4 B. Geremek ALLE ORIGINI DELLA SOCIETÀ DI MASSA B. Geremek, Masse, in Enciclopedia, voI. VIII, Einaudi, Torino 1979, pp. 823-25; 837-39 Nel brano che segue lo storico polacco Bronislaw Geremek (nato nel 1932), studioso del Medioevo e dell'età moderna, ma anche protagonista della vita politica nella Polonia postcomunisia, prende in esame i processi storici alla base della formazione della società di massa. Geremek si sofferma, in particolare, sull'espansione demografica, sull'urbanizzazione, sull'ingresso della gran parte della popolazione nei meccanismi del mercato e della produzione industriale e sull'estensione della partecipazione politica. Inoltre Geremek anche attraverso il confronto con Ortega y Gasset [ ~ 2] richiama l'attenzione su alcuni aspetti negativi del fenomeno di «massificazione» nei rapporti tra gli uomini nella società contemporanea. È noto che la rivoluzione industriale fu accompagnata da una prodigiosa esplosione demografica. Occorre pure comprendere che ciò implicò un mutamento profondo dei rapporti fra uomo e natura, fra uomo e uomo: le masse si presentavano nella loro realtà biologica. I cento secoli di storia umana a partire dal Neolitico sino ai nostri giorni si riassumono nel passaggio da meno di venti milioni di persone a più di duemilasettecento milioni. Se si accetta la barriera del 1750 come il maximum storico di sviluppo demografico dell'epoca preindustriale o agricola (tra i seicentocinquanta-ottocentocinquanta milioni per tutto il mondo e centoquarantacinque milioni per l'Europa), ci si rende conto dell'evidente accelerazione di questo sviluppo nel corso degli ultimi secoli. Il tasso di crescita di circa lo 0,3 per cento annuo tra il 1650 e il 1750 passa allo 0,7 per cento nel periodo 1850-1900, all'1 per cento nel 1900-50, per arrivare all'1,7 per cento dei nostri giorni. Questa esplosione demografica è ancora più spettacolare nel continente europeo dove la rivoluzione industriale ha preso il suo avvio: dai centoquarantacinque milioni del 1750, la popolazione passa in due secoli a cinquecentocinquanta milioni di persone. Questa proliferazione umana collegata allo sviluppo industriale della produzione in massa crea pure una pressione costante sulle forme dell'habitat umano. Il mutamento delle proporzioni fra la popolazione attiva in agricoltura e la popolazione attiva nell'industria significa che l'incremento demografico è diretto soprattutto verso le città. E le città nascono da un giorno all'altro o assumono un aspetto spaziale diverso. Intorno ai centri storici delle città che contano al più dai dieci ai ventimila abitanti nascono quartieri nuovi in grado di accoglierne cinquanta volte di più. L'edilizia si sviluppa verso l'alto e questa tendenza alla salita verticale della città è un aspetto dell'urbanesimo carico di conseguenze sociali. Si verifica così nell'habitat stesso il laceramento del tessuto tradizionale dei vincoli familiari e di vicinato. Malgrado lo sforzo di salvaguardare lo stesso tipo di rapporti esistente nel luogo di provenienza dell'immigrato urbano, le nuove condizioni di vita l'abituano all'anonimato immerso nella densità della massa. Da questo punto di vista non c'è cambiamento fra la terribile situazione dei quartieri operai descritta da Engels1 alla metà del XIX secolo e le abitazioni popolari del nostro tempo: questo aspetto della densità, della ristrettezza di spazio, della monotonia nei luoghi di lavoro e di alloggio è rimasto immutato. I critici della società industriale ammettono, al pari dei suoi difensori, che la quantità diventa il fattore primario nella vita economica e nella civiltà globale. Il numero crescente di uomini crea delle necessità e degli stimoli a produrre, la ricerca del profitto a ogni costo fa ulteriormente gonfiare i bisogni umani. Il fenomeno della «rnassificazione» si presenta nelle società industriali sotto due aspetti, riguardando sia gli uomini sia le cose. Si è tentato di porre in evidenza il fatto che nelle società precedenti il take off2 comparivano gli stessi elementi che caratterizzano il problema delle masse nell'epoca