MEMINISSE IUVABIT
RICORDI INTORNO ALLA CHIESA MATRICE DI PIZZONI
(Estratto dal libro di memoria redatto dall’Arciprete Filia, che si conserva nell’archivio parrocchiale).
Della Chiesa Matrice di Pizzoni, poco o nulla si sa nell’epoca precedente al celebre terremoto del
1783. Debbo ritenere però sia stata tantissime volte, se non adeguata al suolo addirittura, per lo
meno abbastanza danneggiata dai frequenti movimenti sismici, che quello del 1783 precedettero.
Quest’ultimo poi la sorprese torreggiante su solide mura, con vaste navi a stile barocco, come si
rileva da alcuni ruderi, tuttavia esistenti, con alto e slanciato campanile che si scorgeva
biancheggiante dal castello di Monteleone, e da quartieri di Mileto, con maestoso sagrato, che
ancora si conserva in parte.
Scossa gravemente nel 5 febbraio del sopradetto nefasto anno, nigro signando lapillo, fu rasa
letteralmente al suolo in quel fosco pomeriggio del giorno 7 successivo, dall’altra scossa che aveva
per epicentro il territorio tra Soriano e Gerocarne (Mercalli), e che faceva crollare miseramente la
gran Certosa di San Stefano in Bosco ed il Convento di San Domenico in Soriano, seppellendo così
con immensi tesori di arte, tante preziose e venerabili memorie!
Dopo due anni 1785, come rilevo dalla data incisa su alcuni laterizi ed alcune tegole fu
riedificata (cooperante uno degli arcipreti protempore, D. Maurizio Bardari, che nel successivo
1806 a 17 novembre , ferito da schioppo e coltello dai briganti della banda del famigerato
Bizzarro, moriva in Soriano, dove erasi rifuggito, due giorno dopo…..) a tutte spese della Cassa
Sacra (3000 Docati), in forma di solida e vasta baracca con robusta intravatura di castagno,
rivestita all’interno da scelte tavole di abete, ed all’esterno garentita muratura secondo le norme di
quelle provvidenti leggi borboniche che fanno invidia, dopo 128 anni, alle recenti costruzioni
asismiche. Ed è notevole che neanco l’estetica fu trascurata, poiché la baracca veniva corsa
nell’interno da sagome e cornici sostenuti da pilastri e capitelli di ordine toscano.
Dopo la prima costruzione la Chiesa barocca non fu più riveduta nelle sue basi, e pensare che
sino al 1876 (epoca in cui fu costruito il cimitero) si inumavano in chiesa i cadaveri dei defunti.
Il Municipio, essendo arciprete D. Nicola Arena e D. Vito Maida, pur non badando alle basi delle
colonne, che forse in quell’epoca potevano essere ancor resistenti, ha fatto rivedere il tetto nel
1840 ed in quel torno si decorò il soffitto del quadro della Trasfigurazione di Raffaello, non
pregevole copia ad olio, su tela del pittore D. Francesco Ruffo da Soriano, oriundo di Pizzoni. In
seguito nulla più di qualche rilievo.
Nella prima visita fatta da Mons. Filippo Mincione vescovo della Diocesi (giugno 1853) quel
zelante prelato dispone che il coro, fino a quell’epoca situato dietro l’altare, all’uso dei monaci ,
fosse portato innanzi a vista del popolo, spingendo l’altare in fondo alla abside. Tale riforma
veniva apportata dal Rev. Arciprete D. Vito Maida, nativo da San Nicola da Crissa, il primo
arciprete rimasto solo a reggere la chiesa recettizia di Pizzoni, per Apostolico Rescritto nel 1853,
mentre prima la chiesa era retta da due arcipreti simultaneamente, i quali funzionavano una
settimana ciascheduno……….. Vecchia anomalia distrutta dallo stesso Mons. Mincione, che ne
provocava sapientemente la abolizione! In luogo del secondo arciprete furono creati due economi
Coadiutori all’arciprete curato con la pensione di 18 ducati ciascuno, da prelevarsi dalla Massa
recettizia invece dell’assegno che si corrispondeva all’altro arciprete –parroco, già abolito. In
seguito alle leggi eversive, che distruggevano la recettizia, 1867, poiché l’apostolico Rescritto del
12 Dicembre 1853, con cui si aboliva uno degli arcipreti, emesso dalla Santa Cong. Del Concilio,
era stato esecutorio dal Consiglio Ordinario di stato in Napoli, 15 Marzo detto anno, (1), è perciò
che i due economi, creati in seguito all’abolizione di uno dei due arcipreti-Curati vennero e
vengono tuttavia sussidiati dal fondo per il Culto alla ragione di lire, poco più, che 70 all’anno per
ciascheduno!..... Sono sufficiente codeste lire per il mantenimento di un economo, oggi, anno di
grazia 1913 ? Ecco perché si sta lavorando che tale onorario venga congruamente elevato…… Ci
riuscirò?
