secondo livello di riconoscimento si fonda sulla residenza nel territorio.
Nell’ordinanza 32/2008, la Corte costituzionale ha evidenziato che la residenza, rispetto ad
una provvidenza regionale, appare un criterio non irragionevole per l’attribuzione del
beneficio e che il requisito della residenza continuativa, ai fini ad esempio dell’assegnazione
di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, risulta non irragionevole «quando si pone in
coerenza con le finalità che il legislatore intende perseguire, specie là dove le stesse
realizzino un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco». La sostanziale
92
Di indeterminatezza fisiologica parla D. MORANA, Titolari di diritti, anche se irregolari: politiche regionali di
integrazione sociale e diritto alla salute degli immigrati (note minime a Corte cost., sent. n. 269 del 2010), in Giur.
cost., 2010, 3238 e ss.
93
Su punto si veda A. GIORGIS, Le garanzie giurisdizionali dei diritti costituzionali all’uguaglianza distributiva, in
A. D’ALOIA (a cura di), Diritti e Costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite, Milano, Giuffrè, 2003, 121.
94
Come rileva C. SALAZAR, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali, cit., 131, che distingue tra “nucleo
duro” del diritto e suo “contenuto essenziale”, quest’ultimo inattaccabile dal legislatore ordinario, ma modificabile
mediante procedimento aggravato ai sensi dell’art. 138 Cost.
39
apoditticità di tale argomentazione 95 è stata parzialmente stemperata qualche anno dopo
(sent. 40/2011) con la precisazione secondo la quale l’esclusione assoluta di intere categorie
di persone – fondata o sul difetto del possesso della cittadinanza europea ovvero su quello
della mancanza di una residenza temporalmente protratta per almeno trentasei mesi – non
risulta rispettosa del principio di uguaglianza, qualora non vi sia una ragionevole
correlazione tra le condizioni positive di ammissibilità al beneficio (es. cittadinanza o
residenza protratta sul territorio) ed i requisiti che costituiscono il presupposto di fruibilità
delle provvidenze di volta in volta considerate (es. situazioni psico-fisiche di bisogno) 96.
In quell’occasione si trattava di prestazioni inerenti il sistema regionale dei servizi
sociali, del tutto escluse per i cittadini di Paesi terzi e limitate anche per i cittadini italiani e
comunitari alla residenza prolungata sul territorio regionale per almeno 36 mesi. Le
argomentazioni della Corte sono significative poiché approfondiscono la connessione tra
criteri di riconoscimento di un beneficio e condizioni strettamente attinenti alla persona. In
particolare, a parere della Corte, tali tipologie di provvidenze, per la loro stessa natura, «non
tollerano distinzioni basate né sulla cittadinanza, né su particolari tipologie di residenza
volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di
bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare
perseguendo una finalità eminentemente sociale» (sent. 40/2010 cit.). Le condizioni di
ammissibilità al beneficio (residenza protratta per 36 mesi ovvero cittadinanza) risultano,
infatti, del tutto incoerenti con le situazioni di bisogno e di disagio che costituiscono il
95
Sul punto cfr. F. CORVAJA, Libera circolazione dei cittadini e requisito di residenza regionale per l’accesso
all’edilizia residenziale pubblica, in Le Regioni, 2008, 633.
96
Per un commento alla sent. 40/2011, con specifico riferimento al requisito della residenza qualificata, cfr. F.
CORVAJA, Cittadinanza e residenza qualificata nell’accesso al welfare regionale, in Le Regioni, 6/2011, 1257 e ss. (ivi
in part. 1271 e ss.), che approfondisce l’illegittimità di tale requisito anche alla luce di un’analisi della giurisprudenza
della Corte Suprema degli Stati Uniti.
40
presupposto per l’accesso alle prestazioni di natura sociale, riferibili direttamente alla
persona in quanto tale. Come già anticipato, ogni differente trattamento nel godimento di
diritti fondamentali deve fondarsi su una fattuale diversità, derivante dalla condizione in cui
si trova la persona e non legislativamente precostituita. Tale caso evidenzia in modo
emblematico come le politiche che si è definito “di appartenenza” siano in grado di incidere
profondamente anche sui diritti dei cittadini, che possono vedersi rifiutare l’accesso ai
servizi sociali se non residenti in quel territorio regionale da almeno 36 mesi.
Sul punto non sono escluse ulteriori indicazioni da parte della Corte costituzionale,
avendo il Governo impugnato alcune leggi regionali limitative di prestazioni di natura
sociale sulla base della residenza prolungata sul territorio. Al momento in cui si scrive i
ricorsi sono pendenti97.
3.2 (SEGUE) POSSESSO DI DETERMINATI TITOLI DI SOGGIORNO E CITTADINANZA
Un indice del carattere non episodico e di non breve durata del soggiorno dello straniero
è riconducibile anche al titolo di soggiorno posseduto 98. Per tale ragione, molte discipline
statali, ma anche regionali e locali, hanno legato la fruizione di certe prestazioni di natura
sociale al possesso del permesso CE. Si tratta soprattutto di prestazioni di assistenza sociale,
come le erogazioni economiche connesse a stati di invalidità, e l’accesso ad alloggi di
edilizia residenziale pubblica.
Anche su tale profilo la Corte costituzionale ha fornito significative indicazioni che sono
venute ad assumere «incidenza generale ed immanente nel sistema di attribuzione delle
97
Per i riferimenti si veda supra nota 48.
Sulla complessità della normativa relativa alle tipologie di permesso e la difficoltà di emanciparsi dalla condizione
di sans papier, cfr. L. TRUCCO, Il permesso di soggiorno nel quadro normativo e giurisprudenziale attuale, in P.
COSTANZO, S. MORDEGLIA, L. TRUCCO (a cura di), Immigrazione e diritti umani nel quadro legislativo attuale, Giuffré,
Milano 2008, 11 e ss. (ivi in part. 30 e ss.).
98
41
relative provvidenze» 99 , in assenza di un intervento organico di riordino da parte del
legislatore. A tal proposito la Corte ha affermato che il possesso di un determinato titolo di
soggiorno (dal quale si evince il carattere non episodico e di non breve durata dello straniero
sul territorio nazionale) può legittimamente fondare una distinzione nel godimento di certe
prestazioni, purché esse non siano dirette a rimediare a gravi situazioni di urgenza. Inoltre,
in tutti i casi in cui il diritto a soggiornare non sia in discussione, «non si possono
discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il
godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini» (sentenza
n. 306 del 2008 cit.).
Alla luce di tali affermazioni, la disciplina nazionale che ha limitato il riconoscimento
dell’indennità di accompagnamento, della pensione di inabilità e dell’assegno di invalidità
ai soli titolari del permesso CE è stata quindi dichiarata non conforme a Costituzione. Ad
essere violato è stato anche il principio di ragionevolezza, soprattutto in riferimento a quelle
erogazioni economiche sociali subordinate al mancato superamento di un determinato
livello di reddito 100.
Volendo individuare i casi in cui una possibile differenziazione può ritenersi legittima, si
può far riferimento a quanto affermato dalla Corte nella successiva sentenza 187/2010, nella
quale si chiarisce che ciò che assume valore dirimente, ai fini della possibile
differenziazione tra cittadini e stranieri, risiede nel concreto atteggiarsi delle prestazioni così
da verificarne la relativa “essenzialità” agli effetti della tutela dei valori coinvolti. Se cioè la
prestazione «integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento
99
Come afferma la Corte stessa nella sent. 61/2011, § 7.1 Cons. in dir.
In tali casi, infatti, per l’accesso degli stranieri a tali prestazioni è richiesto il possesso del permesso CE per il cui
rilascio è necessario un determinato livello di reddito, allo stesso tempo però, per il godimento di quelle medesime
prestazioni, la legislazione prevede che il beneficiario non abbia un reddito superiore ad un preciso importo, creando
quindi un inevitabile “corto circuito normativo”.
100
42
dei bisogni primari inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito
della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto
fondamentale perché garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto»101. Anche in questo
caso l’interprete si trova dinanzi ad un compito difficile: stabilire cosa debba intendersi per
“bisogni di primari” della persona senza che ciò si traduca in una tutela minima dei diritti
sociali (anche per coloro che sono regolarmente presenti sul territorio). Sicuramente,
seguendo tale ragionamento, molteplici dubbi di costituzionalità possono essere avanzati nei
confronti di tutte quelle prestazioni sociali ancora legate al permesso CE, tra le quali
meritano una particolare menzione l’assegno sociale e la social card. Il primo è una
prestazione rilasciata a coloro che non sono titolari di alcun reddito o che hanno comunque
un reddito annuo inferiore, per il 2012, ad € 5.577 102 . Le condizioni di accesso a tale
prestazione sono state ulteriormente aggravate con la richiesta di una residenza almeno
decennale sul territorio 103 . La seconda è invece riconosciuta a coloro che versano in
condizione di maggior disagio economico per il soddisfacimento delle esigenze
prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche e sanitarie. In
questo caso la disciplina statale richiedeva addirittura la condizione di cittadinanza. Di
101
Cfr. Corte cost. sent. 187/2010.
Come è noto, ai sensi dell’articolo 3, comma 6, della legge 8.8.1995, n. 335, hanno diritto all’assegno sociale i
cittadini italiani che abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno di età, risiedano effettivamente e abitualmente in
Italia e possiedano redditi di importo inferiore ai limiti previsti dalla stessa legge.
103
Richiesta a decorrere dall’1.1.2009, dall’art. 20, comma 10, del d.l. 112/2008, convertito con modificazioni dalla
legge 133/2008. La modifica normativa solleva tuttavia non poche perplessità sulla compatibilità di tale disciplina con
la direttiva CE 2003/109 – relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo – e con
la direttiva CE 2004/38 – relativa ai diritti dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, oltre a configurare
probabilmente un’ipotesi di discriminazione indiretta. Al riguardo cfr. Tribunale di Brindisi, sentenza. 24.1.2012, n.
295, con la quale è stato accolto il ricorso presentato da un cittadino extracomunitario avverso il diniego dell’INPS a
riconoscergli il diritto all’assegno sociale, seppure privo del permesso di soggiorno CE. Con una decisione al limite
della disapplicazione, il giudice ha ritenuto di dover interpretare la disposizione in senso conforme a Costituzione,
riferendosi espressamente ai principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza 187/2010. Sul punto si veda
anche Tribunale di Perugia, sez. lavoro, sentenza 16.3.2012, n. 196, e Corte di Cassazione, VI Sez. Civ., sentenza
14.03.2012, n. 4110.
