anno XVII - Numero 81 - 27 novembre 2011 L’intervista Parla il regista Peter Stein A Pag. 2 Il Sonnambulismo Dalla neuropatologia al romanticismo A Pag. 6 e7 La Storia dell’Opera Macbeth, precursore della nuova drammaticità verdiana A Pag. 9 Shakespeare nell’opera Fonte inesauribile per i libretti. In tre opere per Verdi. A Pag. 10 e 11 Macbeth d i G i u s e p p e Ve r d i Macbeth 2 Il Parla il regista tedesco Peter Stein «No sovrastrutture, ma esaltazione della musica» N on si ritiene un buon regista shakespeariano Peter Stein, nato a Berlino 74 anni fa, da per quel suo devoto rispetto all’oggettività dei testi che si scontra con i troppi significati presenti nei lavori del drammaturgo inglese, sopra e sotto il testo. «In questo senso lo ritengo irrappresentabile perché troppo grande, troppo sfaccettato ed io, che inseguo ogni dettaglio, corro il rischio di perdermi per cercare di trasmetterli tutti». Malgrado questo Stein ha curato varie regie shakespeariane e nel 2013 metterà in scena in teatro il Re Lear al Burgtheater di Vienna con Klaus Maria Brandauer come protagonista. «Con Shakespeare preferisco confrontarmi sul palcoscenico “lirico” piuttosto che su quello teatrale, poiché già nel passaggio del testo dalla prosa all’opera ci sono problematiche che vengono eliminate: l’opera in musica per sua natura esige una semplificazione e Macbeth è tra i titoli in cui la rilettura verdiana è lineare ed ha sviluppato solo i cardini portanti della storia. In particolare le tre streghe sono un po’ il motore della trama, l’incarnazione del fato ed è l’unico caso in Shakespeare in cui il destino è fisicamente presente in scena». Stein firma quest’allestimento che è una co-produzione del Teatro dell’Opera romano con il Festival di Peter Stein Salisburgo dove lo spettacolo è andato in scena lo scorso 27 luglio montato nel grande spazio della Felsenreitschule, l’antico maneggio scavato nel cuore della montagna. Per questo l’allestimento è dovuto essere ora riadattato agli spazi di un normale teatro. «Non mi era mai capitato di riprendere uno spettacolo a soli quattro mesi di distanza – dice Stein – ma l’ho fatto per la relazione di fiducia che si è creata con Riccardo Muti dopo l’esperienza di quest’estate a Salisburgo». Muti, infatti, dirigerà questo spettacolo da lui a lungo preparato per il festival austriaco. Uno dei due ti- Il G iornale dei G randi eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. 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Il direttore napoletano poco più di un mese fa è stato nominato senza vincoli “Direttore Onorario a vita” dell’Opera di Roma. “Un titolo e non un incarico” che mai era esistito e che forse lascia un po’ perplessi, non tanto per il personaggio dall’indiscusso talento e che alla nomina pare non abbia dato grande importanza, quanto per l’essenza, visto che il tempio della lirica capitolino avrebbe bisogno più di vera e continuativa sostanza che di effimera forma. Peter Stein come al suo solito propone una regia assolutamente tradizionale: «Voglio esporre la storia, comunicarla in modo trasparente, renderla il più possibile leggibile secondo il pensiero di Verdi che molto – soprattutto con Macbeth – è stato addosso a Piave nella stesura del libretto. Ho cercato di esaltare le linee psicologiche dei due protagonisti, come anche la scena del sonnambulismo che è tra le cose più belle mai scritte dal compositore. Detesto le sovrapposizioni interpretative di tanti registi di oggi che potrebbero far apparire Macbeth come Berlusconi o sua moglie come Lady Gaga…. Sul palcoscenico la scena è il più possibile vuota, liscia, essenziale come una scatola nera abitata da pochi elementi, quali il pentolone delle streghe, la facciata del palazzo, il tavolo per il banchetto. In quest’allestimento, tendo a facilitare l’ascolto della musica: è il caso dei tre cori per le streghe che ho cercato di non mischiarli, bensì di allontanarli nello spazio in modo di fornire del suono quasi un effetto “stereofonico”. andrea Marini Giornale dei Grandi eventi Prossimi titoli Stagione 2012 del teatro dell’Opera di Roma 18 - 24 gennaio caNDIDe di Leonard Bernstein Wayne Marshall Direttore 21 - 28 febbraio MaDaMa bUtteRFLY di Giacomo Puccini Pinchas Steinberg Direttore 18 - 26 aprile IL baRbIeRe DI SIVIGLIa di Gioachino Rossini Bruno Campanella Direttore 25 - 31 maggio, 3 - 5 giugno attILa di Giuseppe Verdi Riccardo Muti Direttore 19 - 26 giugno a MIDSUMMeR NIGht’S DReaM di Benjamin Britten James Conlon Direttore Stagione estiva alle terme di caracalla due melodrammi da definire 23 - 31 ottobre La GIOcONDa Direttore di Amilcare Ponchielli Roberto Abbado ~~ La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi - 27 novembre, 11 dicembre 2011 Macbeth Melodramma in quattro atti Libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei da William Shakespeare Musica di Giuseppe Verdi Prima rappresentazione: Firenze, Teatro della Pergola, 14.3.1847 (2° versione: Parigi, Théâtre Lyrique, 19.4.1865) Maestro concertatore e Direttore Regia Maestro del Coro Scene Costumi Disegno luci Movimenti coreografici Maestro d’armi Riccardo Muti Peter Stein Roberto Gabbiani Ferdinand Wögerbauer Andrea Maria Heinreich Joachim Barth Lia Tsolaki Renzo Musumeci Greco Personaggi / Interpreti Macbeth Banco Lady Macbeth Dama di Lady Macbeth Macduff Malcolm Domestico di Macbeth Medico Sicario Araldo Prima apparizione Seconda apparizione Terza apparizione Tre streghe Dario Solari Riccardo Zanellato Tatiana Serjan Anna Malavasi Antonio Poli Antonio Corianò Luca Dall’Amico Gianluca Buratto Alessandro Spina Francesco Luccioni Luca Dall’Amico Claudio Prosperini * Marta Pacifici * Robert Christott, Michael Schefts, Volker Wahl * Allievi del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera diretto da José Maria Sciutto ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Allestimento in coproduzione con il Salzburger Festspiele Il Macbeth Giornale dei Grandi eventi E’ completamente ridisegnato per adeguarlo agli spazi del Teatro dell’Opera e dunque appare come un nuovo allestimento, questo Macbeth firmato dal regista tedesco 74enne Peter Stein, spettacolo che a fine luglio scorso è stato presentato con grande successo a Salisburgo in una co-produzione tra l’Opera di Roma e quel Festival, con la direzione di Riccardo Muti che ha diretto i Wiener Philharmoniker. Così ad appena quattro mesi di distanza il Macbeth della coppia Stein-Muti ridebutta inaugurando la nuova stagione del Teatro dell’Opera capitolino. Nuovo il cast che avrà in comune con Salisburgo solo Tatiana Serjan nei panni di una convincente Lady Macbeth, soprano che a Roma abbiamo visto a maggio scorso come Linda, la moglie di Rolando, ne La Battaglia di Legnano, mentre Antonio Poli che a Salisburgo aveva il ruolo di Malcom, qui avrà quello di Macduff. Sul podio Riccardo Muti, il quale all’Opera di Roma in questa stagione dirigerà un altro titolo verdiano, l’Attila in cartellone a fine del prossimo maggio, da lui lunga- mente preparato per il proprio debutto al Met nel febbraio 2010. Macbeth è la decima opera composta da Verdi ed è un po’ il culmine dei cosiddetti “Anni di galera” caratterizzati da un lavoro intenso, senza tregue che lo porteranno in quel 1847 a mettere in scena ben tre opere (Attila, Macbeth e I Masnadieri). La trama non si basa su una vi- 3 Le Repliche