anno XVII - Numero 81 - 27 novembre 2011
L’intervista
Parla il regista Peter Stein
A Pag.
2
Il Sonnambulismo
Dalla neuropatologia
al romanticismo
A Pag.
6 e7
La Storia dell’Opera
Macbeth, precursore della
nuova drammaticità verdiana
A Pag.
9
Shakespeare nell’opera
Fonte inesauribile per i libretti.
In tre opere per Verdi.
A Pag.
10 e 11
Macbeth
d i G i u s e p p e Ve r d i
Macbeth
2
Il
Parla il regista tedesco Peter Stein
«No sovrastrutture,
ma esaltazione della musica»
N
on si ritiene un
buon
regista
shakespeariano
Peter Stein, nato a Berlino
74 anni fa, da per quel suo
devoto rispetto all’oggettività dei testi che si scontra
con i troppi significati presenti nei lavori del drammaturgo inglese, sopra e
sotto il testo. «In questo senso lo ritengo irrappresentabile
perché troppo grande, troppo
sfaccettato ed io, che inseguo
ogni dettaglio, corro il rischio
di perdermi per cercare di trasmetterli tutti». Malgrado
questo Stein ha curato varie regie shakespeariane e
nel 2013 metterà in scena
in teatro il Re Lear al
Burgtheater di Vienna con
Klaus Maria Brandauer come protagonista. «Con
Shakespeare preferisco confrontarmi sul palcoscenico
“lirico” piuttosto che su quello teatrale, poiché già nel passaggio del testo dalla prosa all’opera ci sono problematiche
che vengono eliminate: l’opera in musica per sua natura
esige una semplificazione e
Macbeth è tra i titoli in cui la
rilettura verdiana è lineare ed
ha sviluppato solo i cardini
portanti della storia. In particolare le tre streghe sono un
po’ il motore della trama, l’incarnazione del fato ed è l’unico caso in Shakespeare in cui
il destino è fisicamente presente in scena».
Stein firma quest’allestimento che è una co-produzione del Teatro dell’Opera romano con il Festival di
Peter Stein
Salisburgo dove lo spettacolo è andato in scena lo
scorso 27 luglio montato
nel grande spazio della
Felsenreitschule, l’antico
maneggio scavato nel cuore della montagna. Per
questo l’allestimento è dovuto essere ora riadattato
agli spazi di un normale
teatro. «Non mi era mai capitato di riprendere uno spettacolo a soli quattro mesi di distanza – dice Stein – ma l’ho
fatto per la relazione di fiducia che si è creata con Riccardo Muti dopo l’esperienza di
quest’estate a Salisburgo».
Muti, infatti, dirigerà questo spettacolo da lui a lungo preparato per il festival
austriaco. Uno dei due ti-
Il G iornale dei G randi eventi
Direttore responsabile
Andrea Marini
Direzione Redazione ed Amministrazione
Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma
e-mail: [email protected]
Editore A. M.
Stampa Tipografica Renzo Palozzi
Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma)
Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995
© Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore
Le fotografie sono realizzate in digitale
con fotocamera Kodak Easyshare V705
Visitate il nostro sito internet
www.giornalegrandieventi.it
dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale
toli verdiani – l’altro è l’Attila in cartellone dal 25
maggio per 6 recite, opera
da lui diretta al Met di
New York nel febbraio
2010 - con i quali in questa
stagione salirà sul podio
del Teatro dell’Opera di
Roma. Il direttore napoletano poco più di un mese
fa è stato nominato senza
vincoli “Direttore Onorario
a vita” dell’Opera di Roma.
“Un titolo e non un incarico” che mai era esistito e
che forse lascia un po’ perplessi, non tanto per il personaggio dall’indiscusso
talento e che alla nomina
pare non abbia dato grande importanza, quanto per
l’essenza, visto che il tempio della lirica capitolino
avrebbe bisogno più di vera e continuativa sostanza
che di effimera forma.
Peter Stein come al suo solito propone una regia assolutamente tradizionale:
«Voglio esporre la storia, comunicarla in modo trasparente, renderla il più possibile
leggibile secondo il pensiero
di Verdi che molto – soprattutto con Macbeth – è stato
addosso a Piave nella stesura
del libretto. Ho cercato di
esaltare le linee psicologiche
dei due protagonisti, come
anche la scena del sonnambulismo che è tra le cose più belle
mai scritte dal compositore.
Detesto le sovrapposizioni interpretative di tanti registi di
oggi che potrebbero far apparire Macbeth come Berlusconi
o sua moglie come Lady Gaga…. Sul palcoscenico la scena è il più possibile vuota, liscia, essenziale come una scatola nera abitata da pochi elementi, quali il pentolone delle
streghe, la facciata del palazzo, il tavolo per il banchetto.
In quest’allestimento, tendo a
facilitare l’ascolto della musica: è il caso dei tre cori per le
streghe che ho cercato di non
mischiarli, bensì di allontanarli nello spazio in modo di
fornire del suono quasi un effetto “stereofonico”.
andrea Marini
Giornale dei Grandi eventi
Prossimi titoli Stagione 2012
del teatro dell’Opera di Roma
18 - 24 gennaio
caNDIDe
di Leonard Bernstein
Wayne Marshall
Direttore
21 - 28 febbraio
MaDaMa bUtteRFLY
di Giacomo Puccini
Pinchas Steinberg
Direttore
18 - 26 aprile
IL baRbIeRe DI SIVIGLIa
di Gioachino Rossini
Bruno Campanella
Direttore
25 - 31 maggio, 3 - 5 giugno
attILa
di Giuseppe Verdi
Riccardo Muti
Direttore
19 - 26 giugno
a MIDSUMMeR NIGht’S DReaM
di Benjamin Britten
James Conlon
Direttore
Stagione estiva alle terme di caracalla
due melodrammi da definire
23 - 31 ottobre
La GIOcONDa
Direttore
di Amilcare Ponchielli
Roberto Abbado
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi - 27 novembre, 11 dicembre 2011
Macbeth
Melodramma in quattro atti
Libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei
da William Shakespeare
Musica di Giuseppe Verdi
Prima rappresentazione: Firenze, Teatro della Pergola, 14.3.1847
(2° versione: Parigi, Théâtre Lyrique, 19.4.1865)
Maestro concertatore e Direttore
Regia
Maestro del Coro
Scene
Costumi
Disegno luci
Movimenti coreografici
Maestro d’armi
Riccardo Muti
Peter Stein
Roberto Gabbiani
Ferdinand Wögerbauer
Andrea Maria Heinreich
Joachim Barth
Lia Tsolaki
Renzo Musumeci Greco
Personaggi / Interpreti
Macbeth
Banco
Lady Macbeth
Dama di Lady Macbeth
Macduff
Malcolm
Domestico di Macbeth
Medico
Sicario
Araldo
Prima apparizione
Seconda apparizione
Terza apparizione
Tre streghe
Dario Solari
Riccardo Zanellato
Tatiana Serjan
Anna Malavasi
Antonio Poli
Antonio Corianò
Luca Dall’Amico
Gianluca Buratto
Alessandro Spina
Francesco Luccioni
Luca Dall’Amico
Claudio Prosperini *
Marta Pacifici *
Robert Christott,
Michael Schefts, Volker Wahl
* Allievi del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera
diretto da José Maria Sciutto
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Allestimento in coproduzione con il Salzburger Festspiele
Il
Macbeth
Giornale dei Grandi eventi
E’
completamente ridisegnato per adeguarlo agli spazi
del Teatro dell’Opera e dunque appare come un nuovo
allestimento, questo Macbeth
firmato dal regista tedesco
74enne Peter Stein, spettacolo che a fine luglio scorso è
stato presentato con grande
successo a Salisburgo in una
co-produzione tra l’Opera
di Roma e quel Festival, con
la direzione di Riccardo Muti che ha diretto i Wiener
Philharmoniker. Così ad appena quattro mesi di distanza il Macbeth della coppia
Stein-Muti ridebutta inaugurando la nuova stagione
del Teatro dell’Opera capitolino. Nuovo il cast che
avrà in comune con Salisburgo solo Tatiana Serjan
nei panni di una convincente Lady Macbeth, soprano
che a Roma abbiamo visto a
maggio scorso come Linda,
la moglie di Rolando, ne La
Battaglia di Legnano, mentre
Antonio Poli che a Salisburgo aveva il ruolo di Malcom,
qui avrà quello di Macduff.
