Apprendimento durante il corso della vita. Parole nuove nella formazione: un’occasione al femminile? (Aureliana Alberici) Per prima cosa voglio esprimere il mio apprezzamento per l’interessante ricerca che è stata presentata che ci parla con molta ‘anima’ oltre che scienza della realtà delle donne nella formazione. Il contributo che intendo portare al convegno è una riflessione motivata dai temi di cui stiamo discutendo per aiutare spero una pratica che ha sempre più bisogno di cultura e di pensiero creativo. La ricerca negli ultimi decenni di fronte ai profondi cambiamenti della società, della cultura, del lavoro caratterizzati da una crescente complessità, ci ha mostrato progressivamente l’impossibilità di parlare, se non in senso ‘metaforico’ di identità degli esseri umani adulti, uomini e donne, nella consapevolezza che ogni possibile definizione,seppur provvisoria di adultità, si può presentare sempre e soltanto come un processo: il processo di adultizzazione. E questo in ragione del fatto che l’identità, anche quella che chiamiamo di genere è definibile solo culturalmente e socialmente. E ciò e definibile soltanto con il riconoscimento del processo attraverso il quale individui di sesso diverso, maschi e femmine, entrano nelle categorie sociali dell’essere donne e uomini. Un processo riconducibile ai diversi tempi storici, ai diversi contesti ‘situati’ di vita, di lavoro, di studio, di relazione, ecc.; in una parola al qui ed ora di ogni singolarità. Ma mentre negli anni 90 la critica più radicale si levava ‘con voce di donna’ contro la pretesa di definizione di modelli di identità adulta costruiti sul modello di corso di vita maschile nella società capitalistica occidentale oggi in ragione di quella complessità di cui abbiamo detto, siamo di fronte ad un approdo, relativo all’identità di genere assai più problematico e articolato. L’universo femminile è apparso in tutta la sua evidenza, sempre più come una realtà composita che si manifesta nei diversi vissuti, storie, esperienze, aspettative, nei differenti modi privati e politici, di rispondere ai problemi dei tempi dell’organizzazione familiare, di essere corpo, di confrontarsi con i ruoli nella famiglia , con l’organizzazione del lavoro. Potremmo parlare di donne adulte, queste sconosciute o più propriamente dell’emergere di una, tante, multiformi identità di genere segnate dalla differenza sessuale in contesti culturali, sociali, familiari, professionali situati. D’altra parte cambiamenti speculari relativi ai modelli di identità maschile hanno indicato che si tratta di un processo , di un percorso di cambiamento che riguarda le donne e gli uomini. Un processo il cui presupposto consiste nel superamento della concezione dell’identità, come identità sessuata, un dato che si presenta come il semplice e indiscutibile riconoscimento dell’esistenza dei due sessi, per assumere il concetto di differenza per cui identità e differenza si presentano come processi che si costruiscono durante l’intera esistenza umana, dall’infanzia all’adultità ed oltre. 1 Ne deriva anche una nuova consapevolezza della molteplicità delle dimensioni dell’età adulta, della multiformità da esse assunte nei diversi vissuti, della pluralità di figure infantili, adolescenziali, adulte conviventi e spesso conflittuali dentro ognuna di noi. Tale consapevolezza ci consiglia quindi di adottare una chiave di lettura assai più complessa di quella dell’età, e/o dei ruoli sociali, tentando di cogliere gli aspetti che meglio ci consentono di conoscere e interpretare i processi che abbiamo chiamato di adultizzazione e cioè di mettere in luce alcune chiavi di lettura di quella che potremmo chiamare l’adultità e l’adultità di genere oggi. Le ricerche e i dati relativi sono molteplici e io mi limiterò a richiamare molto sinteticamente alcuni aspetti più interessanti per la nostra riflessione quali il cambiamento dei calendari nelle diverse fasi della vita; le donne, la cultura, l’istruzione, il lavoro e la famiglia, gli investimenti in formazione, ecc. Cambiamento dei calendari e l’esperienza delle generazioni nelle diverse fasi della vita. Aumentano le donne che posticipano l’uscita dalla famiglia di origine. Cresce l’età del matrimonio e si diversificano i percorsi di costituzione della famiglia. Il calendario della transizione alla vita adulta delle