102
43
recente è stata avviata una sperimentazione della prestazione nei Comuni con oltre 250.000,
prevedendo un’estensione ai cittadini comunitari e, con riferimento ai cittadini di Paesi terzi,
ai soli titolari del permesso CE 104, sebbene si tratti di una prestazione sicuramente incidente
sui diritti fondamentali della persona umana. Infatti, come chiarito anche dalla Corte
costituzionale - seppur nell’ambito di un giudizio di costituzionalità sollevato in via
principale tra Stato e Regioni - la normativa è posta a protezione delle situazioni di estrema
debolezza della persona umana, «trattandosi del diritto a conseguire le prestazioni
imprescindibili per alleviare situazioni di estremo bisogno, in particolare, alimentare e di
affermare il dovere dello Stato di stabilirne le caratteristiche qualitative e quantitative, nel
caso in cui la mancanza di una tale previsione possa pregiudicarlo» 105.
Chiaramente discriminatorio è, invece, il requisito della cittadinanza (italiana o
comunitaria), quale criterio di selezione per l’accesso alle prestazioni di natura sociale,
anche eccedenti l’essenziale. Al riguardo, oltre alla già menzionata sentenza 40/2011, deve
essere ricordata l’ormai nota sentenza 432/2005 relativa al trasporto regionale gratuito per le
persone in condizione di invalidità. In tale occasione la Corte ha avuto modo di chiarire che
il requisito della cittadinanza non può assumersi quale «criterio preliminare di accesso» al
beneficio senza che lo stesso sia stato «pensato in riferimento ad una specifica categoria di
soggetti», anche in riferimento a prestazioni eccedenti l’essenziale. Come già chiarito in
riferimento al criterio della residenza, deve infatti sussistere una ragionevole correlazione
tra la condizione positiva assunta come requisito di ammissibilità al beneficio e gli altri
104
La prestazione è stata istituita dall’art. 81 del già citato d.l. 112/2008. Per un commento a tale prestazione,
nell’ambito delle più generali politiche assistenziali dello Stato, cfr. C. PINELLI, «Social card», o del ritorno alla carità
di Stato, in G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), Il diritto costituzionale come regola e limite al potere.
Scritti in Onore di Lorenza Carlassare, Vol. III, Jovene, Napoli, 2009, 1177 e ss. Per le modifiche relative ai
beneficiari, si veda l’art. 60 del d.l. 9.2.2012, n. 5, convertito con l. 4.4.2012, n. 35. Questa prestazione sembra
affiancare la “vecchia carta acquisti” che rimane quindi limitata ai soli cittadini italiani.
105
Cfr. Corte cost. sent 20/2010, § 6.4 Cons. in dir.
44
peculiari requisiti (es. condizione di invalidità) che ne condizionano il riconoscimento e ne
definiscono la ratio e la funzione. Una ricostruzione che conferma, quindi, la necessità che
ogni distinzione nel godimento di prestazioni di natura sociale – anche eccedenti
l’essenziale – sia fondata su una fattuale diversità, rappresentata nel caso sopra riportato
dalla condizione di disabilità e non dalla cittadinanza della persona 106. In tale decisione la
Corte ha, inoltre, cura di specificare che le scelte relative ai beneficiari possono essere
circoscritte in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie, tuttavia esse devono essere
operate, sempre e comunque, in ossequio al principio di ragionevolezza 107.
3.3 I DIRITTI SOCIALI DEGLI STRANIERI (E DEI CITTADINI). LOCALISMO E DISCRIMINAZIONI
INDIRETTE
L’indagine sui diritti sociali degli stranieri manifesta in modo ancor più evidente la
tendenza che oggi caratterizza il riconoscimento dei diritti sociali nell’ambito degli
ordinamenti a pluralismo territoriale 108.
106
Si evidenzia che la connessione tra prestazioni sociali e cittadinanza è oggetto di un giudizio di costituzionalità
attualmente pendente. Vedi supra nota 46.
107
Sul vincolo delle risorse finanziarie ed il sindacato di ragionevolezza, con specifico riferimento ai rapporti fra
Parlamento e Corte costituzionale, cfr. M. MIDIRI, Diritti sociali e vincoli di bilancio, in AA. VV., Studi in onore di
Franco Modugno, cit., 2235 e ss. Per una dettagliata analisi della giurisprudenza costituzionale, cfr. C. COLAPIETRO, La
giurisprudenza costituzionale nella crisi dello stato sociale, Cedam, Padova, 1996, 75 e ss.
108
Si può anzi rilevare una compenetrazione dello stesso stato sociale con l’articolazione territoriale e pseudo
federalistica dello Stato, come evidenziato da G. BERTI, Mutamento dello stato sociale e decentramento istituzionale:
effetti sulla tutela dei diritti, in G. BERTI, G. C. DE MARTIN (a cura di), Le garanzie di effettività dei diritti nei sistemi
policentrici, Milano, Giuffrè, 2003, 15. Con riferimento alle trasformazioni del welfare nei sistemi autonomistici, cfr. S.
GAMBINO, Stato, diritti e devolution: verso un nuovo modello di welfare, in www.associazionedeicostituzionalisti.it,
2.2.2006; P. CARROZZA, I nodi istituzionali del welfare fra Europa e territorializzazione, in Rivista delle politiche
sociali, 1/2007, 29 ss., e sempre dello stesso A., Riforme istituzionali e sistemi di welfare, cit., 223, per il quale sono gli
stessi processi di globalizzazione a spingere verso una territorializzazione dell’economia e quindi alla differenziazione
dei territori. In relazione ad una uniforme garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni, cfr. E. ROSSI, L’effettività del
principio di uguaglianza negli ordinamenti multilevel: i sistemi tedesco, spagnolo e italiano a confronto, in G. BERTI,
G. C. DE MARTIN (a cura di), Le garanzie, cit., 151, e G. DELLEDONNE, Federalismo, livelli essenziali, diritti, in M.
CAMPEDELLI, P. CARROZZA, L. PEPINO (a cura di) Diritto di welfare, cit., 251 e ss.
45
Il condizionamento di molte prestazioni alla durata della residenza sul territorio
contribuisce a delineare un sistema di tutela dei diritti a carattere fortemente locale, idoneo a
pregiudicare non solo la condizione del cittadino straniero, ma anche quella del cittadino
italiano proveniente, ad esempio, da un altro Comune o da un’altra Regione. Si tratta di
politiche che mirano a favorire forme di appartenenza a una comunità locale – regionale o
comunale – e che trovano nella residenza il proprio status fondativo 109.
Con specifico riferimento agli stranieri, il sistema delle cosiddette “cittadinanze locali”
presenta delle potenzialità ma anche degli evidenti rischi. Se da un lato tale sistema può
favorire l’inclusione a livello locale, dall’altro può trasformarsi in meccanismi fortemente
escludenti, come quelli sopra menzionati in materia di accesso all’edilizia residenziale
pubblica e a determinate prestazioni sociali. La limitazione di certe prestazioni alla
residenza prolungata sul territorio può, infatti, pregiudicare maggiormente gli stranieri, i
quali, con ogni probabilità, saranno residenti nel territorio nazionale/regionale/locale da un
tempo inferiore rispetto ai cittadini. Attraverso misure che si applicano paritariamente a
cittadini e stranieri, si finisce quindi per favorire i primi attraverso politiche discriminatorie
di tipo indiretto 110. Al riguardo il contributo della Corte di Giustizia nell’elaborazione del
concetto di discriminazione indiretta è assai significativo. La Corte di Lussemburgo ha,
infatti, chiarito che il requisito della residenza ai fini dell’accesso ad un beneficio può
integrare una forma di discriminazione “dissimulata”, in quanto può essere più facilmente
109
Sul tema si veda E. GARGIULO, L’inclusione esclusiva. Sociologia della cittadinanza sociale, Milano, Franco
Angeli, 2008.
110
Sulle nozioni di discriminazione diretta e indiretta, cfr. art. 43 del testo unico e art. 2 del d.lgs. 215/2003, recante
“Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e
dall’origine etnica”. In dottrina si veda D. STRAZZARI, Discriminazione razziale e diritto, Padova, 2008, 85.
46
soddisfatto dai cittadini piuttosto che dai lavoratori comunitari, finendo dunque per
privilegiare in misura sproporzionata i primi a danno dei secondi111.
Peraltro,
parallelamente
all’ascesa
di
questo
“nuovo”
criterio
di
riconoscimento/esclusione dal godimento di diritti sociali (che non trova alcun fondamento
in Costituzione), sono molteplici i casi in cui si è cercato di aggravare le procedure in
materia di iscrizione anagrafica 112 . Precludendo o comunque aggravando le condizioni
richieste per l’iscrizione anagrafica si è cercato – più o meno velatamente – di precludere
anche l’accesso a servizi o prestazioni sociali che spetterebbero, paritariamente, ai cittadini
e agli stranieri 113 . Un’ampia schiera di diritti sociali ed economici dipende, infatti, dalla
residenza anagrafica, la cui mancanza può precludere la concessione di sussidi, pensioni e
altre misure di assistenza e sicurezza sociale, la partecipazione a bandi per l’assegnazione di
alloggi di edilizia popolare, il diritto alle prestazioni di assistenza sanitaria non urgenti,
ecc.114.
111
Cfr. CGE, causa Meints 57/96, sentenza 27.11.1997; Meussen, causa 337/97, sentenza 8.6.1999; Commissione c.
Lussemburgo, causa 299/01, sentenza 20.6.2002. Al riguardo si veda anche la sentenza 16.1.2003, C-388/01, con la
quale la Corte di Giustizia ha condannato l’Italia per le agevolazioni tariffarie per l’accesso ai musei comunali a
vantaggio delle persone residenti (in part. §§ 13 e 14). Con riferimento all’elaborazione giurisprudenziale compiuta
dalla Corte di Giustizia si veda in dottrina O. POLLICINO, Discriminazione sulla base del sesso e trattamento
preferenziale nel diritto comunitario, Milano, 2005, 40 e ss.
112
Sul punto si veda F. DINELLI, La stagione della residenza: analisi di un istituto giuridico in espansione, in Diritto
Amministrativo, 3/2010, 687. Sulla configurazione dell’iscrizione anagrafica come diritto soggettivo, cfr. P. MOROZZO
DELLA ROCCA, Il diritto alla residenza: un confronto tra principi generali, categorie civilistiche e procedure
anagrafiche, in Il diritto di famiglia e delle persone, 4/2003, 1013 e ss.
113
Sulla legittimità di tali politiche, cfr. E. GARGIULO, Welfare locale o welfare localistico? La residenza anagrafica
come strumento di accesso ai – o di negazione dei – diritti sociali, Conferenza Espanet “Innovare il welfare. Percorsi di
trasformazione in Italia e in Europa”, 2011, disponibile al seguente link: http://www.espanetitalia.net/conferenza2011/edocs2/sess.16/16-gargiulo.pdf.
114
Sul punto si veda P. MOROZZO DELLA ROCCA, Il diritto alla residenza, cit., 1018 e ss. Al riguardo si veda quanto
anche F. Pastore, Migrazioni internazionali e ordinamento giuridico, in L. Violante (a cura di), Legge, diritto, giustizia,
Annali della Storia d’Italia, n. 14, Einaudi, Torino, 1998, 1095.
