C ORRIERE DELLA S ERA U V ENERDÌ 19 O TTOBRE Cronache 2007 21 Il responsabile della ricerca: «La decisione di sanitari e familiari per persone comunque condannate». L’urgenza di una legge I medici e la «desistenza terapeutica»: niente cure inutili, 18mila muoiono così La rinuncia alle cure in ospedale 150.000 I pazienti che ogni anno in Italia vengono ricoverati nei reparti di rianimazione e terapia intensiva e che lottano tra la vita e la morte 30.000 Sono i pazienti che muoiono ogni anno nei reparti di rianimazione e terapia intensiva italiani: si tratta di un quinto dei ricoverati 62% Dolce morte: denunce e sondaggi Lo studio condotto nei reparti di rianimazione. «Non chiamatela eutanasia» TORINO — Ogni anno nei reparti di rianimazione italiani circa 18 mila decessi avvengono perché i medici sospendono le terapie inutili. Il 62% delle morti secondo uno studio condotto in 84 reparti di rianimazione e terapia intensiva nel 2005. I dati saranno diffusi oggi a Torino, al 61º Congresso degli anestesisti e rianimatori italiani. Numeri che riaprono il dibattito. Come definire il distacco dalla ventilazione forzata o l’interrompere le flebo nutritive in un paziente terminale? Eutanasia o interruzione dell’accanimento terapeutico? Loro, i ricercatori, parlano di «desistenza terapeutica». Lo studio condotto dal milanese Guido Bertolini, epidemiologo al «Mario Negri» e dal Gruppo italiano di valutazione degli interventi in terapia intensiva ha esaminato 3.800 decessi avvenuti nel 2005 in 84 reparti di rianimazione sparsi in tutto il paese. «Su circa 150.000 pazienti che ogni anno entrano in questi centri — ha spiegato Bertolini — un quinto non sopravvive, circa 30.000 persone. E nel 62% di LE DIFFERENZE L’eutanasia attiva consiste nel porre fine alla vita di un malato terminale o ritenuto inguaribile con un’azione volontaria L’eutanasia passiva viene praticata sospendendo la somministrazione di un farmaco o di una terapia vitale L’accanimento terapeutico consiste nel prolungare in modo artificiale e abnorme le funzioni vitali mediante farmaci e terapie questi casi, il decesso sopravviene perché i medici, perlopiù dopo un confronto con i familiari, decidono un atto di "desistenza terapeutica", come può essere quello di sospendere la ventilazione forzata o non aggiungere un’ulteriore cura che si ritiene inutile». Il dato, frutto di una ricerca durata oltre un anno, colpisce per la sua rilevanza, assoluta e percentuale, proprio nel momento in cui il caso di Eluana Englaro e altre vicende di malati gravissimi che chiedono la «buona morte» riaccendono le polemiche sulle decisioni di fine vita. E su chi debba prenderle. Bertolini e i suoi colleghi ammettono la grande incertezza legale: «Si tratta di scelte che oggi non sono adeguatamente regolate. C’è il rischio per i medici di commettere, o di sospendere o di non compiere, gesti che potrebbero essere contestati, e c’è quello, ancora peggiore, di non sottoporre i pazienti in condizioni gravissime a atti di sostegno che poco dopo potrebbero dover essere sospesi. Infine, c’è il pericolo di provocare agonie più lunghe e strazianti del necessario». Lo spettro è proprio quello giorgio Welby, una vicenda neldella parola «eutanasia», spesso la quale, comunque, «è ugualusata a sproposito e agitata co- mente impreciso parlare di eutame un ideologia, in contrapposi- nasia». Ma dal congresso dei medici zione alla realtà quotidiana e al lavoro di chi ogni giorno deve de- che ogni giorno sono chiamati a cidere se attaccare o meno un compiere scelte drammatiche paziente al respiratore o se insi- — esempio che è stato richiamato anche dall’amministratore stere con terapie inutili. «E’ improprio parlare di euta- delegato della Fiat Sergio Marnasia — conclude l’epidemiolo- chionne