donne si differenzia in misura rilevante da quello degli uomini, ma emerge una tendenza alla convergenza dei modelli maschili e femminili. L’età in cui le donne costituiscono una propria famiglia, si approssima a quella degli uomini. Alla posticipazione del calendario di uscita dalla famiglia si va timidamente affiancando anche la presenza di tappe intermedie di passaggio alla vita adulta (la convivenza). Inoltre le donne diventano madri più tardi e fanno meno figli. La riduzione delle nascite è un fenomeno che è stato già realizzato da decine di generazioni. Il calo della fecondità si affianca a mutamenti altrettanto rilevanti nel calendario delle nascite. Il calendario riproduttivo appare decisamente condizionato dall’allungamento dei tempi formativi e d’ingresso nel mondo del lavoro. Le donne sperimentano più che in passato separazione/divorzio. Nella società contemporanea la stabilità della coppia dipende dalla qualità delle relazioni tra coniugi, dall’intensità dei sentimenti e molto meno, come avveniva un tempo, dall’interdipendenza economica e domestica di ciascuno dei suoi membri. La variabile di genere gioca un ruolo importante sugli esiti dell’instabilità coniugale. Le condizioni delle donne in termini di possibilità di carriera, di retribuzione e precarietà lavorativa comportano ancora una posizione di svantaggio rispetto agli uomini, che tende a ripercuotersi soprattutto sulle separate con figli minori. Durante gli ultimi decenni si è assistito ad un continuo aumento del livello di istruzione della popolazione italiana che ha visto le donne protagoniste. L’investimento femminile in istruzione è cresciuto negli anni più di quello maschile: le donne si iscrivono più spesso ai cicli post-obbligo, abbandonano gli studi meno frequentemente ed ottengono esiti migliori in termini sia di tempo impiegato a concludere il percorso, sia di votazioni ottenute. La formazione degli individui è un terreno che si ridefinisce continuamente, non è solamente un ambito legato alle istituzioni primarie come la scuola o l’università ma un terreno di incontro tra i diversi agenti di socializzazione e di conoscenza. Un ruolo preponderante viene svolto dai mezzi di comunicazione di massa, che ricoprono sempre più una veste di veicolatori di cultura, le giovani donne intrattengono sempre più rapporti con i mezzi di comunicazione (televisione, radio, quotidiani, libri) assieme ad alcune forme di spettacolo ed intrattenimento come: concerti, mostre, film. 2 Un ruolo importante, inoltre, viene svolto, anche dai nuovi mezzi di comunicazione di massa come pc e internet. Il crescere della richiesta di figure professionali ad alto contenuto intellettuale rende la conoscenza dei linguaggi informatici elemento discriminante per la possibilità di immettersi efficacemente sul mercato del lavoro. In questo contesto emerge, per quel che concerne le giovani donne, una figura altamente scolarizzata, con un alto livello di fruizione culturale ed una crescente conoscenza delle nuove tecnologie. Brillanti successi nella formazione non ricompensati: ancora criticità nella transizione al lavoro. I brillanti successi registrati nello studio e nella formazione culturale, però, non vengono adeguatamente ricompensati nel momento in cui le donne accedono al mondo del lavoro; o meglio servono alle donne per superare più facilmente barriere all’ingresso ma non per trovare un lavoro adeguato al titolo di studio raggiunto perlomeno all’inizio della vita lavorativa. Le possibilità occupazionali cambiano considerevolmente in funzione del tipo di studi compiuti, sia per gli uomini che per le donne. Al momento della scelta del proprio indirizzo di studi, sia esso scolastico che universitario, le donne tengono in minor conto le future opportunità professionali, contrariamente a quanto accade per gli uomini, e si lasciano piuttosto guidare dalle proprie inclinazione scontando, di conseguenza, un inserimento professionale più lento e meno stabile. Il titolo universitario non sempre costituisce un requisito sufficiente per ricoprire ruoli remunerativi o di prestigio, e questo vale anche per quelle discipline per le quali l’inserimento nel mondo del lavoro è più rapido. Tra quanti hanno trovato lavoro entro tre anni dalla laurea, meno della metà risulta occupato in professioni consone al livello formativo