Defunto l’arciprete D. Vito Maida, 11 Dicembre 1864, dopo dieci lunghi anni di sgoverno da
parte dell’economo curato, non per malvagità di animo (buon uomo in fondo), ma per troppa
dabbenaggine; dieci anni coincidevano fatalmente con i postumi e le persecuzioni delle
rivoluzioni del 1860; eletto nel 15 del 1874 arciprete curato D. Vincenzo Serafino Pitimada, colto
predicatore, con tendenze spiccate alla scultura, cosicchè scolpita per dilettantismo resta di lui la
statua del titolare, in terra cotta, situata nella nicchia del frontespizio; egli certo per dissesti
finanziari non poteva badare alla oramai logora baracca del 1785!.........
Morto lui nel Maggio del 1910, entrò per disposizione divina a reggere le sorti di questa chiesa,
il sottoscritto arciprete Francesco Filia dopo sei mesi a 18 dicembre stesso.
Quali problemi s’imponevano di urgenza?
Senza dubbio la restaurazione morale e religiosa del popolo anzitutto, del nostro popolo
modificato profondamente da essere irriconoscibile, in seguito al contatto dei tempi nuovi, e per
effetto dell’emigrazione, che arma a due tagli, tanto bene e tanto male ha arrecato alle nostre
popolazioni.....; e poi la restaurazione materiale della chiesa destinata a sparire a non lunga
scadenza!......
Ed ecco perché con pochi sussidii indistintamente raccolti dalla pietà di pochi filiani, specie
emigrati nelle americhe e dalla munificenza generosa di altre di altre nobili persone, e più ancora
coi risparmi potuti raggranellare in tre anni, non dovendo pagare il contributo fondiario sino al
1913 ( in seguito al terremoto del 1908 questo Comune , come maggiormente danneggiato fu
esonerato per legge dal contributo fondiario per cinque anni, ed i due primi anni furono goduti
dal predicessore, e dal Subeconomo per sei mesi); è così che in nomine Domini
lo stesso
sottoscritto ha posto mano animosamente a risolvere un poco per volta il grave problema della
restaurazione della vecchia baracca del 1785.
Si cominciò tosto con la riforma e l’ampliamento della segrestia, che consisteva prima in un
angusto e buio corridoio, a cui si accedeva dalla navata di destra con incomodo del popolo,
insufficiente per il clero, sempre numeroso in Pizzoni ( Voglia Iddio che si continui così), e tale
riforma ed ampiamente fu apportata subito nel corso del 1911. Naturalmente si doveva
cominciare con la dimora abituale del parroco…
Quanto al resto della chiesa, si capisce che in una zona sismica e mobile come la nostra non
poteva per nulla affacciarsi l’idea di una chiesa architettonica in muratura, anche perché vietata
dalle prudenti leggi della stato, e quindi restava l’unico partito, il più savio a cui appigliarsi, quella
di rafforzare e rinnovare la vecchia baracca, utilizzando se non altro, il legname di castagno non
ancora marcito e il resto del materiale utilizzabile.
A nove giugno di questo anno 1913 si è posto mano alla riforma ed alla restaurazione del
presbiterio, apportando in esso radicali modifiche. Si è sollevato un altro poco anzitutto il tetto
per poter situare l’organo nel coro, trasferendolo dall’orchestrina costruita a posta a destra
dell’antiporto, impossibile di situarlo altrove, quando fu costruito per mancanza di altezza e di
spazio. (1). L’organo così pigliò posto definitivo nella cantoria a destra della nicchia del Titolare
San Nicola e fa pendant con un’altra prospettiva di organo finto, similissima a quella dell’organo
vero. Nel mezzo delle due prospettive si estolle quindi la suddetta nicchia del Titolare. Dall’una
all’altra cantoria si accede per un’orchestrina che corre dietro l’altare, il quale all’uopo si è spinto
un poco più innanzi senza turbare l’ordine del coro coi rispettivi stalli. Per trasferire l’organo fu
fatto venire a posta da Napoli il costruttore valoroso Pietro Petillo.
