Justin Welby: vedremo un mondo trasformato

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E
cumenismo
Justin Welby: vedremo un mondo trasformato
I
l 21 marzo, due giorni dopo l’inaugurazione ufficiale del
pontificato di Francesco, anche il nuovo leader della Chiesa
d’Inghilterra Justin Welby celebrava nella cattedrale di
Canterbury la propria cerimonia d’insediamento come 105° arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana.
Nell’omelia, che pubblichiamo qui in una nostra traduzione
dall’inglese (da www.archbishopofcanterbury.org), una menzione esplicita di papa Francesco ma anche molte assonanze
spirituali. Le letture della messa erano Rt 2,10-16; 2Cor 5,16-21;
Mt 14,22-33.
Chiunque noi siamo e ovunque ci troviamo, raggiungendoci
da lontano attraverso la televisione o la radio, oppure qui nella
cattedrale, Gesù chiama ciascuno di noi, attraverso le tempeste e
l’oscurità della vita, e ci dice: «Coraggio, sono io, non abbiate
paura».
La nostra risposta a queste parole definisce il percorso per le
nostre vite, per la Chiesa, per l’intera società. La paura ci imprigiona e ci impedisce di essere pienamente persone umane. In
modo unico in tutta la storia dell’umanità, Gesù Cristo, il Figlio di
Dio, è colui che libera un santo coraggio, perché è amore vivente.
«Signore, se sei tu, dimmi di venire verso di te, sull’acqua»,
dice Pietro, e Gesù risponde «vieni». La storia non ci racconta che
cosa abbiano pensato i discepoli sul fatto di scendere da una
barca perfettamente funzionante, ma Pietro aveva ragione, loro
avevano torto. Ciò che è profondamente assurdo diventa pienamente ragionevole quando è Gesù che chiama. Il coraggio viene
liberato, ed egli scende dalla barca, cammina un po’ ma poi cade.
L’amore lo afferra, con delicatezza lo rimette in piedi e dopo un
momento sono entrambi sulla barca e c’è la pace. Il coraggio è
venuto meno, ma Gesù è più forte del fallimento.
La paura dei discepoli era ragionevole. La gente non cammina
sull’acqua ma questa persona lo ha fatto. Per noi è ragionevole
credere e seguire il Cristo, se egli è ciò che i discepoli infine dicono che egli sia: «Veramente tu sei il Figlio di Dio». Ciascuno di
noi ora ha bisogno di fare attenzione alla sua voce che ci chiama
e uscire dalla barca e andare verso di lui. Perché anche quando
cadiamo, troviamo pace e speranza e diventiamo più pienamente
uomini e donne di quanto possiamo immaginare: l’errore perdonato, il coraggio liberato, la speranza perseverante, l’amore abbondante.
Per oltre mille anni, questo paese ha cercato in un modo o
nell’altro di riconoscere che Gesù è il Figlio di Dio; attraverso l’ordinamento della sua società, con le sue leggi, con il suo senso di
comunità. A volte siamo riusciti meglio, altre volte peggio.
Quando riusciamo meglio, facciamo spazio affinché si liberi il nostro coraggio, affinché Dio agisca in mezzo a noi e le persone fioriscano. Gli schiavi vengono liberati, le leggi sul lavoro nelle
fabbriche vengono approvate, il servizio sanitario nazionale e l’assistenza sociale stabilite, tutto attraverso il coraggio sprigionato
dal Cristo. Le sfide attuali dell’ambiente e dell’economia, dello
sviluppo umano e della povertà globale possono essere affrontate solo con un coraggio straordinario.
In umiltà e semplicità, papa Francesco martedì ci ha invitati a
diventare custodi gli uni degli altri: della natura, dei poveri e dei
vulnerabili. Il coraggio si libera in una società che è sotto l’autorità di Dio, così che riusciamo a diventare quella comunità pienamente umana di cui tutti sogniamo. Ascoltiamo Cristo che ci
chiama e ci dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura».
