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L'EDIFICIO MONUMENTALE
Ciò che ora vediamo del Castello Sforzesco corrisponde soltanto al nucleo principale del complesso edificio costruito
da Francesco Sforza e dai suoi successori sulle fondamenta del Castello Visconteo, atterrato dai cittadini della
Repubblica Ambrosiana nel 1447.
Il quadrilatero attuale è costituito dalla PIAZZA DELLE ARMI, che presenta nella facciata verso la città una torre,
progettata dal Filarete (ora visibile nella ricostruzione di Luca Beltrami), posta in corrispondenza dell'ingresso
principale, e due torrioni rotondi alle estremità est e ovest (TORRIONE DEI CARMINI E TORRIONE DI SANTO
SPIRITO), elegantemente rivestiti in sarizzo tagliato a punta di diamante.
Al principio del Novecento, alle cortine rivolte verso sud ed ovest sono stati addossati alcuni corpi di fabbrica, adibiti
ad uffici. Le cortine interne, che chiudono a nord la piazza delle Armi, sono dominate al centro dalla TORRE DI BONA
DI SAVOIA, posta ad uno degli angoli della Rocchetta, e da un corpo di fabbrica che si ritiene edificato sulle
fondamenta della medioevale PORTA GIOVIA, una delle porte principali di accesso alla città: infatti il FOSSATO
MORTO situato in corrispondenza delle cortine murarie interne dovrebbe corrispondere al fossato che circondava le
mura di Milano.
La seconda parte del quadrilatero è a sua volta individuata dalla ROCCHETTA e dalla CORTE DUCALE.
La Rocchetta, situata a nord-ovest, è la parte più munita, con alte mura senza finestre nelle parti esposte ad eventuali
attacchi; impreziosita da tre lati porticati nel Cortile interno, ingloba sull'angolo verso la campagna la TORRE
CASTELLANA, di forma quadrata; a piano terra essa custodisce la SALA DEL TESORO, con importanti affreschi di
Bramantino. L'edificio della Corte Ducale ingloba invece la TORRE FALCONIERA, anch'essa di forma quadrata.
Al piano terra della Torre Falconiera si trova la Sala delle Asse, decorata da Leonardo da Vinci; al primo piano, la
Sala XX, fu camera da letto di Isabella d'Aragona, moglie di Gian Galeazzo Sforza.
La Corte Ducale si snoda ad U attorno ad un leggiadro cortile, il cui fondale architettonico è creato dal PORTICO
DELL'ELEFANTE, così denominato per l'affresco che vi si conserva; al primo piano si accede tramite l'elegante
scalone che conduce alla LOGGETTA DI GALEAZZO MARIA.
Il quadrilatero interno finora descritto era a sua volta circondato da un fossato, difeso da una seconda cerchia
rinascimentale che racchiudeva sia le cortine murarie poste a est e ovest, sia tutta la facciata posteriore verso il
giardino degli Sforza, denominato BARCO. Questo secondo giro di mura, costruito per rafforzare il Castello
soprattutto in caso di attacchi dalla campagna, era denominato GHIRLANDA, era munito di tre torri rotonde e si
allacciava al quadrilatero interno tramite tre RIVELLINI, posti rispettivamente a nord, a est (RIVELLINO DI SANTO
SPIRITO), e ad ovest (RIVELLINO DEI CARMINI).
Cortina detta “Ghirlanda”
Torre Falconiera
con Sala delle
Asse - Leonardo
Porta del Barco
Portico dell’Elefante
CORTE DUCALE
Rivellino dei
Carmini
ROCCHETTA
”
Torrione del
Carmine
cilindriciCar
mine
Fossato
morto
Torre
Castellana
Rivellino di
S. Spirito
PIAZZA D’ARMI
Torre Bona
di Savoia
Biblioteca D’Arte
Torre del Filarete
Depositi Stampe
Achille Beratrelli
Torrione S. Spirito
cilindrici
LA FONDAZIONE VISCONTEA
Il più antico fortilizio è chiamato "di Porta Giovia" perché costruito lungo le mura medievali di Milano, delle quali
ingloba l'omonima porta. Viene edificato come rocca difensiva negli anni fra il 1360 e il 1370 da Galeazzo II
Visconti; i lavori vengono proseguiti dai successori Gian Galeazzo e Filippo Maria, che trasforma la struttura nella
propria residenza e sistema il grande parco a nord dell'edificio. Il Castello dei Visconti ha pianta quadrata, con lato di
180 metri e quattro torri angolari.
IL CASTELLO DEMOLITO
Nel 1447 Filippo Maria, l'ultimo dei Visconti, muore senza lasciare eredi legittimi e i cittadini milanesi, proclamata
la Repubblica Ambrosiana, decidono di demolire la rocca, ne atterrano i muri e riutilizzano le pietre per restaurare
la cinta della città.
IL CASTELLO RICOSTRUITO
Tre anni più tardi, nel 1450, Milano accoglie come nuovo Signore della città il condottiero
Francesco Sforza, grande generale e consorte dell'ultima Visconti, Bianca Maria, unica figlia,
illegittima, di Filippo Maria. Inizia così la riedificazione del Castello, fortezza che risorge sulle
fondamenta viscontee, ma si mostra ingentilita verso la città grazie alla torre d'ingresso progettata
dal Filarete e ai torrioni rotondi edificati dall'architetto militare Bartolomeo Gadio.
LA RESIDENZA SIGNORILE
Nel 1466, all'avvento dell'erede dello Sforza, Galeazzo Maria, una parte interna del Castello,
rivolta verso il parco, assume l'aspetto di una residenza signorile: è la Corte Ducale, affiancata dal
complesso fortificato quadrato della Rocchetta. Quest'ultima, vera e propria rocca nella rocca, è
dotata di un'alta torre, detta "di Bona" perché costruita da Bona di Savoia, vedova di
Galeazzo Maria Sforza.
Con Ludovico il Moro, che chiama a Milano Donato Bramante e Leonardo da Vinci, il
Castello, nell'ultimo ventennio del Quattrocento, si arricchisce della Ponticella,
un'elegante ala che si affaccia sul fossato esterno, e dei celebri affreschi della Sala delle
Asse.