47
Il caso di Cittadella 115 è piuttosto esemplificativo di una tendenza confermata anche da
altri amministratori locali 116, i quali condizionando l’iscrizione anagrafica alla richiesta di
ulteriori requisiti – come il possesso del permesso CE, la disponibilità di un’abitazione o la
dimostrazione di redditi sufficienti – finiscono per praticare una vera e propria selezione
delle persone che possono risiedere nel proprio Comune. Si tratta di politiche che mirano a
“controllare” i flussi migratori sul territorio locale in modo arbitrario e contra legem 117,
regolando indirettamente anche le politiche redistributive a favore della popolazione locale.
Una sorta di preclusione all’origine che impedisce allo straniero il godimento dei diritti
sociali su quel determinato territorio e che richiama alla memoria quei provvedimenti contro
l’urbanesimo, tristemente noti e risalenti all’epoca fascista 118 . Per non fare entrare gli
“indesiderati”, la comunità viene quindi “blindata”, rendendone ancora più incerta la
dimensione fisica 119.
115
Cfr. ordinanza 16.11.2007, n. 258. Per un commento critico, cfr. F. CORTESE, Il “caso” Cittadella: ovvero, breve
vademecum per leggere una controversa ordinanza, in www.forumcostituzionale.it.
116
Sui poteri sindacali ai sensi dell’art. 54 del d.lgs. 276/2000 (così come modificato dal d.l. 92/2008, conv. in l.
125/2008) si veda F. CORTESE, Povertà e ordinanze dei Sindaci: le politiche pubbliche e l’importanza delle questioni
organizzative, in Le Istituzioni del Federalismo, 5/2008, 697 e ss. Come noto tale potere è stato utilizzato dai sindaci per
disciplinare molteplici settori ricondotti “creativamente” alla sicurezza. Sul punto si vedano i contributi pubblicati in Le
Regioni, 1-2/2010, tra i quali, in particolare, F. C ORVAJA, Esiste una libertà “innominata” da tutelare? Ordinanze
sindacali “creative” e libertà individuale, 33 e ss.; A. GUAZZAROTTI, Le ordinanze dei Sindaci in materia di sicurezza
urbana: quale ruolo assume la riserva di legge?, 83 e ss.; P. BONETTI, Considerazioni conclusive circa le ordinanze dei
sindaci in materia di sicurezza urbana: profili costituzionali e prospettive, 429 e ss. Sul punto si veda anche Corte cost.
sent. 115/2011, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 54, così come modificato nel 2008. Per un
commento alla decisione, con specifico riferimento al principio di legalità, cfr. S. PARISI, Dimenticare l’obiezione di
Zagrebelsky? Brevi note su legalità sostanziale e riserva relativa nella sent. n. 115/2011, in
www.forumcostituzionale.it.
117
Al riguardo si veda la raccomandazione UNAR 30.1.2012, n. 15, nella quale si fa espresso riferimento all’art. 6,
comma 7, del testo unico che afferma la parità di trattamento tra cittadino e straniero in materia di iscrizioni e variazioni
anagrafiche, e la copiosa giurisprudenza sul punto, tra cui ex multis Tribunale di Brescia, sent. 8.4.2010; Tribunale di
Brescia, ordinanza 24.2.2012; Tribunale di Bergamo, ordinanza 7.3.2011.
118
Si fa riferimento alla legge 6.7.1939, n. 1092, abrogata con la legge 10.2.1961, n. 5. Per un approfondimento sul
punto, cfr. A. TREVES, Migrazioni interne, in V. DE GRAZIA, S. LUZZATO (a cura di), Dizionario del fascismo, II,
Torino, Einaudi, 2003, 126 e ss.
119
R. BIN, I diritti di chi non consuma, cit., 107.
48
4. I DIRITTI SOCIALI DELLO STRANIERO NEL PRISMA DELLA TUTELA ANTIDISCRIMINATORIA
Nell’ordinamento interno molte delle discipline passate in rassegna sono state dichiarate
illegittime grazie all’introduzione nel nostro ordinamento di un rimedio giurisdizionale ad
hoc, l’azione civile contro la discriminazione, finalizzato a contrastare ogni comportamento,
di un privato o della pubblica amministrazione, che produca una discriminazione per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi.
L’azione è prevista dallo stesso testo unico in materia di immigrazione 120 , nel quale,
anticipando anche la disciplina comunitaria che di lì a poco sarebbe stata adottata 121, si
definisce discriminatorio «ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti
una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore,
l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che
abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento
o l’esercizio, in condizione di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo
politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica».
Nell’ambito dei rapporti con le pubbliche amministrazioni, tale azione ha costituito,
quindi, un utile strumento per rimuovere trattamenti discriminatori verificatisi in materia di
accesso all’abitazione, accesso al lavoro, accesso a misure economiche di assistenza sociale,
accesso all’istruzione, consentendo, di fatto, il riconoscimento in via giurisprudenziale di
120
Cfr. artt. 43 e 44 del testo unico.
Si fa riferimento alla direttiva 2000/43, sulla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e
dall’origine etnica, recepita con il d.lgs. 251/2003, e alla direttiva 2000/78, sulla parità di trattamento in materia di
occupazione e lavoro, recepita con il d.lgs. 216/2003. A differenza della previsione nazionale, le citate direttive non
riguardano le differenze di trattamento basate sulla nazionalità.
121
49
una serie di diritti sociali122. La peculiarità di questo tipo di azione fa sì che il ricorso non
abbia ad oggetto in via diretta lo specifico diritto di volta in volta in questione ma, più in
generale, la richiesta di tutela della propria dignità personale, lesa dal provvedimento
discriminatorio. L’introduzione di questa azione atipica sembra, quindi, considerare il
principio di non discriminazione come l’oggetto di un diritto, alla cui violazione consegue
anche la risarcibilità del danno non patrimoniale 123. Per tale ragione si può affermare che la
tutela antidiscriminatoria ha sollecitato il riconoscimento dei diritti sociali degli stranieri
secondo un effetto “moltiplicatore”, che è andato ad incidere sui diritti (e le prestazioni) di
volta in volta oggetto di giudizio.
Ed è proprio al divieto di discriminazione dello straniero che la stessa giurisprudenza
costituzionale ha più volte fatto riferimento nelle decisioni sopra menzionate. E
quand’anche i parametri invocati dal giudice remittente erano stati molteplici, la Corte è
arrivata alla decisione di incostituzionalità alla luce – prioritariamente – dell’art. 3 Cost., per
poi utilizzare, ad adiuvandum, gli altri parametri invocati dal giudice a quo, come gli artt. 2,
32, 38. Ne è un esempio la sentenza la sentenza 306/2008, nella quale la Corte, pur avendo
già dichiarato l’illegittimità della disposizione impugnata sulla base dell’art. 3 Cost., ha cura
122
Grazie a tale azione il giudice può, infatti, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare
ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione, compreso
l’eventuale risarcimento del danno. Per una ricostruzione della giurisprudenza cfr. A. CASADONTE, A. GUARISO ,
L’azione civile contro la discriminazione: rassegna giurisprudenza dei primi dieci anni, in Dir. Imm. e Citt., 2/2010, 59
e ss. In generale, sulle potenzialità espansive della giurisprudenza in materia di immigrazione, cfr. già A. PACE,
Problematica delle libertà costituzionali, cit., 318 e ss., per il quale la generica attribuzione dei diritti fondamentali allo
straniero rimetta di fatto al giudice comune la concreta loro individuazione, il che, da un lato, può condurre a contrasti
giurisprudenziali, dall’altro però potrebbe consentire un graduale avvicinamento della condizione dello straniero a
quella del cittadino.
123
Come evidenzia A. GENTILI, Il principio di non discriminazione nei rapporti civili, in Riv. crit. dir. priv. 2009,
226, la discriminazione non è soltanto disparità di trattamento, sebbene nei fatti la disparità sia il modo più frequente di
praticare la discriminazione, ma in primo luogo offesa alla dignità di una persona. Sul punto l’A. richiama il caso
notorio dell’impresa privata di trasporti ferroviari che approntava, alle stesse condizioni, vagoni separati per i bianchi e
per la gente di colore. In tal caso non poteva ravvisarsi nessuna disparità di trattamento, ma non può certo ritenersi che
tale trattamento non sia discriminatorio come offesa alla dignità di un determinato gruppo etnico.
50
di argomentare la fondatezza di tutti gli altri parametri invocati dal giudice e di precisare
anche il contrasto con l’art. 10, comma 1, Cost., dal momento che il divieto di
discriminazione dello straniero regolarmente soggiornante è riconducibile alle norme di
diritto internazionale generalmente riconosciute124: un chiarimento che mai prima di allora
era stato affermato dalla Corte costituzionale. Deve poi rilevarsi come, attraverso la chiave
offerta dal principio di non discriminazione, la Corte abbia ritenuto illegittime non solo le
limitazioni incidenti su diritti fondamentali della persona, ma anche prestazioni ritenute
“facoltative”, alla luce del principio di ragionevolezza 125. E in effetti, proprio nella tematica
dei diritti dei migranti, il sindacato costituzionale di uguaglianza e quello di ragionevolezza
sembrano in più occasioni intrecciarsi, in una compenetrazione tra giudizi nel quale è
talvolta quello di ragionevolezza a veicolare la stessa violazione del principio di
uguaglianza 126.
124
In riferimento a tale affermazione della Corte, si veda A. GUAZZAROTTI, Eguaglianza e pari dignità, in D. TEGA
(a cura di), Le discriminazioni razziali ed etniche, Armando ed., Roma, 2011, 197, il quale evidenzia come tale
precisazione, da parte della Corte, se non aggiunge molto alle motivazioni rilevanti nel caso da decidere, ha il pregio di
affiancare «alla freddezza di una tecnica di giudizio (la ragionevolezza), il calore di un principio sostanziale (il divieto
di discriminazioni)».
125
Sul punto si veda S. MABELLINI, La dimensione sociale dello straniero tra uniformità (sovranazionale) e
differenziazione (regionale), in Giur. cost., 2011, 1, 804 e ss.
126
Come noto, il giudizio sul rispetto del principio di uguaglianza attiene ad un verifica del trattamento diseguale di
situazioni uguali, mentre quello sulla ragionevolezza a un più approfondito riscontro sulla corrispondenza di taluni
aspetti della disciplina introdotta rispetto alla ratio complessiva della normativa. Per un approfondimento, cfr. G.