raggiunto. L’aspetto più critico sembra essere, sia per gli uomini che per le donne, quello relativo all’utilizzo delle conoscenze acquisite nel corso di studi, a testimonianza di come ci sia spesso uno scollamento tra preparazione ricevuta e competenze effettivamente richieste. Sul fronte delle retribuzioni emerge lo svantaggio femminile, sia per le diplomate che per le laureate. Ciò dipende dal fatto che le donne accedono più difficilmente degli uomini a posti ben remunerati. Il quadro relativo alla transizione delle donne dagli studi al mondo del lavoro mostra quindi una serie di criticità. Il confronto con il passato fa emergere, però, degli importanti segnali di miglioramento della condizione femminile soprattutto per quanto concerne la rapidità dell’inserimento lavorativo. Nel corso degli ultimi trenta anni sono avvenuti profondi cambiamenti nel rapporto tra donne e lavoro. Il modello femminile di partecipazione al mercato del lavoro ha assunto nuovi connotati. In passato le donne iniziavano a lavorare in giovane età, avevano minori aspirazioni, un livello di istruzione più basso rispetto a quello degli uomini e il lavoro era vissuto per lo più come esperienza transitoria. Oggi ci si avvicina al mondo del lavoro in età più avanzata, in fasi della vita in cui le generazioni precedenti già cominciavano a uscirne, con un livello di istruzione elevato, con aspettative certo più alte e con l’intenzione di non abbandonare il lavoro prima di aver maturato la pensione. Oggi le donne svolgono tutte le tipologie di lavoro, crescono quelle che sono occupate: part-time: la possibilità di accedere ad un’occupazione a tempo parziale costituisce uno dei principali strumenti che permettono di ridurre le difficoltà nel conciliare il carico 3 familiare con gli impegni di lavoro, e sembra essere una determinante importante per la partecipazione e per l’occupazione femminile: nei paesi nei quali l’occupazione part-time è più sviluppata risulta anche più elevata l’occupazione. L’incremento sostenuto del lavoro part-time ha favorito la partecipazione di molte donne che sarebbero altrimenti rimaste fuori dal mercato del lavoro. Inoltre sono occupate, a tempo determinato, in attività con orari e modalità non standard. Siamo ormai abituati a considerare come non più eccezione un lavoro che comporta una scansione del tempo di lavoro diversa da un giorno all’altro o intermittente nell’arco della giornata o che si svolge di sera o addirittura di notte. Tuttavia il sistema degli orari di lavoro è assai complesso e le combinazioni possibili sono elevate. Le donne ormai svolgono tutti i tipi di lavoro con orari atipici (alberghi, ristoranti, sanità). Si evidenziano però ancora alcune criticità che sono trasversali alle varie zone del nostro paese: nell’accesso al mercato del lavoro per le donne con figli, nel mantenimento del lavoro nel momento in cui i figli vengono messi al mondo, nell’accesso ai luoghi decisionali più alti. Il lavoro familiare rimane ancora essenzialmente attribuito alla responsabilità femminile, indipendentemente dalla presenza di un impiego extradomestico, più o meno esigente in termini emozionali e di tempo. L’esistenza di barriere all’accesso al lavoro per le donne dovute ai carichi familiari è testimoniata dal variare dei tassi di occupazione femminile al modificarsi del ruolo in famiglia e del numero dei figli. Le single presentano i tassi di occupazione femminile più alti, seguite dalle donne che vivono in coppie senza figli e infine da quelle che vivono in coppia con figli. I problemi di conciliazione tra lavoro e famiglia sono, dunque, rilevanti e impongono alle donne di dotarsi di strategie di conciliazione lavoro-famiglia: usano il part-time, la rete informale di aiuti, servizi pubblici e privati. A volte il part-time non è sufficiente e l’organizzazione della vita familiare è tale che c’è bisogno di ricorrere all’aiuto di qualcuno nel lavoro di cura. La rete di aiuto informale svolge in questo senso un ruolo di rilievo per la donna che lavora e vive in coppia con figli. È mutato il modello di partecipazione al lavoro delle donne: in passato si entrava al lavoro in giovane età, con minori aspirazioni e con un livello di istruzione più basso rispetto agli uomini. La partecipazione al mercato del lavoro veniva per lo più come un’esperienza transitoria. Oggi ci si avvicina