IL DOMINIO FRANCESE
Alla caduta del Moro e all'arrivo dei nuovi dominatori
francesi, nel 1499, seguono anni di battaglie, assedi e
occupazioni del Castello, che subisce saccheggi e distruzioni. In questo periodo convulso,
nel giugno 1521, la Torre del Filarete, utilizzata come deposito di munizioni, esplode a
causa di un fulmine, provocando morti e danneggiando l'intera struttura.
LA FORTIFICAZIONE SPAGNOLA
Quando Milano è definitivamente sottomessa al dominio spagnolo, nel 1526, il Castello
viene cinto da una fortificazione a forma di stella che lo rende inespugnabile, anche
perché dotato al suo interno di depositi di viveri, foraggio e pozzi d'acqua.
LA DOMINAZIONE AUSTRIACA
Dopo la conquista austriaca del 1706, l'edificio mantiene, per circa un secolo, funzione rigorosamente militare, a più
riprese restaurato fino all'arrivo delle truppe napoleoniche nel 1796.
LA CONQUISTA NAPOLEONICA
Alla fine del Settecento l'antica fortezza subisce gravi danni quando, in seguito all'assedio napoleonico, i cittadini ne
mutilano i torrioni e ne scalpellano gli stemmi sforzeschi. In ultimo, Napoleone decreta la demolizione delle strutture
esterne, destinando l'antico Castello ad alloggio per le truppe: le sale affrescate al piano terreno della Corte Ducale
sono addirittura adibite a stalle.
LA RESTAURAZIONE AUSTRIACA
Non migliorano le condizioni dell'edificio all'epoca della Restaurazione (18151859): sede della guarnigione austriaca durante le Cinque Giornate di Milano
(18-22 marzo 1848), il Castello è saccheggiato dal popolo, in rivolta contro gli
odiati dominatori.
IL CASTELLO RESTAURATO
In seguito all'Unità d'Italia (1861) e all'acquisto del complesso da parte della
città di Milano, si apre la fase del restauro e della ricostruzione, che vede
assoluto protagonista l'architetto Luca Beltrami. Vengono demolite le residue
fortificazioni esterne, si scavano nuovamente i fossati, si restaurano la Rocchetta
e la Torre di Bona, si ricostruisce la parte superiore dei torrioni rotondi. Nel 1905 viene inaugurata la Torre del
Filarete, completamente riedificata. Il Castello è così restituito alla città e destinato ad accogliere musei e biblioteche,
assumendo la funzione culturale e pubblica che ancora oggi lo caratterizza.
Signori di Milano
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1240-1265 vari (Pagano I della Torre, Pagano II
della Torre, Manfredi II Lancia, Martino della Torre,
Oberto II Pallavicino, Filippo della Torre)
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Duchi di Milano
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Gian Galeazzo; assassinato)
1265-1277 Napoleone della Torre detto Napo
Torriani (Figlio di Pagano; sconfitto dall'Arcivescovo
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Ottone Visconti)
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1277-1294 Ottone Visconti, Arcivescovo di
Milano
1294-1302 Matteo I Visconti (Nipote
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Torriani, figlio del fratello Francesco)
1311-1322 Matteo I Visconti (Restaurato)
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1339-1349 Luchino Visconti
1349-1385 Bernabò Visconti (Regnò assieme ai
fratelli Galeazzo e Matteo e al nipote Gian Galeazzo)
1349-1378 Galeazzo II Visconti (Regnò assieme
ai fratelli Bernabò e Matteo)
1349-1355 Matteo II Visconti (Regnò assieme ai
fratelli Bernabò e Galeazzo)
1378-1395 Gian Galeazzo Visconti (Figlio di
Galeazzo II, regnò inizialmente assieme allo zio
Bernabò)
1476-1494 Gian Galeazzo Sforza (Figlio di
Galeazzo Maria)
1494-1499 Ludovico Sforza detto il Moro
(Figlio di Francesco I)
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APPROFONDIMENTO
1466-1476 Galeazzo Maria Sforza (Figlio di
Francesco I)
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riconoscimento ufficiale solo nel 1329)
1447-1450 Repubblica Ambrosiana
1450-1466 Francesco I Sforza (Sposò una figlia di
Filippo Maria Visconti)
1302-1311 Guido della Torre (Nipote di Napo
1322-1327 Galeazzo I Visconti
1327-1339 Azzone Visconti (Ricevette il
1412-1447 Filippo Maria Visconti (Fratello di
Giovanni Maria)
dell'Arcivescovo Ottone)

1395-1402 Gian Galeazzo Visconti
1402-1412 Giovanni Maria Visconti (Figlio di
1499-1512 Re Luigi XII di Francia (Nipote di
Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo)
1512-1515 Massimiliano Sforza (Figlio di
Ludovico il Moro)
1515-1521 Claudia di Francia (Figlia di Luigi XII
di Francia)
1521-1535 Francesco II Sforza (Figlio di
Ludovico il Moro e fratello di Massimiliano)
1535-1706 (periodo spagnolo)
1706-1796 (periodo austriaco)
1796-1814 (Repubblica Transpadana, Cisalpina,
Italiana, Regno d'Italia)
1814-1859 (Regno Lombardo-Veneto)
IL CASTELLO VISCONTEO
Nel 1354, alla morte dell'Arcivescovo Giovanni Visconti, divengono
Signori di Milano i suoi tre nipoti Matteo II, Galeazzo II e Bernabò. Il
primogenito muore dopo un anno e i due fratelli si dividono la città:
tre porte cittadine a ciascuno, a Bernabò la parte orientale e i territori
a est di Milano, a Galeazzo II la parte occidentale e i territori a ovest.
Sede di Bernabò è la Ca' di Can, vicino a Porta Romana presso la
chiesa di San Giovanni in Conca, mentre Galeazzo II continua a vivere
all'Arengo, il palazzo ducale nei pressi della Cattedrale, creando nel
contempo una serie di fortificazioni. Sorge così, probabilmente nel
decennio fra 1360 e 1370, il Castello di Porta Giovia, collocato a
cavallo delle mura medievali dove si apriva la pusterla Giovia o Zobia,
da cui deriva il nome.