Sul podio Riccardo Muti, il
quale all’Opera di Roma in
questa stagione dirigerà un
altro titolo verdiano, l’Attila
in cartellone a fine del prossimo maggio, da lui lunga-
mente preparato per il proprio debutto al Met nel febbraio 2010.
Macbeth è la decima opera
composta da Verdi ed è un
po’ il culmine dei cosiddetti
“Anni di galera” caratterizzati da un lavoro intenso,
senza tregue che lo porteranno in quel 1847 a mettere
in scena ben tre opere (Attila, Macbeth e I Masnadieri). La
trama non si basa su una vi-
3
Le Repliche
martedì 29 novembre, h. 20.30
giovedì 1 dicembre, h. 20.30
sabato 3 dicembre, h. 18.00
martedì 6 dicembre, h. 20.30
venerdì 9 dicembre, h. 20.30
domenica 11 dicembre, h. 16.30
cenda amorosa, quanto
piuttosto sia sul gioco di
sentimenti quali l’ambizione, la sete di potere, che sulla forte analisi psicologica
dei personaggi.
Un Macbeth filologico per aprire la Stagione
atto I - In Scozia, in parte presso un bosco e in parte
nel castello di Macbeth.
L’atto si apre in un bosco dove alcune streghe
commentano i sortilegi compiuti. Udendo il rullo di tamburi, capiscono
che Macbeth, generale del Re di Scozia, sta per arrivare. Quest’ultimo, insieme a Banco, anch’egli generale dell’esercito del re Duncano, s’imbattono nelle streghe le quali, profetizzando, salutano il primo come «Sire di
Cawdor e futuro Re di Scozia» ed il secondo «Padre di regnanti». Nel frattempo giungono i messaggeri del Re annunciando a Macbeth di essere stato
eletto Sire di Cawdor, concretizzando così la prima profezia. Nell’atrio
del suo castello, Lady Macbeth legge una lettera inviatale dal marito, nella quale racconta il vaticinio delle streghe. Immediatamente nei suoi pensieri si fa strada un macabro progetto di regicidio e sarà lei ad istigare
Macbeth all’assassinio del Re, approfittando che Duncano intende trascorrere la notte al loro castello. Macbeth deve quindi agire subito e, dopo
essere stato turbato da un’orrenda allucinazione - un pugnale con la lama
irrorata di sangue - entra nella stanza del Sovrano e lo uccide. Subito
Lady Macbeth entra nella stanza strappando dalle mani del marito il pugnale insanguinato per posarlo accanto alle guardie dormienti con l’intenzione di far ricadere su loro le accuse. Quando la mattina, Macduff va
a svegliare il Sovrano e lo trova morto, le sue grida richiamano tutti: il Re
è stato tradito ed ucciso.
atto III - In un’oscura caverna, intorno ad un calderone che bolle.
Macbeth torna ad interrogare le streghe, le quali
profetizzano tre situazioni: la prima suggerisce a Macbeth di guardarsi
da Macduff; la seconda gli predice che nessun uomo potrà nuocergli; la
terza lo assicura invincibile fino a quando non vedrà la foresta di Birnam muoversi. Macbeth chiede quindi alle streghe notizie sui discendenti di Banco ed in quell’istante compaiono i fantasmi di otto Re, la
stirpe di Banco che regnerà. Macbeth, a quella visione cade a terra svenuto. Ridestatosi e tornato al castello, racconta le profezie alla moglie,
la quale, per la terza volta, lo istiga a uccidere anche le famiglie di Macduff e di Banco.
La Trama
atto IV - Sul confine fra Inghilterra e Scozia, nei pressi del bosco di Birnam, ed in parte nel castello di Macbeth.
Macduff piange i suoi cari uccisi da Macbeth ed i profughi scozzesi
versano lacrime per la Patria in mano ad un tiranno sanguinario. Malcolm, alla testa dei soldati inglesi, li invita a prendere un ramo dalla
foresta di Birnam per mimetizzarsi ed avanzare dietro a lui al fine di
liberare la Scozia dal tiranno. Intanto nel castello Lady Macbeth è colta di notte da sonnambulismo: il medico e la dama la vegliano ed assistono ad una scena che si ripete: la donna, in preda agli incubi, si alza dal letto e rievoca gli assassini di Duncano, Banco e Macduff, menatto II - Al castello di Macbeth e nel parco adiacente. tre affannosamente tenta di togliersi le macchie di sangue dalle mani.
Malcom, figlio del Re, viene accusato di parricidio e fugge via. Nella pro- Le truppe inglesi assediano il castello, ma Macbeth si sente invincibipria stanza, Macbeth confida alla moglie la profezia fatta a Banco. Nuova- le, forte della profezia che nessun nato di donna gli potrà nuocere.
mente Lady Macbeth convince il marito ad uccidere anche Banco ed il figlio Impassibile è anche alla notizia della morte di Lady Macbeth, ma
Fleanzio. Nel parco vicino al castello un gruppo di sicari, assoldati da Mac- quando apprende che la foresta di Birnam si muove, grida al tradibeth, uccidono Banco, mentre Fleanzio riesce a fuggire. Intanto nel castello, mento ed, impugnati il pugnale e la spada, fronteggia Macduff al
davanti ad una tavola imbandita, dame e cavalieri in clima di festa salutano quale ricorda il presagio della strega. Ma il suo avversario, mentre gli
Macbeth nuovo re di Scozia. Ma l’arrivo di un sicario con la notizia della rivela di non essere nato da donna ma di essere stato tolto dal seno
morte di Banco turba Macbeth, anche perché egli nota nel posto riservato a materno, lo ferisce mortalmente.
Banco lo spettro di questo, che restando muto lo guarda fisso negli occhi.
A cura di Lara Pasquali
Macbeth
4
Il
Giornale dei Grandi eventi
Tatiana Serjan
Dario Solari
Lady Macbeth, donna
volitiva e senza scrupoli
Macbeth, il generale
che volle farsi Re
I
l soprano tatiana Serjan nasce a San Pietroburgo dove ha cominciato
gli studi musicali in pianoforte presso il Collegio Musicale e poi al
Conservatorio e quindi gli studi vocali al Conservatorio Rimskij-Korsakov, dove si diploma con il massimo dei voti. Si è perfezionata in Italia
all’Accademia delle Voci di Torino. Ha debuttato nel 1994
all’Opera Studio di San Pietroburgo con La traviata (Violetta), teatro dove ha cantato anche in La bohéme (Mimì e Musetta) nel 1996 e Così fan tutte (Fiordiligi) nel 1997, portata
in tournée in Germania. E’ stata poi Lady Macbeth al Mtsensk di Šostakovič diretta dal M° Mstilav Rostropovič; nel
2000 si è esibita al San Pietroburgo State Musical Theater
Zazarkalye nei Racconti d’Hoffmann (Antonia e Giulietta) e
ne La bohéme (Mimì). Il suo debutto in Italia è stato al Regio
di Torino nel 2002 come Lady Macbeth, ruolo che poi ha interpretato a Tokio con la Scala diretta da Muti. Ha cantato
Un ballo in maschera; Il trovatore (Leonora); Sancta Susanna
di Hindemith al Festival di Ravenna ed a New York diretta
da Muti, al Teatro Nacional de Sao Carlos a Lisbona, alla Scala ed a Montpellier; Das Reinhgold al Sao Carlos di Lisbona; Tosca al Comunale di Bologna, al Massimo di Palermo e al Festival di Bregenz; Don Giovanni; Norma. Ha debuttato Aida al Festival di Bregenz, I due Foscari a Parma e Modena; Il trovatore a Trieste e Pordenone e Tosca alla Deutsche Oper di Berlino. È stata solista in composizioni sacre nei palcoscenici dell’Academic
Capella, Smolny Cathedral e State Hermitage (1994-2001) e partecipato al
concerto finale del Festival di Ravenna, poi ripreso a Bosra (Siria) trasmesso dalla RAI, cantando un’ampia selezione di Norma sotto la guida
di Riccardo Muti. Ha eseguito la XIV Sinfonia di Šostakovič al Sao Carlos
di Lisbona, il Requiem di Verdi a Londra con la Philarmonia Orchestra diretta da Muti ed a Toulouse. Nella stagione che si è appena conclusa ha
cantato come Linda ne La battaglia di Legnano all’Opera di Roma ed a luglio nelle vesti di Lady Macbeth nel Macbeth al Festival di Salisburgo.