martedì 29 novembre, h. 20.30 giovedì 1 dicembre, h. 20.30 sabato 3 dicembre, h. 18.00 martedì 6 dicembre, h. 20.30 venerdì 9 dicembre, h. 20.30 domenica 11 dicembre, h. 16.30 cenda amorosa, quanto piuttosto sia sul gioco di sentimenti quali l’ambizione, la sete di potere, che sulla forte analisi psicologica dei personaggi. Un Macbeth filologico per aprire la Stagione atto I - In Scozia, in parte presso un bosco e in parte nel castello di Macbeth. L’atto si apre in un bosco dove alcune streghe commentano i sortilegi compiuti. Udendo il rullo di tamburi, capiscono che Macbeth, generale del Re di Scozia, sta per arrivare. Quest’ultimo, insieme a Banco, anch’egli generale dell’esercito del re Duncano, s’imbattono nelle streghe le quali, profetizzando, salutano il primo come «Sire di Cawdor e futuro Re di Scozia» ed il secondo «Padre di regnanti». Nel frattempo giungono i messaggeri del Re annunciando a Macbeth di essere stato eletto Sire di Cawdor, concretizzando così la prima profezia. Nell’atrio del suo castello, Lady Macbeth legge una lettera inviatale dal marito, nella quale racconta il vaticinio delle streghe. Immediatamente nei suoi pensieri si fa strada un macabro progetto di regicidio e sarà lei ad istigare Macbeth all’assassinio del Re, approfittando che Duncano intende trascorrere la notte al loro castello. Macbeth deve quindi agire subito e, dopo essere stato turbato da un’orrenda allucinazione - un pugnale con la lama irrorata di sangue - entra nella stanza del Sovrano e lo uccide. Subito Lady Macbeth entra nella stanza strappando dalle mani del marito il pugnale insanguinato per posarlo accanto alle guardie dormienti con l’intenzione di far ricadere su loro le accuse. Quando la mattina, Macduff va a svegliare il Sovrano e lo trova morto, le sue grida richiamano tutti: il Re è stato tradito ed ucciso. atto III - In un’oscura caverna, intorno ad un calderone che bolle. Macbeth torna ad interrogare le streghe, le quali profetizzano tre situazioni: la prima suggerisce a Macbeth di guardarsi da Macduff; la seconda gli predice che nessun uomo potrà nuocergli; la terza lo assicura invincibile fino a quando non vedrà la foresta di Birnam muoversi. Macbeth chiede quindi alle streghe notizie sui discendenti di Banco ed in quell’istante compaiono i fantasmi di otto Re, la stirpe di Banco che regnerà. Macbeth, a quella visione cade a terra svenuto. Ridestatosi e tornato al castello, racconta le profezie alla moglie, la quale, per la terza volta, lo istiga a uccidere anche le famiglie di Macduff e di Banco. La Trama atto IV - Sul confine fra Inghilterra e Scozia, nei pressi del bosco di Birnam, ed in parte nel castello di Macbeth. Macduff piange i suoi cari uccisi da Macbeth ed i profughi scozzesi versano lacrime per la Patria in mano ad un tiranno sanguinario. Malcolm, alla testa dei soldati inglesi, li invita a prendere un ramo dalla foresta di Birnam per mimetizzarsi ed avanzare dietro a lui al fine di liberare la Scozia dal tiranno. Intanto nel castello Lady Macbeth è colta di notte da sonnambulismo: il medico e la dama la vegliano ed assistono ad una scena che si ripete: la donna, in preda agli incubi, si alza dal letto e rievoca gli assassini di Duncano, Banco e Macduff, menatto II - Al castello di Macbeth e nel parco adiacente. tre affannosamente tenta di togliersi le macchie di sangue dalle mani. Malcom, figlio del Re, viene accusato di parricidio e fugge via. Nella pro- Le truppe inglesi assediano il castello, ma Macbeth si sente invincibipria stanza, Macbeth confida alla moglie la profezia fatta a Banco. Nuova- le, forte della profezia che nessun nato di donna gli potrà nuocere. mente Lady Macbeth convince il marito ad uccidere anche Banco ed il figlio Impassibile è anche alla notizia della morte di Lady Macbeth, ma Fleanzio. Nel parco vicino al castello un gruppo di sicari, assoldati da Mac- quando apprende che la foresta di Birnam si muove, grida al tradibeth, uccidono Banco, mentre Fleanzio riesce a fuggire. Intanto nel castello, mento ed, impugnati il pugnale e la spada, fronteggia Macduff al davanti ad una tavola imbandita, dame e cavalieri in clima di festa salutano quale ricorda il presagio della strega. Ma il suo avversario, mentre gli Macbeth nuovo re di Scozia. Ma l’arrivo di un sicario con la notizia della rivela di non essere nato da donna ma di essere stato tolto dal seno morte di Banco turba Macbeth, anche perché egli nota nel posto riservato a materno, lo ferisce mortalmente. Banco lo spettro di questo, che restando muto lo guarda fisso negli occhi. A cura di Lara Pasquali Macbeth 4 Il Giornale dei Grandi eventi Tatiana Serjan Dario Solari Lady Macbeth, donna volitiva e senza scrupoli Macbeth, il generale che volle farsi Re I l soprano tatiana Serjan nasce a San Pietroburgo dove ha cominciato gli studi musicali in pianoforte presso il Collegio Musicale e poi al Conservatorio e quindi gli studi vocali al Conservatorio Rimskij-Korsakov, dove si diploma con il massimo dei voti. Si è perfezionata in Italia all’Accademia delle Voci di Torino. Ha debuttato nel 1994 all’Opera Studio di San Pietroburgo con La traviata (Violetta), teatro dove ha cantato anche in La bohéme (Mimì e Musetta) nel 1996 e Così fan tutte (Fiordiligi) nel 1997, portata in tournée in Germania. E’ stata poi Lady Macbeth al Mtsensk di Šostakovič diretta dal M° Mstilav Rostropovič; nel 2000 si è esibita al San Pietroburgo State Musical Theater Zazarkalye nei Racconti d’Hoffmann (Antonia e Giulietta) e ne La bohéme (Mimì). Il suo debutto in Italia è stato al Regio di Torino nel 2002 come Lady Macbeth, ruolo che poi ha interpretato a Tokio con la Scala diretta da Muti. Ha cantato Un ballo in maschera; Il trovatore (Leonora); Sancta Susanna di Hindemith al Festival di Ravenna ed a New York diretta da Muti, al Teatro Nacional de Sao Carlos a Lisbona, alla Scala ed a Montpellier; Das Reinhgold al Sao Carlos di Lisbona; Tosca al Comunale di Bologna, al Massimo di Palermo e al Festival di Bregenz; Don Giovanni; Norma. Ha debuttato Aida al Festival di Bregenz, I due Foscari a Parma e Modena; Il trovatore a Trieste e Pordenone e Tosca alla Deutsche Oper di Berlino. È stata solista in composizioni sacre nei palcoscenici dell’Academic Capella, Smolny Cathedral e State Hermitage (1994-2001) e partecipato al concerto finale del Festival di Ravenna, poi ripreso a Bosra (Siria) trasmesso dalla RAI, cantando un’ampia selezione di Norma sotto la guida di Riccardo Muti. Ha eseguito la XIV Sinfonia di Šostakovič al Sao Carlos di Lisbona, il Requiem di Verdi a Londra con la Philarmonia Orchestra diretta da Muti ed a Toulouse. Nella stagione che si è appena conclusa ha cantato come Linda ne La battaglia di Legnano all’Opera di Roma ed a luglio nelle vesti di Lady Macbeth nel Macbeth al Festival di Salisburgo. I l baritono Dario Solari è nato nel 1976 a Montevideo in Uruguay. Nel 1999 si è trasferito in Italia dove si è perfezionato con Paolo Washington. Ha preso parte all’inaugurazione della stagione 2003/2004 del Teatro dell’Opera di Roma, come Cloteau nella prima esecuzione assoluta della Marie Victoire di Respighi, sotto la direzione di Gianluigi Gelmetti. Si è esibito al Festival di Martina Franca in Romeo e Giulietta (Paride) di Marchetti, al Petruzzelli di Bari in Manon Lescaut (Lescaut). Quindi: Madama Butterfly (Sharpless) alla Deutsche Oper