Il Castello visconteo è costituito da un ampio recinto fortificato, di forma quadrata, cui Gian Galeazzo, il figlio del
fondatore, aggiunge nel 1392, sul lato verso la campagna, una cittadella per l'alloggiamento delle truppe stipendiate.
Le due parti della struttura sono separate dal fossato della cinta medievale. Questa originaria costruzione, molto simile
al Castello di Pavia, anch'esso voluto da Galeazzo II e iniziato nel 1360, lascia tracce ancora oggi riconoscibili nella
parte del Castello rivolta verso il parco: il basamento in pietra grigia (serizzo) è quello voluto da Galeazzo Visconti e
dai suoi successori, pagato, come ci rivelano le notizie d'archivio, anche con il contributo imposto alle città sottomesse
dai Signori di Milano; a Bergamo e al suo contado, per esempio, spetta nel 1392 il pagamento di 346 braccia della
costruzione.
Adibita soltanto a fortezza e prigione, la rocca ospita per diciannove giorni Bernabò Visconti quando, arrestato dal
nipote e genero Gian Galeazzo, il vecchio e crudele Signore si avvia alla prigionia e alla morte, che lo coglie nel
Castello di Trezzo nel 1385.
A Filippo Maria, l'ultimo dei Visconti, si deve la prosecuzione dei lavori, con il collegamento tra le due parti del fortilizio
e la sistemazione a "zardinum" o "barcho" del grande terreno adiacente. È in questo periodo che il Castello, il più
grande tra quelli edificati dai Visconti, d'impianto quadrato con lati di 180 metri e quattro torri angolari anch'esse
quadrate, si trasforma in austera residenza: l'ultimo Signore della dinastia vi trascorre un'esistenza solitaria e infelice,
confinandosi con la corte nell'immensa dimora in cui muore senza eredi. Lascia infatti una sola figlia illegittima, Bianca
Maria, avuta da Agnese Del Majno, legittimata dall'Imperatore Sigismondo nel 1426 e andata in sposa nel 1441 al
condottiero di origine romagnola Francesco Sforza, chiamato a difendere il Ducato dai Veneziani.
IL CASTELLO DEMOLITO
Alla morte del Visconti, nel 1447, Milano si proclama Repubblica Ambrosiana. Viene allora smantellata, probabilmente
soltanto nelle parti più deboli, quella che i cittadini considerano la "rocca della tirannide". Le pietre ricavate dalla
demolizione si usano per pagare i creditori e per riparare e restaurare le antiche mura cittadine, il simbolo di Milano e
della sua gloriosa storia.
LA SIGNORIA DEI VISCONTI
Dopo il riconoscimento ufficiale, con la Pace di Costanza del 1183, dell'autonomia del Comune dall'Impero, gli scontri
interni tra le fazioni sostenitrici delle casate emergenti in lotta per il potere portano alla crisi delle istituzioni
comunali. A Milano si contrappongono due famiglie di estrazione feudale, i Della Torre, con possedimenti in
Valsassina e nel territorio di Lecco, e i Visconti, proprietari fondiari nella zona del Verbano; dopo ripetuti scontri,
Ottone Visconti, già preferito da papa Urbano IV a Raimondo della Torre per la nomina ad arcivescovo di Milano nel
1262, sconfigge Napo Della Torre a Desio nel 1277, dando, di fatto, inizio alla Signoria viscontea. Nonostante
l'opposizione interna, capeggiata dai Torriani, Ottone, esperto diplomatico, fa nominare Capitano del Popolo il
pronipote Matteo, scelto come successore.
Lungimirante e abile politico, Matteo riesce a dare legittimazione giuridica alla Signoria dei Visconti: in cambio di un
prestito di 50.000 fiorini d'oro, ottiene dall'imperatore Enrico VII la nomina a Vicario Imperiale a vita con
giurisdizione civile e criminale sulla Lombardia e da tutte le terre del dominio il giuramento di obbedienza, mentre
dal Consiglio del Comune si fa proclamare Dominus Generalis. Per nobilitare la famiglia, di antica origine ma priva di
titoli, se non quello di visconte da cui deriva il nome della casata, stringe legami di parentela con i marchesi di
Ferrara attraverso le nozze del figlio Galeazzo con Beatrice d'Este e combina matrimoni politici anche per le figlie.
Durante la Signoria di Matteo il dominio milanese estende notevolmente i suoi confini, con la conquista di Piacenza,
Bergamo, Como, Cremona, Alessandria, Tortona, Pavia, Vercelli e Novara e la conseguente apertura di nuovi mercati
per l'artigianato e il commercio di Milano.
Galeazzo I, già associato al padre come Capitano del Popolo e suo successore, pur non dando prova della stessa
abilità politica, riesce a conservare i nuovi territori lasciandoli al figlio Azzone che, secondo gli storici del tempo,
raddoppia la potenza di Milano conquistando con truppe mercenarie Lodi e Brescia, pur essendo un amante della
pace, dell'arte e della cultura. A lui si deve la codificazione degli Statuti del Comune di Milano, volta a garantire un
valido fondamento giuridico alla Signoria insieme al titolo di Vicario Imperiale concesso ad Azzone nel 1329; per
favorire le attività economiche realizza ponti, mercati, fognature, strade lastricate, rinforza le mura e le porte
cittadine facendole anche decorare con sculture commissionate al toscano Giovanni di Balduccio, mentre a Giotto
sono affidati gli affreschi che decorano il Palazzo Ducale. Morto Azzone, in giovane età e senza eredi, la Signoria
torna agli zii Luchino e Giovanni.