I
l baritono Dario Solari è nato nel 1976 a Montevideo in Uruguay.
Nel 1999 si è trasferito in Italia dove si è perfezionato con Paolo Washington. Ha preso parte all’inaugurazione della stagione
2003/2004 del Teatro dell’Opera di Roma, come Cloteau nella prima
esecuzione assoluta della Marie Victoire di Respighi, sotto la direzione di Gianluigi Gelmetti.
Si è esibito al Festival di Martina Franca in Romeo e Giulietta (Paride) di Marchetti, al Petruzzelli di Bari in Manon Lescaut (Lescaut). Quindi: Madama Butterfly (Sharpless) alla Deutsche
Oper di Berlino; Maria Stuarda (Lord Guglielmo Cecil) e La leggenda di Sakùntala (Lo scudiero) di Alfano all’Opera di Roma; La Traviata a
Montevideo; Carmen (Escamillo) al Pergolesi di
Jesi, a Fermo ed al Landestheater di Salisburgo;
Don Carlo (Rodrigo) a Tel Aviv diretto da Zubin Mehta. È stato un convincente Conte di Luna nel Trovatore alla Welsh National Opera di Cardiff.
Tra le sue recenti interpretazioni: La Traviata (Giorgio Gérmont) alla
Palm Beach Opera, a Cardiff con la regia di David Mc Vicar, al San
Carlo di Napoli, al Music Festival di Pechino e all’Opera di Roma (Gelmetti / Zeffirelli); Carmen a Firenze, Ferrara, all’Arena di Verona ed alle Terme di Caracalla; Un ballo in maschera e Macbeth a Santiago del Cile; La dama di picche a Cardiff; Enrico in Lucia di Lammermoor al Savonlinna Opera Festival. Cristina Mazzavillani Muti lo ha scelto come
Conte di Luna per la produzione del Trovatore a Ravenna e poi on tour
in diverse città italiane. Ha debuttato come Guy de Montfort ne Les vêpres siciliennes diretto da Gelmetti al San Carlo di Napoli, teatro dove è
tornato per I pagliacci (Tonio) poi in tournée in Russia. Ha riscosso un
buon successo di pubblico e critica per La bohème (Marcello) a Toulouse. Ha inciso Parisina d'Este di Donizetti con Opera Rara
Riccardo Zanellato
Antonio Poli
Banco, tradito ed ucciso,
si ripresenta da fantasma
Macduff, il predestinato ad
uccidere l’usurpatore Macbeth
D
opo il diploma in chitarra al Conservatorio di Adria, il basso Riccardo
Zanellato nel 1992 ha iniziato gli studi di canto sotto la guida di Arrigo Pola. Dopo essersi classificato tra i finalisti del concorso “Operalia” a Tokyo nel 1997, ha iniziato una brillante carriera. Ha cantato Dom Sébastien di Donizetti al Comunale di Bologna ed al Donizetti di Bergamo. Giovanissimo si sta ora affermando come uno degli artisti di riferimento per i ruoli
di basso verdiani, avendo interpretato con successo: Attila e La battaglia di Legnano (Parma, Piacenza) I due Foscari al fianco di Renato Bruson (Cremona,
Brescia e Piacenza), Stiffelio (Piacenza), Requiem, Rigoletto (Parma, Macerata,
Lecce, Teatro alla Scala di Milano, Ancona), Il Corsaro (Lecce), Simon Boccanegra (Catania), Nabucco (Parma, Mannheim, Rovigo, Trento, Bolzano, Pisa, Festival di Savonlinna, Genova, Copenhagen ), I Puritani (Trieste), Aida (Genova, Napoli, Torino, Rovigo, Arena di Verona), Il Trovatore (Cagliari, Arena di
Verona), Macbeth (Staatsoper di Berlino), Simon Boccanegra (Parma), Otello
(Opera Bastille di Parigi).
Nel 2011 è stato Padre Guardiano ne La forza del Destino al Regio di Parma diretto da Gelmetti; Zaccaria dal Nabucco in scena all’Opera di Roma sotto la
guida di Muti; Walter nella Luisa Miller di Verdi all’Operà de Lyon dir. Kazushi Ono; Ramfis in Aida alla Wlaamse Opera; Debutto nel ruolo di Mosè al
Rossini Opera Festival di Pesaro nel Mosè in Egitto diretto da Abbado; Raimondo dalla Lucia di Lammermoor al Festival di Stresa; Stabat Mater di Rossini
alla basilica di S. Siro a Sanremo diretto da Gelmetti; Cardinale Brogni da La
Juive di Halevy al festival di Ljubljana.
I prossimi Impegni lo vedranno impegnato nel Requiem di Verdi sempre con
Muti al Teatro S. Carlo di Napoli. A Gennaio 2012 Luisa MIller a Bilbao, Aida
alla Scala di Milano, Requiem di Verdi a Vilnius, Poliuto di Donizetti a Zurigo.
Il tenore antonio Poli è nato a Viterbo ed ha studiato all’Accademia
di Santa Cecilia di Roma. Attualmente studia con il Maestro Romualdo Savastano all’Accademia A.R.T Musica. Tra il 2004 ed il
2006 partecipa a numerosi concorsi vocali. Nel 2006 ha debuttato
nella parte di Alessadro (Il re pastore) con la Roma Sinfonietta diretta
da Marcello Pannimentre nel 2007 ha interpretato il figlio di Bruschino (Il signor Bruschino di Giachino Rossini) con l’Orchestra di
Santa Cecilia diretta da Rizzari e la regia di Daniele Abbado. Inoltre
canta nel Vesprae Solennes de confessore e nella Krönungsmesse diretta
da Andreas Engelhardt, nelle Cantate Massoniche K471 e K623 con
l’Orchestra di Roma e del Lazio diretta da Lü Jia e nel Magnificat di
Johann Sebastian Bach diretto da Martin Weber. Nel 2008 fa parte
dell’Ensemble Giovani della Semperoper di Dresda. Nel marzo 2010
è Ismaele nella nuova produzione del Nabucodonor dell’Opera di Roma, con la direzione di Muti. Prende parte anche al Concerto di Pasqua al Duomo di Orvieto ed al Concerto offerto dal Presidente della Repubblica a Benedetto XVI alla Sala Nervi in vaticano con Coro
e Orchestra dell’Opera di Roma. Al Festival di Salisburgo è Malcom
nella produzione di Macbeth con la regia di Peter Stein. Nell’estate
del 2010 ha preso parte al progetto per giovani cantanti del Festival
di Salisburgo. Ha cantato nel Requiem di Mozart a Forlì e Rieti con il
London Symphony Chorus, la Maderna Orchestra e l’Orchestra
Giovani Europei diretta da Paolo Olmi; all’Auditorium Parco della
Musica di Roma e per il K Festival con l’Orchestra di Santa Cecilia.
Pagina a cura di Lara Pasquali – Foto di Corrado M. Falsini
Il
Macbeth
Giornale dei Grandi eventi
5
Analisi Musicale
Tragedia dove protagonista è l’ambientazione
«C
aro Lanari, questo Macbeth sarà pur la gran cosa;
io ne sono entusiasmato
[…] Io credo che quest’opera, piacendo, sia per dare nuove tendenze
alla nostra musica ed aprir nuove
strade ai maestri presenti e avvenire». Scriveva così Verdi ad Alessandro Lanari, impresario della
Pergola di Firenze, il teatro che
il 14 marzo 1847 ospitò la prima
di Macbeth.
Verdi parlava, dunque, della
sua nuova fatica con un certo entusiasmo; soprattutto ne sottolineava la concezione nuova e originale.
In effetti Macbeth rappresentò una
tappa fondamentale nel teatro verdiano, sul piano drammaturgico oltre che musicale.