industriale. Ciò che cambia è la scala del fenomeno e il suo peso effettivo nelle realtà del tempo. Questo mutamento della scala quantitativa ha pure delle conseguenze sul piano che si potrebbe chiamare del controllo sociale. Le società tradizionali hanno elaborato tutto un sistema di costrizioni e di controlli basati sulla tradizione, sul costume, sulle credenze. Questo sistema doveva assicurare la sottomissione degli sfruttati agli sfruttatori e salvaguardare la pace pubblica condizionando tutti i comportamenti collettivi. Esso aveva pure un importante ruolo socializzante. Per riprodurre senza mutamenti le condizioni principali della vita sociale bisognava assicurare a ogni nuovo venuto, neonato o immigrato, un posto nell'organizzazione gerarchico-corporativa dell'epoca, la conoscenza delle esigenze del proprio stato, nonché i mezzi necessari per soddisfarle. 1 2 Nel libro Situazione della classe operaia in Inghilterra (1845) [ cfr. voLZ~77d]. Il decollo industriale, ovvero la fase iniziale dello sviluppo. Nella società industriale cambia tutto. Fra le caratteristiche della condizione sociale compare il denaro come fattore primario, che prende il sopravvento sull'origine e il privilegio; così tutto è possibile e niente è sicuro nella distribuzione degli statuti sociali. La grande maggioranza della gente si guadagna da vivere mediante il lavoro salariato, nel quale sembra contare soltanto lo sforzo fisico. Lo sviluppo del macchinismo produce un duplice effetto: da una parte conduce alla sparizione delle abilità artigianali e dall'altra esige una certa preparazione professionale. La degradazione della qualificazione si verifica tanto nel luogo di lavoro, davanti alla macchina in cui la specializzazione assai dettagliata sostituisce la formazione professionale, quanto in tutto l'avanzamento sociale che procede dalle qualificazioni professionali dell'individuo. Nello stesso tempo le società industriali, in seguito allo sviluppo tecnologico, hanno sempre più bisogno di manodopera qualificata; l'insegnamento e l'istruzione tecnica si vanno generalizzando proprio per soddisfare questa esigenza. Ma questo carattere «nudo» della manodopera umana, dell'uomo al lavoro, sussiste anche perché non soltanto l'operaio, a differenza del contadino, non possiede alcun mezzo di produzione proprio se si eccettuano le sue braccia ma è circondato da un immenso apparato tecnico e burocratico col quale gli è impossibile trovare una comune misura. Di fronte a questo apparato di macchine e uomini, in cui la produzione e la vendita dei beni, al pari dell'organizzazione della produzione e dello sfruttamento stesso assumono un carattere sempre più anonimo, il produttore immediato, il lavoratore, si sente partecipe soltanto in massa e in quanto massa. L'estrema mobilità umana che caratterizza l'epoca industriale fa ulteriormente aumentare l'anonimato della condizione operaia e il sentimento di perdersi nella folla. Ortega y Casset [>2] ha cercato l'origine e la chiave della nuova situazione sociale nella sorprendente crescita demografica dell'Europa, che «in tre generazioni ha prodotto in misura gigantesca sostanza umana». Ma al di fuori dell'aspetto statistico il filosofo spagnolo sottolinea soprattutto il fatto che queste enormi masse umane sono state proiettate nella storia senza che potessero assorbire la cultura tradizionale. Ampliando questa constatazione, si può dire che tutto il processo di socializzazione non poteva compiersi che in modo superficiale. [ … ] Alle soglie dei drammatici anni '30 del nostro secolo, José Ortega y Gasset lanciava il suo grido d'allarme sul pericolo pendente sulla civiltà europea, per non dire su tutta l'umanità: la sorda e inevitabile «ribellione delle masse». Le masse esigono i loro spazi di scelta sulla scena storica, rifiutano alle minoranze qualificate il ruolo di élite, procedono alla distruzione di ogni originalità e finezza. Infatti «la massa è l'uomo medio», è nello stesso tempo una classe di uomini e un modo di essere; l'uomo-massa è l'uomo svuotato anzitutto della propria storia, senza radici nel