presente all’inaugurazione — arriva go milanese — anche un appelperché questi GUIDO BERTOLINI lo. «Questi nupazienti non someri — dicono no né in coma Bertolini e Marda anni né hanco Ranieri, aneno avuto la posstesista delsibilità di espril’ospedale Molimersi sulle cure nette a Torino che desiderano — dimostrano e perché non quanto sia urc’è dibattito sulgente che il Parla qualità della loro vita né della loro morte, ma lamento, dove sono state deposoltanto un problema di tempo. sitate ben dieci proposte di legSi tratta di casi senza speranza: ge, fissi norme chiare in matetraumi gravissimi, complicazio- ria. I medici e le famiglie non ni polmonari giunte al termine possono essere lasciati soli. E di una gravissima malattia e co- c’è bisogno di chiarezza per risì via». Casi di- portare serenità là dove ogni versi, insom- giorno si lavora al confine tra vima, da quel- ta e morte». Vera Schiavazzi lo di Pier- «Si tratta di scelte non adeguatamente regolamentate dalla legge» È la percentuale, secondo lo studio del «Mario Negri», di quelli che muoiono in terapia intensiva perché si interrompe ogni cura inutile 5.000 Sono i casi di eutanasia clandestina praticata ogni anno in Italia secondo la stima-denuncia di Carlo Vergani, geriatra milanese 9.000 I casi di eutanasia registrati in Olanda, dove la «dolce morte» è legale: le richieste sono di più, molte vengono bocciate dalla commissione 7 medici italiani su mille hanno ammesso di aver praticato l’eutanasia su richiesta dei loro pazienti o dei familiari degli stessi Welby è morto il 20 dicembre 2006. Anche il New York Times raccontò «la crociata del poeta per il diritto alla morte» 3.800 È il numero di decessi avvenuti nel 2005 in 84 reparti di rianimazione sparsi in tutt’Italia e oggetto dell’analisi del «Mario Negri» 60% È la percentuale degli italiani che si è espressa a favore dell’eutanasia (sondaggio Ipso-Mannheimer del dicembre 2006) 18.000 80% È la stima dei decessi che avvengono ogni anno nelle terapie intensive di tutt’Italia perché i medici sospendono le cure inutili: il 62% di 30 mila È la percentuale degli italiani che ritiene necessaria una legge su eutanasia, accanimento terapeutico e testamento biologico Il giudice su Welby «Aveva il diritto di fermare il respiratore» ROMA — Piergiorgio Welby aveva il diritto di rifiutare la terapia. E l’anestesista Mario Riccio, staccando la spina, ha solo adempiuto a un dovere. È quanto spiega il gup Zaira Secchi nella sentenza con cui, il 23 luglio, ha prosciolto il medico dall’accusa di omicidio del consenziente. «Il rifiuto dei trattamenti sanitari — dice il provvedimento — fa parte dei diritti inviolabili della persona e si collega al principio di libertà e Assistenza, ricerca, donne dirigenti: il rapporto presentato ieri al ministro Turco Sanità al femminile, ecco i bollini rosa: gli ospedali migliori al Nord e a Roma MILANO — Ospedali con il bollino rosa per una guida Michelin della «sanità al femminile». La classifica dei primi 34 centri italiani a misura di donna è stata presentata ieri al ministro della Salute Livia Turco: 19 fra questi possono vantare tre bollini, 8 ne hanno guadagnati due, mentre sono stati premiati con un bollino 17 centri (su 60 istituzioni che hanno aderito all’iniziativa). Il progetto Ospedaledonna, che nasce sulla falsariga dei women's hospitals diffusi soprattutto nel mondo anglosassone, è promosso da Onda, l’Osservatorio per la salute femminile, e ha un obiettivo: garantire maggiore attenzione alle donne che si rivolgono alle strutture sanitarie. «Oggi la medicina — commenta Francesca Merzagora, presidente di Onda — è "ritagliata" sull’uomo. La sperimentazione dei farmaci, tanto per fare un esempio, è quasi sempre condotta sugli uomini. Ma si sa che le