Nella fase pre-quarantottesca, prevalentemente segnata da opera di
carattere risorgimentale, il dramma
di origine shakespeariana, cominciava a distaccarsi da tematiche “corali” per incentrarsi su passioni e
sentimenti individuali, sulla stessa
strada di Ernani, dei Masnadieri, di
Luisi Miller. Anche se non va dimenticato che il celebre coro “La Patria tradita” suscitò alla prima esecuzione una reazione straordinaria
nel pubblico che lo interpretò come
un chiaro richiamo patriottico. Nel
Macbeth, rispetto alle altre opere citate, c’è comunque una componente importante in più, quella fantastica. Con Macbeth il fantastico, l’irreale entrano nel teatro verdiano e, in
generale nel teatro romantico italiano che guarda in genere al romanzo
storico o pseudo storico. Per avere
un’altra esperienza simile occorrerà
attendere il Mefistofele di Boito. Sulle streghe del Macbeth gli studiosi si
sono divisi tra chi loda la verve verdiana nel rendere il clima magico e
chi invece lo accusa di banalità e di
soluzioni scontate. In realtà, al di là
dei singoli episodi, ciò che affascina
in questa tragedia è il “colore”, l’atmosfera che la pervade.
Opera notturna, cupa, già a partire
dal Preludio che offre elementi musicali di sapore quasi beethoveniano, in particolare nel movimento
lento. Il grigiore della scena è il filo
conduttore di un’opera nella quale
anche i momenti apparentemente
gioiosi (il brindisi) degenerano in
tragedia. Con mano sicura Verdi offre momenti di spettacolarità quando interrompe il banchetto gioioso
con l’apparizione di Banco o quando costruisce il terzo atto (un’oscu-
Macbeth Frontespizio primo spartito pianoforte (incisione di R. Focosi)
ra caverna) con Macbeth che interroga le streghe e ascolta i responsi
delle apparizioni.
Un’opera senza amore
In un’opera votata al dramma, nella
quale sono stati eliminati anche
quegli accenti più leggeri che si ritrovano nel teatro shakespeariano e
che probabilmente avrebbero stonato fra le mani di Verdi, ci sono
due aspetti che vale la pena sottolineare. Il primo è l’assenza dell’amore. Raro trovare un’opera verdiana
nella quale non ci sia un rapporto
amoroso fra due dei protagonisti;
nella quale la figura femminile non
sia in qualche modo animata nella
sua azione da un sentimento di trasporto nei confronti di un altro personaggio. Qui la molla generatrice
di ogni azione è l’ambizione, la sete
di potere. E questo rende i personaggi sordi a ogni sentimento di
pietà, e, probabilmente per questo,
anche poco “simpatici”. Figure negative Macbeth e Lady Macbeth,
ma non amabili come lo sono altri
personaggi discutibili del teatro, da
Don Giovanni allo stesso Rigoletto.
Vocalità diversa
Questa rigidità, questa chiusura in
una dimensione egoistica, li rende
anche refrattari al canto. Il secondo
punto importante è proprio questo,
la ricerca che Verdi conduce di una
vocalità diversa, modellata sulla parola, poco disposta a sciogliersi in
melodie di ampia cantabilità. Ci sono, certo, arie di bella costruzione:
pensiamo a quella di Macduff
nell’Atto IV (“Ah la paterna mano”) o
a quella di Macbeth ancora nell’ulti-
mo atto (“Pietà, rispetto, amore”). Ma
ciò che emerge soprattutto è la genialità con cui Verdi costruisce l’opera sul piano drammaturgico, legando azione, parola e musica.
Emergono, dunque, cori di notevole effetto: pensiamo al finale del primo atto o al coro “Patria oppressa”
dell’ultimo. Ed emergono pure scene di straordinaria incisività. Ad
esempio si possono segnalare il
duetto fra Lady Macbeth e Macbeth
nel secondo atto e la già citata scena
del banchetto nello stesso atto.
Capolavoro assoluto è poi la scena
del sonnambulismo nel quarto atto.
Verdi la prepara con grande cura e
intelligenza: un tema orchestrale
aperto, fluente, di forte tensione
emotiva. Poi arriva Lady, trasfigurata. Non è più la donna di ghiaccio, fredda calcolatrice che si era vista fino a questo momento. E’ in
preda a delirio, oppressa da visioni.
Meccanicamente continua a fregarsi le mani quasi a voler cancellare
una immaginaria macchia di sangue che l’opprime e la uccide. Il
canto è frammentato come frammentato è il testo, ricco di punti sospensivi, di interruzioni, di pause.
Emerge da questa pagina l’idea di
teatro che Verdi stava maturando e
che ci rimanda persino a Mozart.
Quando Amadeus compose Idomeneo si scontrò contro la presunzione
dei cantanti che arrivati al quartetto, splendido, “Andrò ramingo e solo” lo trovavano angusto per le voci,
poco cantabile: il che era esattamente quel che voleva l’autore, in cerca
non tanto di canto, quanto di uno
stile conversativo. Quando Macbeth
fu ripresa al San Carlo di Napoli, interprete principale la celebre Eugenia Tadolini, Verdi commentò: «La
Tadolini ha troppo grandi qualità per
fare quella parte! Vi parrà questo un assurdo forse!! La Tadolini ha una figura
bella e buona ed io vorrei una Lady
Macbeth brutta e cattiva. La Tadolini
canta alla perfezione; ed io vorrei che
Lady non cantasse. La Tadolini ha una
voce stupenda, chiara, limpida, potente; ed io vorrei in Lady una voce aspra,
soffocata, cupa. La voce della Tadolini
ha dell’angelico; la voce di Lady vorrei
che avesse del diabolico».
Verdi, dunque, quasi provocatoriamente, cercava voci aspre, “brutte”
per rendere la negatività dei suoi
personaggi, al canto anteponeva la
ragione drammaturgica, esattamente come Amadeus. E in un’altra
lettera indirizzata a Leon Escudier
alla vigilia dell’andata in scena al
Théâtre-Lyrique della nuova versione del Macbeth a proposito della
scena del sonnambulismo Verdi
scrisse ancora: «Chi ha visto la Ristori
sa che non si devono fare che pochissimi
gesti, anzi tutto si limita quasi ad un
gesto solo, cioè di cancellare una macchia di sangue che crede di aver sulla
mano...La Ristori faceva un rantolo; il
rantolo della morte. In musica non si
deve né si può fare; come non si deve
tossire nell’ultimo atto della Traviata
né ridere nello “Scherzo o è follia” del
Ballo in maschera».
Lettere che mostrano la attenzione
costante di Verdi per la scena, per la
drammaturgia.
«Sono solo un uomo di teatro…», aveva dichiarato una volta con falsa
modestia. Ma è assolutamente vero che Verdi fu prima di tutto un
grande uomo di teatro. E fu questo
ad avvicinarlo a Shakespeare che
amò sopra ogni altro autore ed al
quale sarebbe tornato in chiusura
di carriera creando quei due capolavori straordinari che sono Otello
e Falstaff. Macbeth non era al loro livello e di questo Verdi fu perfettamente conscio se anni dopo, in occasione della citata ripresa a Parigi
del 25 aprile 1865 la rivide e la ritoccò aggiungendo anche, come
era nel gusto parigino, una scena
di ballo. Ma se accettava critiche al
suo Macbeth, respingeva le accuse
di non conoscere Shakespeare:
«Può darsi - dichiarò – che io non abbia reso bene il Macbeth, ma che io
non conosco e non capisco e non sento
Shacpeare (sic!) no, per Dio, no. E’ un
poeta di mia predilezione che ho avuto
fra le mani dalla mia prima gioventù e
che leggo e rileggo continuamente».
Roberto Iovino
6
Macbeth
Il
Giornale dei Grandi eventi
Il fenomeno medico come disturbo
Il sonnambulismo: dalla neuropato
N
on si può parlare di sonnambulismo senza
una breve premessa
caratteristiche
sulle
neurofisiologiche del
sonno, questa strana dimensione della coscienza che ci impegna per
circa un terzo della nostra vita.
La prima idea che associamo al sonno è quella
del riposo, naturalmente, ma il sonno non è
soltanto questo: si può
anzi dire che il cervello
umano sia l’unico organo che funzioni a pieno
ritmo ventiquattr’ore
su ventiquattro. A differenza di tutti gli altri,
infatti, esso non è soggetto a variazioni cicliche quantitative delle
proprie funzioni, ma
solo a variazioni qualitative: in altre parole,
durante il sonno subentrano funzioni cerebrali
diverse da quelle della
veglia, non per questo
meno importanti e anzi,
in taluni casi, decisamente più incisive.
Nel sonno, dunque, a
differenza che nel coma, non siamo affatto
privi di coscienza, ma
semplicemente in uno
stato di coscienza diverso da quello della
veglia.
