L’Italia preromana e le origini di Roma Cosa succede in Italia? Breve premessa: fino a non molto tempo fa la storia dell’Italia antica s’identificava con quella di Roma. Una storia “romanocentrica” che concepiva la nascita e fondazione di Roma, e la sua conseguente espansione, come la nascita e diffusione della civiltà stessa. Più recentemente si è cambiata la prospettiva, riconoscendo alle popolazioni dell’Italia preromana la propria dignità culturale. Molte di loro, in effetti, raggiunsero un livello di sviluppo assai elevato. Partiamo da due importanti considerazioni prima di procedere nell’analisi dei popoli che abitarono l’Italia preromana: 1) A differenza della Grecia, che fu omogenea dal punto di vista etnico e culturale, l’Italia primitiva fu un mosaico di genti molto diverse tra loro per razza, lingua e civiltà, che si stanziarono in Italia in ondate di migrazioni successive (l’esito lo potete vedere nella cartina a pag. 240). 2) Quando Roma divenne lo stato dominante le varie etnie italiche furono “romanizzate”. Al punto che persino gli Etruschi, la più importante e celebre civiltà italica preromana, già nel I d.C. aveva dimenticata la propria lingua e si era perfettamente livellata alla cultura dominante. Età del rame: 4500-3000 a.C. Età del bronzo (rame+stagno): 3000-1000 a.C. Età del ferro: 1500-700 a.C. (nel mondo Mediterraneo tra 1000 e 700 a.C., in Grecia fu introdotto dai Dori, che scesero in Grecia nel 1100 a.C.) Pag. 245 vedi cartina e analizzala secondo le indicazioni seguenti. VIII-VI a.C. millennio Popolazioni provenienti dalla costa del Libano e della Siria abitarono il Tavoliere delle Puglie. L’attività agricola appare già avviata nel VI millennio a.C. e le comunità abitavano in villaggi. Anche nel nord Italia ci imbattiamo in alcuni insediamenti primitivi: in Toscana (Pienza), in Liguria (Finale Ligure) e a Fiorano (Modena). III millennio a.C. Mentre nel Vicino Oriente gli uomini vivevano nelle città, usavano i primi sistemi di scrittura e lavoravano il bronzo, in Italia i gruppi umani vivevano ancora nella fase neolitica (sapevano lavorare la pietra, coltivare la terra, allevare gli animali e vivevano in comunità semplicemente organizzate). L’età del bronzo, in Italia, ebbe inizio solo con il II millennio. Fanno eccezione le comunità dell’Italia Meridionale dove l’introduzione delle tecniche di lavorazione del metallo sono avviate già nel III millennio a.C. > nasce la figura dell’artigiano. II millennio a.C. Le comunità italiche hanno imparato a lavorare il bronzo, ma non conoscono Mentre nell’Egeo si ancora la scrittura. sviluppa la civiltà A questa fase storica risalgono una serie di civiltà: minoica (2000- la civiltà nuragica (Sardegna): dal termine nuraghi1, torri difensive 1400 a.C.) e poi troncoconiche in pietra, realizzate con grossi macigni posizionati a secco. micenea (1900Attorno al nuraghe si sviluppava il villaggio (pag. 247). 1200 a.C.) e, sul La civiltà nuragica si estinse nel VI a.C., con la conquista da parte dei finire del millennio, Cartaginesi, ma il suo declino era già in corso da qualche secolo. in Grecia si assiste - le civiltà appenniniche: malgrado la grande varietà di contesti ambientali, il al Medioevo quadro offerto dalle popolazioni che abitano il territorio compreso tra l’Emilia 1 Nuraghe vuol dire “mucchio di pietre”, “cavità”. Se ne trovano fino a 7000 in Sardegna. La loro funzione è chiaramente di fortezza difensiva e di centro di controllo del territorio. 1 Ellenico Tra II e I millennio a.C. In corrispondenza con il Medioevo Ellenico (1200-800 a.C.) I millennio a.C. e la Calabria è talmente omogeneo che un solo termine, quello di “cultura appenninica”, serve a qualificarlo per intero. Le popolazioni di cultura appenninica vivevano in piccoli insediamenti (capanne o grotte), praticavano l’agricoltura di sussistenza e l’allevamento di ovini, caprini e suini. - la civiltà palafitticola (1800-1600 a.C. circa): si estese nel settentrione (Veneto, Trentino2, Lombardia). Le popolazioni di questa civiltà vivevano in palafitte realizzate in zone acquitrinose o paludose, oppure presso fiumi e laghi. A partire dalla metà del secondo millennio a.C. (1500 a.C. ca.) si riscontrano insediamenti palafitticoli anche su terra, costruiti al fine di eliminare rischi dovuti allo straripamento delle acque. - la civiltà delle terramare (1600-1000 a.C. circa): civiltà che ha il suo fulcro in Emilia e fu così chiamata da un’espressione