al mondo del lavoro in età più avanzata, nel momento in cui le generazioni precedenti già iniziavano la loro uscita, con un livello di istruzione e, quindi, di aspirazioni, certamente più elevato e con l’intenzione di non abbandonare il lavoro futuro. Nonostante tali trasformazioni, il tasso di occupazione femminile in Italia risulta inferiore rispetto alla media dell’Unione Europea in ogni classe d’età: per le classi più giovani tende ad aumentare con l’età più lentamente della media Ue e decrescere a partire dai 40 anni, con anticipo rispetto a quanto avviene negli altri paesi europei. Nonostante il peso dei molteplici ruoli e i problemi di conciliazione tra lavoro e famiglia, le donne che lavorano si dichiarano, in tutte le classi di età, più soddisfatte delle casalinghe (Istat, 2004). Ciò che viene lamentato dalle donne che lavorano non riguarda tanto la soddisfazione rispetto al lavoro, quanto il non aver abbastanza tempo per sé. Si pone chiaramente il problema della sostenibilità del sovraccarico di lavoro familiare e di cura sulle lavoratrici e della loro qualità della vita. 4 Il lavoro diventa sempre più un aspetto fondamentale dell’identità femminile ma lo sta diventando ancora al prezzo di un forte sovraccarico per le donne. Se la situazione non evolverà nel senso di una forte redistribuzione del lavoro di cura nella famiglia e nella società la situazione potrà diventare socialmente insostenibile e soprattutto insoddisfacente per le donne che lavorano, anche per le tendenze demografiche in atto. Dai caratteri seppur appena abbozzati di quello che potremmo definire il processo di adultizzazione di genere, viene riconfermata la consapevolezza della dimensione della complessità come macrosfondo e condizione esistenziale l’essere donne ‘adulte’ oggi. Quindi non una ma tante adultità, non solo una voce diversa del femminile rispetto al maschile, ma tante voci diverse delle donne nella cosiddetta learning society, nella società complessa della globalizzazione. E’ indubbio però che la cultura delle donne, pur nella sua accezione polisemica, attraverso un processo lungo e multiforme, ha comunque messo in campo una riflessione sui tratti e sulle dimensioni dell’essere donne nel XX e XXI secolo. Riflessione che ha evidenziato alcuni paradigmi concettuali relativi ai processi di identità adulta di genere intesi come alcuni concetti frequentati prevalentemente dal pensiero femminile, e tipologie di azione e di relazione, ‘proprie’, dei corsi di vita delle donne, che possono costituire un quadro di riferimento anche per l’agire formativo. Per un agire formativo finalizzato sia a dare una risposta alle loro aspettative di formazione e di qualità della vita, sia a produrre quel cambiamento di cultura che si impone nella prospettiva della società della conoscenza, di dare valore alle differenze. Concetti e pratiche quali differenza e differenze intese come risorse di contro al rischio di omologazione della società globalizzata, come rottura dei limiti, caduta dei pregiudizi e degli stereotipi di ruolo di contro al rischio del pensiero unico, come ricchezza di contro ad una logica di puro funzionalismo economico, come capacità di attribuire un senso al proprio e all’altrui agire, di riconoscere l’alterità come valore positivo, dando un significato al proprio essere nel mondo e al bisogno di reciprocità di contro alle logiche ghettizzanti e segregative. E a ben vedere si tratta di obiettivi che paiono oggi imprescindibili anche per garantire sviluppo, competitività fuori da una fallimentare pura logica di mercato. Ora la mia riflessione parte dalla considerazione che mai come oggi in un mondo in cui sembra che la dimensione di non senso e di perdita di prospettiva, sia sempre più incombente, diviene urgente e necessario chiamare in campo quei paradigmi, quei valori sottolineati dal pensiero e dalla pratica femminile e che ho richiamato sopra. Mettere l’accento sulle risorse umane come speranza e ricchezza di un futuro pensabile in cui le donne e gli uomini si misurano ogni giorno con il nuovo capitale, rappresentato dal sapere e dalle tecnologie e il cui possesso e la cui capacità di utilizzo lungo tutto il corso della vita diviene condizione o meno degli stessi diritti di cittadinanza. Se è vero che non si può affrontare la complessità del vivere quotidiano, il rischio