A cosa serve, dunque il
sonno? A riposare, certo, ma anche a fare in
modo che l’organismo
possa recuperare energie, senza restare, nel
frattempo, alla mercé
del mondo circostante:
per questo, il cervello,
in realtà, non dorme
mai.
Pensiamo, per un momento, all’uomo primitivo: nelle difficili condizioni atmosferiche ed
ambientali in cui era costretto a vivere, non poteva permettersi una totale incoscienza durante
le periodiche fasi di riposo imposte dalla biologia; per questo il cervello
umano si è attrezzato fin
dalla notte dei tempi per
rispondere prontamente
col risveglio, a stimoli
esterni
in relazione
alla loro intensità, ma soprattutto all’eventuale
significato di rischio per
la sopravvivenza in essi
contenuto.
L’esempio classico è
quello della madre
esausta che non viene
svegliata dallo sferragliare del treno, ma dal
primo vagito di disagio
emesso dal figlio piccolo.
Oggi, le antiche paure
dei predatori o delle catastrofi naturali non sono sparite, ma semplicemente soppiantate da
paure nuove, più complesse e più soggettive,
a volte plausibili, a volte meno, comunque
sganciate dai problemi
di sopravvivenza o solo
simbolicamente pertinenti ad essi. Allo scopo di non turbare le nostre occupazioni quotidiane, i contenuti di
queste paure sono custoditi nella sfera psichica inconscia e possono manifestarsi attraverso i sogni durante il
sonno, quando, cioè i
controlli coscienti si allentano.
Il sogno, tuttavia, non è
un film intrapsichico
cui assistiamo da spettatori passivi: noi siamo all’interno dei
nostri sogni e ad
essi prendiamo
parte non solo
con i nostri
sensi, ma anche con le risposte motorie e verbali
provocate dai
relativi stimoli visivi, uditivi e tattili. Per
questo, parliamo nel sonno,
tocchiamo,
scappiamo: siamo terrorizzati
o deliziati, disgustati o sessualmente eccitati.
La prova scientifica di questa fre-
netica attività sta nel
fatto che, durante queste fasi, chiamate, appunto, di sonno paradosso, l’attività elettrica
del cervello diventa indistinguibile da quella
della veglia, non solo,
ma la pressione arteriosa sale ed aumenta la
frequenza cardiaca: aumenta l’afflusso di ossigeno ai muscoli periferici impegnati da un aumento del tono muscolare e dalla presenza di
movimenti, proprio come durante le attività
diurne. Gli occhi si spostano, come per seguire
gli spostamenti, gambe
e braccia si muovono
come se stessimo camminando o correndo: e
parliamo davvero, con
un immaginario interlocutore, spesso svegliando il partner che ci
dorme accanto e che, la
mattina dopo, ci riferisce le frasi pronunciate
durante il sonno.
Il sonnambulismo
Queste attività mimate
di cui, da svegli, non
Il
Macbeth
Giornale dei Grandi eventi
7
del sonno
logia al romanticismo
conserviamo alcun ricordo, possono trasformarsi a volte, per predisposizione personale o
cause contingenti, in
azioni più complesse e
coordinate, come ad
esempio, alzarsi dal letto, recarsi in altre stan-
ze, riprodurre comportamenti quotidiani.
Il motivo per cui il sonnambulismo turba l’immaginario, divenendo
spesso spunto di ispirazione letteraria o melodrammatica, sta nel fatto che questi comportamenti si verificano al di
fuori dello stato di coscienza abituale e che,
quindi, come quelli
prodotti dall’ipnosi, implicano il rischio di
azioni in contrasto con
la morale corrente o
pregiudizievoli dell’incolumità fisica del sonnambulo e dei suoi conviventi.
Anche se, in linea di
massima, questo rischio
è insignificante, non sono mancati episodi violenti per i quali, in sede
processuale, è stata valutata l’ipotesi che po-
tessero essere stati commessi in stato di sonnambulismo con conseguente ridimensionamento della responsabilità personale. Nel 1992,
una giuria di Toronto
ha addirittura assolto
un imputato di omicidio volontario per aver
agito in stato di incapacità psichica provocato
dal
sonnambulismo:
anche in Italia, per un
paio di aggressioni violente con armi da taglio,
è stata ventilata l’ipotesi di una ridotta capacità mentale temporanea dovuta allo stesso
motivo.
Dal punto di vista psicologico, si ritiene che
un soggetto in stato
sonnambulico non potrebbe commettere nulla che non commetterebbe da sveglio, in
quanto le abituali inibizioni morali rimangono
attive anche in questo
stato: tuttavia, il mito
della completa libertà
primigenia è talmente
radicato in ognuno di
noi da indurci a pensare che il sonnambulo
possa permettersi di
agire comportamenti
desiderati, soprattutto
di stampo sessuale, senza i sensi di colpa derivanti dalla consapevolezza di essi.
Da questo mito scaturisce l’ispirazione letteraria che vede nella sonnambula la donna disinibita e, quindi, sessualmente fruibile; ma
dallo stesso mito, scaturiscono anche luoghi
comuni assai più banali
e del tutto privi di fondamento, come l’immagine stereotipa del sonnambulo che cammina
protendendo le mani
per prevenire ostacoli
(se si è coscienti del pericolo di urtare qualcosa, vuol dire che si è
svegli), oppure l’idea
che debba effettuare
percorsi alternativi che
da sveglio non farebbe
mai: e infine, l’opinione
comune che svegliare
un sonnambulo durante la crisi sia pericoloso.
Una cosa del genere è
fastidiosa per chiunque, ma certamente non
pericolosa, a
meno che non
si ammetta la
fondatezza del
precedente
luogo comune
per cui se uno
viene svegliato
di soprassalto
mentre passeggia sul tetto, è
facile che cada
facendosi male.
Anche il rischio implicito
nello svegliare
un sonnambulo ha, nell’immaginario, radici profonde
legate alla presunta inconsapevolezza del
dormiente nel
compiere azioni desiderate
ma moralmente riprovevoli:
una donna, ad
esempio, po-
trebbe sorprendere sé
stessa nella flagranza di
un atto sessuale e restare distrutta dall’assalto
improvviso dei sensi di
colpa.
Giuseppe Magnarapa
Neuropsichiatra
Macbeth
8
Il
Giornale dei Grandi eventi
Il librettista Francesco Maria Piave
«El Maestro el vol cussì…»
E
ra figlio di un vetraio di Murano
Francesco
Maria
Piave, librettista di Verdi
in diverse opere, nato a
Venezia nel 1810 ed avviato dal padre, come molti
giovani del suo tempo, alla carriera ecclesiastica.
Mentre continuava gli studi, si occupò con modesti
lavori di traduzione, correzioni di bozze, stesura di
articoli e novelle. Si dilettava anche nella composizione di canzoni e ballate,
facendosi presto notare
nell’ambiente intellettuale
veneziano soprattutto per
la sua abilità nell’improvvisare versi in dialetto.
Nel 1842 fu notato dal conte Alvise Mocenigo, allora
presidente degli spettacoli
Alla Fenice, il quale lo
chiamò come librettista ufficiale del Teatro. Incarico
che Piave mantenne insieme con quello di direttore
degli spettacoli e regista
stabile, fino al 1859, quando Verdi lo fece entrare
come “direttore della messa in scena” alla Scala. Il
suo primo libretto fu il Duca d’Alba (1842) per Giovanni Pacini. A questo seguirono lavori anche per
Saverio Mercadante (La
schiava saracena, 1848), Federico Ricci (Crispino e la
comare, 1850) ed altri musicisti contemporanei: in
tutto, nella sua vita compose 61 opere musicate ed
11 incompiute, la produzione più prolifica fra i
poeti melodrammatici dell’epoca.
Per Verdi scrisse dieci libretti: I Due Foscari ed Ernani (1844), Macbeth (1847
e 1865), Il Corsaro (1848),
Stiffelio (1850), Rigoletto
(1851), Traviata (1853), Simon Boccanegra (1857),
Aroldo (rifacimento dello
Stiffelio) (1857) e La Forza
del destino (1862). A questi
si devono aggiungere nel
1846 la revisione dell’Attila di Temistocle Solera e
due libretti mai musicati:
Cromwell a cui Verdi pre-
ferì Ernani ed uno dal titolo sconosciuto, proposto
come alternativa alla Traviata.