di Berlino; Maria Stuarda (Lord Guglielmo Cecil) e La leggenda di Sakùntala (Lo scudiero) di Alfano all’Opera di Roma; La Traviata a Montevideo; Carmen (Escamillo) al Pergolesi di Jesi, a Fermo ed al Landestheater di Salisburgo; Don Carlo (Rodrigo) a Tel Aviv diretto da Zubin Mehta. È stato un convincente Conte di Luna nel Trovatore alla Welsh National Opera di Cardiff. Tra le sue recenti interpretazioni: La Traviata (Giorgio Gérmont) alla Palm Beach Opera, a Cardiff con la regia di David Mc Vicar, al San Carlo di Napoli, al Music Festival di Pechino e all’Opera di Roma (Gelmetti / Zeffirelli); Carmen a Firenze, Ferrara, all’Arena di Verona ed alle Terme di Caracalla; Un ballo in maschera e Macbeth a Santiago del Cile; La dama di picche a Cardiff; Enrico in Lucia di Lammermoor al Savonlinna Opera Festival. Cristina Mazzavillani Muti lo ha scelto come Conte di Luna per la produzione del Trovatore a Ravenna e poi on tour in diverse città italiane. Ha debuttato come Guy de Montfort ne Les vêpres siciliennes diretto da Gelmetti al San Carlo di Napoli, teatro dove è tornato per I pagliacci (Tonio) poi in tournée in Russia. Ha riscosso un buon successo di pubblico e critica per La bohème (Marcello) a Toulouse. Ha inciso Parisina d'Este di Donizetti con Opera Rara Riccardo Zanellato Antonio Poli Banco, tradito ed ucciso, si ripresenta da fantasma Macduff, il predestinato ad uccidere l’usurpatore Macbeth D opo il diploma in chitarra al Conservatorio di Adria, il basso Riccardo Zanellato nel 1992 ha iniziato gli studi di canto sotto la guida di Arrigo Pola. Dopo essersi classificato tra i finalisti del concorso “Operalia” a Tokyo nel 1997, ha iniziato una brillante carriera. Ha cantato Dom Sébastien di Donizetti al Comunale di Bologna ed al Donizetti di Bergamo. Giovanissimo si sta ora affermando come uno degli artisti di riferimento per i ruoli di basso verdiani, avendo interpretato con successo: Attila e La battaglia di Legnano (Parma, Piacenza) I due Foscari al fianco di Renato Bruson (Cremona, Brescia e Piacenza), Stiffelio (Piacenza), Requiem, Rigoletto (Parma, Macerata, Lecce, Teatro alla Scala di Milano, Ancona), Il Corsaro (Lecce), Simon Boccanegra (Catania), Nabucco (Parma, Mannheim, Rovigo, Trento, Bolzano, Pisa, Festival di Savonlinna, Genova, Copenhagen ), I Puritani (Trieste), Aida (Genova, Napoli, Torino, Rovigo, Arena di Verona), Il Trovatore (Cagliari, Arena di Verona), Macbeth (Staatsoper di Berlino), Simon Boccanegra (Parma), Otello (Opera Bastille di Parigi). Nel 2011 è stato Padre Guardiano ne La forza del Destino al Regio di Parma diretto da Gelmetti; Zaccaria dal Nabucco in scena all’Opera di Roma sotto la guida di Muti; Walter nella Luisa Miller di Verdi all’Operà de Lyon dir. Kazushi Ono; Ramfis in Aida alla Wlaamse Opera; Debutto nel ruolo di Mosè al Rossini Opera Festival di Pesaro nel Mosè in Egitto diretto da Abbado; Raimondo dalla Lucia di Lammermoor al Festival di Stresa; Stabat Mater di Rossini alla basilica di S. Siro a Sanremo diretto da Gelmetti; Cardinale Brogni da La Juive di Halevy al festival di Ljubljana. I prossimi Impegni lo vedranno impegnato nel Requiem di Verdi sempre con Muti al Teatro S. Carlo di Napoli. A Gennaio 2012 Luisa MIller a Bilbao, Aida alla Scala di Milano, Requiem di Verdi a Vilnius, Poliuto di Donizetti a Zurigo. Il tenore antonio Poli è nato a Viterbo ed ha studiato all’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Attualmente studia con il Maestro Romualdo Savastano all’Accademia A.R.T Musica. Tra il 2004 ed il 2006 partecipa a numerosi concorsi vocali. Nel 2006 ha debuttato nella parte di Alessadro (Il re pastore) con la Roma Sinfonietta diretta da Marcello Pannimentre nel 2007 ha interpretato il figlio di Bruschino (Il signor Bruschino di Giachino Rossini) con l’Orchestra di Santa Cecilia diretta da Rizzari e la regia di Daniele Abbado. Inoltre canta nel Vesprae Solennes de confessore e nella Krönungsmesse diretta da Andreas Engelhardt, nelle Cantate Massoniche K471 e K623 con l’Orchestra di Roma e del Lazio diretta da Lü Jia e nel Magnificat di Johann Sebastian Bach diretto da Martin Weber. Nel 2008 fa parte dell’Ensemble Giovani della Semperoper di Dresda. Nel marzo 2010 è Ismaele nella nuova produzione del Nabucodonor dell’Opera di Roma, con la direzione di Muti. Prende parte anche al Concerto di Pasqua al Duomo di Orvieto ed al Concerto offerto dal Presidente della Repubblica a Benedetto XVI alla Sala Nervi in vaticano con Coro e Orchestra dell’Opera di Roma. Al Festival di Salisburgo è Malcom nella produzione di Macbeth con la regia di Peter Stein. Nell’estate del 2010 ha preso parte al progetto per giovani cantanti del Festival di Salisburgo. Ha cantato nel Requiem di Mozart a Forlì e Rieti con il London Symphony Chorus, la Maderna Orchestra e l’Orchestra Giovani Europei diretta da Paolo Olmi; all’Auditorium Parco della Musica di Roma e per il K Festival con l’Orchestra di Santa Cecilia. Pagina a cura di Lara Pasquali – Foto di Corrado M. Falsini Il Macbeth Giornale dei Grandi eventi 5 Analisi Musicale Tragedia dove protagonista è l’ambientazione «C aro Lanari, questo Macbeth sarà pur la gran cosa; io ne sono entusiasmato […] Io credo che quest’opera, piacendo, sia per dare nuove tendenze alla nostra musica ed aprir nuove strade ai maestri presenti e avvenire». Scriveva così Verdi ad Alessandro Lanari, impresario della Pergola di Firenze, il teatro che il 14 marzo 1847 ospitò la prima di Macbeth. Verdi parlava, dunque, della sua nuova fatica con un certo entusiasmo; soprattutto ne sottolineava la concezione nuova e originale. In effetti Macbeth rappresentò una tappa fondamentale nel teatro verdiano, sul piano drammaturgico oltre che musicale. Nella fase pre-quarantottesca, prevalentemente segnata da opera di carattere risorgimentale, il dramma di origine shakespeariana, cominciava a distaccarsi da tematiche “corali” per incentrarsi su passioni e sentimenti individuali, sulla stessa strada di Ernani, dei Masnadieri, di Luisi Miller. Anche se non va dimenticato che il celebre coro “La Patria tradita” suscitò alla prima esecuzione una reazione straordinaria nel pubblico che lo interpretò come un chiaro richiamo patriottico. Nel Macbeth, rispetto alle altre opere citate, c’è comunque una componente importante in più, quella fantastica. Con Macbeth il fantastico, l’irreale entrano nel teatro verdiano e, in generale nel teatro romantico italiano che guarda in genere al romanzo storico o pseudo storico. Per avere un’altra esperienza simile occorrerà attendere il Mefistofele di Boito. Sulle streghe del Macbeth gli studiosi si sono divisi tra chi loda la verve verdiana nel rendere il clima magico e chi invece lo accusa di banalità e di soluzioni scontate. In realtà, al di là dei singoli episodi, ciò che affascina in questa tragedia è il “colore”, l’atmosfera che la pervade. Opera notturna, cupa, già a partire dal Preludio che offre elementi musicali di sapore quasi beethoveniano, in particolare nel movimento lento. Il grigiore della scena è il filo conduttore di un’opera nella quale anche i momenti apparentemente gioiosi (il brindisi) degenerano in tragedia. Con mano sicura Verdi offre momenti di spettacolarità quando interrompe il banchetto gioioso con l’apparizione di Banco o quando costruisce il terzo atto (un’oscu- Macbeth Frontespizio primo spartito