Luchino, abile condottiero, estende ulteriormente il territorio milanese conquistando Asti, Parma e Crema, ma
promuove anche le attività economiche dando impulso all'agricoltura, in particolare alle marcite e alla viticoltura,
all'allevamento, soprattutto quello dei cavalli di razza, e all'artigianato, con le produzioni di tessuti e armi. Alla sua
morte, il fratello Giovanni, già arcivescovo di Milano, riunisce nelle proprie mani poteri spirituali e temporali,
dedicandosi con straordinario intuito politico all'ampliamento dello Stato: compra la città di Bologna, importante
passaggio verso l'Italia centrale, si fa nominare Signore di Genova, fondamentale sbocco commerciale sul mare,
conquista l'alta Valle del Ticino tra Locarno e Bellinzona, essenziale collegamento con l'Europa settentrionale;
stabilisce inoltre importanti alleanze con i più potenti Stati italiani mediante abili accordi matrimoniali: dei tre nipoti,
che si dividono lo Stato alla sua morte, Matteo II si imparenta con i Gonzaga, marchesi di Mantova, Bernabò sposa
Regina Della Scala, figlia del Signore di Verona, Galeazzo II Bianca dei conti di Savoia. Dopo la morte di Matteo II, i
fratelli si dividono la città e il territorio, che si riduce progressivamente per gli attacchi di una lega antiviscontea
capeggiata dal papa: Genova torna indipendente, Bologna è ceduta al Papato, mentre viene conquistata Pavia, scelta
come propria sede da Galeazzo II che vi fa costruire il castello, inespugnabile fortezza ma anche raffinata residenza.
Gian Galeazzo, figlio di Galeazzo II, dopo la morte del padre e la riunificazione del dominio milanese nelle mani di
Bernabò, collerico tiranno, con accorta politica conquista la fiducia di sudditi e Stati vicini fino a impadronirsi del
potere nel 1385, quando si fa proclamare Signore dal Consiglio Cittadino dopo aver imprigionato lo zio e i suoi figli.
Abile politico e amministratore e generoso mecenate, favorisce i commerci potenziando le vie di terra e d'acqua, dà
inizio a grandi imprese architettoniche come la costruzione del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia, estende il
territorio dello Stato fino a Feltre e Belluno impadronendosi di Verona e Padova, recupera Genova e Bologna,
conquista Pisa, Lucca e Siena, strappa al Papato Perugia e Assisi; nel 1395 ottiene dall'imperatore il definitivo
riconoscimento giuridico del dominio visconteo con il titolo di Dux Mediolani per sé e per i propri discendenti. Ma nel
1402 la morte del primo duca di Milano, che lascia due figli ancora bambini, dà inizio a un periodo drammatico di
ribellioni dei territori appena conquistati e di lotte interne per il potere, concluso con l'uccisione di Giovanni Maria,
appena ventitreenne, nel 1412.
Gli succede il fratello Filippo Maria, dal carattere diffidente e incostante, ma abilissimo politico, che riconquista gran
parte dei territori perduti dopo la morte del padre: dapprima le città di Pavia, Tortona, Novara e Como, poi, con il
capitano di ventura Francesco Bussone detto il Carmagnola, Padova, Vicenza, Verona, Bergamo, Brescia e Genova.
L'atteggiamento del duca, sempre altalenante, provoca però l'allontanamento del Carmagnola, che passa dalla parte
di Venezia contro Milano, così come quello di Francesco Sforza, nuovo capitano generale delle truppe viscontee, che,
sposata Bianca Maria, l'unica figlia, illegittima, di Filippo Maria, passa al servizio del papa sconfiggendo i Milanesi a
Soncino. Quando il duca muore, nel 1447, le truppe veneziane sono accampate alle porte di Milano.
ALBERO GENEALOGICO DEI VISCONTI
(clicca sui riquadri per visualizzare il dettaglio)
IL CASTELLO RICOSTRUITO DAGLI SFORZA
Nel corso di soli tre anni Francesco Sforza, grazie a grandi capacità militari e notevole abilità
politica, dapprima difende Milano dalle mire espansionistiche di Venezia, poi assedia a sua
volta la città e infine riesce a farsi accogliere dai Milanesi come liberatore e Signore, sempre
validamente supportato dalla consorte Bianca Maria Visconti, straordinaria figura femminile
della storia quattrocentesca. Lo Sforza e la Visconti entrano ufficialmente in città, acclamati
dal popolo, il 25 marzo 1450.
La ricostruzione della fortezza viscontea, quasi subito iniziata, è giustificata agli occhi dei
cittadini con la volontà di abbellire la città e di garantire la sua sicurezza contro eventuali
nemici esterni. A conferma di questa intenzione il nuovo Signore, nel 1452, affianca agli
ingegneri militari Jacopo da Cortona, Giovanni da Milano e Marcoleone da Nogarolo un
architetto civile, il Fiorentino Antonio Averulino detto il Filarete, incaricato di progettare la
facciata verso la città, con l'alta torre centrale d'ingresso. Tuttavia, benché il Castello debba
apparire come un'elegante residenza e non ricordare ai cittadini la fortezza di Filippo Maria
Visconti, il Filarete viene presto allontanato e i lavori passano sotto la direzione
dell'architetto militare Bartolomeo Gadio, uomo di fiducia dello Sforza, già dal 1452
Commissario per le fortezze del Ducato. Il Castello di Porta Giovia è così dotato di massicce torri rotonde rivestite di
serizzo a punta di diamante e di articolate opere di difesa, tra le quali la "Ghirlanda", una cortina muraria di forma
quadrangolare, spessa più di tre metri, che si collega alle mura di Milano e difende dalla parte del parco,
circondandole, la Rocchetta e la Corte Ducale. La struttura, già esistente in epoca viscontea ma ampliata e rinforzata
in età sforzesca, è dotata di due torri rotonde agli angoli e di una strada coperta, ancora in parte esistente.
Per il compimento dei lavori, ostacolati dalla chiesa del Carmine, posta nell'area dove sta sorgendo il Castello, lo
Sforza chiede addirittura al Papa, tramite il suo oratore Giacomo Calcaterra, il permesso di demolire l'antica chiesa.
Nel 1452 la fortezza è abitata soltanto dal castellano Foschino degli Attendoli, che alloggia nella torre all'angolo sud
della Rocchetta, dai balestrieri e da alcuni sfortunati prigionieri, rinchiusi nel sotterraneo della torre.
Negli stessi anni si costruisce un muro di cinta intorno al barcho, popolato di caprioli, cervi, lepri, fagiani e pernici fatti
portare dalle zone di Varese, del Seprio e del lago di Como; al vero e proprio parco di caccia si affiancano, all'interno
del recinto, frutteti e aree agricole coltivate a frumento, segale, miglio e avena.
Con la consueta abilità politica, Francesco e Bianca Maria non trasferiscono la propria residenza in Castello: quando si
trovano a Milano continuano a vivere nella vecchia Corte d'Arengo presso il Duomo, accessibile ai cittadini.