Il rispetto e l’ammirazione
che il librettista nutriva
per verdi, lo resero disposto ad accettare il forte carattere del maestro. Famosa rimase la frase «El maestro el vol cussì…», che ripeteva ogni qualvolta fosse costretto ad apportare
modifiche ed a subire interventi d’ogni genere sui
libretti, a sopportare la
noiosa Busseto, a prestarsi
ai tradimenti ed ai malumori del compositore, il
quale peraltro gli fu legato
da profondo affetto e lo
stimò più che ogni altro librettista.
Nel 1867, paralizzato da
un’apoplessia, Francesco
Maria Piave si ritirò a vita
privata, trascorrendo gli
ultimi anni isolato ed in
condizioni finanziarie precarie. Verdi costituì un
fondo a favore della figlia
Adelaide e promosse in-
Dal Vaticano francobolli
e CD musicale
Macbeth, regia di Orson Welles (1948)
Trono di sangue, regia di Akira Kurosawa (1957)
Macbeth, regia di Bryan Enk (2003)
Macbeth - lotta per il potere, ripresa in chiave moderna del
Macbeth, ambientata sullo sfondo di una violenta guerra
tra bande nell'Australia del Sud. Il film, come il Romeo e
Giulietta girato da Baz Luhrmann, mantiene gli stessi dialoghi dell'opera teatrale. Regia di Geoffrey Wright (2006)
semplificando all’estremo
le loro trame ed accendendole di forti passioni, ispirate a valori religiosi e patriottici. Per questa sua
abilità nel costruire situazioni fu apprezzato da
Verdi, il quale non dava
importanza al valore dei
suoi versi, considerati dalla critica «grossolani ed approssimativi». Oggi, invece,
Piave è rivalutato anche
come poeta ingegnoso e
garbato.
Mi. Mar
Filatelia Musicale
Macbeth al cinema
Macbeth, regia di Roman Polanski (1971)
sieme con altri
compositori ed all’editore Ricordi,
un Album di romanze, dalla cui
vendita fu tratto
un ricavato a beneficio della giovane. Alla morte
del poeta, avvenuta a Milano nel
1876, Verdi si occupò anche delle
cerimonie funebri.
Fedele seguace
dei modelli del
Romanticismo europeo,
Piave aderì alla scuola avviata dal Romani, aggiornandola però con nuove
esperienze linguistiche derivanti dai contemporanei,
come Manzoni e Bodio,
dai quali spesso prendeva
in prestito intere immagini. Trasse ispirazione dagli
scrittori romantici come
Victor Hugo (Ernani, Rigoletto), Alexandre Dumas
figlio (Traviata) e Bayron (I
Due Foscari, Il Corsaro),
S
i sa che la musica è la grande passione di Papa Ratzinger, il quale immediatamente dopo la sua elezione si è fatto portare nel proprio appartamento del palazzo Apostolico un pianoforte che suona giornalmente. Forse
proprio per questo il Vaticano per il terzo
anno consecutivo ha abbinato all’emissione di due francobolli dedicati questa volta
al bicentenario della nascita di Franz Liszt
ed la centenario della morte di Gustav
Mahler, ha realizzato un folder denominato “Die Emissionis n° 3” – emesso il 18 novembre - che raccoglie la serie filatelica
dedicata ai due musicisti. La confezione
che viene proposta al prezzo di € 9,90
compresi i due francobolli da € 0,75 ed
1,60, contiene anche in Compact Disc con
alcuni selezionati brani dei due musicisti.
Lo scorso anno francobolli e CD erano stati
dedicati a Chopin e Schumann, mentre nel
2009 il primo folder della serie fu dedicato
a Jakob Ludwig Felix Mendelssohn
Bartholdy ed al compositore tedesco Georg Friedrich Händel.
Dal Vaticano apprendiamo che l’iniziativa il prossimo anno subirà uno stop,
per riprendere nel 2013 dedicata a Giuseppe Verdi nel bicentenario della nascita del cigno di Busseto.
Mi. Mar.
Il
Macbeth
Giornale dei Grandi eventi
9
Storia dell’opera
Macbeth precursore della nuova
ed intima drammaticità verdiana
A
Francesco Maria
Piave, suo librettista fin dall’Ernani
del 1844, Giuseppe Verdi
dispensa consigli illuminanti, allegati al primo
schizzo di Macbeth: «Questa
tragedia è una delle più grandi creazioni umane…Nei versi ricordati bene che non vi
deve essere parola inutile: tutto deve dire qualche cosa, e bisogna adoperare un linguaggio sublime ad eccezione dei
cori delle streghe […] Brevità
e sublimità». Macbeth, dalla
tragedia omonima di
Shakespeare, porta in sé i
primi elementi di quella
che sarà la profonda drammaticità del Verdi maturo
e che si riveleranno compiutamente nella seconda
versione dell’opera, quella
parigina del 1865 - oggi
normalmente proposta -,
arricchita da un’esplorazione profonda dei meandri dell’animo umano, da
un’agghiacciante analisi
della crudeltà e della pazzia – si veda il personaggio
demoniaco di Lady Macbeth – e da un’ossessiva ricerca del particolare scenico, supporto a quello psicologico, con la ricchezza e
compiutezza di una partitura magistrale.
Quattro opere
in due anni
Era la primavera del 1846,
quando le trattative del
trentatreenne Verdi con
l’impresario Alessandro
Lanari per un’opera al Teatro della Pergola di Firenze
divennero ufficiali e precise: il successo di Attila sul
palcoscenico fiorentino
(dopo la prima rappresentazione alla Fenice di Venezia nel marzo dello stesso
anno) aveva consolidato i
rapporti professionali tra i
due ed il Maestro aveva
ora la possibilità di pensare
ad un soggetto – come avevano concordato - «fantastico». Era un periodo di
grande lavoro per Verdi, al
culmine di quei sei anni
(1842 - 1848) che lui definirà “Anni di Galera” (tra il
1846 e 1847 debutteranno 4
opere: Attila, Macbeth, I
Masnadieri e Jérusalem),
pressato com’era da richieste di opere da diversi teatri italiani e stranieri. Tra le
opzioni, Verdi aveva L’Avola di Franz Grillparzer e
appunto il Macbeth, cui si
comandarti di studiar bene la
posizione (la situazione drammatica) e le parole: la musica
viene da sé. Insomma, ho più
piacere che servi meglio il
poeta del maestro». Lo
stesso valeva per Marianna Barbieri-Nini, una Lady
Macbeth che doveva avere
«voce aspra, soffocata, cupa,
con qualcosa di diabolico».
E poi veniva l’ambientazione, la scena: come ren-
Il baritono Felice Varesi, primo interprete
Macbeth
aggiunsero, in seguito, I
masnadieri di Schiller (che
realizzerà ed andrà in scena a Londra, il 22 luglio del
1847). La decisione definitiva dipendeva, pare, dalla
disponibilità dell’interprete maschile: fosse stato un
buon tenore, la scelta sarebbe caduta su Avola o
Masnadieri, fosse stato invece un baritono, allora il
capolavoro shakespeariano avrebbe avuto la meglio. E così fu. All’inizio del
settembre 1846, Verdi si
calò nel Macbeth - decima
delle sue 28 opere liriche - e
cercò nella parola funzionale, scenica, il fulcro della
propria opera: con enfasi la
pretese dal librettista – come dal carteggio prima citato – e pure dal tanto invocato protagonista, quel
Felice Varesi, baritono, che
divenne oggetto delle sue
insistenti raccomandazioni: «Io non cesserò mai di rac-
to dopo affiderà il libretto
de I masnadieri).