SILVESTRI, Uguaglianza, ragionevolezza e giustizia costituzionale, in M. CARTABIA, T. VETTOR, Le ragioni
dell’uguaglianza, Giuffrè, Milano, 2009, 3 e ss. (part. ivi 16 e ss.), per il quale il principio di uguaglianza e quello di
razionalità sono le due facce della stessa medaglia, se come affermato dalla stessa Corte si fa riferimento alla
«razionalità pratica, matrice dell’equità» (sent. 74/1992). Sul punto anche G. ZAGREBELSKY, Uguaglianza e giustizia
nella giurisprudenza costituzionale, in AA.VV., Corte costituzionale e principio di uguaglianza, cit., 66, per il quale è
ragionevole la norma che risponde alle esigenze del caso valutate alla luce dei principi costituzionali, mentre deve
ritenersi irragionevole la norma che rompe questo rapporto di congruenza. Sull’utilizzo del sindacato di ragionevolezza
con riferimento al tema dell’immigrazione si vedano in particolare le già citate sentenze nn. 432/2005, 306/2008 e
11/2009. Al riguardo M. CUNIBERTI, L’illegittimità costituzionale dell'esclusione dello straniero, cit., 517, in
riferimento alla prima delle sentenze citate, evidenzia come, nell’ambio in questione, «il controllo sull’eguaglianza e
quello sulla ragionevolezza sembrerebbero avere la stessa estensione e le stesse caratteristiche». Con riferimento alle
sentenze 306/2008 e 11/2009, G. BRUNELLI, Welfare e immigrazione, cit., 543, rileva come l’utilizzazione
51
Tuttavia, le potenzialità insite nella “tutela antidiscriminatoria” hanno portato, talvolta,
alcuni giudici ordinari ad operare delicate operazioni interpretative, piegando la normativa
oggetto di giudizio fino ad arrivare ad una interpretatio abrogans della medesima. Infatti, in
applicazione del principio di non discriminazione e, in alcuni casi, richiamando
espressamente i principi affermati nella giurisprudenza costituzionale, si è finito per
esercitare un giudizio di costituzionalità a carattere diffuso, estromettendo, in tal modo, il
giudice costituzionale dal sindacato sui diritti. Casi emblematici sono quelli relativi
all’accesso al servizio civile e al riconoscimento dell’assegno sociale, che hanno visto i
giudici ordinari disapplicare, di fatto, la normativa vigente, sulla cui base era stato adottato
il provvedimento ritenuto discriminatorio127.
Si tratta di una risposta giurisprudenziale alle discriminazioni – quale “lato oscuro” e
problematico di società che si trovano a dover affrontare una inaspettata e massiccia
domanda di accoglienza dell’Altro 128 – che, tuttavia, rinuncia alla rimozione del fattore
discriminatorio con efficacia erga omnes 129.
dell’autonomo principio di ragionevolezza consenta alla Corte di verificare per linee interne la coerenza del
sottosistema normativo di riferimento, costituendo un’applicazione esemplare dei criteri enunciati dalla Corte stessa
nella sentenza 163/1993.
127
Sul punto si vedano rispettivamente le seguenti sentenze: Tribunale di Milano, 9.1.2012, e Tribunale di Perugia,
sez. lavoro, sentenza 16.3.2012, n. 196, cit. Al riguardo si veda A. DURANTE, I confini della cittadinanza. Lavoro e
immigrazione alla luce del diritto antidiscriminatorio, in Riv. it. dir. lav., 2/2010, 367 e ss., a commento della sentenza
del Tribunale Milano, sez. Lavoro, 16.7.2009, in materia di accesso al lavoro.
128
Si veda la presentazione di M. CARTABIA al volume D. TEGA (a cura di), Le discriminazioni, cit., 9. In generale,
sulla giuridicizzazione del conflitto politico ed il ruolo del giudice nella soluzione dei conflitti sociali, cfr. P. COSTA,
Demos e diritti: un campo di tensione nelle democrazie costituzionali?, in P. CARETTI, M.C. GRISOLIA, Lo Stato
costituzionale. Scritti in onore di Enzo Cheli, Il Mulino, Bologna, 2011, 21.
129
Sul punto si veda a A. PACE, Dalla «presbiopia» comunitaria, cit., 672 e ss., a commento della già citata
ordinanza 71/2009, con la quale la Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilità di una questione di legittimità
costituzionale sollevata nell’ambito di un procedimento ex art. 44 del testo unico, poiché nella prospettazione del
giudice a quo, la rilevanza della questione dipendeva dalla costruzione di un’ipotesi di illecito civile che non esisteva
nel momento in cui il comportamento dannoso era stato posto in essere. Si legge nell’ordinanza che «la condanna non
potrebbe comunque essere pronunciata, perché una sentenza di questa Corte non può avere l’effetto di rendere
antigiuridico un comportamento che tale non era nel momento in cui è stato posto in essere». Portati alle estreme
52
5. LA TUTELA DEI DIRITTI SOCIALI DEGLI STRANIERI NEL DIALOGO TRA CORTI. LA CORTE
EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
Come già anticipato, un contributo decisivo al riconoscimento dei diritti sociali degli
stranieri è avvenuto grazie alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La
Convenzione europea dei diritti dell’uomo non contiene disposizioni specifiche in materia
sociale, tuttavia la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha ricondotto tale tutela in via
interpretativa ad alcune disposizione più generali della Convenzione. In materia di tutela
della salute, ad esempio, la Corte ha richiamato la protezione dell’art. 3 della Convenzione,
per il quale nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti. In
particolare, in forza di tale previsione, la Corte ha ritenuto contrari alla Convenzione alcuni
provvedimenti di espulsione disposti nei confronti di immigrati privi di permesso di
soggiorno e gravemente malati, che nel Paese di origine non avrebbero potuto beneficiare
delle cure necessarie, né di una rete familiare di supporto e cura, arrivando ad approdi non
troppo dissimili da quelli della giurisprudenza costituzionale italiana (v. sent. 252/2001 cit.).
Una particolare attenzione della Corte di Strasburgo è stata dedicata anche al diritto
all’istruzione, affermando la contrarietà alla Convenzione dell’istituzione di classi speciali
ove, statisticamente, venivano collocati in maggioranza alunni di origine rom. Il caso è
indicativo anche alla luce delle proposte legislative degli scorsi anni. E, proprio in una
decisione in materia di istruzione, viene affermato il diritto a non essere discriminati per
motivi razziali, come diritto indisponibile e irrinunciabile, in riferimento al quale nessun
conseguenze, tali principi potrebbero tuttavia svuotare la tutela antidiscriminatoria dinanzi ad atti secondari
discriminatori adottati in applicazione di fonti primarie.
53
consenso dell’interessato, o dei suoi rappresentanti, può ritenersi valido ai fini della
legittimità di un trattamento discriminatorio 130.
Infine, un più approfondito cenno merita la giurisprudenza in materia di prestazioni
sociali, anche di natura economica, alla quale in più occasioni sia i giudici a quibus
nazionali, che la stessa Corte costituzionale hanno fatto riferimento. La tutela di tale
tipologia di prestazioni è stata ricondotta al combinato disposto dell’art. 1 del Protocollo n.
1, in materia di rispetto dei beni personali131, e dell’art. 14 della Convenzione, relativo al
divieto di discriminazione in relazione al godimento dei diritti e delle libertà riconosciute
dalla Convenzione medesima. La Corte di Strasburgo ha, quindi, ritenuto discriminatoria
ogni distinzione tra cittadini e stranieri nel godimento delle prestazioni assistenziali di
natura economica quando non fosse fondata su giustificazioni obiettive e ragionevoli, e cioè
qualora non perseguisse un legittimo scopo o quando non fosse ravvisabile una ragionevole
relazione di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo che si vuol realizzare 132.
130
Cfr. Corte EDU sent. D.H. e altri c. Repubblica ceca, 13.11.2007, § 204. Sul diritto all’istruzione si veda anche
Orsus e altri c. Crozia, 16.3.2010, con il commento di F. STAIANO, Diritto dei minori rom all’istruzione in condizioni di
non discriminazione: il caso Orsus e altri c. Crozia, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 1/2011, 93 e ss.
131
Sul punto cfr. ex multis sent. Petrovic c. Austria, 27.3.1998; sent. Wessels-Bergevoet c. Olanda, 4.9.2002
132
Con riferimento specifico a prestazioni inerenti alla condizione di lavoratore, si segnala la sentenza Luczak c.
Polonia, 2.8.2008, nella quale la Corte ha affermato che l’accesso al sistema di sicurezza sociale professionale non può
essere limitato in ragione della condizione di cittadinanza. Al riguardo di veda anche la sentenza Gaygusuz c. Austria,
16.9.1996, nella quale la Corte ha affermato che deve essere garantito senza alcuna discriminazione basata sulla
cittadinanza il cosiddetto “assegno di emergenza”, erogato come reddito minimo a favore di coloro che non ricevono
più l’assegno di disoccupazione. Si veda inoltre la sentenza Koua Poirrez c. Francia, 30.9.2003, nella quale la Corte
europea ha riconosciuto il diritto all’assegno per minorati adulti ad un cittadino ivoriano fisicamente disabile dall’età di
sette anni, dichiarando conseguentemente discriminatoria la disciplina francese che riconosceva tale prestazione
unicamente ai titolari di cittadinanza o ai cittadini di Paesi con i quali la Francia aveva concluso accordi di reciprocità in
materia di sicurezza sociale. Sul punto si veda anche Weller c. Ungheria, 31.3.2009, Zeïbek c. Grecia, 9.7.2009, § 46, e
Fawsie c. Grecia del 28.10.2010. In quest’ultima decisione la Corte di Strasburgo ha ritenuto contraria a convenzione
una prestazione a favore delle famiglie numerose limitata soltanto alle persone di nazionalità greca o comunitaria al fine
di riequilibrare il deficit demografico del paese. Per un parallelo tra la giurisprudenza della Corte EDU e quella della
Corte di Giustizia e della Corte costituzionale italiana, si veda A. O. COZZI, Un piccolo puzzle: stranieri e principio di
eguaglianza nel godimento delle prestazioni socio-assistenziali, in Quad. Cost., 3/2010, 551 e ss.
54
In materia di non discriminazione, la Corte riconosce comunque agli Stati un certo
margine di apprezzamento nello stimare se, ed a quali condizioni, sia possibile applicare un
trattamento differenziato a situazioni simili, sebbene soltanto ragioni di particolare
importanza possano giustificare distinzioni basate sulla nazionalità 133 . Non sono state
pertanto accolte argomentazioni fondate sulla necessità di equilibrare le spese di welfare con
le risorse disponibili, restringendo conseguentemente la platea dei destinatari in ragione
della cittadinanza, né sull’assenza di accordi di reciprocità in materia di sicurezza sociale,
dal momento che la Corte ha più volte precisato che, ratificando la Convenzione, lo Stato
aderente si obbliga ad assicurare a ciascuna persona all’interno della propria giurisdizione i
diritti e le libertà definite nella stessa Convenzione 134. Inoltre, la Corte di Strasburgo ha
addirittura ritenuto in contrasto con l’art. 14 della Convenzione la limitazione nell’accesso
ad alcune prestazioni sociali in ragione del tipo di permesso di soggiorno posseduto 135.