LA SIGNORIA DEGLI SFORZA
Nel 1447, alla morte di Filippo Maria Visconti che, non avendo figli maschi,
lascia il Ducato di Milano in eredità a Filippo V d'Aragona, un gruppo di
aristocratici e giuristi milanesi proclama l'Aurea Repubblica Ambrosiana,
chiamando a difesa della città, assediata dai Veneziani, il capitano di ventura
Francesco Sforza, che era già stato al comando dell'esercito milanese sotto
l'ultimo duca. Sconfitta la Repubblica di Venezia, lo Sforza assedia a sua volta la
città, finché nel 1450, stanchi di lotte interne, i Milanesi lo accolgono come
liberatore, ottenendo però l'impegno al rispetto degli Statuti cittadini e della
potente Universitas Mercatorum Mediolanensium. Ha così inizio la Signoria
sforzesca, legittimata, in mancanza dell'investitura imperiale, dal matrimonio di
Francesco I con Bianca Maria, unica figlia dell'ultimo Visconti: nel corso di una
solenne cerimonia, il condottiero e la moglie sono nominati duchi per
acclamazione popolare. L'abile politica diplomatica del nuovo Signore, alleato in
particolare dei Medici di Firenze, favorisce la firma della Pace di Lodi del 1455,
che garantisce un lungo periodo di equilibrio tra le maggiori potenze d'Italia,
destinato a durare fino al 1494. L'efficiente riorganizzazione dello Stato di
Milano, che comprende vasti territori eterogenei dal punto di vista giuridico,
fiscale e amministrativo, quali le città di Pavia, Vigevano, Cremona, Lodi, Como, Novara,
Alessandria, Tortona, Valenza, Bobbio, Piacenza, Parma, Genova e Savona, attraverso l'istituzione
di numerosi "offici" centrali e periferici, promuove lo sviluppo delle attività artigianali e
commerciali e di quelle assistenziali, per esempio con la fondazione del primo ospedale pubblico di Milano, la Ca'
Granda. Ma questo periodo di prosperità si interrompe improvvisamente alla morte di Francesco I nel 1466.
Il Ducato passa infatti al figlio maggiore Galeazzo Maria, giovane dal carattere arrogante che entra in contrasto con la
madre, della quale non possiede l'abilità e l'intuito politico. Nei dieci anni del suo governo si inimica le più potenti
famiglie milanesi e il popolo e nel 1476 viene assassinato da un gruppo di congiurati. La vedova Bona di Savoia
assume in un primo tempo la reggenza per il figlio Gian Galeazzo Maria, di soli sei anni, ma ben presto il potere passa
nelle mani del fratello di Galeazzo Maria, Ludovico Maria detto il Moro, che di fatto esilia il nipote a Pavia.
Molto ambizioso, amante di arti, lettere e scienze, grande mecenate, il Moro chiama alla corte milanese, divenuta una
delle più raffinate e sfarzose dell'epoca, grandi pittori, architetti e letterati come Foppa e Bergognone, Solari e
Amadeo, Bramante e Leonardo, stimato consulente del duca non soltanto in campo artistico: a Leonardo si devono
anche progetti di macchine belliche e il perfezionamento delle chiuse e delle conche dei Navigli, che offre all'economia
lombarda un eccezionale sistema di idrovie collegato al Po. Insieme al commercio prospera in questi anni l'agricoltura,
in particolare la risicoltura, mentre viene introdotta nel Milanese la coltivazione del gelso, importato dal Moro per
consentire l'allevamento dei bachi e la produzione della seta. Nel campo delle relazioni diplomatiche, il Moro stringe
importanti accordi matrimoniali, sposando Beatrice d'Este, sorella del duca di Ferrara, e organizzando le nozze tra il
nipote Gian Galeazzo Maria e la figlia del re di Napoli, Isabella d'Aragona. Tuttavia la rivalità tra le due duchesse,
l'una di diritto, l'altra di fatto, finisce col provocare gravi danni al Ducato: Isabella spinge il padre a contrastare il
potere del Moro, che, da parte sua, non si oppone alla discesa in Italia del re di Francia Carlo VIII diretto alla
conquista del Regno di Napoli nel 1494. La spedizione di Carlo VIII fallisce, ma viene ripresa nel 1498 dal suo
successore Luigi XII d'Orléans, che vanta diritti sullo Stato di Milano perché discendente di Valentina Visconti, figlia di
Gian Galeazzo, andata sposa a Luigi d'Orléans, fratello del re di Francia Carlo VI, nel 1387. Il Moro fugge con i figli
Ercole Massimiliano e Francesco II presso la corte dell'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, imparentato con gli
Sforza per aver sposato Bianca Maria, sorella di Gian Galeazzo Maria; dopo alterne vicende, che lo vedono
riconquistare Milano nel 1500, il Moro muore prigioniero in Francia nel 1508.
Ma la cosiddetta Lega Santa, capeggiata dal papa Giulio II e costituita da numerosi Stati italiani, Spagna, Inghilterra,
Impero tedesco e Svizzeri in funzione antifrancese, nel 1512 riconquista il Ducato di Milano per Ercole Massimiliano, il
figlio maggiore del Moro, che tre anni dopo è costretto a cederlo al nuovo re di Francia Francesco I. Infine nel 1525
Carlo V di Spagna, sconfitti i Francesi a Pavia, restituisce la Signoria al secondogenito del Moro, Francesco II. Il nono
e ultimo duca di Milano avvia la riorganizzazione dello Stato, indebolito e impoverito da venticinque anni di lotte,
promuovendone la ripresa economica e culturale, ma nel 1535 muore in giovane età e senza eredi. I territori del
Ducato vengono annessi al dominio di Carlo V, nel 1519 divenuto anche Imperatore; finisce così una delle più
splendide Signorie d'Italia e inizia per Milano il triste periodo della dominazione spagnola.
ALBERO GENEALOGICO DEGLI SFORZA
(clicca sui riquadri per visualizzare il dettaglio)
LA RESIDENZA SIGNORILE
A Francesco Sforza, morto nel 1466, succede il primogenito Galeazzo Maria, quinto Duca
di Milano.
