445-448:Layout 3 12-07-2013 12:55 Pagina 446 E cumenismo Justin Welby: vedremo un mondo trasformato I l 21 marzo, due giorni dopo l’inaugurazione ufficiale del pontificato di Francesco, anche il nuovo leader della Chiesa d’Inghilterra Justin Welby celebrava nella cattedrale di Canterbury la propria cerimonia d’insediamento come 105° arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana. Nell’omelia, che pubblichiamo qui in una nostra traduzione dall’inglese (da www.archbishopofcanterbury.org), una menzione esplicita di papa Francesco ma anche molte assonanze spirituali. Le letture della messa erano Rt 2,10-16; 2Cor 5,16-21; Mt 14,22-33. Chiunque noi siamo e ovunque ci troviamo, raggiungendoci da lontano attraverso la televisione o la radio, oppure qui nella cattedrale, Gesù chiama ciascuno di noi, attraverso le tempeste e l’oscurità della vita, e ci dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». La nostra risposta a queste parole definisce il percorso per le nostre vite, per la Chiesa, per l’intera società. La paura ci imprigiona e ci impedisce di essere pienamente persone umane. In modo unico in tutta la storia dell’umanità, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è colui che libera un santo coraggio, perché è amore vivente. «Signore, se sei tu, dimmi di venire verso di te, sull’acqua», dice Pietro, e Gesù risponde «vieni». La storia non ci racconta che cosa abbiano pensato i discepoli sul fatto di scendere da una barca perfettamente funzionante, ma Pietro aveva ragione, loro avevano torto. Ciò che è profondamente assurdo diventa pienamente ragionevole quando è Gesù che chiama. Il coraggio viene liberato, ed egli scende dalla barca, cammina un po’ ma poi cade. L’amore lo afferra, con delicatezza lo rimette in piedi e dopo un momento sono entrambi sulla barca e c’è la pace. Il coraggio è venuto meno, ma Gesù è più forte del fallimento. La paura dei discepoli era ragionevole. La gente non cammina sull’acqua ma questa persona lo ha fatto. Per noi è ragionevole credere e seguire il Cristo, se egli è ciò che i discepoli infine dicono che egli sia: «Veramente tu sei il Figlio di Dio». Ciascuno di noi ora ha bisogno di fare attenzione alla sua voce che ci chiama e uscire dalla barca e andare verso di lui. Perché anche quando cadiamo, troviamo pace e speranza e diventiamo più pienamente uomini e donne di quanto possiamo immaginare: l’errore perdonato, il coraggio liberato, la speranza perseverante, l’amore abbondante. Per oltre mille anni, questo paese ha cercato in un modo o nell’altro di riconoscere che Gesù è il Figlio di Dio; attraverso l’ordinamento della sua società, con le sue leggi, con il suo senso di comunità. A volte siamo riusciti meglio, altre volte peggio. Quando riusciamo meglio, facciamo spazio affinché si liberi il nostro coraggio, affinché Dio agisca in mezzo a noi e le persone fioriscano. Gli schiavi vengono liberati, le leggi sul lavoro nelle fabbriche vengono approvate, il servizio sanitario nazionale e l’assistenza sociale stabilite, tutto attraverso il coraggio sprigionato dal Cristo. Le sfide attuali dell’ambiente e dell’economia, dello sviluppo umano e della povertà globale possono essere affrontate solo con un coraggio straordinario. In umiltà e semplicità, papa Francesco martedì ci ha invitati a diventare custodi gli uni degli altri: della natura, dei poveri e dei vulnerabili. Il coraggio si libera in una società che è sotto l’autorità di Dio, così che riusciamo a diventare quella comunità pienamente umana di cui tutti sogniamo. Ascoltiamo Cristo che ci chiama e ci dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». La prima lettura che abbiamo ascoltato risale al tempo di Israele, prima dell’avvento dei Re. È