La riforma del presbiterio fu eseguita dagli operai del paese: Porcelli e Gallucci, ai quali va lode
per la solidità insuperabile della costruzione asismica, e per essere entrati con intelligenza nella
mentalità dell’arciprete.
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(1) L’antica chiesa teneva il suo organo che andò distrutto con essa nel 1783. La chiesa rimase sprovvista
di organo fino al 1861, quando fu costruito il presente di bello aspetto e di eccellente sonorità, dal
professore Luigi De Rosa da Napoli, cooperando il Municipio , la Procura del Corpus Domini e
l’Arciprete D. Vito Maida. Il costruttore De Rosa, colto d’asma cardiaca, morì immediatamente dopo il
collaudo, e riposa in questa chiesa. La prima messa di requie, accompagnata dall’organo, fu cantata per
la sua anima.
La pittura fu eseguita dal giovane pittore Leonardo Valentino da Sorianello, reduce dopo
tanti anni residente a Buenos Ayres nell’Argentina, e fu collaudata oggi 27 luglio 1913. Per
l’Abside e la segrestia si sono spese oltre 12.600 lire. Gli darà il Signore giorni e mezzi per
continuare l’opera intrapresa, per il resto della Chiesa?
ALTARE DEL SANTISSIMO CROCIFISSO
Oggi 21 gennaio dell’anno 1915, prima della messa conventuale, essendo Domenica di
settuagesima, si è benedetto solennemente, in mezzo alla commozione del popolo il gran
Crocefisso dell’altare omonimo della Matrice.
Il Crocifisso in carta pesta, era in origine fattura romana, a quanto asserisce la tradizione,
ma era abbastanza rovinato dal tempo, e a Napoli affidandolo allo stabilimento artistico di
carta pesta leccese tenuto dal cav. Costanzo Anzellotti (Piazza San Domenico Maggiore).
L’Anzellotti l’ha restaurato de novo, riformando secondo arte, specialmente la testa, cosicchè
è riuscito di gradimento a tutti. Dietro le spalle del Cristo ho scritto il seguente ricordo:
AERE COLLATO
FRANCISCUS ARCH. FILIA
EX OFFICINIS CONSTANZII ANZELLOTTI
NEAPOLI 1914
DE NOVO REFICIENDUM
CURAVIT.
E poiché era anche vecchio e deteriorato l’altare, doppiamente privilegiato, l’ho fatto
restaurare parimenti, chiamando all’uopo da Monteleone il pittore Arena Luigi, il quale l’ha
decorato con arte.
Si è speso in tutto, incluso la colletta, promossa da persone devote circa lire 500, per il
Cristo, Crocifisso e per l’altare.
ECONOMI COADIUTORI
A pagina 305 e 306 di questo libro si è accennato alla ragione e all’esistenza di due
economi coadiutori in questa cura, i quali furono istituiti in seguito all’abolizione di uno dei
due arcipreti, poiché prima del 1853 la recettizia era retta da due arcipreti
contemporaneamente dividendosi il peso alternatim.
I due economi ebbero l’assegno che si prelevava dalla massa della recettizia, di 18 ducati
ciascuno pari a lire 80, all’incirca; ed uno serviva più specialmente al rione San Basilio. Fatto
arciprete il sottoscritto ha creduto insufficiente così esiguo stipendio; e dietro incessante
cooperazioni, avendo ottenuto la revisione del Supplimento di Congrua del fondo per il
culto, gli economi suddetti ebbero stanziato lo stipendio normale da oggi 1 gennaio 1917,
cominciano a percepire l’annuale stipendio di oltre 300 lire per ciascuno, in due rate
semestrali. Per memoria ho scritto a margine del registro dei nati quanto segue: “ Ad. M. D.
G. Ad annum usque 1853, duo Arcipresbiteri eodem tempore, ecclesiam receptiziam
Pizzonensem alternatim rexerant. Post abitum D. mi Archipresbiteri D. Nicolai Arena ( 14
aprile 1852) Ecc. Epp.us Mincione f.r., altero abolito unum arch. Regendam Ecclesiam
prudenter mandavit. Pro Archip. Abolito instituti sunt duo economi coadiutores annum
stipendium perexiguum et pene illusorium ad actogenas libellus ( docati 18 ) percipientes (
Apostolico Rescritto 12 dicembre 1853, esecutoriato con sovrana disposizione del consiglio
di stato borbonico in data 15 maggio detto anno. Vedi nota vescovile 1 gennaio 1854). Cura
et sedulo studio mei infrascripti archipresbiteri posthac oeconom coadutores trecenas
libellas, aut etiam supra congruenter quotannis percipienti ( Decreto del direttore del Fondo
per il Culto, Roma 7 febbraio 1916. Reg. alla corte dei Conti 5 maggio stesso anno. Sic in
posterum cautum muneribus est ecclesiae rite obeundis. Pizzoni, 29 settembre 1916
Francesci Arch. Filia.