pianoforte (incisione di R. Focosi) ra caverna) con Macbeth che interroga le streghe e ascolta i responsi delle apparizioni. Un’opera senza amore In un’opera votata al dramma, nella quale sono stati eliminati anche quegli accenti più leggeri che si ritrovano nel teatro shakespeariano e che probabilmente avrebbero stonato fra le mani di Verdi, ci sono due aspetti che vale la pena sottolineare. Il primo è l’assenza dell’amore. Raro trovare un’opera verdiana nella quale non ci sia un rapporto amoroso fra due dei protagonisti; nella quale la figura femminile non sia in qualche modo animata nella sua azione da un sentimento di trasporto nei confronti di un altro personaggio. Qui la molla generatrice di ogni azione è l’ambizione, la sete di potere. E questo rende i personaggi sordi a ogni sentimento di pietà, e, probabilmente per questo, anche poco “simpatici”. Figure negative Macbeth e Lady Macbeth, ma non amabili come lo sono altri personaggi discutibili del teatro, da Don Giovanni allo stesso Rigoletto. Vocalità diversa Questa rigidità, questa chiusura in una dimensione egoistica, li rende anche refrattari al canto. Il secondo punto importante è proprio questo, la ricerca che Verdi conduce di una vocalità diversa, modellata sulla parola, poco disposta a sciogliersi in melodie di ampia cantabilità. Ci sono, certo, arie di bella costruzione: pensiamo a quella di Macduff nell’Atto IV (“Ah la paterna mano”) o a quella di Macbeth ancora nell’ulti- mo atto (“Pietà, rispetto, amore”). Ma ciò che emerge soprattutto è la genialità con cui Verdi costruisce l’opera sul piano drammaturgico, legando azione, parola e musica. Emergono, dunque, cori di notevole effetto: pensiamo al finale del primo atto o al coro “Patria oppressa” dell’ultimo. Ed emergono pure scene di straordinaria incisività. Ad esempio si possono segnalare il duetto fra Lady Macbeth e Macbeth nel secondo atto e la già citata scena del banchetto nello stesso atto. Capolavoro assoluto è poi la scena del sonnambulismo nel quarto atto. Verdi la prepara con grande cura e intelligenza: un tema orchestrale aperto, fluente, di forte tensione emotiva. Poi arriva Lady, trasfigurata. Non è più la donna di ghiaccio, fredda calcolatrice che si era vista fino a questo momento. E’ in preda a delirio, oppressa da visioni. Meccanicamente continua a fregarsi le mani quasi a voler cancellare una immaginaria macchia di sangue che l’opprime e la uccide. Il canto è frammentato come frammentato è il testo, ricco di punti sospensivi, di interruzioni, di pause. Emerge da questa pagina l’idea di teatro che Verdi stava maturando e che ci rimanda persino a Mozart. Quando Amadeus compose Idomeneo si scontrò contro la presunzione dei cantanti che arrivati al quartetto, splendido, “Andrò ramingo e solo” lo trovavano angusto per le voci, poco cantabile: il che era esattamente quel che voleva l’autore, in cerca non tanto di canto, quanto di uno stile conversativo. Quando Macbeth fu ripresa al San Carlo di Napoli, interprete principale la celebre Eugenia Tadolini, Verdi commentò: «La Tadolini ha troppo grandi qualità per fare quella parte! Vi parrà questo un assurdo forse!! La Tadolini ha una figura bella e buona ed io vorrei una Lady Macbeth brutta e cattiva. La Tadolini canta alla perfezione; ed io vorrei che Lady non cantasse. La Tadolini ha una voce stupenda, chiara, limpida, potente; ed io vorrei in Lady una voce aspra, soffocata, cupa. La voce della Tadolini ha dell’angelico; la voce di Lady vorrei che avesse del diabolico». Verdi, dunque, quasi provocatoriamente, cercava voci aspre, “brutte” per rendere la negatività dei suoi personaggi, al canto anteponeva la ragione drammaturgica, esattamente come Amadeus. E in un’altra lettera indirizzata a Leon Escudier alla vigilia dell’andata in scena al Théâtre-Lyrique della nuova versione del Macbeth a proposito della scena del sonnambulismo Verdi scrisse ancora: «Chi ha visto la Ristori sa che non si devono fare che pochissimi gesti, anzi tutto si limita quasi ad un gesto solo, cioè di cancellare una macchia di sangue che crede di aver sulla mano...La Ristori faceva un rantolo; il rantolo della morte. In musica non si deve né si può fare; come non si deve tossire nell’ultimo atto della Traviata né ridere nello “Scherzo o è follia” del Ballo in maschera». Lettere che mostrano la attenzione costante di Verdi per la scena, per la drammaturgia. «Sono solo un uomo di teatro…», aveva dichiarato una volta con falsa modestia. Ma è assolutamente vero che Verdi fu prima di tutto un grande uomo di teatro. E fu questo ad avvicinarlo a Shakespeare che amò sopra ogni altro autore ed al quale sarebbe tornato in chiusura di carriera creando quei due capolavori straordinari che sono Otello e Falstaff. Macbeth non era al loro livello e di questo Verdi fu perfettamente conscio se anni dopo, in occasione della citata ripresa a Parigi del 25 aprile 1865 la rivide e la ritoccò aggiungendo anche, come era nel gusto parigino, una scena di ballo. Ma se accettava critiche al suo Macbeth, respingeva le accuse di non conoscere Shakespeare: «Può darsi - dichiarò – che io non abbia reso bene il Macbeth, ma che io non conosco e non capisco e non sento Shacpeare (sic!) no, per Dio, no. E’ un poeta di mia predilezione che ho avuto fra le mani dalla mia prima gioventù e che leggo e rileggo continuamente». Roberto Iovino 6 Macbeth Il Giornale dei Grandi eventi Il fenomeno medico come disturbo Il sonnambulismo: dalla neuropato N on si può parlare di sonnambulismo senza una breve premessa caratteristiche sulle neurofisiologiche del sonno, questa strana dimensione della coscienza che ci impegna per circa un terzo della nostra vita. La prima idea che associamo al sonno è quella del riposo, naturalmente, ma il sonno non è soltanto questo: si può anzi dire che il cervello umano sia l’unico organo che funzioni a pieno ritmo ventiquattr’ore su ventiquattro. A differenza di tutti gli altri, infatti, esso non è soggetto a variazioni cicliche quantitative delle proprie funzioni, ma solo a variazioni qualitative: in altre parole, durante il sonno subentrano funzioni cerebrali diverse da quelle della veglia, non per questo meno importanti e anzi, in taluni casi, decisamente più incisive. Nel sonno, dunque, a differenza che nel coma, non siamo affatto privi di coscienza, ma semplicemente in uno stato di coscienza diverso da quello della veglia. A cosa serve, dunque il sonno? A riposare, certo, ma anche a fare in modo che l’organismo possa recuperare energie, senza restare, nel frattempo, alla mercé del mondo circostante: per questo, il cervello, in realtà, non dorme mai. Pensiamo, per un momento, all’uomo primitivo: nelle difficili condizioni atmosferiche ed ambientali in cui era costretto a vivere, non poteva permettersi una totale incoscienza durante le periodiche fasi di riposo imposte dalla biologia; per questo il cervello umano si è attrezzato fin dalla notte dei tempi per rispondere prontamente col risveglio, a stimoli esterni in relazione alla loro intensità, ma soprattutto all’eventuale significato di rischio per la sopravvivenza in essi contenuto. L’esempio classico è quello della madre esausta che non viene svegliata dallo sferragliare del treno, ma dal primo vagito di disagio emesso dal figlio piccolo. Oggi, le antiche paure dei predatori o delle catastrofi naturali non sono sparite, ma