del cambiamento, la pluralità dei ruoli a cui donne e uomini devono rispondere, senza un lavoro costante di riflessività e di relazione, di messa in rete delle risorse, allora si comprende il significato del tutto inedito inserito nella prospettiva dell’apprendimento durante tutto il corso della vita, come condizione per orientarsi, per scegliere i propri percorsi di vita e di lavoro, per sviluppare le competenze necessarie. Noi che siamo donne, sentiamo in queste parole un richiamo forte, un’eco che ci riconosce e ci rinvia a quel filo d’Arianna che durante gli ultimi decenni si è venuto sgomitolando, mai interrotto per la forza delle idee e per senso di responsabilità, che ha 5 messo in campo culture, pensieri e azioni diverse non omologabili ai cosiddetti interessi forti, ma vitali e di prospettiva di fronte alla crisi economica, politica e in primis culturale dei modelli proposti dalla società globalizzata. Credo si possa legittimamente sostenere che molte delle dimensioni proprie dei cicli di vita, delle relazioni e della cultura delle donne, sono oggi il riferimento obbligato, anche se spesso ancora solo come dichiarazione di intenti e non come politiche in grande parte del mondo, per una prospettiva di crescita dei livelli di vita e di civiltà delle collettività. Il terreno della formazione ci offre un angolo di visuale particolarmente interessante. Se è vero infatti che oggi di fronte alle grandi sfide della vita, fame , pace, lavoro, inclusione/esclusione, solidarietà, libertà, equità è necessario puntare sullo sviluppo umano e sulla possibilità per un numero sempre maggiore di donne e di uomini, di saper produrre pensiero riflessivo, divergente, innovativo allora la formazione cambia radicalmente natura, genere, e deve divenire un processo finalizzato sempre più alla crescita di soggetti responsabili e autonomi, proattivi. Ne deriva la necessità di puntare sulla formazione for all, come valorizzazione delle risorse umane, facendo leva sulla centralità del soggetto, sui suoi saperi e competenze di vita e di lavoro, sulla sua riflessività, sulle capacità sociali e di relazione, sulla responsabilità, su quelle che possiamo definire come le competenze strategiche per la vita in quanto è con il loro possesso, sviluppo e crescita lifelong che donne e uomini divengono capaci di essere titolari dei diritti di cittadinanza sostanziale. L’apprendimento durante il corso della vita, con il nuovo modo di concepire il tempo della formazione si intreccia con l’intero ciclo vitale, si presenta da un lato come una necessità per la vita dei singoli e per la crescita economico-sociale e dall’altro – e ciò mi pare di grande rilevanza culturale- come la possibilità reale di uno sviluppo degli esseri umani caratterizzato da una potenzialità apprenditiva che si manifesta e può agire in tutte le diverse fasi della vita umana. Mi sembra facilmente comprensibile la potenzialità innovativa di queste acquisizioni per la stessa prospettiva della formazione di genere al femminile e al maschile. Si tratta di un cambiamento di ottica radicale e come tutte le ‘rivoluzioni’ può essere curvato dalle politiche in diversi modi e non c’è dubbio che tutte le strategie emergenti su questo terreno, anche a livello della unione europea, portano il segno di una lettura spesso ancora prevalentemente funzionalista. Ma ciò detto, credo comunque che dalla adozione della prospettiva del lifelong learning derivino non solo e non tanto le risoluzioni adottate nell’ultimo decennio a livello comunitario e italiano per le pari opportunità e le strategie politiche del mainstreaming, quanto piuttosto la necessità culturale di confrontarsi con nuovi concetti, nuove idee che fecondano il terreno per una vera e propria ‘rivoluzione culturale’, per un ripensamento globale sia dell’adultità di genere che della formazione. Una prospettiva della formazione lifelong che assume un’ottica nuova e cioè quella di puntare sullo sviluppo delle potenzialità apprenditive di donne e di uomini, come risorse e non solo come strumento di risarcimento di una emarginazione e/o di una discriminazione, in funzione di una uguaglianza o parità di opportunità che vengono sostenute, con i tratti dell’omologazione. Esemplare a questo riguardo può essere il richiamo alla logica del mainstreaming e dell’empowerment, che impone un capovolgimento critico teorico e operativo, a partire dallo specifico della formazione di genere in cui la differenza diviene risorsa individuale e vantaggio sociale. 