Compra dei ruderi del trappeto del fu D. Francesco
Antonio Arena, per largo abbellimento alla Matrice.
OGGI 18 MAGGIO 1919
Finalmente! …………. Dopo tante insistenze e dispiaceri si è giunto alla meta.
Un poco di storia.
Di fronte alla porta maggiore della chiesa esisteva un trappeto di proprietà del Sig. Francesco
Antonio Arena. Crollato l’opificio per abbandono, i ruderi dopo il decesso del padre
passarono alla figlia Mariannina, sposata ad un Bonelli di San Gregorio d’Ippona.
Poiché la grande guerra e l’emigrazione arricchì e rese scredente il proletariato qualcuno
pose gli occhi su detti ruderi per farne un’abitazione.
S’imponeva l’acquisto da parte della chiesa per garantire alla stesa l’aria e la luce e per non
vedere una parte di stalla puzzolente di fronte a Gesù Sagramentato!
All’uopo ho cercato di costituire un comitato, formandolo dai migliori elementi del paese
per raccogliere oblazioni dei fedeli. Io per primo mi sono tassato per 550 lire anche per dare
il buono esempio. Poi si tassarono tutti del comitato. Il popolo contribuì non molto
generosamente………….Anche le Confraternite del paese han voluto contribuire: la chiesa
della Grazia per lire 400, San Francesco per lire 300, e il Rosario per lire 300.
Dopo trattative, sempre modificate dal venditore Bonelli, che profittò della circostanza,
finalmente si è stipulato il contratto per l’enorme prezzo (relativamente) di lire 2200
(duemila e duecento) oltre le spese di notaio e di registro.
L’acquisto fu fatto in mio nome e come messo internuncio delle tre sopradette
confraternite e del comitato.
Il largo resta devoluto come proprietà dell’ente parrocchia San Nicola ed il parroco si
obbliga di custodirlo, perché serva ora ed in perpetuo, allo scopo finale di cui sopra.
LA NUOVA CHIESA DI PIZZONI
Ricostruita de novo dall’opera Interdiocesana affidata al Vescovo di Mileto Mons. D. Paolo
Albera, insuperabile per attività e per perizia e competenza.
Per comprendere bene questa memoria bisogna riferirsi a pag. 301 fino a 312, 313,
passim di questo volume.
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Immediatamente dopo l’ottava del Corpus dell’anno di grazia 1929 A. VII di cominciarono
i lavori di demolizione della vecchia baracca ( adibita a chiesa parrocchiale).
Tale baracca costruita dopo il terremoto catastrofico del 1788, non mancante veramente di
arte, nel suo barocchismo, si mantenne in piede, con enormi sacrifizi dei parroci
succedentisi per oltre cento anni. Basta ricordare che per costruire l ‘abside de novo, perché
cadente e pericolosa lo scrivente impiegò oltre dodicimila di proprio ( e 12000 di quel
tempo 1911, 12, 13 erano una somma………….) per ricordo si appiccica qui nella pagina
precedente la fotografia di quell’abside.
Malgrado tanti sussidi i sono elargiti dallo stato e più ancora dalla carità dei privati,
cooperatore Mons. G. Morabito di f.r. per chiese terremotate dopo il memorabile terremoto
del 1908 che devastò miseramente Reggio e Messina in special modo; la chiesa di Pizzoni
non ebbe suffraggi sol perché era baracca, e la legge parlava di nuove baracche costruende e
non di vecchie costruite.
Quando poi lo stato prese a cuore tutte le chiese parrocchiale del Bruti, allora il sottoscritto
arciprete Filia, per i particolari rapporti che teneva nella curia vescovile, egli stesso
curialista; per effetto particolare che per lui ebbe ed ha tuttora Mons. Albera 1930;
finalmente anche la chiesa e per le prime fu annoverata fra le chiese costruende funditus.