donne possono reagire diversamente ai loro ef- fetti, compresi quelli dannosi. E di questo bisogna tenere conto». Non solo, ma le donne si ammalano più spesso di certe malattie rispetto all’uomo, come nel caso dell’artrite reumatoide che interessa il sesso femminile cinque volte più del maschile. E possono avere sintomi diversi: colpite da un infarto, 4 su dieci provano nausea e dolori diffusi alla schiena invece del «classico» dolore al torace e al braccio sinistro. Ecco perché è nata la «medicina di genere», più attenta alle specificità femminili. E il progetto Ospedaledonna vuole promuovere questa medicina nelle strutture sanitarie. La commissione, presieduta da Laura Pellegrini, direttore generale dell’ospedale Spallanzani di Roma, ha selezionato gli ospedali secondo precisi criteri, fra cui la presenza di ambulatori dedicati a particolari malattie femminili come l’osteoporosi o la menopausa, oltre naturalmente ai reparti di ostetricia e ginecologia o di oncologia, specia- Il test Primo contraccettivo non ormonale MILANO — Un contraccettivo non ormonale potrebbe arrivare da una molecola silenziatore di un gene necessario all’ingresso dello spermatozoo nella cellula uovo e quindi alla fecondazione. Topoline trattate con questa sostanza, che blocca il gene ZP3, non sono rimaste incinte. A mettere a punto il nuovo contraccettivo è stata l’équipe di Zev Williams del Brigham and Women’s Hospital di Boston. La sperimentazione sulle donne è ancora lontana. autodeterminazione riconosciuto dall’articolo 13 della Costituzione». Per l’europarlamentare radicale Marco Cappato, segretario dell’associazione Luca Coscioni, «si conferma che in Italia esiste il diritto, garantito dalla Carta costituzionale, a decidere sulle proprie cure». Per Isabella Bertolini, vicepresidente dei deputati di Forza Italia, «una parte della magistratura vuole favorire l’introduzione dell’eutanasia». I PRIMI MILANO, Istituto nazionale dei tumori. FORLÌ, Ospedale Morgagni-Pierantoni. VARESE, Ospedale di Circolo. MILANO, Fatebenefratelli e Macedonio Melloni. TORINO, Maria Vittoria. BRESCIA, Spedali civili. TORINO, Sant’Anna. MILANO, Ieo. CREMONA, Istituti lizzati nella cura dei tumori alla mammella o all’ovaio. E se questi requisiti sono sufficienti per un bollino rosa, per due è necessario che le strutture ospedaliere facciano an- Ospitalieri. MODENA, Policlinico. MERANO, Franz Tappeiner. GENOVA, Galliera. MILANO, Mangiagalli. CHIAVARI, Asl 4. MILANO, Niguarda. VERONA, Azienda ospedaliera. PADOVA, Azienda ospedaliera. ROMA, Sant’Andrea. ROMA, Policlinico Tor Vergata che ricerca al femminili. Tre bollini è l’eccellenza (dei 19 al top, 17 sono al Nord e due a Roma) e in questo caso le donne non sono solo «pazienti», ma anche «dirigenti», nel senso che LA CLASSIFICA Certificati i primi 34 centri italiani: 19 hanno ottenuto tre bollini occupano posizioni apicali nella struttura come direttori sanitari, scientifici o generali. «A tutt’oggi non sono molte — commenta Amelia Compagni del Cergas Bocconi — nonostante la presenza di donne, quando si parla di medici e infermieri, sfiori il 61%. Ed esistono differenze tra le diverse aree in Italia: è due volte più facile trovare una donna direttore generale al Nord che al Sud». Ma per essere al top, gli ospedali devono offrire anche altri servizi. Una cucina multietnica, per esempio, che propone diete speciali come quelle per le donne musulmane durante il periodo del Ramadan. Questionari per il consenso informato scritti in lingue diverse. E, infine, un’accoglienza non stop per le mamme dei bambini ricoverati. Le donne dunque potranno scegliere: a parità di servizi, grazie a questa classifica, avranno l’opportunità, dove esiste, di scegliere un ospedale con il bollino rosa. Adriana Bazzi