passato, è un guscio d'uomo, fatto di semplici idola fori. Manca di morale, o piuttosto possiede una morale negativa e in tal modo pone in pericolo i principali valori della cultura umana. La risonanza dell'opera del filosofo spagnolo non si spiega tanto con la sua filosofia sociale aristocratica quanto piuttosto con la sua coincidenza con i rapidi progressi del fascismo in Europa. L'angoscia dell'individuo di fronte allo sviluppo della civiltà della tecnica e all'apparizione delle tendenze totalitarie nell'esercizio del potere e nel gioco politico, che La rebelion de las masas esprimeva con una lucidità ammirevole, segnava così una crisi importante della cultura europea. Ma quest'opera di circostanza non ha reso un buon servizio alla comprensione delle masse in quanto fenomeno. La società di massa, annunziata tempo addietro da Tocqueville e descritta con paura e disprezzo da Berdjaev 3, era ritenuta responsabile della nascita del fascismo. Ma constatare che i regimi «autoritari» si iscrivono nella lunga evoluzione delle istituzioni e delle abitudini politiche delle società moderne si riduce a una verità troppo banale perché le si possa attribuire una portata intellettuale. Le masse sono diventate il termine passe-partout, le si vede all'origine di tutti i mali della civiltà contemporanea: la «società di massa» doveva spiegare la crisi delle istituzioni politiche, alla «cultura di massa» veniva attribuita la responsabilità della crisi morale dell'umanità. In che consiste, in realtà, il fenomeno di «rnassificazione» nei rapporti tra gli uomini nella società contemporanea? Sembra che si possa affermare, nel modo più generale, che è la sottomissione crescente del rapporti interpersonali al meccanismo del mercato. Sia nell’ambito dell'economia sia nella vita politica e culturale, si osserva il gioco concorrenziale, l'interdipendenza fra la «produzione» e il «consumo» delle idee, delle opinioni, degli atteggiamenti, dei comportamenti, nonché l'attenzione portata ai prodotti e non ai loro creatori. Rimanendo in questo quadro di riferimento si possono ritrovare nel campo politico e culturale le tendenze a dominare la libera concorrenza, a dirigere i giochi, a manovrare le scelte che gli uomini fanno «sul mercato». 3 Nikolaj Aleksandroviè Berdjaev, filosofo russo (1874-1948). Il fantasma dell'uomo medio sensuale, teso a soddisfare il proprio desiderio di benessere e di divertimento, indifferente a ogni ideologia, consumatore politico che si lascia facilmente manovrare, viene presentato sia dai politologi, che cercano di definire gli aspetti principali e la tendenza al cambiamento delle società moderne, sia dai sociologi e dagli storici della cultura contemporanea. Ma soluzioni di ricambio non ne vengono proposte. I «conservatori» Ortega y Gasset o Eliot pensano che bisognerebbe semplicemente ricostruire le antiche barriere di classe e sottomettere le masse al controllo delle élite distinte per l'eredità di sangue o per i «meriti», ma bisognerebbe dapprima provare che all'origine di tutta questa evoluzione sta proprio lo scatenamento delle masse. In modo più generale, si manifesta il persistere di un certo romanticismo sociologico che porta con sé l'immagine idilliaca delle società del passato. Uno dei rari difensori delle società di massa, Shils4, ha tentato di mostrare che le società moderne hanno fatto non solo degli immensi progressi materiali, ma hanno elaborato dei rapporti sociali e delle solidarietà che le società antiche non avevano mai conosciuto. Soltanto nelle società moderne è apparsa quella solidarietà orizzontale che permette di parlare di una società comune; lo sviluppo della scolarizzazione e la volgarizzazione della cultura distruggono le disparità e costituiscono dei fattori di integrazione sociale. Anche sul piano individuale è la civiltà industriale che fa cadere le barriere dell'affermazione dell'individuo nel campo del pensiero, della sensibilità e della morale. E non c'è dubbio che i processi di «rnassificazione» significano anzitutto che un numero sempre più imponente di uomini ha accesso alla politica e