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La Grande guerra: la partecipazione delle masse e la nascita di una nuova
coscienza nazionale italiana
In che senso si può dire che la Grande guerra contribuì all’integrazione politica e culturale delle
masse contadine, colmando una lacuna che lo stato liberale si trascinava fin dal Risorgimento? Pur
non terminando, come promesso, con una riforma agraria, la partecipazione delle masse al conflitto
aiutò a costruire un’identità e un vincolo nazionali sentiti da tutti i combattenti e dalle loro famiglie.
La guerra e la nazionalizzazione delle masse
La prima guerra mondiale fu anche l’espressione della massificazione della società e delle
contraddizioni politico-sociali che questo processo generò negli stati-nazione liberali. Oltre che una
guerra industriale, nella quale si fronteggiavano come mai prima le risorse produttive e
tecnologiche delle potenze belligeranti, essa fu innanzitutto una guerra di masse, che mise al centro
delle operazioni militari la forza d’urto di milioni di uomini. Chiamati al fronte o impegati nelle
retrovie, nei servizi logistici o negli impianti produttivi militarizzati, questi milioni di uomini non
erano altro che quelle stesse “folle”, quell’articolata serie di gruppi sociali nuovi – dall’operaio
della grande fabbrica meccanizzata, ai braccianti, ai contadini, dagli impiegati pubblici e privati, ai
piccoli e medi commercianti, dagli insegnanti ai tecnici – che avevano dato vita ai grandi
movimenti politici di democratizzazione della società dei primi anni del Novecento, ma anche ai
grandi movimenti eversivi di destra, che avevano alimentato la corsa alla guerra. La guerra fu
dunque un fenomeno di rafforzamento della massificazione della società, perché non solo dette
ruolo e spessore alla massa, che divenne la vera protagonista della guerra, sia sul fronte esterno sia
su quello interno, ma anche perché rappresentò un fattore di rapidissima omogeneizzazione sociale
e culturale degli individui coinvolti nelle vicende belliche.
Ma non solo: infatti la Grande guerra non si limitò a accelerare i processi costitutivi della società di
massa, ma costituì un grandissimo fattore di integrazione delle masse nello stato: l’esercito, il
fronte, gli ideali della patria minacciata, contribuirono a far prercepire la “nazione” a milioni di
uomini, che prima ne erano in parte estranei.
I contadini e i lavoratori diventano “italiani” sui campi di battaglia
Questo fu particolarmente evidente nel caso italiano. Una delle questioni irrisolte del Risorgimento
era infatti rappresentata dalla mancata integrazione nella compagine statale dei contadini,
soprattutto meridionali: il brigantaggio, i Fasci siciliani, le lotte bracciantili di inizio secolo,
l’emigrazione, avevano rappresentato nei primi cinquant’anni di storia unitaria altrettanti
drammatici segnali dell’estraneità delle masse rurali allo stato nazionale, e, nel contempo,
dell’incapacità dello stato liberale di inglobare tra i soggetti dotati di diritti di cittadinanza la massa
sterminata dei contadini poveri, la componente maggioritaria della società italiana.
Al fronte, le classi subalterne italiane – oltre tre milioni di individui – avevano scoperto la patria,
nella percezione di una comunità più grande di quella del piccolo mondo paesano, o del gruppo
sociale di appartenenza, fatta di un comune destino e di una ingua comune, in grado di forgiare gli
architravi portanti, seppure ancora sconnessi, di una coscienza nazionale. I lavoratori italiani, delle
campagne e delle officine, sui campi di battaglia avevano dunque cominciato a diventare “italiani”:
combattendo, potremmo dire, si erano guadagnati i diritti di cittadinanza, che per i contadini
poggiavano sul diritto alla terra e a diventare proprietari di quella terra che lavoravano; per gli
operai, su di un equo salario e su di una stabile occupazione. La promessa di Armando Diaz di dare
«la terra ai contadini» all’indomani della sconfitta di Caporetto, si configurò come il
riconoscimento da parte delle classi dirigenti liberali della necessità di accelerare l’inclusione delle
masse contadine nello stato-nazione: non solo per vincere la guerra, ma anche per fondare sulla
nazionalizzazione delle masse il nuovo sistema politico e statuale che sarebbe inevitabilmente
scaturito dalla guerra.
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All’indomani della guerra questo proposito non ebbe un seguito reale e alla mobilitazione sociale
delle classi subalterne, che affondava le sue radici proprio in questa domanda di inclusione sociale e
di legittimazione, lo stato liberale non seppe dare risposta. In questa mancata risposta trovarono la
loro origine molte delle cause dell’avvento del fascismo.
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