Raffinato, colto, amante del lusso, Galeazzo Maria frequenta le corti francese, mantovana
e ferrarese, dopo aver trascorso la giovinezza nell'elegante castello pavese, sviluppando
una sorta di passione per gli avi materni e in particolare per Gian Galeazzo Visconti, del
quale conosce l'effigie dagli affreschi che ornano le sale del Castello e di cui imiterà
l'abbigliamento e la preferenza per alcuni cani da caccia. Promesso sposo di Bona di
Savoia, cognata del Re di Francia Luigi XI, Galeazzo Maria, volendo trasferirsi con la corte
in Castello, intraprende una complessa campagna di lavori, destinati a trasformare il
fortilizio in dimora signorile. Gli architetti all'opera sono ancora Bartolomeo Gadio e
Benedetto Ferrini di Firenze, impiegato dal 1452 presso gli Sforza nella realizzazione di
strutture militari e civili.
Le opere iniziate da Francesco Sforza subiscono una brusca accelerazione: si lavora alla Rocchetta e alla Corte Ducale,
mentre contemporaneamente si attrezza un "Cassino", destinato a ospitare il Duca e la sua consorte. Stupisce oggi la
semplicità della vita domestica condotta dagli Sforza, che conosciamo dalle notizie tramandate da interessanti
documenti, quali le lettere dell'epoca. Raffinatissimi nella scelta di abiti, cavalli e gioielli, i Duchi sono abituati a vivere
in stanze confinanti con il pollaio, in sale che di notte ospitano materassi e di giorno assemblee, in ambienti dai soffitti
altissimi le cui ampie finestre sono chiuse non da vetri ma da semplici "impannate" (stoffe).
In Castello gli architetti sono continuamente al lavoro: costruiscono, riedificano, modificano gli spazi e la loro
destinazione; sappiamo, per esempio, che, in occasione dell'arrivo della sposa francese, Bartolomeo Gadio deve
allestire una stalla in grado di ospitare novanta cavalli.
La Sala della Balla
In anni frenetici di lavori, ordinati da un committente ricco di idee ma assai mutevole, il Castello diviene una elegante
dimora: la Rocchetta, la parte meglio difesa dell'intera fortezza, è ornata da un elegante portico rinascimentale,
eseguito molto probabilmente da Benedetto Ferrini. All'interno sono ampie sale, come quella della Balla, al primo
piano, destinata a uno sport assai simile al nostro tennis, molto apprezzato e spesso praticato da Galeazzo Maria.
Gli Appartamenti Ducali
Nella Corte Ducale lo Sforza fa edificare, sempre da Benedetto Ferrini, la "sala aperta", un portico oggi detto
"dell'elefante" per la figura ad affresco che lo decora, in origine accompagnata da altri animali ora perduti, come il
leone di cui si scorgono soltanto le zampe posteriori. Gli Appartamenti Ducali, al piano terra e al primo piano della
Corte Ducale, sono dotati di eleganti volte a padiglione, disegnate dal Ferrini e affrescate da gruppi di pittori con
imprese araldiche, soggetto molto gradito al committente, e motivi ornamentali. Di questo periodo sono la "Sala dei
Ducali", la "Sala delle Colombine" e la "Sala degli Scarlioni". Al piano superiore si accede tramite una scala dai bassi
gradini, che permette al Duca di raggiungere a cavallo gli appartamenti.
La Cappella
Particolare attenzione è riservata da Galeazzo Maria e dai suoi architetti alla Cappella Ducale, costruita nel 1473 e
affrescata nel corso dello stesso anno da sei pittori, tra i quali Bonifacio Bembo, Giacomino Vismara e Stefano de
Fedeli, citati nei documenti ancora oggi conservati. In questo luogo raffinato, lucente di ori, il Duca, inviando emissari
in tutte le corti d'Europa, riesce a raccogliere, con grande passione, una straordinaria cappella musicale, formata da
ventidue cantori.
Gli ultimi lavori al Castello
La mattina del 26 dicembre 1476 Galeazzo Maria Sforza viene pugnalato a morte sulla soglia della chiesa di Santo
Stefano. La Duchessa Bona si trasferisce allora nel luogo più sicuro del Castello, la Rocchetta, e la munisce di un'alta
torre, oggi detta Torre di Bona, che, collocata all'incrocio tra le ali nord-est e sud-est, consente il controllo di tutto
l'edificio. Ben presto tuttavia Ludovico il Moro, fratello di Galeazzo Maria, si impossessa del potere e del Castello, per il
quale commissiona nuovi interventi: in Corte Ducale, oltre a far sostituire in molti ambienti le iniziali di Galeazzo Maria
con le proprie, ordina una nuova decorazione per la sala terrena della Torre della Falconiera. Affidata a Leonardo da
Vinci, la Sala delle Asse è affrescata con il celebre pergolato ancora oggi visibile, anche se molto restaurato; alla
mano di Leonardo è attribuito anche un frammento di affresco monocromo su una delle pareti della sala, con radici
che si incuneano nelle pietre. Forse progettata da Bramante è invece la "Ponticella", un'ariosa costruzione sopra il
fossato, contenente un portico e tre salette, una delle quali recava una decorazione di Leonardo oggi perduta. Nella
Rocchetta il Moro fa concludere il portico e nel 1490 fa affrescare dal Bramantino la Sala del Tesoro. Seppure in parte
rovinato, il celebre affresco con Argo costituisce una delle opere più rappresentative del Castello.
IL CASTELLO CONTESO TRA FRANCESI E SPAGNOLI
Nel 1499 il re di Francia Luigi XII, che avanza pretese sul Ducato sforzesco su base ereditaria, ne invade i territori ed
entra solennemente a Milano il 6 ottobre, prendendo dimora nella lussuosa Corte Ducale del Castello. Il Moro è
costretto alla fuga, ma ben presto si adopera per la riconquista del perduto Stato, grazie all'appoggio dell'Imperatore
Massimiliano d'Asburgo, consorte di Bianca Maria, figlia di Galeazzo Maria Sforza.