alla cultura e trova il proprio posto nella società politica e nella vita culturale. La «massificazione della politica» appare sempre più evidente a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo. L'allargamento dei diritti politici, in particolare sotto la pressione del movimento operaio, i progressi dell'industrializzazione e dell'urbanesimo, lo sviluppo su grande scala dei mass-media, il servizio militare, le mobilitazioni effettive e ideologiche nei confronti della guerra: tutti questi fenomeni portano all'entrata nell'area dell'homo politicus di grandi masse divenute soggetti dell'azione politica. I sistemi politici dell'epoca moderna si rifanno al consenso delle masse per legittimare – dopo l'esaltazione del carisrna come base e condizione naturale del potere – l'ordine sociale esistente e la vita pubblica. Il consolidamento del sistema democratico parlamentare e dei partiti politici ha elaborato dei meccanismi per l'esercizio del potere e il mutamento politico che non obbligano a consultare le masse e a cercarne l'appoggio. Restava sempre il momento della verità – le elezioni –, ma anche lì c'era la possibilità di sfruttare la passività delle masse per limitarne all'estremo il ruolo reale nel suffragio universale. Resta il fatto che le stesse dichiarazioni sul ruolo sovrano delle «masse» o del «popolo» creavano grosse tentazioni, per i gruppi che cercavano di impadronirsi del potere, di rivolgersi alle masse scavalcando i meccanismi della vita politica [ … ]. Il sistema politico moderno offre la possibilità di giocare sulle reazioni irrazionali delle folle e questa possibilità non cessasse di costituire una tentazione per uomini e organizzazioni politiche. Lo si vede tanto nei sistemi politici stabiliti da lungo tempo quanto nei nuovi organismi dei paesi in via di sviluppo nei quali l'accelerazione dell'evoluzione fa sì che le tendenze e le fasi successive registrate dallo sviluppo politico europeo o americano sembrino coesistere contemporaneamente. Ma nulla permette di affermare che la «rnassificazione della politica» renda inevitabile il gioco sulla psicologia delle folle e sulle «epidemie emotive». Mannheirn 5 nella sua lucida e commovente «diagnosi del nostro tempo», scritta nel momento dell'avanzata trionfale del fascismo durante la seconda guerra mondiale, esprime la convinzione che lo sforzo educativo crei delle barriere alle reazioni irrazionali delle folle. Il passaggio dalle masse non organizzate ai gruppi istituzionalizzati permette di assicurare il funzionamento del sistema democratico nelle condizioni d'ingresso delle masse come soggetto del gioco politico. Così il ricorso democratico alle masse allo scopo di distruggere la democrazia non sarebbe più possibile. Nei sistemi moderni i gruppi di pressione e i partiti politici operano nei meccanismi dell'egemonia esercitando il potere o lottando per ottenerlo. Un ampio ventaglio di mezzi gli assicura i legami con l'opinione pubblica, ma ad organizzare le masse sono i corpi intermedi tra le istituzioni politiche e i governati: il sindacato nel caso della classe operaia, gli ordini professionali nel caso della piccola borghesia, le associazioni contadine, ecc. Così al posto del confuso amalgama delle masse compaiono sulla scena politica i gruppi organizzati in funzione della loro collocazione nei rapporti di produzione, d'età, di vicinato. Se la società di massa Edward Shils, sociologo statunitense (1910-1995). Karl Mannheirn, sociologo tedesco (1893-1947). È conosciuto soprattutto per l'opera Ideologia e utopia (1929). 4 5 significa l'affermazione delle masse come soggetto della vita politica, essa rappresenta l'annientamento delle masse come forma della vita sociale. GUIDA ALLA LETTURA 1. A quale evento storico l'autore collega l'avvento delle «masse»? 2. Quali sono le condizioni materiali in cui nasce la moderna società di massa? 3. In che modo la società di massa reinventa i dispositivi del controllo sociale? 4. In che cosa consiste, secondo Geremek, il processo di «massificazione»? 5. Che rapporto esiste tra società di massa e totalitarismo?