Ed è proprio alla luce di tale giurisprudenza, per quanto riguarda nello specifico alcuni
diritti sociali di prestazione, che i giudici a quibus – dopo una “stagione di disapplicazione”
133
Come evidenzia la Corte, «seules des considérations très fortes peuvent amener la Cour à estimer compatible
avec la Convention une différence de traitement exclusivement fondée sur la nationalité». Cfr. sentenza Gaygusuz cit., §
42, e sentenza Stec e Altri c. Regno Unito, 12.4.2006, §§ 51 e 52. Sul punto si veda in generale A. S ACCUCCI, Il divieto
di discriminazione nella Convenzione europea dei diritti umani: portata, limiti ed efficacia nel contrasto a
discriminazioni razziali o etniche, in I Diritti dell’Uomo, 2005, 11 e ss., e G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti
fondamentali cit., 333 e ss.
134
Sul punto cfr. sent. Koua, § 49, e sent. Gaygusuz, § 51. In quest’ultimo caso si segnala che il Governo austriaco
aveva argomentato la differenza di trattamento anche in riferimento alla “speciale responsabilità” che lo Stato avrebbe
nei confronti dei propri cittadini, dei quali deve aver prioritariamente cura provvedendo ai loro bisogni essenziali (§ 45
sentenza cit.).
135
Si vedano i casi Niedzwiecki c. Germania e Okpisz c. Germania entrambi del 25.10.2005. I ricorrenti, genitori
stranieri in possesso di permesso di soggiorno temporaneo, lamentavano un’irragionevole esclusione dal godimento del
beneficio degli assegni familiari, garantito invece agli stranieri in possesso di un permesso di soggiorno permanente. In
particolare, dal momento che gli assegni per i figli possono rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 8 CEDU, che
protegge il rispetto della propria vita familiare e personale, la Corte ha ritenuto discriminatoria la disciplina tedesca che
riservava il godimento di tali prestazioni ai soli stranieri muniti di un permesso di soggiorno permanente, con esclusione
di quelli con permesso di soggiorno temporaneo. Per un approfondimento della giurisprudenza della Corte di Strasburgo
in materia di non discriminazione, anche con riferimento agli esiti altalenanti, cfr. G. GUIGLIA, Non discriminazione ed
uguaglianza: unite nella diversità, www.gruppodipisa.it, 14.5.2012.
55
della legislazione nazionale a favore della Convenzione europea – hanno iniziato ad
invocare nelle proprie ordinanze di rimessione l’art. 117, comma 1, Cost., talvolta in via
esclusiva e talvolta insieme ad altri parametri, sollecitando la Corte costituzionale italiana
ad un confronto con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Si richiamano al riguardo
le sentenze 187/2010 e 329/2011 nella quali la Corte italiana si dilunga in un’approfondita
analisi della giurisprudenza della Corte europea, per arrivare alla declaratoria di illegittimità
delle disposizioni nazionali impugnate. È interessante notare come in quest’ultima
decisione, la Corte abbia principalmente argomentato la dichiarazione di incostituzionalità
alla luce dell’art. 117, comma 1, Cost., in riferimento al divieto di discriminazione
affermato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sebbene il giudice a quo avesse
nella specie invocato anche il “nazionale” parametro dell’art. 3 Cost. Lo stesso principio di
non discriminazione sembra, quindi, innescare un virtuoso circuito di tutela dei diritti sociali
degli stranieri tra giudici ordinari, Corte costituzionale e Corte europea dei diritti
dell’uomo 136. Senza contare ovviamente che attraverso la norma interposta di cui all’art. 117
anche altre convenzioni internazionali possono costituire parametro di legittimità
costituzionale: una sollecitazione già presente in alcune ordinanze di remissione con
riferimento, ad esempio, alla Convenzione OIL sui lavoratori migranti (Convenzione OIL n.
143 del 1975) 137 e alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con
136
Nella decisione 329/2011 la Corte ripercorre le argomentazioni già svolte nella precedente sentenza 187/2010. In
tale ultima decisione, tuttavia, l’unico parametro invocato dal giudice remittente era stato l’art. 117, comma 1, Cost., per
cui l’utilizzo da parte della Corte di tale parametro era “obbligato”.
137
Si veda al riguardo l’ordinanza 15 gennaio 2007 del Tribunale di Brescia, iscritta al n. 615 del registro ordinanze
2007 e pubblicata nella G.U. n. 36, prima serie speciale dell’anno 2007, che ha portato alla decisione Corte cost. sent.
306/2008.
56
disabilità, adottata nel 2006 dall’Assemblea Generale 138, e alla quale la stessa Corte si era
autonomamente riferita proprio in una decisione in materia di immigrazione 139.
5.1. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
In questo percorso si inserisce anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea, alla luce
della parità di trattamento affermata dalla direttiva 2003/109 nei confronti dei cittadini di
Paesi terzi in possesso del permesso CE e della protezione più generale offerta dalle
direttive europee in materia di antidiscriminazione 140. Le potenzialità di tutela della Corte di
Giustizia potrebbero inoltre aumentare alla luce dell’applicazione della Carta europea dei
diritti fondamentali, recentemente dotata di efficacia vincolante. Come evidenziato in
dottrina 141 , essa costituisce, infatti, un tentativo di riconoscere una comune identità nel
138
Si veda l’ordinanza della Corte di Appello di Torino del 3 dicembre 2010, iscritta al n. 53 del registro delle
ordinanze 2011, e pubblicata sulla G.U. n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2011, che ha portato alla sentenza
329/2011.
139
Cfr. Corte cost. ord. 285/2009, con la quale la Corte costituzionale, in riferimento alla presunta illegittimità dei
limiti di accesso del minore straniero all’indennità di frequenza, ha restituito gli atti al giudice a quo invitandolo ad un
riesame della rilevanza della questione alla luce della ratifica di tale convenzione.
140
Sul punto M. BARBERA, Il nuovo diritto antidiscriminatorio, Giuffrè, Milano, 2007, XLV, la quale enfatizza la
stretta connessione tra tutela antidiscriminatoria e dignità della persona, evidenziando come il principio di uguaglianza
sia una “leva di Archimede” che forza i limiti della ripartizione di competenze tra centro e periferia ed estende la
giurisdizione delle Corti chiamate a darvi applicazione. Come evidenzia P. CARETTI, L’eguaglianza da segno distintivo
dello Stato costituzionale a principio generale dell’ordinamento comunitario, in P. CARETTI, M. C. GRISOLIA, Lo Stato
costituzionale, cit., 513 e ss. (part. ivi 522), nel momento in cui il processo di integrazione europea investe una materia
così peculiare come quella relativa al principio di uguaglianza e ai diritti fondamentali risulta difficile limitarsi ad
invocare il rigoroso rispetto del limite competenziale. Sul punto si veda anche L. CAPPUCCIO, Il principio di non
discriminazione nella giurisprudenza comunitaria tra espansione dei diritti e tecniche di decisione, in G. BRUNELLI, A.
PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, cit., 875 e ss.; A. R IZZO, Le
funzione “sociale” del principio di uguaglianza e del divieto di discriminazione nel diritto dell’unione europea, in P.
GARGIULO, Politica e diritti sociali nell’Unione europea, Ed. Scientifica, Napoli, 2011, 43, e ss., e L. BORGOGUELARSEN, Il principio di non discriminazione nel diritto dell’Unione. L’articolo 19 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea, ovvero la rivoluzione silenziosa, in Ragion Pratica, 5/2011, 55 e ss.
141
Come evidenzia A. SPADARO, Dai diritti “individuali” ai doveri “globali”, cit., 44. Al riguardo si veda anche C.
SALAZAR, A Lisbon story: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea da un tormentato passato… a un
incerto presente?, in www.gruppodipisa.it, 22.12.2011.
57
rispetto di molte diversità, aprendosi anche ai cittadini di Paesi terzi e configurando uno
spazio giuridico europeo dei diritti142.
Le garanzie offerte dalla Carta vanno a compenetrarsi con quelle delle direttive
sopramenzionate, come dimostra emblematicamente una recente decisione della Corte di
Giustizia nel caso Kamberaj143, all’esito di un rinvio pregiudiziale relativo alla condizione
dei cittadini di Paesi terzi. La questione interpretativa è stata posta dal Tribunale di Bolzano
in riferimento all’accesso di uno straniero titolare del permesso CE ad un sussidio per
l’alloggio. La decisione ha potenzialità di sviluppo rilevanti su molte delle discipline
regionali e statali passate in rassegna nel presente contributo. Alla luce dell’art. 34 della
Carta – relativo al diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa (volte a garantire
un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti)144 – e della
direttiva 2003/109, la Corte afferma che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare il
principio di parità di trattamento dei titolari del permesso CE rispetto ai cittadini nazionali,
affermato nella citata direttiva, per quanto riguarda la concessione di un sussidio per
l’alloggio. La decisione è interessante anche sotto alcuni profili più generali. In primo luogo
la Corte tenta di chiarire in riferimento a quali prestazioni essenziali deve essere assicurata
parità di trattamento, valorizzando il ruolo del giudice nazionale nella valutazione circa la
natura della prestazione nel sistema di assistenza sociale dello Stato membro. In secondo
luogo, sotto un profilo più ampio e di rapporto tra fonti e giudici, si chiarisce che il rinvio
142
Sulla dignità come cardine del regime costituzionale dei diritti nell’Unione europea, cfr. P. COSTANZO, Il
riconoscimento e la tutela dei diritti fondamentali, in P. COSTANZO, L. MEZZETTI, A. RUGGERI, Lineamenti di diritto
costituzionale dell’Unione europea, Giappichelli, Torino, 2008, 388. Con riferimento alla codificazione dei diritti
nell’Unione europea, si veda M. CARTABIA, L’ora dei diritti fondamentali nell’Unione Europea, in M. CARTABIA (a
cura di), I diritti in azione, Il Mulino, Bologna, 2007, 31 e ss.
143
Corte di Giustizia sent. del 24.4.2012, caso 571/10.
144
Sul punto si rinvia al commento di A. GIORGIS, Art. 34, in R. BIFULCO, M. CARTABIA, A. CELOTTO (a cura di),
L’Europa dei diritti, Il Mulino, Bologna, 2001, 240 e ss.
58
operato dall’articolo 6 del Trattato dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto
nazionale e detta Convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima,
disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa 145.
Alle potenzialità di tutela sopra delineate si va ad aggiungere anche lo sviluppo della
giurisprudenza europea relativa ai diritti dei cittadini di Paesi terzi familiari di cittadini
comunitari. Senza entrare nel merito della questione, merita comunque di essere segnalato il
caso Zambrano. In quell’occasione la Corte ha, infatti, chiarito che l’art. 20 TFUE, in
materia di cittadinanza europea, nell’assicurare ai cittadini dell’Unione il godimento reale
ed effettivo dei diritti loro attribuiti, comporta l’illegittimità del diniego del permesso di
soggiorno nei confronti di chi, pur essendo un cittadino di uno Stato terzo, provveda ai figli
in tenera età che siano cittadini europei nello Stato dell’Unione in cui essi risiedono 146.