6 Si intrecciano qui, affermazioni di principio, dichiarazioni di intenti motivate dai reali, processi sociali ed economici e idee derivate dall’elaborazione e dalla pratica della cultura delle donne. Da sempre negli studi sulle questioni della differenza di genere è stata evidenziata la difficoltà di mettere a nudo le prospettive di significato sottese all’uso del neutro nel linguaggio della cultura e nello specifico della formazione. Prospettive di significato che in modo nascosto presuppongono l’identificazione del neutro con il maschile e l’occultamento della differenza e della parzialità non di sesso ma di genere cioè dell’essere donne e uomini nei diversi contesti. La mia provocazione consiste a questo punto, nel cercare di disvelare nel neutro di alcuni concetti che caratterizzano oggi l’orizzonte teorico e operativo della formazione durante il corso della vita, quali e quanta della cultura e dei percorsi di vita delle donne, sono stati diciamo socializzati e/o assimilati anche se apparentemente per altre vie e spesso in modo mediato e tacito. Possono per altro verso queste parole nuove, idee nuove della formazione, nella prospettiva dell’apprendimento permanente incrociare il femminile, possono essere linfa positiva o invece ostativa alla formazione di genere di donne e uomini? E cioè si può sostenere che alcune di queste parole nuove possono essere utile grimaldello per superare quella neutralità formale dal punto di vista del genere che le connota e costituire una trama concettuale in cui la formazione di genere si presenta, non più semplicemente come l’individuazione di un target o tutt’al più come una dimensione metodologica della formazione ad esso riservata, ma come ragione di interesse generale? Nella ricerca che sono venuta sviluppando in questi anni ho indicato queste idee forza e concetti come le nuove parole chiave dell’educazione degli adulti e del lifelong learning, come un percorso per comprendere e ancorare culturalmente il nuovo volto della formazione in età adulta. Idee e concetti quali la centralità del soggetto, l’apprendimento come processo segnato dalla biografia di ogni individuo; ruolo dell’autoformazione, durata nel tempo, e pervasività della formazione nei diversi luoghi (formali, non formali, ecc.) e nelle fasi delle biografie individuali, il bisogno di attribuzione di significato l’importanza dell’esperienza di vita come risorsa per la formazione, bisogno di una cittadinanza sostanziale, competenza come sapere in azione e dimensioni procedurali dell’agire umano strategiche per affrontare il cambiamento, l’attenzione a concetti come accoglienza, orientamento, empowerment, riflessività, relazione, quali dimensioni qualitative del fare ed essere in formazione. Come non ricordare subito che questa modifica anche radicale del vocabolario della formazione chiama in gioco parole quali riflessività, cura, soggetti e soggettività, relazione, responsabilità, conciliazione, reciprocità, tempo e tempi, biografie, calendari di vita; e queste, sono parole/concetti che raccontano una storia assai complessa e molto differenziata della cultura e pratica delle donne e che hanno la forte capacità simbolica di ricondurre alla concretezza dei modi di vita di esseri umani reali a partire dal genere. Voglio così scegliere o meglio mettere in evidenza alcune di queste nuove parole della formazione in età adulta, parole, concetti che mi sembra incorporino, pur nella loro declinazione al cosiddetto neutro-maschile, una forte anima derivata dal pensiero e dalla pratica femminile. Il tentativo è quello di una lettura in chiave di genere perché tale chiave consente di mettere in luce processi culturali significativi per la formazione ed inoltre di farne esplodere la valenza ‘generale’. 