semplicemente soppiantate da paure nuove, più complesse e più soggettive, a volte plausibili, a volte meno, comunque sganciate dai problemi di sopravvivenza o solo simbolicamente pertinenti ad essi. Allo scopo di non turbare le nostre occupazioni quotidiane, i contenuti di queste paure sono custoditi nella sfera psichica inconscia e possono manifestarsi attraverso i sogni durante il sonno, quando, cioè i controlli coscienti si allentano. Il sogno, tuttavia, non è un film intrapsichico cui assistiamo da spettatori passivi: noi siamo all’interno dei nostri sogni e ad essi prendiamo parte non solo con i nostri sensi, ma anche con le risposte motorie e verbali provocate dai relativi stimoli visivi, uditivi e tattili. Per questo, parliamo nel sonno, tocchiamo, scappiamo: siamo terrorizzati o deliziati, disgustati o sessualmente eccitati. La prova scientifica di questa fre- netica attività sta nel fatto che, durante queste fasi, chiamate, appunto, di sonno paradosso, l’attività elettrica del cervello diventa indistinguibile da quella della veglia, non solo, ma la pressione arteriosa sale ed aumenta la frequenza cardiaca: aumenta l’afflusso di ossigeno ai muscoli periferici impegnati da un aumento del tono muscolare e dalla presenza di movimenti, proprio come durante le attività diurne. Gli occhi si spostano, come per seguire gli spostamenti, gambe e braccia si muovono come se stessimo camminando o correndo: e parliamo davvero, con un immaginario interlocutore, spesso svegliando il partner che ci dorme accanto e che, la mattina dopo, ci riferisce le frasi pronunciate durante il sonno. Il sonnambulismo Queste attività mimate di cui, da svegli, non Il Macbeth Giornale dei Grandi eventi 7 del sonno logia al romanticismo conserviamo alcun ricordo, possono trasformarsi a volte, per predisposizione personale o cause contingenti, in azioni più complesse e coordinate, come ad esempio, alzarsi dal letto, recarsi in altre stan- ze, riprodurre comportamenti quotidiani. Il motivo per cui il sonnambulismo turba l’immaginario, divenendo spesso spunto di ispirazione letteraria o melodrammatica, sta nel fatto che questi comportamenti si verificano al di fuori dello stato di coscienza abituale e che, quindi, come quelli prodotti dall’ipnosi, implicano il rischio di azioni in contrasto con la morale corrente o pregiudizievoli dell’incolumità fisica del sonnambulo e dei suoi conviventi. Anche se, in linea di massima, questo rischio è insignificante, non sono mancati episodi violenti per i quali, in sede processuale, è stata valutata l’ipotesi che po- tessero essere stati commessi in stato di sonnambulismo con conseguente ridimensionamento della responsabilità personale. Nel 1992, una giuria di Toronto ha addirittura assolto un imputato di omicidio volontario per aver agito in stato di incapacità psichica provocato dal sonnambulismo: anche in Italia, per un paio di aggressioni violente con armi da taglio, è stata ventilata l’ipotesi di una ridotta capacità mentale temporanea dovuta allo stesso motivo. Dal punto di vista psicologico, si ritiene che un soggetto in stato sonnambulico non potrebbe commettere nulla che non commetterebbe da sveglio, in quanto le abituali inibizioni morali rimangono attive anche in questo stato: tuttavia, il mito della completa libertà primigenia è talmente radicato in ognuno di noi da indurci a pensare che il sonnambulo possa permettersi di agire comportamenti desiderati, soprattutto di stampo sessuale, senza i sensi di colpa derivanti dalla consapevolezza di essi. Da questo mito scaturisce l’ispirazione letteraria che vede nella sonnambula la donna disinibita e, quindi, sessualmente fruibile; ma dallo stesso mito, scaturiscono anche luoghi comuni assai più banali e del tutto privi di fondamento, come l’immagine stereotipa del sonnambulo che cammina protendendo le mani per prevenire ostacoli (se si è coscienti del pericolo di urtare qualcosa, vuol dire che si è svegli), oppure l’idea che debba effettuare percorsi alternativi che da sveglio non farebbe mai: e infine, l’opinione comune che svegliare un sonnambulo durante la crisi sia pericoloso. Una cosa del genere è fastidiosa per chiunque, ma certamente non pericolosa, a meno che non si ammetta la fondatezza del precedente luogo comune per cui se uno viene svegliato di soprassalto mentre passeggia sul tetto, è facile che cada facendosi male. Anche il rischio implicito nello svegliare un sonnambulo ha, nell’immaginario, radici profonde legate alla presunta inconsapevolezza del dormiente nel compiere azioni desiderate ma moralmente riprovevoli: una donna, ad esempio, po- trebbe sorprendere sé stessa nella flagranza di un atto sessuale e restare distrutta dall’assalto improvviso dei sensi di colpa. Giuseppe Magnarapa Neuropsichiatra Macbeth 8 Il Giornale dei Grandi eventi Il librettista Francesco Maria Piave «El Maestro el vol cussì…» E ra figlio di un vetraio di Murano Francesco Maria Piave, librettista di Verdi in diverse opere, nato a Venezia nel 1810 ed avviato dal padre, come molti giovani del suo tempo, alla carriera ecclesiastica. Mentre continuava gli studi, si occupò con modesti lavori di traduzione, correzioni di bozze, stesura di articoli e novelle. Si dilettava anche nella composizione di canzoni e ballate, facendosi presto notare nell’ambiente intellettuale veneziano soprattutto per la sua abilità nell’improvvisare versi in dialetto. Nel 1842 fu notato dal conte Alvise Mocenigo, allora presidente degli spettacoli Alla Fenice, il quale lo chiamò come librettista ufficiale del Teatro. Incarico che Piave mantenne insieme con quello di direttore degli spettacoli e regista stabile, fino al 1859, quando Verdi lo fece entrare come “direttore della messa in scena” alla Scala. Il suo primo libretto fu il Duca d’Alba (1842) per Giovanni Pacini. A questo seguirono lavori anche per Saverio Mercadante (La schiava saracena, 1848), Federico Ricci (Crispino e la comare, 1850) ed altri musicisti contemporanei: in tutto, nella sua vita compose 61 opere musicate ed 11 incompiute, la produzione più prolifica fra i poeti melodrammatici dell’epoca. Per Verdi scrisse dieci libretti: I Due Foscari ed Ernani (1844), Macbeth (1847 e 1865), Il Corsaro (1848), Stiffelio (1850), Rigoletto (1851), Traviata (1853), Simon Boccanegra (1857), Aroldo (rifacimento dello Stiffelio) (1857) e La Forza del destino (1862). A questi si devono aggiungere nel 1846 la revisione dell’Attila di Temistocle Solera e due libretti mai musicati: Cromwell a cui Verdi pre- ferì Ernani ed uno dal titolo sconosciuto, proposto come alternativa alla Traviata. Il rispetto e l’ammirazione che il librettista nutriva per verdi, lo resero disposto ad accettare il forte carattere del maestro. Famosa rimase la frase «El maestro el vol cussì…», che ripeteva ogni qualvolta fosse costretto ad apportare modifiche ed a subire interventi d’ogni genere sui libretti, a sopportare la noiosa Busseto, a prestarsi ai tradimenti ed ai malumori del compositore, il quale peraltro gli fu legato da profondo affetto e lo stimò più che ogni altro librettista. Nel 1867, paralizzato da un’apoplessia, Francesco Maria Piave si ritirò a vita privata, trascorrendo gli ultimi anni isolato ed in condizioni finanziarie precarie. Verdi costituì un fondo a favore della figlia Adelaide e promosse in- Dal Vaticano francobolli e CD musicale Macbeth, regia