Il debutto
La “prima” andò in scena a
Firenze il 14 marzo 1847,
diretta da Alamanno Biagi,
con un grande successo di
pubblico – il Maestro fu
chiamato alla ribalta, stando al resoconto del suocero
Antonio Barezzi, almeno
Il soprano Marianna Barbieri-Nini, prima interprete di Lady Macbeth
dere con efficacia lo spettro di Banco? «L’attore dovrà avere un velo cenerino,
ma assai rado e fino…». E le
streghe con le loro molteplici apparizioni? Verdi
con entusiasmo pensò alle
fantasmagorie della cosiddetta “lanterna magica”,
utilizzata moltissimo in
Francia, che permetteva la
realizzazione di effetti speciali di grande impatto:
«Se la cosa riesce bene, sarà
un affare da sbalordire e da
far correre un mondo di gente
solo per quello». Insomma,
Verdi teneva molto al successo dell’opera e l’attenzione quasi maniacale rivolta alla parola – in una
città, per altro, in cui la lingua era per tradizione elemento essenziale della cultura – gli fece anche optare
per una revisione e sistemazione dei versi di Piave,
chiamando in aiuto il poeta Andrea Maffei (cui subi-
quaranta volte – che lo
scortò fino all’albergo; e con
un guadagno di stima presso esponenti della cultura
fiorentina, tra cui il tragediografo Giovanni Battista
Niccolini, gli scultori Lorenzo Bartolini e Giovanni
Dupré, lo storiografo Gino
Capponi e il politico barone
Bettino Ricasoli. La critica
tuttavia non fu entusiasta,
soprattutto per ciò che riguardava il libretto di Piave, che divenne oggetto di
pesanti osservazioni e definito addirittura sulla Rivista
«profanazione in quattro atti»
dell’originale di Shakespeare, «La nullità del concetto
poetico rese difficile e quasi impossibile un concetto musicale
espressivo e caratteristico; la
ridicolezza di molte frasi insensate suscitarono a più riprese il riso degli spettatori».
Ma Verdi non si perse certo
d’animo, ma anzi vendette
a caro prezzo lo spartito a
Ricordi, ponendo pure come clausola che l’opera non
fosse mai rappresentata alla
Scala, dove riteneva che le
sue composizioni non venissero allestite in maniera
adeguata.
Macbeth venne modificato
dal Maestro più volte, la
prima nel 1855 quando
venne proposta a San Pietroburgo col titolo Sifardo il
Sassone e poi, diciotto anni
dopo il debutto, nel 1865, in
occasione di una ripresa al
Théâtre-Lyrique di Parigi
(21 aprile) – cui lui non assistette personalmente - con
aggiunte di Piave e tradotta
per intero da Charles–
Louis–Etienne Nuitter e
Alexandre
Beaumonte.
Questa “riforma” parigina
eliminò alcune pagine “sbagliate”: la cabaletta di Lady
Macbeth Trionfai! Securi alfine fu sostituita dalla splendida aria La luce langue e
quella di Macbeth alla fine
del terzo atto con il duetto
Ora di morte; venne cambiato il coro iniziale del quarto
atto, introdotto un nuovo
finale, aggiunti i brani strumentali delle danze e l’episodio fugato, commento alla battaglia; si considerino
poi i ritocchi minori in tutta
la partitura con netti miglioramenti linguistici. Il
maestro voleva a tutti i costi una drammaticità più intensa e le testimonianze lasciate dagli artisti alle prese
con prove interminabili,
«tormentati per ore e ore col
medesimo pezzo», sono assai
chiarificatrici: è di nuovo la
Barbieri–Nini la protagonista femminile: «Durerete fatica a crederlo, ma la scena del
sonnambulismo mi portò via
tre mesi di studio: io per tre
mesi, mattina e sera, cercai di
imitare quelli che parlano dormendo, che articolano parole
(come mi diceva il Verdi) senza
quasi muover le labbra. E lasciando immobili le altre parti
del viso. Compresi gli occhi. Fu
una cosa da ammattire…».
barbara catellani
Macbeth
10
Il
Giornale dei Grandi eventi
Shakespeare nell’opera
Fonte inesauribile di soggetti
A
mplissima è la schiera
dei compositori che si
sono lasciati attrarre dalle atmosfere immaginate da
Shakespeare, lunghissima la lista dei titoli operistici legati alla
sua produzione teatrale, anche
se non sempre all’altezza del
gravoso compito di tradurre in
musica la complessa drammaturgia del poeta di Stratford-onAvon. Il seguente excursus non
ha certo l’ambizione di essere
esaustivo, se si pensa che dal solo soggetto di Macbeth sono stati
tratti ben 27 titoli musicali, ma
vuole puntare l’attenzione su alcune opere non molto conosciute al grande pubblico, eppure di
alto valore estetico. Tralasciando
il discorso su Verdi, trattato in
altra sede, piace iniziare questi
appunti con un lavoro molto noto e rappresentato nei paesi di
lingua tedesca, da noi ingiustamente trascurato. Mi riferisco a
Die Lustigen Weiber von Windsor (Le allegre comari di Windsor),
estremo capolavoro di Otto Nicolai, compositore nato a Königsberg nel 1810 e morto prematuramente a Berlino nel 1849. La
commedia gli perviene nella traduzione, colma di languori romantici, fatta da Schlegel e
Tieck. Lo stesso Nicolai partecipa alla stesura del libretto, il
quale porta la firma di H.S. Mosenthal, mostrando in tal senso
grande attenzione e rispetto verso il dettato shakespeariano. La
perfetta fusione fra stile italiano
e tedesco, esplicitamente ricercata dal compositore, contribuisce
alla creazione di una partitura
ricca di fascino ed incantamento.
Nelle sue pagine spira a volte
un’aria dalla levità mendelssohniana, altro autore particolarmente legato a Shakespeare, insieme a suggestioni che ricordano Mozart, Weber e persino Wagner. Una cantabilità tutta italiana
percorre alcuni momenti, come il duetto fra Fenton ed
Anna, mentre la
burla conclusiva,
ammantata in soffici atmosfere fiabesche, è un miracolo
di leggerezza.
Ancora scenari fatati in A Midsummer
Night’s Dream (Sogno di una notte di
mezza estate) di
Benjamin Britten,
tratto dall’omonimo lavoro shakespeariano,
testo
verso il quale il
compositore inglese mostra una autentica passione. La
partitura, ultimata
nel 1960 dopo sette mesi di lavoro, raffinata ed originalissima, si
avvale del formidabile senso teatrale del suo autore, egli stesso
responsabile della riduzione librettistica insieme a Peter Pears.
La scrittura orchestrale riesce
nell’arduo compito di dare vita
all’invisibile, delineando atmosfere oniriche e notturne, muovendosi agevolmente sulla linea
sottile che separa il naturale dal
sovrannaturale. Un capolavoro
del Novecento che avremo il
piacere di ascoltare il prossimo
giugno proprio all’Opera di Roma, come anticipazione delle celebrazioni dedicate a Britten previste per il 2013, anno nel quale
ricorre il centenario della nascita. Scenari completamente diversi animano il Lear di Aribert
Reimann, soggetto a lungo vagheggiato dallo stesso Verdi, il
quale era particolarmente attratto dalle figure paterne, ed infine
realizzato dal compositore tedesco, che confeziona una partitura di incredibile forza drammatica. L’idea iniziale è del grande
Dietrich Fischer-Dieskau, memorabile protagonista dell’opera nel suo primo allestimento,
presentato a Monaco di Baviera
nel 1978, il quale suggerisce al
compositore il soggetto. Dopo
varie esitazioni, Reimann si convince della bontà del progetto ed
inizia il lavoro sul libretto scritto
da Claus H. Hennenberg. Originalissima l’apertura, affidata alla
voce del baritono che esordisce
“a cappella”, cioè senza alcun
accompagnamento strumentale.
La vicenda procede inesorabile
sino alla sua conclusione, coinvolgendo i personaggi in una
spirale senza via d’uscita. Raramente il teatro musicale ha offerto una rappresentazione tanto
acuta e violenta della solitudine
dell’uomo. Avvicinandoci alla
contemporaneità troviamo Wintermärchen (Racconto d’inverno)
del compositore belga Philippe
Boesmans, classe 1936, ispirato
ad un lavoro in cui Shakespeare
mescola farsa e tragedia con consumata maestria. L’opera, eseguita per la prima volta nel dicembre del 1999 a Bruxelles, si
distingue per l’eclettismo della
scrittura e per una spiccata sensibilità ritmica. Vogliamo con-
cludere queste brevi note con
The Tempest del giovane compositore inglese Thomas Adès,
presentata in prima assoluta alla
Royal Opera House di Londra
nel febbraio del 2004. L’estremo
testamento shakespeariano ha
una qualità musicale tale da aver
stimolato l’ispirazione di autori
di ogni epoca, da Purcell a Berio.
Pur senza presentare significativi elementi di novità, evidenti,
ad esempio, i richiami a Britten
nel delineare atmosfere magiche
ed irreali, la partitura è fra le più
convincenti ed ambiziose partorite dalla fantasia di Adès ed una
delle più interessanti fra quelle
ascoltate negli ultimi anni. Un
segno che il richiamo di Shakespeare è ancora vivissimo e perfettamente attuale.