Alla luce della giurisprudenza sopra menzionata e delle molteplici questioni pendenti
dinanzi alla Corte costituzionale in relazione alla tutela di diritti fondamentali dei cittadini
di Paesi terzi, potrebbe essere auspicabile, come evidenziato in dottrina 147, un’apertura al
rinvio pregiudiziale da parte della stessa Corte costituzionale, per ora limitato al campo dei
145
Per un approfondimento sul punto si veda A. R UGGERI, La Corte di giustizia marca la distanza tra il diritto
dell’Unione e la CEDU e offre un puntello alla giurisprudenza costituzionale in tema di [non] applicazione diretta
della Convenzione, in www.diritticomparati.it.
146
Cfr. CGE, sent. 3 marzo 2011, causa C-41/09, Zambrano. Per un commento si veda C. SALAZAR, A Lisbon story,
cit., 21, per la quale da tale decisione emerge come i diritti universali si impongano anche a prescindere da un loro
espresso riconoscimento nel diritto positivo. Al riguardo si veda anche C. BERNERI, Le pronunce Zambrano e
McCarthy: gli ultimi sviluppi giurisprudenziali sulle unioni famigliari tra cittadini comunitari ed extracomunitari, in
Quad. Cost., 3/2011, 696; C.M. CANTORE, La sentenza Zambrano della CGUE: Una ‘rivoluzione copernicana’?, in
www.diritticomparati.it.
147
Sul punto P. CARETTI, L’eguaglianza da segno distintivo, cit., 523.
59
giudizi in via principale (ord. 103/2008)148, al fine di evitare «un’esautorazione del giudice
costituzionale in ordine a questioni di capitale importanza».
Con tale ultimo riferimento si è quindi voluto dar conto della complessità del quadro
normativo e giurisprudenziale in materia di diritti sociali dei migranti, il quale pone, in
concreto, questioni di livello “differenziato” tra le varie normazioni che vi si dedichino,
rendendo talvolta arduo ricomporre le specifiche istanze che ciascuna delle diverse fonti
intende soddisfare 149. Tuttavia, come si è cercato di evidenziare, esse, combinandosi tra
loro, sollecitano e contribuiscono a garantire una sempre più ampia tutela dei diritti dei non
cittadini 150.
6. IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI SOCIALI TRA EFFETTIVITÀ E QUALITÀ. PROSPETTIVE E
PROBLEMATICITÀ LEGATE ALLA QUALITÀ DEI DIRITTI
Un tratto comune alle costituzioni europee del secondo dopoguerra è l’attenzione al
profilo dell’effettività dei diritti costituzionali. Il sistema dei diritti costituzionali ha, infatti,
148
Per un commento si veda, tra i molti, F. FONTANELLI, G. MARTINICO, Between Procedural Impermeability and
Constitutional Openness: The Italian Constitutional Court and Preliminary References to the European Court of
Justice, in European Law Journal, 3/2010, 345 e ss. Sul funzionamento del rinvio pregiudiziale, con riferimento alle
regole della cooperazione tra giudizi nazionali e Corte di Giustizia, cfr. T. GIOVANNETTI, L’Europa dei giudici. La
funzione giurisdizionale nell’integrazione comunitaria, Giappichelli, Torino, 2009, 56 e ss.
149
Cfr. le considerazioni finali del Presidente Giovanni Maria Flick sulla giurisprudenza costituzionale del 2008, in
occasione dell’udienza straordinaria del 28 gennaio 2009, p. 10. Sul tema si veda più in generale, A. RUGGERI, Tutela
dei diritti fondamentali, squilibri nei rapporti tra giudici comuni, Corte costituzionale e Corti europee, ricerca dei modi
con cui porvi almeno in parte rimedio, in www.gruppodipisa.it, 14.3.2012. Sulle interazioni giurisprudenziali, che
talvolta assumono i contorni del dialogo altre volte quello dello scontro dialettico, fra giudici nazionali (specie
costituzionali e supremi) e Corte di giustizia, cfr. G. MARTINICO, Lo spirito polemico del diritto europeo. Studio sulle
ambizioni costituzionali dell’Unione, Aracne, Roma, 2011, ivi in part. 187 e ss.
150
Come osserva S. BENHABIB, I diritti degli altri, cit., 134, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo e della Corte di Giustizia hanno contribuito significativamente a ridurre lo spazio che separa i diritti di
cittadinanza dai diritti fondamentali favorendo l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi. Ciò porterà probabilmente la
futura politica dell’Unione a restringere ulteriormente l’accesso di nuovi migranti attraverso i confini, anziché ad
indebolire i diritti degli stranieri residenti, proprio perché l’ingresso avvia un processo che conduce alla piena
integrazione.
60
come chiave di volta il soggetto, considerato nella varietà dei suoi bisogni e dei suoi
interessi, e nella realtà della sue condizioni di vita 151. Si tratta di un’istanza insita nell’art. 3,
comma 2, Cost., come necessità di rimuovere le disuguaglianze attraverso la garanzia di
diritti riconosciuti non in astratto, ma alla luce delle condizioni personali del soggetto,
affinché esso ne possa effettivamente beneficiare. Avendo riguardo alle peculiarità dei diritti
sociali, la dimensione dell’effettività non è quindi solo una condizione, per così dire
ulteriore, di un diritto che già di per sé può esistere giuridicamente, ma diviene «condizione
di esistenza stessa del diritto»152.
Con specifico riferimento ai non cittadini, la garanzia dell’effettività dei diritti pone
delicate questioni di bilanciamento soprattutto per quanto concerne gli stranieri non
regolarmente soggiornanti153. L’affermazione dei loro diritti fondamentali potrebbe, infatti,
ritenersi lettera morta se non fosse parimenti garantito un godimento effettivo. Il che si
traduce, come abbiamo visto, nella protezione dall’allontanamento nel caso di straniero
bisognoso di cure sul territorio nazionale e nell’espresso divieto di segnalazione dello
straniero non regolarmente soggiornante che si reca presso le strutture sanitarie. Più in
generale, al fine di garantire un effettivo godimento dei diritti fondamentali, le politiche di
contrasto all’immigrazione irregolare dovrebbero essere pianificate in modo da evitare
l’identificazione e segnalazione degli stranieri non solo vicino alle strutture ospedaliere, ma
anche in prossimità di istituti scolastici, luoghi di culto o in relazione all’accesso alla
151
Sul punto si veda P. RIDOLA, Diritti fondamentali. Un’introduzione, Giappichelli, Torino, 2006, 127.
Cfr. V. ONIDA, Eguaglianza e diritti sociali, cit., 104. Al riguardo si veda anche G. AZZARITI, Forme e soggetti
della democrazia pluralista, Giappichelli, Torino, 2000, 164.
153
Sulle problematiche concernenti l’effettivo accesso ai diritti sociali da parte degli stranieri non regolarmente
presenti sul territorio, si veda F. SCUTO, I diritti fondamentali della persona quale limite al contrasto dell’immigrazione
irregolare, Giuffrè, Milano, 2012, 272 ss. In generale, sul punto si veda F. PASTORE, Migrazioni internazionali e
ordinamento giuridico, cit., 1096, il quale evidenzia come l’effettività nel godimento di certi diritti risulti drasticamente
ridotta dalle frequenti discriminazioni da essi subite.
152
61
giustizia: settori nevralgici della vita dello straniero che implicano l’esercizio di diritti
umani fondamentali.
La dimensione dell’effettività dei diritti si lega anche all’aspetto della loro qualità, in un
terreno scivoloso dai pochi appigli per il giurista. Eppure il tema impone una riflessione a
margine di questa indagine, volta a sollecitare non solo un superamento delle limitazioni
illegittimamente poste al godimento dei diritti sociali, ma anche un’attenzione ai profili
inerenti all’effettività dei diritti riconosciuti (da riconoscere) agli stranieri. Gli esempi sono
molteplici e investono tutti i settori precedentemente presi in esame. Come può dirsi
garantito il diritto alla salute dello straniero se non è posto nella condizione di apprendere
appieno la necessità del trattamento e le sue conseguenze? È possibile affermare l’effettività
del diritto all’istruzione del minore straniero se non viene garantito un inserimento
scolastico paritario rispetto agli alunni italiani, predisponendo i necessari ausili per facilitare
l’apprendimento e superare le difficoltà linguistiche?
A tal fine potrebbe essere valorizzato l’apporto della mediazione linguistico-culturale nei
luoghi di cura e nelle scuole, per favorire il processo di integrazione sociale dello straniero
attraverso il riconoscimento dei suoi diritti. La mediazione costituisce, infatti, una risposta
alla necessità di comunicazione, di inserimento, e di radicamento paritario dei cittadini
stranieri154 di fronte a fenomeni strettamente incidenti sui diritti sociali (es. uso improprio
del pronto soccorso, elevati tassi di interruzione di gravidanze, dispersione scolastica,
ritardo scolastico per i minori stranieri neo arrivati), quale precondizione per un effettivo
godimento dei medesimi.
154
Sul punto cfr. G. BONESSO, Mediazione linguistico-culturale: strumento per un welfare egualitario e per la
convivenza plurale, in Africa e Mediterraneo, n. 2-3/2010, 46 e ss. Al riguardo si veda anche C. BERGONZINI, La
mediazione culturale: uno strumento (sottovalutato?) per l’integrazione degli immigrati, in Dir. Imm. e Citt., 1/2009,
67 e ss., e G. GIARELLI, Dinamiche del multiculturalismo e mediazione interculturale in una società multietnica, in F.
COMPAGNONI, F. D’AGOSTINO (a cura di), Bioetica diritti umani e multietnicità, San Paolo, Milano, 2001, 219 e ss.
62
In tale prospettiva anche la garanzia del diritto sociale all’abitazione sollecita una
riflessione sugli strumenti che potrebbero essere programmati a livello politico, al fine di
prevenire la creazione di ghetti urbani, abitati prevalentemente da persone straniere, nei
quali la mancata interazione tra cittadini e stranieri si ripercuote inevitabilmente anche nel
mondo della scuola e negli spazi pubblici di incontro 155. Tali problematiche evidenziano in
modo emblematico le strette correlazioni esistenti tra i vari diritti sociali. Allo stesso tempo
cresce la necessità di dare risposte maggiormente integrate e innovative proprio nel settore
sociale. Nasce l’idea di un “welfare materiale”, che comprende quell’insieme di pratiche,
misure e progetti finalizzati a costruire il welfare mediante case, attrezzature, spazi verdi e
infrastrutture, dando in tal modo una dimensione fisica, concreta, visibile alla ricerca di
benessere e di libertà
156
. Un settore di sviluppo dello Stato sociale che parte dalla
pianificazione urbanistica e che, con ogni evidenza, è idoneo a produrre effetti positivi
sull’intera popolazione italiana e straniera. Ecco quindi che il welfare assume anche nuovi
obiettivi, su un terreno che, riprendendo il titolo di questa sessione, può davvero definirsi
“in progress”.