di Orson Welles (1948) Trono di sangue, regia di Akira Kurosawa (1957) Macbeth, regia di Bryan Enk (2003) Macbeth - lotta per il potere, ripresa in chiave moderna del Macbeth, ambientata sullo sfondo di una violenta guerra tra bande nell'Australia del Sud. Il film, come il Romeo e Giulietta girato da Baz Luhrmann, mantiene gli stessi dialoghi dell'opera teatrale. Regia di Geoffrey Wright (2006) semplificando all’estremo le loro trame ed accendendole di forti passioni, ispirate a valori religiosi e patriottici. Per questa sua abilità nel costruire situazioni fu apprezzato da Verdi, il quale non dava importanza al valore dei suoi versi, considerati dalla critica «grossolani ed approssimativi». Oggi, invece, Piave è rivalutato anche come poeta ingegnoso e garbato. Mi. Mar Filatelia Musicale Macbeth al cinema Macbeth, regia di Roman Polanski (1971) sieme con altri compositori ed all’editore Ricordi, un Album di romanze, dalla cui vendita fu tratto un ricavato a beneficio della giovane. Alla morte del poeta, avvenuta a Milano nel 1876, Verdi si occupò anche delle cerimonie funebri. Fedele seguace dei modelli del Romanticismo europeo, Piave aderì alla scuola avviata dal Romani, aggiornandola però con nuove esperienze linguistiche derivanti dai contemporanei, come Manzoni e Bodio, dai quali spesso prendeva in prestito intere immagini. Trasse ispirazione dagli scrittori romantici come Victor Hugo (Ernani, Rigoletto), Alexandre Dumas figlio (Traviata) e Bayron (I Due Foscari, Il Corsaro), S i sa che la musica è la grande passione di Papa Ratzinger, il quale immediatamente dopo la sua elezione si è fatto portare nel proprio appartamento del palazzo Apostolico un pianoforte che suona giornalmente. Forse proprio per questo il Vaticano per il terzo anno consecutivo ha abbinato all’emissione di due francobolli dedicati questa volta al bicentenario della nascita di Franz Liszt ed la centenario della morte di Gustav Mahler, ha realizzato un folder denominato “Die Emissionis n° 3” – emesso il 18 novembre - che raccoglie la serie filatelica dedicata ai due musicisti. La confezione che viene proposta al prezzo di € 9,90 compresi i due francobolli da € 0,75 ed 1,60, contiene anche in Compact Disc con alcuni selezionati brani dei due musicisti. Lo scorso anno francobolli e CD erano stati dedicati a Chopin e Schumann, mentre nel 2009 il primo folder della serie fu dedicato a Jakob Ludwig Felix Mendelssohn Bartholdy ed al compositore tedesco Georg Friedrich Händel. Dal Vaticano apprendiamo che l’iniziativa il prossimo anno subirà uno stop, per riprendere nel 2013 dedicata a Giuseppe Verdi nel bicentenario della nascita del cigno di Busseto. Mi. Mar. Il Macbeth Giornale dei Grandi eventi 9 Storia dell’opera Macbeth precursore della nuova ed intima drammaticità verdiana A Francesco Maria Piave, suo librettista fin dall’Ernani del 1844, Giuseppe Verdi dispensa consigli illuminanti, allegati al primo schizzo di Macbeth: «Questa tragedia è una delle più grandi creazioni umane…Nei versi ricordati bene che non vi deve essere parola inutile: tutto deve dire qualche cosa, e bisogna adoperare un linguaggio sublime ad eccezione dei cori delle streghe […] Brevità e sublimità». Macbeth, dalla tragedia omonima di Shakespeare, porta in sé i primi elementi di quella che sarà la profonda drammaticità del Verdi maturo e che si riveleranno compiutamente nella seconda versione dell’opera, quella parigina del 1865 - oggi normalmente proposta -, arricchita da un’esplorazione profonda dei meandri dell’animo umano, da un’agghiacciante analisi della crudeltà e della pazzia – si veda il personaggio demoniaco di Lady Macbeth – e da un’ossessiva ricerca del particolare scenico, supporto a quello psicologico, con la ricchezza e compiutezza di una partitura magistrale. Quattro opere in due anni Era la primavera del 1846, quando le trattative del trentatreenne Verdi con l’impresario Alessandro Lanari per un’opera al Teatro della Pergola di Firenze divennero ufficiali e precise: il successo di Attila sul palcoscenico fiorentino (dopo la prima rappresentazione alla Fenice di Venezia nel marzo dello stesso anno) aveva consolidato i rapporti professionali tra i due ed il Maestro aveva ora la possibilità di pensare ad un soggetto – come avevano concordato - «fantastico». Era un periodo di grande lavoro per Verdi, al culmine di quei sei anni (1842 - 1848) che lui definirà “Anni di Galera” (tra il 1846 e 1847 debutteranno 4 opere: Attila, Macbeth, I Masnadieri e Jérusalem), pressato com’era da richieste di opere da diversi teatri italiani e stranieri. Tra le opzioni, Verdi aveva L’Avola di Franz Grillparzer e appunto il Macbeth, cui si comandarti di studiar bene la posizione (la situazione drammatica) e le parole: la musica viene da sé. Insomma, ho più piacere che servi meglio il poeta del maestro». Lo stesso valeva per Marianna Barbieri-Nini, una Lady Macbeth che doveva avere «voce aspra, soffocata, cupa, con qualcosa di diabolico». E poi veniva l’ambientazione, la scena: come ren- Il baritono Felice Varesi, primo interprete Macbeth aggiunsero, in seguito, I masnadieri di Schiller (che realizzerà ed andrà in scena a Londra, il 22 luglio del 1847). La decisione definitiva dipendeva, pare, dalla disponibilità dell’interprete maschile: fosse stato un buon tenore, la scelta sarebbe caduta su Avola o Masnadieri, fosse stato invece un baritono, allora il capolavoro shakespeariano avrebbe avuto la meglio. E così fu. All’inizio del settembre 1846, Verdi si calò nel Macbeth - decima delle sue 28 opere liriche - e cercò nella parola funzionale, scenica, il fulcro della propria opera: con enfasi la pretese dal librettista – come dal carteggio prima citato – e pure dal tanto invocato protagonista, quel Felice Varesi, baritono, che divenne oggetto delle sue insistenti raccomandazioni: «Io non cesserò mai di rac- to dopo affiderà il libretto de I masnadieri). Il debutto La “prima” andò in scena a Firenze il 14 marzo 1847, diretta da Alamanno Biagi, con un grande successo di pubblico – il Maestro fu chiamato alla ribalta, stando al resoconto del suocero Antonio Barezzi, almeno Il soprano Marianna Barbieri-Nini, prima interprete di Lady Macbeth dere con efficacia lo spettro di Banco? «L’attore dovrà avere un velo cenerino, ma assai rado e fino…». E le streghe con le loro molteplici apparizioni? Verdi con entusiasmo pensò alle fantasmagorie della cosiddetta “lanterna magica”, utilizzata moltissimo in Francia, che permetteva la realizzazione di effetti speciali di grande impatto: «Se la cosa riesce bene, sarà un affare da sbalordire e da far correre un mondo di gente solo per quello». Insomma, Verdi teneva molto al successo dell’opera e l’attenzione quasi maniacale rivolta alla parola – in una città, per altro, in cui la lingua era per tradizione elemento essenziale della cultura – gli fece anche optare per una revisione e sistemazione dei versi di Piave, chiamando in aiuto il poeta Andrea Maffei (cui subi- quaranta volte – che lo scortò fino all’albergo; e con un guadagno di stima presso esponenti della cultura fiorentina, tra cui il tragediografo Giovanni Battista Niccolini, gli scultori Lorenzo Bartolini e Giovanni Dupré, lo storiografo Gino Capponi e il politico barone Bettino Ricasoli. La critica tuttavia non fu entusiasta, soprattutto per ciò che riguardava il libretto di Piave, che