Se non che si presentano inopinatamente delle difficoltà ( ma quale cosa buona può
effettuarsi senza difficoltà? ) Eccole: il podestà del tempo avvalendosi fitto in testa di far
sorgere in altro luogo dichiarato dal Vescovo non adatto, fece dei ricorsi al genio civile ed al
superiore Ministero, il che produsse l’attrasso dei lavori e non la demolizione delle
catapecchie vicine. Prevalse è vero la ragionevolezza e l’autorità contro il capriccio, ma a
detrimento della vastità della chiesa che ha dovuto essere più stretta, forse non rispondente
alla demografia ed al numero degli abitanti del paese, circa tre mila, che in certe occasioni
convengono tutti in chiesa, gli ammalati ed emigrate esclusi. La chiesa nuova e di stile
romanico, progetto dell’ingegnere romano de Roma, G. Pandelli, elaborato con intelletto
d’amore, anche in omaggio, dell’amicizia del sottoscritto arciprete Filia, che veniva ritenuto,
come cultore di cose di arte, ed in omaggio della volontà di Mons. Vescovo, che per Pizzoni,
specie nel primo tempo, quando ancora non era disturbato con discorsi inutili e dannosi,
ebbe una speciale deferenza. La chiesa che sta sorgendo, affidata alla ditta Chiocchini, anche
di Roma vi sta costruendo 1930 con sistema rigorosamente asismica a cemento armato……
A vista d’occhio vien su un vero gioiello di arte…..sempre però deplorandosi l’angustia
specie dell’abside…. Principalmente. Il popolo di statue che arricchiva la vecchia baracca,
dove lo situeremo? Dove l’Organo?
Mons. Vescovo mi promette che si sarebbe riparato alla meno peggio sfondandosi l’abside,
trasforando per cappellina necessaria specie nei giorni santi, il pianterreno abbastanza vasto
del campanile. Chi verrà vedrà (Agosto 1930). Il podestà che è stato causa dei difetti della
chiesa dì altra parte bellissima è già emigrato con un ritorno sine die per motivi non molto
puliti….. Giovane inesperto ed …….imprudente. vi è anche un ingombro per la visuale della
chiesa: l’immediato parco delle Rimembranze, come dicono, con frase poco precisa. Lo
spazio adiacente alla chiesa fu acquistato dal sottoscritto arciprete Filia ( v.p. 319 e s.) per
piazza decorativa della chiesa stessa. Il sopradetto podestà avvalendosi di una arroganza
xarista, profittando della dabbennaggine cretinesca di pochi compagni di avventura si è
impossessato dello spazio stesso, e quel che più si deplora, piantandolo ad alberi, falsi platani,
che minacciano di divenire giganteschi, facendo perdere il panorama di occidente dal
sagrato, della chiesa. La cosa più bella che vantasse la ubicazione della chiesa. Speriamo che
questo ingombro deturpatore sia spazzato a breve scadenza…….La piazza deve servire per il
popolo nei giorni di festa.
E’ novena di Natale (1930). Gli operai partono e sospendono i lavori esterni mentre
l’interno della chiesa è finito. La chiesa di stile romanico puro tutto ad archi, che guardati
dalla porta maggiore, danno l’illusione come se degradassero verso l’abside, la quale è molto
piccola, può dirsi parva sed pulcra. S’impone la decorazione e per rimettere alla meno
peggio ad un posto qualsiasi l’organo, oggi 20 gennaio 1931 si è stretto con un costruttore,
tal Picardi, un contratto. Questo organo costruito da napolitani verso il 1860, ora era riotto a
mal partito, e della bellezza primitiva rimaneva poco. Una volta era il primo dei contorni.
Per spostarlo, dovendo costruirsi la nuova chiesa, finì per sfasciarsi addirittura. Vediamo che
saprà fare questo Picardi. Il contratto si aggira ad oltre lire duemila.
Oggi domenica 26 aprile 1931 fu collaudato l’organo e fu trovato soddisfacente. Il vescovo
passando, avendo ascoltato alcune musiche, vivamente si compiacque della riuscita. Il
costruttore fu pagato da me arciprete Filia e fu complimentato.
Da questo giorno incomincia l’arredamento tutto a mie spese. Pittori e maestranza furono
requisiti ed incomincia il lavoro del rinnovamento degli altari. Il pergamo situato in posto
magnifico, dal fonte battesimale ecc. ecc.