In questa età convulsa, nella quale il Ducato di Milano è conteso tra il re francese, l'imperatore germanico e gli Sforza,
il Castello, punto nevralgico per la conquista della città, è teatro di continui scontri e assedi, a causa dei quali riporta
gravi danni. Si succedono, nell'arco di un ventennio (1515-1534), il dominio francese di Francesco I d'Angoulême,
successore di Luigi XII, l'effimero regno di Francesco II Sforza, secondogenito del Moro, e un breve governo spagnolo,
conclusosi con il ritorno dello Sforza che nel 1535 lascia erede del Ducato l'imperatore Carlo V.
Durante la dominazione francese, il 23 giugno 1521, forse a causa di un fulmine, l'elegante torre del Filarete,
utilizzata come deposito di munizioni, esplode provocando morti, tra i quali il castellano, e pericolose lesioni alle
antiche murature. Si deve all'ultimo Sforza, Francesco II, il restauro che fa del Castello il teatro di una nuova sfarzosa
cerimonia: la festa per le nozze tra il Duca stesso e Cristina, figlia del re di Danimarca, celebrate il 3 maggio 1534.
Nel Castello restaurato, ma ormai privo della famosa torre d'ingresso, l'appartamento destinato alla sposa, secondo
gli usi degli Sforza, è sontuosissimo. Ma il ritorno all'antico splendore è di brevissima durata: con l'arrivo dei nuovi
dominatori, dopo il I novembre, il Castello non sarà mai più una residenza signorile.
LA FORTEZZA "STELLATA" DEGLI SPAGNOLI
I dominatori spagnoli, convinti dell'assoluta necessità di dotare Milano di una nuova efficiente cinta difensiva, per
iniziativa di Don Ferrante Gonzaga, capitano generale di Carlo V e suo luogotenente, intraprendono una grandiosa
opera di fortificazione a partire dal 1549. L'intera città viene circondata da poderose mura in mattoni, che racchiudono
i borghi sorti all'esterno della precedente cinta medievale. Il Castello è collegato ai nuovi bastioni attraverso le
"Tenaglie", due strutture (una verso Porta Comasina e l'altra verso Porta Vercellina) che, rivelatesi ben presto
insufficienti, lasciano il posto alla caratteristica fortificazione a forma di stella a dodici punte, ritenuta inespugnabile
perché costruita secondo le tecniche più avanzate dell'epoca. Perduto definitivamente il ruolo di residenza signorile, il
Castello diviene una vera e propria cittadella fortificata, capace di mantenere circa duemila uomini di guarnigione. I
costi gravano pesantemente sui Milanesi, obbligati a pagare qualche milione di ducati, oltre al mantenimento della
truppa. Dalle fonti iconografiche e letterarie sappiamo che la cittadella comprende un ospedale e una farmacia,
numerose botteghe artigiane, un negozio di panettiere con due forni, un'osteria, una "nevera" per la conservazione
del ghiaccio, ampi depositi per le provviste e due chiese. I saloni, un tempo sontuosi, sono ridotti in condizioni
deplorevoli: nei documenti la celebre Sala della Balla figura come "Sala della Segala"; la Sala del Tesoro, già
affrescata dal Bramantino, risulta ospitare il laboratorio di falegnameria e nell'elegante portico rinascimentale della
Rocchetta compaiono muretti per la costruzione di pollai.
LA CASERMA AUSTRIACA
Al dominio spagnolo si sostituisce nel 1706 quello degli Austriaci, nel corso della Guerra di Successione Spagnola che
vede Eugenio di Savoia impadronirsi della Lombardia per conto dell'imperatore Giuseppe I d'Asburgo. La destinazione
del Castello rimane pressoché immutata: la fortezza continua a essere sede delle truppe straniere e non si registrano
particolari interventi costruttivi, sebbene Milano, nel corso dei regni di Maria Teresa (1740-1780) e di Giuseppe II
d'Asburgo (1780-1790), cambi completamente il suo volto, assumendo l'aspetto di una città settecentesca. Unico
evidente ricordo dell'occupazione austriaca del Castello è la statua di San Giovanni Nepomuceno, commissionata nel
1727 allo scultore Giovanni Dugnani da Annibale Visconti, comandante della fortezza per conto di Carlo VI d'Asburgo.
Ancora oggi la statua del Santo boemo, protettore degli eserciti austriaci, si erge non lontano dalla Torre di Bona, nel
cortile detto Piazza d'Armi.
IL CASTELLO E IL "FORO BONAPARTE"
La dominazione austriaca, che si protrae in Lombardia fino all'Unità d'Italia, conosce una breve ma determinante
interruzione con l'arrivo in Italia di Napoleone. Avvicinandosi il generale francese a Milano, l'Arciduca Ferdinando
d'Austria abbandona il 9 maggio 1796 la città, lasciando soltanto 2000 soldati a guardia del Castello, con i suoi 152
cannoni, 3000 quintali di polvere esplosiva, 11000 fucili e un centinaio di bovini. La guarnigione austriaca, guidata dal
tenente colonnello Lamy, respinge inizialmente un gruppo di Milanesi filofrancesi che attacca il Castello simulando
l'assalto alla Bastiglia, quindi è assediata dagli eserciti napoleonici, dopo l'entrata in Milano del Bonaparte il 15 maggio
1796. Alla fine di giugno la fortezza è in mano francese e Napoleone ordina di ripristinarla, per adibirla a difesa e
alloggiarvi 4000 uomini con provviste, mentre i fanatici milanesi raccolgono firme e sottoscrivono una petizione per
abbattere "l'ultimo avanzo dell'antica tirannide". Fortunatamente la distruzione è scongiurata, fino a quando,
nell'aprile 1799, gli eserciti austro-russi riconquistano Milano e il Castello, che, in questa occasione, subisce un nuovo
assedio.
Con la vittoria di Napoleone a Marengo contro gli Austriaci, il 14 giugno 1800, Milano torna francese e si conferma
capitale della Repubblica Cisalpina. Il Castello, ancora adibito a caserma, vede i suoi antichi ambienti ulteriormente
danneggiati: la Cappella Ducale diventa una stalla, gli Appartamenti Ducali dormitori, gli affreschi sforzeschi sono
ricoperti da calce. Decretato che "la cittadella di Milano sia demolita", a partire dal 1801 si abbattono i bastioni
spagnoli, facendo esplodere mine e lavorando anche di notte, davanti alla popolazione esultante. Attorno al
sopravvissuto nucleo sforzesco si apre così uno spazio enorme; per la sua organizzazione importanti architetti, come
Luigi Canonica e Giovanni Antolini, presentano progetti per la cui realizzazione si stanzia un milione di lire dell'epoca.