divenne oggetto di pesanti osservazioni e definito addirittura sulla Rivista «profanazione in quattro atti» dell’originale di Shakespeare, «La nullità del concetto poetico rese difficile e quasi impossibile un concetto musicale espressivo e caratteristico; la ridicolezza di molte frasi insensate suscitarono a più riprese il riso degli spettatori». Ma Verdi non si perse certo d’animo, ma anzi vendette a caro prezzo lo spartito a Ricordi, ponendo pure come clausola che l’opera non fosse mai rappresentata alla Scala, dove riteneva che le sue composizioni non venissero allestite in maniera adeguata. Macbeth venne modificato dal Maestro più volte, la prima nel 1855 quando venne proposta a San Pietroburgo col titolo Sifardo il Sassone e poi, diciotto anni dopo il debutto, nel 1865, in occasione di una ripresa al Théâtre-Lyrique di Parigi (21 aprile) – cui lui non assistette personalmente - con aggiunte di Piave e tradotta per intero da Charles– Louis–Etienne Nuitter e Alexandre Beaumonte. Questa “riforma” parigina eliminò alcune pagine “sbagliate”: la cabaletta di Lady Macbeth Trionfai! Securi alfine fu sostituita dalla splendida aria La luce langue e quella di Macbeth alla fine del terzo atto con il duetto Ora di morte; venne cambiato il coro iniziale del quarto atto, introdotto un nuovo finale, aggiunti i brani strumentali delle danze e l’episodio fugato, commento alla battaglia; si considerino poi i ritocchi minori in tutta la partitura con netti miglioramenti linguistici. Il maestro voleva a tutti i costi una drammaticità più intensa e le testimonianze lasciate dagli artisti alle prese con prove interminabili, «tormentati per ore e ore col medesimo pezzo», sono assai chiarificatrici: è di nuovo la Barbieri–Nini la protagonista femminile: «Durerete fatica a crederlo, ma la scena del sonnambulismo mi portò via tre mesi di studio: io per tre mesi, mattina e sera, cercai di imitare quelli che parlano dormendo, che articolano parole (come mi diceva il Verdi) senza quasi muover le labbra. E lasciando immobili le altre parti del viso. Compresi gli occhi. Fu una cosa da ammattire…». barbara catellani Macbeth 10 Il Giornale dei Grandi eventi Shakespeare nell’opera Fonte inesauribile di soggetti A mplissima è la schiera dei compositori che si sono lasciati attrarre dalle atmosfere immaginate da Shakespeare, lunghissima la lista dei titoli operistici legati alla sua produzione teatrale, anche se non sempre all’altezza del gravoso compito di tradurre in musica la complessa drammaturgia del poeta di Stratford-onAvon. Il seguente excursus non ha certo l’ambizione di essere esaustivo, se si pensa che dal solo soggetto di Macbeth sono stati tratti ben 27 titoli musicali, ma vuole puntare l’attenzione su alcune opere non molto conosciute al grande pubblico, eppure di alto valore estetico. Tralasciando il discorso su Verdi, trattato in altra sede, piace iniziare questi appunti con un lavoro molto noto e rappresentato nei paesi di lingua tedesca, da noi ingiustamente trascurato. Mi riferisco a Die Lustigen Weiber von Windsor (Le allegre comari di Windsor), estremo capolavoro di Otto Nicolai, compositore nato a Königsberg nel 1810 e morto prematuramente a Berlino nel 1849. La commedia gli perviene nella traduzione, colma di languori romantici, fatta da Schlegel e Tieck. Lo stesso Nicolai partecipa alla stesura del libretto, il quale porta la firma di H.S. Mosenthal, mostrando in tal senso grande attenzione e rispetto verso il dettato shakespeariano. La perfetta fusione fra stile italiano e tedesco, esplicitamente ricercata dal compositore, contribuisce alla creazione di una partitura ricca di fascino ed incantamento. Nelle sue pagine spira a volte un’aria dalla levità mendelssohniana, altro autore particolarmente legato a Shakespeare, insieme a suggestioni che ricordano Mozart, Weber e persino Wagner. Una cantabilità tutta italiana percorre alcuni momenti, come il duetto fra Fenton ed Anna, mentre la burla conclusiva, ammantata in soffici atmosfere fiabesche, è un miracolo di leggerezza. Ancora scenari fatati in A Midsummer Night’s Dream (Sogno di una notte di mezza estate) di Benjamin Britten, tratto dall’omonimo lavoro shakespeariano, testo verso il quale il compositore inglese mostra una autentica passione. La partitura, ultimata nel 1960 dopo sette mesi di lavoro, raffinata ed originalissima, si avvale del formidabile senso teatrale del suo autore, egli stesso responsabile della riduzione librettistica insieme a Peter Pears. La scrittura orchestrale riesce nell’arduo compito di dare vita all’invisibile, delineando atmosfere oniriche e notturne, muovendosi agevolmente sulla linea sottile che separa il naturale dal sovrannaturale. Un capolavoro del Novecento che avremo il piacere di ascoltare il prossimo giugno proprio all’Opera di Roma, come anticipazione delle celebrazioni dedicate a Britten previste per il 2013, anno nel quale ricorre il centenario della nascita. Scenari completamente diversi animano il Lear di Aribert Reimann, soggetto a lungo vagheggiato dallo stesso Verdi, il quale era particolarmente attratto dalle figure paterne, ed infine realizzato dal compositore tedesco, che confeziona una partitura di incredibile forza drammatica. L’idea iniziale è del grande Dietrich Fischer-Dieskau, memorabile protagonista dell’opera nel suo primo allestimento, presentato a Monaco di Baviera nel 1978, il quale suggerisce al compositore il soggetto. Dopo varie esitazioni, Reimann si convince della bontà del progetto ed inizia il lavoro sul libretto scritto da Claus H. Hennenberg. Originalissima l’apertura, affidata alla voce del baritono che esordisce “a cappella”, cioè senza alcun accompagnamento strumentale. La vicenda procede inesorabile sino alla sua conclusione, coinvolgendo i personaggi in una spirale senza via d’uscita. Raramente il teatro musicale ha offerto una rappresentazione tanto acuta e violenta della solitudine dell’uomo. Avvicinandoci alla contemporaneità troviamo Wintermärchen (Racconto d’inverno) del compositore belga Philippe Boesmans, classe 1936, ispirato ad un lavoro in cui Shakespeare mescola farsa e tragedia con consumata maestria. L’opera, eseguita per la prima volta nel dicembre del 1999 a Bruxelles, si distingue per l’eclettismo della scrittura e per una spiccata sensibilità ritmica. Vogliamo con- cludere queste brevi note con The Tempest del giovane compositore inglese Thomas Adès, presentata in prima assoluta alla Royal Opera House di Londra nel febbraio del 2004. L’estremo testamento shakespeariano ha una qualità musicale tale da aver stimolato l’ispirazione di autori di ogni epoca, da Purcell a Berio. Pur senza presentare significativi elementi di novità, evidenti, ad esempio, i richiami a Britten nel delineare atmosfere magiche ed irreali, la partitura è fra le più convincenti ed ambiziose partorite dalla fantasia di Adès ed una delle più interessanti fra quelle ascoltate negli ultimi anni. Un segno che il richiamo di Shakespeare è ancora vivissimo e perfettamente attuale. Riccardo cenci Il Macbeth Giornale dei Grandi eventi 11 Verdi ed il commediografo inglese Tre volte guardando a Shakespeare C on la composizione del Macbeth, Verdi mostra la volontà di uscire dagli schemi sclerotizzati del melodramma italiano, tentando una svolta senza precedenti nel proprio percorso artistico. Accostandosi al testo