7. RILIEVI CONCLUSIVI. LE POLITICHE DI “APPARTENENZA” E LE SCELTE CONNESSE ALLE
RISORSE FINANZIARIE
L’indagine compiuta sui diritti sociali degli stranieri evidenzia la natura “pluricondizionata”
155
dei
medesimi.
Alle
condizioni
personali
di
fruizione
di
certi
Sul punto l’esperienza statunitense è assai significativa con particolare riferimento alle pratiche di
separazione/segregazione tuttora tollerate. Sul punto S. CASHIN, The failure of integration. How race and class are
underming the American dream, PublicAffairs, New York, 2004; nonché gi studi di G. BORJAS, To Ghetto or Not to
Ghetto? Ethnicity and Residential Segregation, in Journal of Urban Economics, 1998, 228 e ss., sui fattori che
determinano la segregazione residenziale.
156
Sul punto cfr. B. SECCHI, La città del ventesimo secolo, Roma, Laterza, 2005, 108.
63
diritti/prestazioni, vanno ad aggiungersi altre condizioni esterne, basate sulla regolarità della
presenza sul territorio, sulla durata della residenza, sul possesso di un determinato titolo di
soggiorno ovvero sulla cittadinanza, contribuendo a frammentare la condizione giuridica
dello straniero presente sul territorio nazionale. Tali condizioni sembrano strettamente
connesse alla necessità di accordare ai cittadini nazionali un trattamento preferenziale,
secondo politiche che si è definito di “appartenenza”.
Dopo alcune chiare indicazioni circa l’illegittimità del criterio della cittadinanza quale
condizione di riconoscimento di diritti sociali (provenienti dalla giurisprudenza
costituzionale e sovranazionale), tali politiche risultano oggi prevalentemente fondate sulla
residenza prolungata sul territorio. Un criterio quello della residenza che può celare forme di
discriminazione indiretta, più difficili da dimostrare e da contrastare, ma che ha la capacità
di “livellare” le diseguaglianze che nascono dal legame di cittadinanza, costituendo un titolo
di legittimazione per chiedere il riconoscimento di diritti sociali nello Stato ove “si è appeso
il proprio cappello” 157 . Se quindi la residenza può divenire la nuova frontiera della
discriminazione 158, allo stesso tempo essa è in grado – secondo una (positiva) eterogenesi
dei fini – di porre cittadini e stranieri sullo stesso piano nel godimento dei diritti, potendo
anche favorire questi ultimi a vantaggio dei primi, se la residenza è richiesta a livello
regionale o locale. L’ammissibilità di tali politiche deve essere verificata sotto un duplice
profilo: da un lato quello della natura del diritto (o nello specifico della prestazione),
dall’altro quello della ragionevolezza del criterio al quale il godimento di tale diritto (o
prestazione) risulta condizionato, al fine di verificare la sussistenza di una ragionevole
correlazione tra i due aspetti.
157
Per riprendere le parole di G. DAVIES, “Any Place I Hang My Hat?” or: Residence is the New Nationality, in
European Law Journal, 1/2005, 43 e ss.
158
Come rileva A. GUAZZAROTTI, Lo straniero, i diritti, l’eguaglianza, in Questione Giustizia, 1/2009, 98.
64
In questo giudizio, come si è visto, la verifica da parte della Corte costituzionale circa il
rispetto del principio di uguaglianza e quello di ragionevolezza si compenetrano, sollecitati
dall’emergere, anche a livello europeo e internazionale, del divieto di discriminazione, quale
fattore di “resilienza” del sistema costituzionale nei confronti delle crescenti tensioni tra
welfare nazionale e immigrazione. In questa direzione il contributo dei giudici ordinari,
della Corte costituzionale e della Corti europee (Corte di Giustizia e Corte europea dei diritti
dell’uomo) è decisivo al fine di rimuovere le illegittime limitazioni nel godimento dei diritti
sociali da parte degli stranieri, e caratterizza la storia di tali diritti come lotta di
rivendicazione giurisprudenziale dei diritti dell’uomo su quelli del cittadino. Si tratta di un
processo che valorizza e fa emergere una nozione forte di uguaglianza, che ritroviamo anche
a livello internazionale ed europeo, e che recupera la dimensione soggettiva della pari
dignità sociale come diritto all’uguaglianza 159 . Se ciò vale indubbiamente per quanto
riguarda i diritti inviolabili, la pari dignità sociale tra cittadini e stranieri implica che anche
in riferimento a diritti (o prestazioni) eccedenti l’essenziale, lo straniero possa subire un
trattamento differenziato soltanto in presenza di una “causa” normativa razionale 160 . È
159
Sul punto si veda G. BRUNELLI, Welfare e immigrazione cit., 549; B. PEZZINI, I diritti sociali, cit., 218 e ss.; G.
FERRARA, La pari dignità sociale (appunti per una ricostruzione), in Studi in onore di Giuseppe Chiarelli, II, Giuffrè,
Milano, 1974, 1095 e ss. In riferimento alla configurazione di un diritto soggettivo all’uguaglianza, si veda la
ricostruzione giurisprudenziale e dottrinale di M. CENTINI, La tutela contro gli atti di discriminazione: la dignità umana
tra il principio di parità di trattamento ed il divieto di discriminazioni soggettive, in Giur. cost., 2007, 2405 e ss. Sul
principio di uguaglianza alla luce della dignità sociale e del pieno sviluppo della persona, cfr. A. D’ALOIA ,
Introduzione. I diritti come immagini in movimento: tra norma e cultura costituzionale, in Id. (a cura di), Diritti e
Costituzione, cit., XVII.
160
Come evidenzia A. GUAZZAROTTI, Lo straniero, cit., 96, «[p]er il semplice fatto di essere lo straniero collocato
nella stessa comunità di vita del cittadino, attribuire un vantaggio (non importa quanto lontano dal “cuore” dei diritti
dell’uomo, dal “nucleo duro” di questo o quel diritto fondamentale) soltanto al secondo e non al primo è per ciò stesso
in grado di ledere tale “pari dignità”». Sulla dignità come limite alla discrezionalità del legislatore, cfr. M. RUOTOLO,
Appunti sulla dignità umana, in AA.VV. Studi in onore di Franco Modugno, cit., 3161, il quale evidenzia la stretta
connessione tra pari dignità sociale e divieto di discriminazione.
65
sull’uguaglianza che si fonda la percezione degli altri come uguali perché titolari dei
medesimi diritti, e perciò il senso di appartenenza ad una medesima comunità politica 161.
L’operatività del principio di non discriminazione, nella sua dimensione giurisdizionale,
ha consentito, in più occasioni, di correggere i fenomeni di esclusione dello straniero dalla
vita comune, riscontrati a livello nazionale, regionale e locale. Tuttavia i giudici sviluppano,
integrano e correggono le potenzialità di un sistema, ne assicurano una maggiore coerenza
in sede di tutela dei diritti, ma non possono sopperire integralmente alla mancanza di un
progetto più organico e sistematico di tutela che solo l’intervento di un legislatore può
delineare 162, al fine di ricondurre ad unità la condizione giuridica dello straniero, secondo
quanto previsto in Costituzione. Si rende quindi necessario un ripensamento legislativo delle
condizioni di accesso dei migranti al sistema di welfare, scevro dal dominio dell’economia
sulla tutela dei diritti fondamentali, nella consapevolezza che la decisione politica
fondamentale – anche in tempi di «crisi» – risiede in primo luogo sull’allocazione delle
risorse disponibili. Anzi, proprio l’emergenza finanziaria, come è stato evidenziato 163, «può
costituire un argomento decisivo per colpire gli sprechi, riequilibrare le voci di spesa e
riorientarne la dinamica».
7.1 IL CONVITATO DI PIETRA. SUPERARE IL PARADOSSO DEMOCRATICO DELLE SOCIETÀ
MODERNE PER CONTRASTARE I DIRITTI SOCIALI OCTROYÉS
Un secondo profilo di riflessione sollecitato dall’indagine sui diritti sociali degli stranieri
concerne il paradosso democratico delle moderne società multiculturali. Come noto, i diritti
161
Come evidenzia L. FERRAJOLI, L’eguaglianza e le sue garanzie, in M. CARTABIA, T. VETTOR, Le ragioni
dell’uguaglianza, cit., 29.
162
Cfr. A. RAUTI, La “giustizia sociale” presa sul serio, cit., 5.
163
Cfr. C. PINELLI, Esclusione sociale, cit., 8, il quale evidenzia come già nel 2004 la spesa per contrasto
dell’immigrazione clandestina ammontava a quattro volte quella per le misure di sostegno agli immigrati regolari.
66
sociali sono legati a politiche redistributive ancora connesse all’idea tradizionale di
sovranità e cittadinanza. Ciascuna politica sociale, infatti, si fonda sull’offerta
tendenzialmente universalistica di servizi sociali e su trasferimenti monetari di vasta portata
che riguardano per lo più l’offerta di beni meritori (abitazioni, servizi sanitari, istruzione,
redditi pensionistici), la cui copertura finanziaria implica sempre scelte redistributive, sia
pure talvolta differite (ad esempio in campo previdenziale, o quando la copertura finanziaria
avviene tramite indebitamento), ovvero a costi diffusi e poco visibili (nell’ipotesi in cui non
vi sia un inasprimento della pressione fiscale immediatamente percepibile o degli oneri
contributivi) o ancora a costi mascherati (se l’intervento è inserito in un provvedimento il
cui scopo ufficiale e prevalente non è distributivo) 164 . Tali scelte – inerenti al livello
ottimale di redistribuzione del reddito, ossia il punto di equilibrio socialmente desiderabile
tra le esigenze dell’efficienza e quelle dell’equità, come pure il tipo e la quantità dei servizi
offerti – non possono prescindere dalla legittimazione politica e devono pertanto essere
adottate nelle classiche sedi rappresentative da parte di decisori responsabili verso
l’elettorato 165. Ecco quindi che la presente riflessione sui diritti sociali degli stranieri ha un
convitato di pietra: il diritto di voto. Infatti, soltanto chi vota partecipa alla definizione di
tali politiche redistributive, e da tale circuito democratico è escluso lo straniero, anche
quando contribuisce con le proprie tasse e gli oneri contributivi del suo lavoro al benessere
della comunità di accoglienza. Esiste quindi un paradosso – inevitabile – per il quale gli
“esclusi” da certi diritti o prestazioni non potranno mai partecipare alle decisioni in merito
164
165
A. LA SPINA, G. MAJONE, Lo Stato regolatore, Il Mulino, Bologna, 2004, 43.
A. LA SPINA, G. MAJONE, op. cit., 196 e ss.
67
alle regole dell’esclusione e inclusione, sebbene sia possibile rendere queste distinzioni più
fluide e negoziabili «attraverso forme multiple e continue di iterazione democratica» 166.