L'Antolini progetta una piazza circolare di circa 570 metri di diametro - il Foro Bonaparte - con edifici pubblici di forma
classica (le Terme, il Pantheon, il Museo Nazionale, la Borsa, il Teatro, la Dogana), collegati da portici sui quali si
aprono magazzini, negozi ed edifici privati. Al centro resta, destinato alla residenza del Governo, il Castello di età
sforzesca, anch'esso in forme classiche, con un atrio a dodici colonne. Il Foro si apre da una parte verso la città,
mentre dall'altra si affaccia su una grande piazza quadrangolare, rivolta in direzione del Sempione e di Parigi.
Tuttavia, dopo la posa della prima pietra nell'aprile 1801, il progetto è abbandonato e l'intera area subisce graduali
modifiche, assumendo l'aspetto di una vasta Piazza d'Armi quadrata di 700 metri di lato.
IL CASTELLO DELLA RESTAURAZIONE E DEL RISORGIMENTO
In seguito alla caduta di Napoleone e alla costituzione del Regno Lombardo-Veneto, nel 1815, gli Austriaci rientrano a
Milano che, da capitale del Regno Italico, diventa semplice capoluogo. Con la Restaurazione il Castello torna caserma
austriaca senza subire particolari trasformazioni, a eccezione dell'arricchimento, nel 1838, della porta centrale a nordovest mediante cortine laterali, decorate con raffigurazioni dei generali dell'Impero Asburgico. ll Foro Bonaparte
riprende il nome di Piazza Castello e la vasta spianata quadrangolare, la Piazza d'Armi, viene usata principalmente per
rassegne militari.
Nel marzo del 1848 il Castello conosce un'altra pagina tragica della propria storia: Milano insorge contro gli Austriaci
nelle famose Cinque Giornate (18-22 marzo) e la fortezza, appena rinforzata da terrapieni e fossati, viene impiegata
dal feldmaresciallo Radetzky per bombardare la città e imprigionare i Milanesi arrestati.
Quando le truppe austriache si ritirano, si scoprono, ammucchiati in vari punti dell'edificio, cadaveri di uomini e
donne. La città resta libera per soli quattro mesi, durante i quali i Milanesi iniziano ad abbassare i due torrioni rotondi,
sentiti come una costante minaccia; l'operazione è interrotta al nuovo ritorno degli Austriaci, che innalzano invece un
parapetto a feritoie. Dopo un ultimo disperato assalto repubblicano al Castello nel 1853, culminato con condanne a
morte eseguite sugli spalti della fortezza, gli Austriaci lasciano, nel 1859, Milano e la Lombardia, definitivamente
annessa al Regno di Sardegna. Il Castello viene assalito e saccheggiato dai cittadini, che si impossessano di armi,
suppellettili, provviste e denaro destinato alla paga delle truppe.
UN CASTELLO PER I MILANESI
Nella Milano post-unitaria fervono progetti per il rinnovo urbanistico, che interessa vie e piazze, intere porzioni di città
e singoli edifici, in un dibattito continuo relativo soprattutto alle modalità di restauro degli edifici storici. Anche il
Castello, al quale nel 1860 è affiancata una Cavallerizza, e la vasta area che lo circonda sono al centro della
discussione, nonché oggetto di tentativi di speculazioni edilizie. Per la sistemazione della Piazza d'Armi si considera
uno dei progetti elaborati da Cesare Beruto, il quale propone che il Castello e l'Arco della Pace diventino il centro di
due emicicli simmetrici formati da signorili caseggiati ben distanziati e da larghi viali alberati, gli attuali Foro
Buonaparte e vie Canova e Melzi d'Eril. Si prevede anche di destinare a verde pubblico l'area fra il Castello e il
Sempione, che alla fine dell'Ottocento prende la forma dell'attuale Parco Sempione, secondo il progetto dell'ingegnere
Emilio Alemagna. Quanto al Castello, che l'autorità militare consegna ufficialmente al Municipio nel 1893, parte
dell'opinione pubblica lo vorrebbe abbattere perché ricordo dell'ultima tirannide, altri lo vorrebbero conservare in
parte, attraversato dall'asse viario che dal Cordusio porta all'Arco della Pace. Non mancano anche progetti bizzarri,
come quello di Angelo Colla che propone di trasformare completamente il monumento in forme pseudo-gotiche.
I primi interventi di restauro del Castello vengono eseguiti negli anni 1893-1894 dall'Ufficio Tecnico Regionale per la
Conservazione dei Monumenti, istituito nel 1891 e diretto, per la Lombardia, dall'architetto Luca Beltrami, che
propone un restauro "filologico", basato sull'attento studio delle fonti grafiche e letterarie antiche. Si interviene
dapprima riportando all'altezza originaria il torrione cilindrico est, che diviene serbatoio dell'acqua potabile, poi si
rialzano quello ovest e la Torre di Bona, si iniziano gli sterri del fossato, si sistema parte della Corte Ducale e della
Rocchetta, si demoliscono infine la Ghirlanda e la Cavallerizza.
Nel 1894, in occasione della manifestazione delle Esposizioni Riunite, ospitata al Castello e nell'area circostante, si
mostrano al pubblico gli interventi effettuati e si raccolgono 43.088,50 lire per i restauri successivi.
Tra il 1895 e il 1897 si ricostruiscono finestre, cornicioni, tetti e pavimenti, si ripristinano le antiche sale, si scrostano i
muri, riscoprendo splendidi affreschi, si destinano infine gli ambienti della Corte Ducale e della Rocchetta a Istituti
culturali e Musei artistici e archeologici, che vengono aperti al pubblico nel maggio 1900. Con la completa
ricostruzione della Torre del Filarete, inaugurata nel 1905 e dedicata al re Umberto I, l'opera del Beltrami si conclude
e i Milanesi possono finalmente appropriarsi del loro Castello. Danneggiato negli ambienti della Rocchetta dai
bombardamenti dell'agosto 1943 e nuovamente restaurato, il Castello Sforzesco svolge oggi un ruolo importante
come centro di cultura, arte e svago.