Giorno 10 maggio 1931 festa della inagurazione. Riportiamo qui nella sua stampa la
relazione pubblicata dal Mattino di Napoli incollandola a pagina seguente.
INAGURAZIONE DELLA NUOVA MATRICE ASISMICA
Pizzoni, 15.
In sostituzione di una vecchia e logora baracca, costruita sulle rovine di un tempio barocco
in seguito al disastroso e memorando terremoto del 1783, che devastava l’intera Calabria, si
elevava ora in Pizzoni un tempio magnifico , che la “ fascista opera interdiocesana per le
chiese terremoto” in sole due anni di lavoro intenso, faceva sorgere nello stesso luogo, come
di incanto. Il miracolo fu fatto dall’attività fenomenale del vescovo di Mileto Mons. Albera, a
cui non solo la Diocesi Militese ma quasi la intera Calabria va debitrice delle nuove
parrocchie solidamente edificate, in luogo delle baracchine di serie, che quasi tutte
minacciavano di sparire, perché affrettatamente costruite con legname poco resistente, nel
periodo sismico che termina col disastro immane del 1908. Mons. Albera ascoltando le
fervide e commosse preghiere dell’Arciprete di Pizzoni, Cav. Prof Francesco Filia, regalava a
questa parrocchia un edificio, le cui arcate austeramente romaniche, invitano alla preghiera
che, incurvandosi, si leva al cielo. Il motto che a grandi caratteri sta scritto sull’arco
trionfale, né l’espressione suggestiva: Regem Cui Omnia Vivunt Venite Adoremus. Le feste,
preparate con molta cura non potevano riuscire più sontuose e commoventi. Un intero
popolo prendeva parte senza distinzione di classe per celebrare l’avvenimento memorando:
municipio, fascio, fascio giovanile, avanguardisti, scuole pubbliche, balilla, giovani italiane,
confraternita laicali, tutti in divisa con relativi stendardi e gagliardetti, e poi l’intero popolo
alla mattina del 10 maggio, alle ore 8 si sono avviati nella provinciale fuori abitato in contro
al Pastore della Diocesi, che , in orario inappuntabile, veniva direttamente avviandosi, dopo
le presentazioni di rito, alla nuova Matrice, fra canti liturgici del Rev. Clero, benedicendo,
inagurava al culto. Quando dopo la benedizione il popolo a potuto irrompere nella chiesa
benedetta, fu un vero delirio, mentre l’organo riempiva le arcate volte di sacra melodia.
Segui un’allocuzione dell’arciprete, che accennava alle vicende, non sempre liete ,
vittoriosamente superate, nel periodo della costruzione; e finiva acclamando a Dio Ottimo
Massimo, da cui viene ogni dono perfetto e poi al Duce magnifico, vero ministro della
provvidenza, per questa opera tanto accetta e necessari alla Calabria sacra; e finalmente a
Mons. Albera, esecutore con squisito senso di arte, vigile interprete della volontà del regime,
mentre tutto il popolo ritto in piedi, gridava: viva Cristo Re; viva il Duce; viva Mons. Albera;
viva la Calabria, che gloriosamente risorge. Alle parole entusiaste e commosse dell’arciprete
Filia rispondeva dal pergamo, in abiti pontificali, Mons. Albera, invitando il popolo ad essere
grato, ansi tutto al Regime per questo dono cosi generoso, inculcando, con parole gravi,
piene di fraterna bontà, la pratica dei doveri religiosi il lavoro onesto e la fraterna armonia
frutto della pace degli animi. E inutile dire che le parole del vescovo furono accolte dai
interminabile ovazione.
La preparazione spirituale fu opera dei Padri del SS. Redentore, chiamati a bella posta
dall’arciprete Filia dalla Casa di Sant’Andrea Ionio, i quali per 9 giorni continui tennero una
serie di quelle prediche che tanto commuovono il popolo, semplice, evangeliche, scevre di
pretenzioni e da quella “inanibus sapientiae verbis “ che di ordinario invece di edificare
distruggono. Basta dire che nella messa del vescovo si accostarono alla comunione oltre
1500 persone di tutte le classi e di tutte le età, incluse le associazioni cittadine in massa. E
seguiva poi una numerosa cresima oltre 500 confermandi.
In casa dell’arciprete prima della partenza, Mons. Vescovo col suo seguito si degnava
assistere ad una asciolvere, in cui regnò il più rispettoso buon umore, e furono pronunziati
dei brindisi, lietamente beneaguranti.