7 Centralità del soggetto. La centratura sul e del soggetto è un assunto rilevante nell’ambito dell’educazione degli adulti. Esso comporta, in modo esplicito, la mobilitazione delle risorse interne, cioè soggettive, degli individui. Risorse soggettive che interagiscono in modo dialettico con il contesto e che non possono mobilitarsi a prescindere da esso. Mettere al centro il soggetto vuol dire prendersi cura di ciò che il soggetto porta in formazione e riconoscere il genere può diventare uno strumento particolarmente efficace nei percorsi di formazione proprio perché potenzia l’attenzione ai soggetti, dando visibilità ai percorsi, alle culture e alle competenze di ambedue i generi. Comprendere e considerare il ruolo di questa variabile può voler dire aprire un versante nuovo sulle questioni educative e sulle dimensioni che riguardano molto da vicino alcune delle problematiche con cui i percorsi di formazione rivolti alle donne devono confrontarsi. La categoria concettuale di centralità del soggetto comporta una messa in discussione dei modelli funzionalisti della formazione e una sempre maggiore attenzione ai modelli qualitativi applicati ai percorsi di crescita delle donne e degli uomini, fino alla massima rilevanza riconosciuta agli approcci biografici, alla dimensione della biograficità come risorsa per lo sviluppo, all’individualizzazione, alla dimensione di relazione, come le risorse più significative per qualsivoglia progetto di apprendimento sia esso al femminile o al maschile. Nei processi di formazione per l’apprendimento permanente tutti gli esseri umani, devono poter trovare i necessari elementi di riconoscimento di sé e percorsi più ricchi per orientarsi con consapevolezza e elaborare capacità di scelta. Comprendere la propria appartenenza di genere è un fatto individuale che si colloca nel mondo e in una realtà più grande, in cui i cambiamenti di ciascuna e ciascuno sono in relazione di continuo scambio con il mutare collettivo di culture e ruoli. La formazione lifelong nella sua accezione generale, che punta allo sviluppo delle risorse umane ha incorporato, in modo tacito, l’esigenza di dare valore alle identità e alle differenze, cioè la centralità del soggetto , luogo tipico della cultura delle donne. Un’altra parola chiave che emerge in questo contesto: pervasività e durata. L’orizzonte teorico e pratico della formazione degli adulti, si sta profondamente trasformando in relazione alle caratteristiche dei suoi potenziali partecipanti e alla natura della domanda di formazione. I percorsi di istruzione e di formazione si presentano sempre più come “durata” nel tempo, non più circoscrivibile a fasi e situazioni specialistiche della vita, e si dislocano, sono pervasivi, in una molteplicità di sedi, di situazioni, fino a ieri impensabili, per le opportunità di apprendimento. Ad es. sono proprio le donne che si iscrivono più spesso ai cicli post-obbligo, che abbandonano gli studi meno frequentemente e che, di conseguenza, sentono l’esigenza di continuare ad apprendere. Ma si evidenziano a riguardo alcune criticità: come si evince dalla vostra ’Indagine’ le donne che (ri)entrano in formazione richiedono adeguate strutture di sostegno per poter conciliare la frequenza alle attività formative con le esigenze familiari. Come si può rispondere efficacemente a questa richiesta? Uno degli obiettivi del Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente è quello di offrire un apprendimento sempre più vicino a casa, il più possibile, cioé, vicino agli utenti nell’ambito delle loro comunità e con il sostegno di infrastrutture di servizi e tecnologie, strumenti, quest’ultimi, che rappresentano per le donne un mezzo formidabile 8 per avanzare nell’istruzione. E che consentono loro di sfruttare al meglio il tempo di cui dispongono. Abbiamo già detto che il tempo è il fattore di maggiore criticità per le donne. Allora l’obiettivo cosiddetto neutro di una formazione più vicina ‘a casa’ cioè al vissuto delle persone, donne e uomini, fa propria una parte rilevante della riflessione femminile a cominciare dai temi della doppia e tripla presenza femminile fino a quelli dei tempi della formazione e dei luoghi: apprendere dall’esperienza e nella relazione. Da ultimo vorrei richiamare un’altra parola chiave: riflessività/attribuzione di significato. Secondo le teorie fondate sull’approccio riflessivo alla conoscenza, tutto ciò che riguarda lo sviluppo degli esseri umani, può essere compreso solo considerandone la relazione con le dinamiche sociali e culturali attraverso le quali si manifesta. Nel senso che “l’attività principale di tutti gli esseri umani, dovunque si trovino è di estrarre significato dai loro incontri con il mondo”. Sul piano teorico–operativo della formazione ciò evidenzia