L’imposizione fiscale pone un problema di non corrispondenza fra diritti e doveri dello
straniero, in una logica di benefici sociali “concessi”. Nei confronti dello straniero lo Stato
sociale si fa quindi caritatevole, secondo una tendenza che è stata già evidenziata in
relazione agli stessi cittadini a fronte di una passiva acquiescenza a benefici concessi
dall’alto 167 . Un antidoto può essere rappresentato dalla partecipazione e da tutti i
meccanismi di controllo democratico, al fine di riaffermare la centralità della persona al cui
servizio è posto l’apparato statale 168.
In questo quadro il carattere stanziale che nella società contemporanea ha assunto
l’immigrazione sollecita, nel prossimo futuro, un necessario ampliamento dei diritti politici
verso una ridefinizione dell’identità del popolo democratico. Infatti, se è vero che
«democrazia significa governo fondato sul consenso dei governati», è difficile escludere
all’universo dei “governati” persone che stabilmente vivono in un determinato territorio,
pena un’inevitabile contraddizione nel definire “democratica” una Repubblica che nega i
diritti politici a una quota consistente e crescente di individui che ivi risiedono e sono
intenzionati a restarvi169.
166
Più in generale, sul paradosso democratico nella definizione dell’identità di un popolo democratico e su tali
forme di iterazione, cfr. S. BENHABIB, I diritti degli altri, cit. 142. Al riguardo L. D’ANDREA, Acquisto della
cittadinanza e principio di uguaglianza: profili costituzionali, in Economia e Lavoro, 2/2010, 152, evidenzia come la
vigente esclusione completa dei non cittadini dalla titolarità dei diritti politici si traduca «in una violazione del principio
di uguaglianza, in una autentica discriminazione, tanto più grave in quanto non episodica o occasionale, ma – per così
dire – strutturale». Secondo l’A., essa si risolve infatti nella negazione allo straniero di una piena soggettività sul terreno
dell’ordinamento politico-costituzionale, suscettibile di favorire una molteplicità indeterminata di altre discriminazioni
(per esempio nel mondo del lavoro, ecc.).
167
Sul punto C. PINELLI, «Social card», o del ritorno alla carità di Stato, cit., 1178.
168
Cfr. L. CARLASSARE, La «Dichiarazione dei diritti» del 1789 e il suo valore attuale, in Principi dell’89 e
Costituzione democratica, Padova, Cedam, 1991, 45, e C. PINELLI, ult. op. cit., 1191.
169
Cfr. V. ONIDA, Lo statuto costituzionale del non cittadino, cit., 20.
68
7.2 LA NATURA FONDAMENTALE DEI DIRITTI SOCIALI E IL DOVERE DI SOLIDARIETÀ
Un’ultima riflessione riguarda la natura fondamentale dei diritti sociali. L’indagine
compiuta sulle condizioni di riconoscimento dei diritti sociali allo straniero offre, infatti, un
diverso punto di vista, quello appunto del non cittadino, dal quale riflettere più in generale
sulla natura fondamentale dei diritti sociali. A livello normativo i livelli di riconoscimento
dei diritti sociali, dalla condizione di regolarità al possesso del permesso CE, costruiscono
un sistema che riconosce una preferred position al diritto alla salute strettamente connesso
alla dignità umana 170, e quindi riconosciuto anche allo straniero non regolarmente presente
sul territorio. Anche la Corte costituzionale rileva l’esistenza di un nucleo irriducibile del
diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana e,
in una decisione in materia di condizione giuridica dello straniero, declina il diritto alla
salute anche come diritto ai “rimedi possibili” alle menomazioni prodotte da patologie di
non lieve importanza. Si afferma, seppure genericamente, la titolarità da parte degli stranieri
non regolarmente presenti sul territorio dei diritti fondamentali della persona, tra i quali la
Corte costituzionale riconduce anche il diritto ad una sistemazione alloggiativa, che nella
Carta dei diritti dell’Unione europea è strettamente connesso (assieme al diritto
all’assistenza sociale) alla garanzia di un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non
dispongano di risorse sufficienti. E sempre nella giurisprudenza della Corte costituzionale,
in una decisione di particolare interesse per il riferimento espresso alla giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo, l’assistenza sociale (nella specie un assegno per
l’invalidità civile) viene ricondotta «al soddisfacimento dei “bisogni primari” inerenti alla
170
Come evidenzia più in generale C. SALAZAR, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali, cit., 103,
affermando che l’art. 32 Cost. sembra esprimersi «attraverso una sineddoche, tutelando la parte – la salute – per il tutto,
la dignità umana», riservando quindi al diritto alla salute una preferred position anche in epoca di self-restraint.
69
stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e
salvaguardare».
È quindi il primato costituzionale della persona umana, precedente a quello del
“cittadino”, ad aver assunto la dignità umana quale «attributo naturale e intrinseco di tutti
gli uomini, che si riflette in tutte le sfaccettature della vita umana come valore da tutelare in
sé, o nelle sue specifiche proiezioni nei più diversi settori» 171 , e a sollecitare quindi il
superamento dello status civitatis quale condizione di riconoscimento dei diritti sociali.
Come affermato da Meuccio Riuni in Assemblea Costituente 172, «preliminare ad ogni altra
esigenza è il rispetto della personalità umana; qui è la radice delle libertà, anzi della libertà,
cui fanno capo tutti i diritti che ne prendono il nome. Libertà vuol dire responsabilità. Né i
diritti di libertà si possono scompagnare dai doveri di solidarietà di cui sono l’altro ed
inscindibile aspetto. Dopo che si è scatenata nel mondo tanta efferatezza e bestialità, si sente
veramente il bisogno di riaffermare che i rapporti fra gli uomini devono essere umani».
È, quindi, la visione solidaristica della nostra Costituzione, che colloca la persona (e i
diritti che valgono a definirla) al centro dell’apparato istituzionale tracciato dal Costituente,
ad esprimere «un limite estremo: il “punto di non ritorno” al di là del quale – ormai anche
per obblighi internazionali – il legislatore (qualsiasi legislatore) non può spingersi, neppure
in presenza di particolari o eccezionali circostanze»173.
171
Cfr. G. M. FLICK, Dignità umana e tutela dei soggetti deboli: una riflessione problematica, in E. CECCHERINI (a
cura di), La tutela della dignità dell’uomo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2008, 51. Al riguardo si veda G. AZZARITI,
Piuttosto che concludere, aprire il discorso sull’immigrazione, in F. ANGELINI, M. BENVENUTI, A. SCHILLACI, Le nuove
frontiere, cit., 410, che individua nella dignità umana la categoria fondativa del discorso sulle migrazioni.
172
Si veda la relazione del Presidente Meucci Ruini presentata alla Presidenza dell’Assemblea Costituente il 6
febbraio 1947.
173
Sono le parole del Presidente Giovanni Maria Flick nella relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2008,
cit., p. 10. Per un approfondimento del rapporto tra principio personalista e doveri di solidarietà sociale, si veda F.
GIUFFRÈ, I doveri di solidarietà sociale, in R. BALDUZZI, M. CAVINO, E. GROSSO, J. LUTHER (a cura di), I doveri
70
Tale riflessione muove dal contesto nazionale per essere proposta anche a livello globale.
Il tema dei diritti sociali, più ancora di qualunque altro, richiede di essere oggi rivisto nel
quadro della crisi dello Stato nazionale e, soprattutto, alla luce del dominio schiacciante
dell’economia sulla politica e sul diritto: un dominio che deve essere contrastato favorendo
un’adeguata governance globale che metta in conto il costo di una qualche giustizia
distributiva o redistributiva internazionale 174, e proietti quel dovere di solidarietà sociale dal
livello statale a quello globale. La solidarietà deve presentarsi come un universalismo
sensibile alle differenze: la globalizzazione costringe, infatti, lo Stato nazionale ad aprirsi
internamente ad una pluralità di forme di vita culturalmente estranee (o comunque nuove) e,
allo stesso tempo, costringe lo Stato sovrano ad aprirsi esternamente nei confronti dei regimi
internazionali 175 . Pertanto è necessario stimolare una “solidarietà tra estranei” che, con
rilevanti effetti storici, ha già trasformato, in passato, la coscienza locale e dinastica in una
coscienza nazionale e democratica: un processo di apprendimento che oggi è chiamato a
superare i confini della nazione 176 e della cittadinanza. I problemi che dobbiamo affrontare
(sociali, economici, ambientali, politici) sono di portata mondiale e possono essere risolti
soltanto se vi sarà un’effettiva cooperazione tra Stati e tra persone. Nessuno può dirsi
estraneo ad una interdipendenza globale, che può essere compresa sviluppando la capacità
costituzionali e la prospettiva del giudice delle leggi, Atti del Convegno annuale del Gruppo di Pisa, Acqui Terme 9-10
giugno 2006, Giappichelli, Torino, 2007, 22.
174
Come evidenzia A. SPADARO, Dai diritti “individuali” ai doveri “globali”, cit., 151, in relazione alla necessità di
sviluppare adeguate teoriche dei doveri pubblici internazionali, senza le quali difficilmente di riuscirà a garantire questa
redistribuzione. Sul nesso organico che collega il singolo con la società e ne stimola le potenzialità collaborative, cfr. P.
COSTA, Alle origine dei diritti sociali: “Arbeitender Staat” e tradizione solidaristica, in G. GOZZI (a cura di),
Democrazia, diritti, Costituzione, Il Mulino, Bologna, 1997, 314. Tale riflessione deve considerare le sollecitazioni
provenienti da un spazio giuridico ormai globale, come evidenzia S. CASSESE, Lo spazio giuridico globale, Laterza,
Roma-Bari, 2003, 7. Sul punto si veda anche M.R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione, Il Mulino, Bologna,
2000, 42.
175
J. HABERMAS, La costellazione, cit., 64.
176
J. HABERMAS, La costellazione, cit., 121, il quale si riferisce espressamente alla solidarietà civica tra i cittadini
dell’Unione europea.
71
di vedere se stessi come membri di una nazione eterogenea e di un mondo ancor più
eterogeneo 177. In questo contesto l’uomo ha il diritto-dovere di interessarsi dei problemi
degli altri uomini, con un atteggiamento di solidarietà e condivisione che trova il suo
fondamento nell’humanitas, e cioè nella consapevolezza della comune natura di esseri
umani che porta a vedere nella condizione di straniero uno dei molteplici riflessi della
propria.
177
M. C. NUSSBAUM, Non per profitto, Il Mulino, Bologna, 2011, 96, che individua tale obiettivo come compito
delle scuole e delle università, valorizzando la cultura umanistica per mantenere viva quella conoscenza che nutre il
pensiero critico nella costruzione di una società matura e responsabile.