La prima lettura che abbiamo ascoltato risale al tempo di
Israele, prima dell’avvento dei Re. È il racconto di una rifugiata
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DOCUMENTI
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moabita – profondamente stigmatizzata e disprezzata da tutti –,
che affronta l’enorme rischio di scegliere un Dio che non conosce
in un luogo in cui non era stata, e così facendo trova sicurezza. La
società in cui si è inserita Rut era benestante perché viveva nell’obbedienza a Dio, sia nella dimensione pubblica sia negli affetti
privati.
Oggi certamente i nostri livelli di responsabilità pubblica e
privata in una società benestante sono differenti. Ma se tagliamo
le radici che ci radicano in Cristo, perdiamo la stabilità che rende
possibile sani processi decisionali. Non ci può essere giustizia, sicurezza, amore, speranza nella nostra società se in definitiva non
è radicata in Cristo. Gesù ci chiama attraverso il vento e la tempesta, ascoltiamo le sue parole e avremo il coraggio per costruire
una società nella stabilità.
Per quasi duemila anni la Chiesa ha cercato, spesso fallendo,
di riconoscere nel suo modo di essere che Gesù Cristo è il Figlio
di Dio. Il vento e le onde hanno diviso Gesù dai discepoli. Pietro
si avventura con paura e con tremore (come potete immaginare,
io mi identifico con lui, in questo momento). Gesù riconcilia Pietro con se stesso e apre la possibilità per tutti i discepoli di trovare la pace. Tutta la vita delle nostre diverse Chiese trova
rinnovamento e unità quando ci riconciliamo di nuovo con Dio e
così diventiamo capaci di riconciliarci con gli altri. Una vita nell’ascolto del Cristo cambia la Chiesa e una Chiesa in ascolto di
Cristo cambia il mondo: san Benedetto è partito per creare una
scuola di preghiera e, per caso, ha creato un ordine monastico
che ha salvato la civilizzazione europea.
Più la Chiesa ascolta autenticamente la chiamata di Gesù, lasciando le sue sicurezze, parlando e agendo con trasparenza e
correndo i suoi rischi, più la Chiesa soffre. Thomas Cranmer ha
affrontato la morte con il coraggio che gli veniva dal Cristo, lasciando un’eredità di preghiera, in fedeltà alla verità del Vangelo,
a cui noi ancora attingiamo. Guardo ai responsabili anglicani qui
e ricordo che in molti casi, in tutto il mondo, i loro popoli sono
dispersi ai quattro venti o costretti alla clandestinità: dalla persecuzione, da tempeste di ogni tipo, anche dai cambiamenti culturali. Molti cristiani sono martirizzati oggi, come in passato.
Allo stesso tempo, la Chiesa trasforma la società quando
corre il rischio del rinnovamento nella preghiera, della riconciliazione e dell’annuncio fiducioso della buona novella di Gesù Cristo. Già solo in Inghilterra, le Chiese insieme gestiscono numerosi
banchi alimentari, dormitori per i senza tetto, danno l’istruzione
a un milione di bambini, offrono consigli per il debito, confortano i morenti, e molto, molto di più. Tutto ciò deriva dall’ascoltare la chiamata di Gesù Cristo. Sul piano internazionale, le Chiese
gestiscono campi per i rifugiati, svolgono una mediazione nelle
guerre civili, organizzano elezioni, impiantano ospedali. Tutto ciò
avviene perché ascoltano la chiamata di andare verso Gesù, attraverso le tempeste e attraverso le onde.
Ci sono moltissime ragioni per essere ottimisti riguardo al futuro della fede cristiana nel nostro mondo e nel nostro paese.
L’ottimismo non nasce da noi stessi, ma da Gesù che viene verso
di noi e a ogni persona dice: «Coraggio, sono io, non abbiate
paura». Siamo chiamati a uscire dalla comodità delle nostre tradizioni e luoghi, e andare verso le onde, raggiungendo la mano di
Gesù. Stimoliamoci reciprocamente ad ascoltare la chiamata di
Cristo, a essere trasparenti nel nostro annuncio del Cristo, a impegnarci nella preghiera al Cristo, e vedremo un mondo trasformato.
JUSTIN WELBY
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