dialettale emiliana (terra marna) che significa terra grassa. Nell’800 si impiegava questo termine per indicare le montagnole di terra ricche di materiale organico dove un tempo, per difendersi dalle frequenti inondazioni, sorgevano i villaggi di questa civiltà. Anche queste comunità erano prive di squilibri sociali e praticavano l’agricoltura (con rotazione delle colture) e l’allevamento. - le presenze micenee: per tutto il II millennio a.C. si segnala la presenza di manufatti micenei rinvenuti in Puglia, nelle isole del golfo di Napoli, in Sardegna e nei monti della Tolfa (Toscana). È probabile che i mercanti micenei scambiassero i propri manufatti con metalli. Questi scambi sono segni dell’apertura al Mediterraneo che i popoli italici stavano iniziando a sperimentare. - Si insediano molte popolazioni, alcune di lingua indoeuropea (come gli Enotri e i Bruzi3, i Falisci4-Latini, i Siculi) altre di stirpe non indoeuropea (i Liguri, che occupavano la zona dell’attuale Liguria e Provenza, i Sicani ed Elimi, in Sicilia, i Reti che occuparono la zona compresa tra Garda e Brennero). - Probabilmente, a questo periodo, risalgono i primi insediamenti di quel popolo che sarà poi denominato Etrusco. Gli Etruschi sembrano non essere di stirpe indoeuropea. - la civiltà villanoviana (1000-550 a.C. circa): col I millennio a.C. (mentre in Grecia si consuma il Medioevo Ellenico e si entra nell’età delle pòleis) giungono in Italia gli Umbri, popolo di lingua indoeuropea che si stanziò nella zona del bolognese e fondò la cosiddetta civiltà villanoviana (da Villanova, luogo in cui, nel XIX secolo, furono ritrovati i resti più significativi). Non praticavano l’inumazione ma l’incinerazione dei defunti (ritrovamenti di urne biconiche a coperchio) e conoscevano l’uso del ferro (forse per contatti con i Dori di Macedonia). La civiltà villanoviana sarà assorbita da quella etrusca. - Sempre nel corso del I millennio a.C. giunsero in Italia popolazioni di stirpe illirica (originari della Dalmazia), i Veneti, che si stanziarono nell’arco nord orientale della Penisola, e gli Japigi (che si stanziarono nell’odierna Puglia). Successivamente si stanziarono in Italia anche i Celti, che provenivano da nord (area compresa fra Danubio e Reno) e prima ancora dalle steppe attorno al Mar Caspio. Dalle zone comprese tra Reno e Danubio, i Celti si spostarono non solo in Italia, ma anche in Britannia, Irlanda, Spagna e Francia (quelli di Francia saranno denominati Galli dai Romani). 2 Si veda l’articolo a fine pagine sugli insediamenti del Lago di Ledro. Che si stanziarono in Calabria, e dal cui nome, Vituli (così li chiamavano i Greci), i Greci trassero quello di Italia, attribuendolo in un primo momento alla Calabria e poi all’intera penisola. 4 Il Falisco era un’antica lingua parlata intorno all’antica Falerii, località nei pressi di Viterbo. 3 2 Al I millennio a.C. risalgono le prime testimonianze scritte delle comunità italiche. Queste testimonianze (iscrizioni incise su ceramica, pietra, metallo, osso, e in generale materiali non deperibili o dipinte su pareti tombali) ci mostrano una situazione etnica e linguistica già ben delineata, ma che dovette aver preso forma nei secoli precedenti. (Vedi cartina a pag. 240: come appare la situazione in Italia nel I millennio a.C.) Quel che se ne ricava è che: 1. Le lingue indoeuropee attestate sono numerose e divise in vari gruppi a seconda delle loro caratteristiche. Il latino stesso non è che una variante locale di lingue molto simili tra loro, tra cui il sabino, l’umbro e l’osco (che poi, nella sua variante più meridionale, è la lingua sannita). Il falisco ha grande affinità col latino stesso. Ci sono poi il Venetico e il messapico, parlati rispettivamente dai Veneti e dagli Japigi, di comune origine illirica e il Celtico, parlato nella regione del Lago Maggiore, Como e Canton Ticino. Il Siculo, parlato in Sicilia, di origine indoeuropea. 2. Le lingue non indoeuropee attestate sono invece il retico (la popolazione dei Reti si insediò tra il Garda e il Brennero nel corso del II millennio a.C.) e il ligure. Anche i Sicani e gli Elimi (Sicilia) e gli Etruschi (Toscana) non appartengono al ceppo indoeuropeo. 