il racconto di una rifugiata 446 IL REGNO - DOCUMENTI 13/2013 moabita – profondamente stigmatizzata e disprezzata da tutti –, che affronta l’enorme rischio di scegliere un Dio che non conosce in un luogo in cui non era stata, e così facendo trova sicurezza. La società in cui si è inserita Rut era benestante perché viveva nell’obbedienza a Dio, sia nella dimensione pubblica sia negli affetti privati. Oggi certamente i nostri livelli di responsabilità pubblica e privata in una società benestante sono differenti. Ma se tagliamo le radici che ci radicano in Cristo, perdiamo la stabilità che rende possibile sani processi decisionali. Non ci può essere giustizia, sicurezza, amore, speranza nella nostra società se in definitiva non è radicata in Cristo. Gesù ci chiama attraverso il vento e la tempesta, ascoltiamo le sue parole e avremo il coraggio per costruire una società nella stabilità. Per quasi duemila anni la Chiesa ha cercato, spesso fallendo, di riconoscere nel suo modo di essere che Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Il vento e le onde hanno diviso Gesù dai discepoli. Pietro si avventura con paura e con tremore (come potete immaginare, io mi identifico con lui, in questo momento). Gesù riconcilia Pietro con se stesso e apre la possibilità per tutti i discepoli di trovare la pace. Tutta la vita delle nostre diverse Chiese trova rinnovamento e unità quando ci riconciliamo di nuovo con Dio e così diventiamo capaci di riconciliarci con gli altri. Una vita nell’ascolto del Cristo cambia la Chiesa e una Chiesa in ascolto di Cristo cambia il mondo: san Benedetto è partito per creare una scuola di preghiera e, per caso, ha creato un ordine monastico che ha salvato la civilizzazione europea. Più la Chiesa ascolta autenticamente la chiamata di Gesù, lasciando le sue sicurezze, parlando e agendo con trasparenza e correndo i suoi rischi, più la Chiesa soffre. Thomas Cranmer ha affrontato la morte con il coraggio che gli veniva dal Cristo, lasciando un’eredità di preghiera, in fedeltà alla verità del Vangelo, a cui noi ancora attingiamo. Guardo ai responsabili anglicani qui e ricordo che in molti casi, in tutto il mondo, i loro popoli sono dispersi ai quattro venti o costretti alla clandestinità: dalla persecuzione, da tempeste di ogni tipo, anche dai cambiamenti culturali. Molti cristiani sono martirizzati oggi, come in passato. Allo stesso tempo, la Chiesa trasforma la società quando corre il rischio del rinnovamento nella preghiera, della riconciliazione e dell’annuncio fiducioso della buona novella di Gesù Cristo. Già solo in Inghilterra, le Chiese insieme gestiscono numerosi banchi alimentari, dormitori per i senza tetto, danno l’istruzione a un milione di bambini, offrono consigli per il debito, confortano i morenti, e molto, molto di più. Tutto ciò deriva dall’ascoltare la chiamata di Gesù Cristo. Sul piano internazionale, le Chiese gestiscono campi per i rifugiati, svolgono una mediazione nelle guerre civili, organizzano elezioni, impiantano ospedali. Tutto ciò avviene perché ascoltano la chiamata di andare verso Gesù, attraverso le tempeste e attraverso le onde. Ci sono moltissime ragioni per essere ottimisti riguardo al futuro della fede cristiana nel nostro mondo e nel nostro paese. L’ottimismo non nasce da noi stessi, ma da Gesù che viene verso di noi e a ogni persona dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Siamo chiamati a uscire dalla comodità delle nostre tradizioni e luoghi, e andare verso le onde, raggiungendo la mano di Gesù. Stimoliamoci reciprocamente ad ascoltare la chiamata di Cristo, a essere trasparenti nel nostro annuncio del Cristo, a impegnarci nella preghiera al Cristo, e vedremo un mondo trasformato. JUSTIN WELBY