shakespeariano, il giovane compositore è perfettamente consapevole di aver abbandonato i placidi e sicuri lidi del consueto intreccio operistico, per approdare su un terreno ben più accidentato. In tal senso Macbeth è un lavoro isolato nel panorama dell’epoca, un tentativo solo in parte riuscito di realizzare una svolta che vedrà la luce negli estremi capolavori dell’Otello e del Falstaff, non a caso entrambi basati sull’opera del geniale drammaturgo inglese. Non è difficile individuare le peculiarità del Macbeth rispetto a gran parte del teatro coevo; in questo caso il conflitto che muove l’azione è puramente interiore, e si svolge nell’animo stesso dei protagonisti. Il consueto triangolo amoroso viene eluso, l’antagonista imposto dalla tradizione non ha più una parte fondamentale, ed infatti sia Malcom che Macduff ricoprono un ruolo ristretto nell’economia dell’opera. Anche la scrittura vocale viene piegata alle esigenze del dramma, tralasciando il consueto virtuosismo per divenire espressione diretta degli stati d’animo dei protagonisti. L’impianto drammaturgico richiede brevità e concisione, un ritmo inesorabile che conduca fino all’inevitabile conclusione. L’attenzione di Verdi nei confronti del librettista è massima; egli stesso interviene con maniacale insistenza nel lavoro di Piave, evidentemente disorientato dalle richieste del compositore. La partecipazione di Andrea Maffei alla stesura testimonia un disagio, un’incapacità di uscire da schemi collaudati che non soddisfacevano più l’ispirazione verdiana. Significativo è il fatto che, a distanza di ben diciotto anni dalla sua creazione, l’autore senta l’esigenza di tornare su un a partitura che sentiva ancora incompleta, un po’ come Wagner fu sempre insoddisfatto del suo Tannhäuser. Macbeth è una tragedia del potere, voluto e conquistato ad ogni costo, un tema che troveremo spesso nella produzione del bussetano (si pensi al Don Carlos). La dialettica fra bene e male si anima di una luce metafisica, ulteriormente complicata dalla presenza dell’elemento sovrannaturale William Shakespeare (le streghe, le apparizioni che materializzano il senso di colpa di Macbeth). La conclusiva restaurazione del potere legittimo riporta l’ordine in una realtà sconvolta e turbata, ma nell’ascoltatore resta l’idea di un mondo dominato dall’ambizione e dalla violenza, un universo nel quale la paura sembra regnare sovrana. Il rispetto di Verdi per Shakespeare è massimo se egli, pur vagheggiando a lungo un’opera basata sul King Lear, attese la piena maturità per attingere di nuovo all’ampio bagaglio artistico del bardo di Stratford-on-Avon. Otello è un lavoro nel quale l’uomo appare in tutta la sua fragilità di fronte al potere dell’irrazionale e del- l’inconscio. Centro dell’azione è il personaggio di Jago, al quale il librettista Boito dona accenti di scoperta e demoniaca ambiguità, motore del dramma la gelosia che diviene patologica. Otello è un eroe ma è anche un reietto, un personaggio la cui diversità lo rende vulnerabile alle macchinazioni del proprio antagonista. In quest’opera Verdi ampia il proprio vocabolario armonico e musicale; le forme chiuse appaiono come i detriti di una tradizione ormai in via d’estinzione, mentre la presenza di un afflato sinfonico robusto rimanda all’insegnamento wagneriano. L’adesione al modello shakespeariano mostra il pessimismo dell’ultimo Verdi, la sua rinuncia definitiva ad un teatro che si faccia portatore di valori assoluti ed incontestabili. La disillusione è la cifra interpretativa di Otello, la tragicità del destino umano il suo elemento più esplicito. Dopo l’immersione nel dramma del moro di Venezia ecco il Falstaff, opera nella quale Verdi scioglie definitivamente i vetusti schemi melodrammatici in un continuum musicale di incredibile freschezza e vitalità. Il libretto, confezionato ancora da Boito, attinge all’Henry IV ed a The Merry Wives of Windsor, opere nelle quali emerge la figura di Falstaff, tronfio spaccone verso il quale il pubblico non può esimersi dal provare un sentimento di empatia. Ormai giunto alla fine della propria carriera, distaccato dalle cose del mondo e libero da costrizioni di carattere etico, il compositore può affidare il proprio messaggio estremo ad una commedia, apparentemente lontana dalle atmosfere che hanno segnato il suo percorso artistico. In Falstaff il tragico ed il comico convivono in mirabile equilibrio, attingendo pienamente alle profondità shakespeariane. In questo modo Verdi si congeda con un sorriso, esorcizzando lo smarrimento dell’uomo di fronte all’insondabile enigma della vita e della morte. Riccardo cenci La scheda Il Macbeth di Shakespeare debuttò in teatro esattamente 400 anni fa Il Macbeth è una tragedia in 5 atti in versi e in prosa di William Shakespeare, scritta probabilmente nel 1606 e rappresentata – come prima data certa e documentata - a Londra presso il Globe Theatre il 20 aprile 1611 e pubblicata nel 1623. Fonte dell'opera è la Chronicle (1577; 2° edizione ampliata 1587) di Raphael Holinshed basata, per quanto concerne la Scozia, sulla tradizione inglese di John Bellenden delle Scotorum Historiae (1527) di Hector Boece. Una alteration della tragedia fu realizzata da William Davenant e rappresentata al Duke's Theatre di Londra il 5 novembre1664 (pubblicata nel 1674) con le musica di scena di Matthew Locke. Una riduzione e rielaborazione in francese si deve a Jean-François Ducis, rappresentata a Parigi al Theatre Français, il l2 gennaio1784 e pubblicata nel 1790. La vicenda reinterpreta, in termini di problema morale, il truce assassinio dell'antico Re di Scozia Duncan commesso dal valoroso generale Macbeth, istigato da una moglie ambiziosa e da una profezia che designava in lui un sovrano. La profezia, pronunciata da tre streghe, aggiungeva che il suo amico Banquo avrebbe generato dei re. Per impedire l'avverarsi di ciò, Macbeth, pur tormentato dal rimorso e da visioni, decide di eliminare Banquo ed i suoi familiari, ma il figlio di costui riesce a fuggire, come erano fuggiti i figli di Duncan, Malcolm e Donalbain. Essi, rifugiatisi in Inghilterra insieme con il nobile Macduff, stanno allestendo un esercito per marciare contro Macbeth. Le streghe dicono a quest'ultimo di guardarsi da Macduff ed annunciano che Macbeth non potrà essere ucciso da uomo nato di donna, né sarà sconfitto finche la foresta di Birnam non muova verso il castello di Dunsinane. Non potendo raggiungere Macduff, Macbeth né fa assassinare la moglie ed i figlioletti. Pavido e torturato, egli commette delitti sempre più inutili e gratuiti. Lady Macbeth intanto soffre di allucinazioni e, in stato di sonnambulismo, rivela il delitto commesso; la sua mente non regge ed ella muore mentre l'esercito dei vendicatori sopraggiunge: nella foresta di Birnam ogni soldato prende un ramo d'albero per far schermo alla sua avanzata e si realizza così la profezia del bosco che muove verso il castello di Dunsinane. Macbeth scende in campo ed è ucciso da Macduff, non nato di donna in quanto era stato estratto anzitempo dal grembo della madre. L. P. www.acea.it Cento anni di know-how, una rete di acquedotti di oltre 46.000 km e acqua di qualità distribuita ogni giorno ad 8 milioni di italiani. Questa è la realtà di Acea. Una realtà all’avanguardia che fa bene all’ambiente, alla popolazione, al futuro. L’acqua, l’uomo, la tecnologia.