quella capacità degli uomini e delle donne, nei processi di apprendimento, di attribuire significato al proprio agire anche nell’ambito formativo e dell’apprendimento. Sul terreno della formazione si tratta di quel processo di riconoscimento soggettivo della rilevanza del valore d’uso della formazione, che ribalta radicalmente la logica della formazione eterodeterminata (dai ‘saperi consolidati’, dall’economia, dal sistema del lavoro, dalle regole del controllo sociale) e modellisticotrasmissiva, si mette così in evidenza l’importanza in ogni percorso autenticamente formativo, per donne e uomini, della ricerca, attraverso le molteplici vie dell’apprendimento permanente, di quelle strategie di pensiero e di azione che consentono di sviluppare abilità e competenze di tipo riflessivo nelle professioni-lavori, nella vita e più in generale di significare se stessi e il proprio mondo. Ed ecco che ancora una volta un tema come quello della riflessività di contro forse alla razionalità cosiddetta maschile, viene assunto come obiettivo di sviluppo per tutti gli esseri umani e il tempo per la riflessione, una buona pratica della formazione di genere, diviene una condizione non separabile dalla prospettiva dell’apprendimento permanente. Mi sono soffermata, per esemplificare solo su alcune delle parole chiave del lifelong learning, che mi sembra incorporino molti elementi propri della cultura delle donne. Questa ‘varietà di parole’ non deve disorientare: sono tutti ‘termini’ che riflettono la necessità di assumere una prospettiva, un punto di vista che può di volta in volta illuminare diversamente percorsi noti, certezze metodologiche, strumenti già collaudati. L’attenzione al genere, ha aiutato infatti per la formazione nella prospettiva del lifelong learning a dare valore per tutti (donne e uomini) alle metodologie che mettano effettivamente al centro il soggetto, quali per citarne alcune: metodi narrativi e autobiografici, metodologie attive progettuali, metodologie di Bilancio di competenze, ecc. Il titolo di questa mia comunicazione iniziava con una domanda, retorica e alla quale non credo si possa dare una risposta assertoria negativa o positiva, ma che indicano una strada di ricerca e una prospettiva politica. In ogni caso i concetti richiamati per la loro forza metaforica e prospettica e la loro dimensione pragmatica non possono che essere considerati come concetti in azione. Concetti che possono agire in modi profondamente diversi in contesti politico culturali, tendenti all’omologazione, al pensiero unico, o in contesti tesi alla valorizzazione e allo sviluppo di esseri umani liberi, responsabili, in società democratiche. Concetti quindi incardinati nell’evoluzione o nella stagnazione derivata dagli interessi economici e dalle politiche messe in campo. 9 Si tratta di politiche e di culture profondamente diverse, ma è indubbio che le dichiarazioni di principio che sono venute emergendo, come quelle relative al lifelong learning (o al mainstreaming), ancorché appoggiate spesso sui piedi di argilla di politiche cieche che non sanno o non vogliono guardare lontano, possano concorrere per il loro valore formale e sostanziale a modificare le culture e quindi le realtà del mondo. Iniziative come quelle assunte in questa occasione dalla provincia, dimostrano la necessità di processi di governo sia per l’innalzamento della qualità culturale e di vita complessiva dei diversi territori, sia per l’empowerment dell’innovazione sul terreno della cultura dello sviluppo anche di quello locale. Ma la forza di queste idee può essere una risorsa in più per far procedere questo nuovo ‘genere’ di formazione nella prospettiva dell’ apprendimento lifelong. È anche questa una sfida e come tutte le sfide richiede il coraggio di essere affrontata con voce diversa e lucido sguardo. Riferimenti bibliografici Alberici, A., Imparare sempre nella società della conoscenza, Bruno Mondadori, Milano, 2002. Alberici A. Serreri, P. Competenze e formazione in età adulta. Il bilancio di competenza, Monolite, Roma, 2003. Demetrio, D., Alberici, A., Istituzioni di Educazione degli adulti.2, Guerini Scientifica, Milano, 2004. Isfol, Una prospettiva che orienta, vol.1, 2002. Isfol, Una prospettiva che orienta, vol.2, 2002. Ministero per le Pari Opportunità, Come cambia la vita delle donne, Istat, 2004. 10