Riccardo cenci
Il
Macbeth
Giornale dei Grandi eventi
11
Verdi ed il commediografo inglese
Tre volte guardando a Shakespeare
C
on la composizione del Macbeth, Verdi mostra la volontà
di uscire dagli schemi sclerotizzati del melodramma italiano, tentando una svolta senza precedenti
nel proprio percorso artistico. Accostandosi al testo shakespeariano, il
giovane compositore è perfettamente consapevole di aver abbandonato i
placidi e sicuri lidi del consueto intreccio operistico, per approdare su
un terreno ben più accidentato. In tal
senso Macbeth è un lavoro isolato nel
panorama dell’epoca, un tentativo
solo in parte riuscito di realizzare
una svolta che vedrà la luce negli
estremi capolavori dell’Otello e del
Falstaff, non a caso entrambi basati
sull’opera del geniale drammaturgo
inglese. Non è difficile individuare le
peculiarità del Macbeth rispetto a
gran parte del teatro coevo; in questo
caso il conflitto che muove l’azione è
puramente interiore, e si svolge
nell’animo stesso dei protagonisti. Il
consueto triangolo amoroso viene
eluso, l’antagonista imposto dalla
tradizione non ha più una parte fondamentale, ed infatti sia Malcom che
Macduff ricoprono un ruolo ristretto
nell’economia dell’opera. Anche la
scrittura vocale viene piegata alle esigenze del dramma, tralasciando il
consueto virtuosismo per divenire
espressione diretta degli stati d’animo dei protagonisti. L’impianto
drammaturgico richiede brevità e
concisione, un ritmo inesorabile che
conduca fino all’inevitabile conclusione. L’attenzione di Verdi nei confronti del librettista è massima; egli
stesso interviene con maniacale insistenza nel lavoro di Piave, evidentemente disorientato dalle richieste del
compositore. La partecipazione di
Andrea Maffei alla stesura testimonia un disagio, un’incapacità di uscire da schemi collaudati che non soddisfacevano più l’ispirazione verdiana. Significativo è il fatto che, a distanza di ben diciotto anni dalla sua
creazione, l’autore senta l’esigenza
di tornare su un a partitura che sentiva ancora incompleta, un po’ come
Wagner fu sempre insoddisfatto del
suo Tannhäuser.
Macbeth è una tragedia del potere,
voluto e conquistato ad ogni costo,
un tema che troveremo spesso nella
produzione del bussetano (si pensi al
Don Carlos). La dialettica fra bene e
male si anima di una luce metafisica,
ulteriormente complicata dalla presenza dell’elemento sovrannaturale
William Shakespeare
(le streghe, le apparizioni che materializzano il senso di colpa di Macbeth). La conclusiva restaurazione
del potere legittimo riporta l’ordine
in una realtà sconvolta e turbata, ma
nell’ascoltatore resta l’idea di un
mondo dominato dall’ambizione e
dalla violenza, un universo nel quale
la paura sembra regnare sovrana. Il
rispetto di Verdi per Shakespeare è
massimo se egli, pur vagheggiando a
lungo un’opera basata sul King Lear,
attese la piena maturità per attingere
di nuovo all’ampio bagaglio artistico
del bardo di Stratford-on-Avon.
Otello è un lavoro nel quale l’uomo
appare in tutta la sua fragilità di
fronte al potere dell’irrazionale e del-
l’inconscio. Centro dell’azione è il
personaggio di Jago, al quale il librettista Boito dona accenti di scoperta e
demoniaca ambiguità, motore del
dramma la gelosia che diviene patologica. Otello è un eroe ma è anche
un reietto, un personaggio la cui diversità lo rende vulnerabile alle macchinazioni del proprio antagonista.
In quest’opera Verdi ampia il proprio vocabolario armonico e musicale; le forme chiuse appaiono come i
detriti di una tradizione ormai in via
d’estinzione, mentre la presenza di
un afflato sinfonico robusto rimanda
all’insegnamento wagneriano. L’adesione al modello shakespeariano
mostra il pessimismo dell’ultimo
Verdi, la sua rinuncia definitiva ad
un teatro che si faccia portatore di
valori assoluti ed incontestabili. La
disillusione è la cifra interpretativa
di Otello, la tragicità del destino umano il suo elemento più esplicito.
Dopo l’immersione nel dramma del
moro di Venezia ecco il Falstaff,
opera nella quale Verdi scioglie definitivamente i vetusti schemi melodrammatici in un continuum musicale di incredibile freschezza e vitalità.
Il libretto, confezionato ancora da
Boito, attinge all’Henry IV ed a The
Merry Wives of Windsor, opere nelle
quali emerge la figura di Falstaff,
tronfio spaccone verso il quale il
pubblico non può esimersi dal provare un sentimento di empatia. Ormai giunto alla fine della propria carriera, distaccato dalle cose del mondo e libero da costrizioni di carattere
etico, il compositore può affidare il
proprio messaggio estremo ad una
commedia, apparentemente lontana
dalle atmosfere che hanno segnato il
suo percorso artistico. In Falstaff il
tragico ed il comico convivono in mirabile equilibrio, attingendo pienamente alle profondità shakespeariane. In questo modo Verdi si congeda
con un sorriso, esorcizzando lo smarrimento dell’uomo di fronte all’insondabile enigma della vita e della
morte.
Riccardo cenci
La scheda
Il Macbeth di Shakespeare debuttò
in teatro esattamente 400 anni fa
Il Macbeth è una tragedia in 5 atti in versi e in prosa di William Shakespeare, scritta probabilmente nel 1606 e rappresentata – come prima data certa e documentata - a Londra presso il Globe Theatre il 20 aprile 1611 e pubblicata
nel 1623. Fonte dell'opera è la Chronicle (1577; 2° edizione ampliata 1587) di Raphael Holinshed basata, per quanto
concerne la Scozia, sulla tradizione inglese di John Bellenden delle Scotorum Historiae (1527) di Hector Boece. Una
alteration della tragedia fu realizzata da William Davenant e rappresentata al Duke's Theatre di Londra il 5 novembre1664 (pubblicata nel 1674) con le musica di scena di Matthew Locke. Una riduzione e rielaborazione in francese
si deve a Jean-François Ducis, rappresentata a Parigi al Theatre Français, il l2 gennaio1784 e pubblicata nel 1790.
La vicenda reinterpreta, in termini di problema morale, il truce assassinio dell'antico Re di Scozia Duncan commesso dal valoroso generale Macbeth, istigato da una moglie ambiziosa e da una profezia che designava in lui un sovrano. La profezia, pronunciata da tre streghe, aggiungeva che il suo amico Banquo avrebbe generato dei re. Per
impedire l'avverarsi di ciò, Macbeth, pur tormentato dal rimorso e da visioni, decide di eliminare Banquo ed i suoi
familiari, ma il figlio di costui riesce a fuggire, come erano fuggiti i figli di Duncan, Malcolm e Donalbain. Essi, rifugiatisi in Inghilterra insieme con il nobile Macduff, stanno allestendo un esercito per marciare contro Macbeth. Le
streghe dicono a quest'ultimo di guardarsi da Macduff ed annunciano che Macbeth non potrà essere ucciso da uomo nato di donna, né sarà sconfitto finche la foresta di Birnam non muova verso il castello di Dunsinane. Non potendo raggiungere Macduff, Macbeth né fa assassinare la moglie ed i figlioletti. Pavido e torturato, egli commette
delitti sempre più inutili e gratuiti. Lady Macbeth intanto soffre di allucinazioni e, in stato di sonnambulismo, rivela
il delitto commesso; la sua mente non regge ed ella muore mentre l'esercito dei vendicatori sopraggiunge: nella foresta di Birnam ogni soldato prende un ramo d'albero per far schermo alla sua avanzata e si realizza così la profezia
del bosco che muove verso il castello di Dunsinane. Macbeth scende in campo ed è ucciso da Macduff, non nato di
donna in quanto era stato estratto anzitempo dal grembo della madre.
L. P.
www.acea.it
Cento anni di know-how, una rete di acquedotti di oltre 46.000 km
e acqua di qualità distribuita ogni giorno ad 8 milioni di italiani.
Questa è la realtà di Acea. Una realtà all’avanguardia che fa bene
all’ambiente, alla popolazione, al futuro.
L’acqua, l’uomo, la tecnologia.