3. A questo ricco quadro linguistico si aggiunga il greco, introdotto dal fenomeno della colonizzazione (lingua di ceppo indoeuropeo) e il fenicio (che però è una lingua semitica e che ha lasciato pochissime tracce in Sicilia e Sardegna). Le lingue di sostrato La lingua che oggi parliamo è l’italiano, lingua indoeuropea derivata dal latino. Ma cosa ne è stato degli idiomi parlati dalle popolazioni preesistenti all’arrivo dei popoli di lingua indoeuropea? Di queste lingue non è rimasto pressoché nulla, se non alcuni nomi passati in latino come lilium, giglio e ficus, fico. Oppure alcuni toponimi in –nt come Surrentum (Sorrento). GLI ETRUSCHI Da Dove vengono gli Etruschi? Questo misterioso popolo costituì la prima grande civiltà italica preromana, fiorita tra il IX e l’VIII secolo a.C. (vedi libro pag. 247) Molte sono le ipotesi che si sono fatte in merito alla sua origine. Secondo lo storico Dionigi di Alicarnasso (I d.C.) il loro effettivo nome sarebbe stato Rasenna che in lingua etrusca vuol appunto dire “popolo”. Dionigi, nelle sue Antichità Romane, sostiene che gli Etruschi siano autoctoni, razza indigena italiana. Secondo Erodoto invece, gli Etruschi (o Tirreni5, come venivano definiti dai Greci) sarebbero venuti dalla Lidia, regione dell’Asia Minore. Molte caratteristiche della cultura etrusca rimandano in effetti a quelle orientali (es. vaticinare esaminando il fegato degli animali sacrificati, alcuni aspetti artistici, e persino linguistici: un’iscrizione rinvenuta sull’isola di Lemno6, nel Mar Egeo, presenta forti analogie con l’Etrusco e con lingue di Asia Minore). Gli storici moderni tuttavia, non più ossessionati dalla questione della provenienza ma concentrati piuttosto sulla questione della “formazione” della civiltà etrusca, sostengono la combinazione delle 5 Dal nome del re etrusco Tirreno che, per sfuggire ad una pesante carestia, guidò la spedizione che dalla Lidia condusse gli Etruschi in Italia. Saranno i Romani a chiamarli Etrusci o Tusci, da cui ne viene l’odierno Etruschi. 6 Nel 1885 fu trovata, nell'isola greca di Lemno, in località Kaminia, la stele di Lemno, una doppia iscrizione incorporata nella colonna di una chiesa. Tale iscrizione sembra testimoniare una lingua pre-ellenica in tutto simile a quella degli Etruschi. Secondo il massimo storico greco Tucidide, l'isola di Lemno sarebbe stata abitata da gruppi di Τυρσηνοί (Tyrsinoí - "Tirreni", il nome greco degli Etruschi), e il ritrovamento ha fornito la prova sicura che in quell'isola dell'Egeo, ancora nel VI secolo a.C., era parlata una lingua strettamente affine all'etrusco. L'iscrizione di Lemno è stata reperita su una pietra tombale sulla quale è scolpito un guerriero. L'iscrizione corre intorno alla testa e lungo un lato della figura del guerriero, ed è redatta in un alfabeto greco del VI secolo a.C 3 ipotesi. È opinione ormai diffusa che la civiltà etrusca nasca dall’incontro della civiltà villanoviana con una civiltà misteriosa, di provenienza probabilmente orientale, che in ondate successive e attraverso sistematici e lenti movimenti di piccoli gruppi, ha favorito l’incontro di genti diverse e la nascita di questa cultura. La fioritura della civiltà etrusca nella nostra penisola è dunque più un problema di formazione che di origini. La lingua etrusca La lingua etrusca si serve dell’alfabeto greco, introdotto dai coloni greci di Ischia e di Cuma nell’VIII a.C. Le prime testimonianze scritte in etrusco risalgono al 700 a.C. Le iscrizioni etrusche, perché in alfabeto greco, possono quindi essere lette, ma non sempre interamente comprese. Il lessico e la grammatica etrusca, non essendo indoeuropei, non mostrano evidenti affinità con il latino (o con altre lingue decifrate). Inoltre non abbiamo molti testi bilingue che ci facilitino un raffronto tra idiomi. Ciò detto, alcune parole di origine etrusca sono: mondo, persona (che voleva dire “maschera teatrale”), popolo, milite, atrio,… Le conoscenze linguistiche finora raggiunte consentono la decifrazione del senso complessivo dei testi ritrovati. La società etrusca Pag. 248 Perché gli Etruschi non sentirono il bisogno di unirsi in una lega politica? Non realizzarono mai unità politica perché la loro posizione era tale da non temere rivali in suolo italico. Non si richiedeva quindi un’organizzazione centralizzata. Cos’è la Dodecàpoli? La lega delle 12 città: consiste nella più importante federazione religiosa etrusca. Il grande santuario della dea Voltumna, a Volsinii, ne era il centro principale. La storia etrusca - Originariamente il potere militare e giudiziario era concentrato nelle mani dei Lucumòni, sovrani eletti a vita ed assistiti da un consiglio di anziani. - Tra VI e V a.C. l’autorità monarchica venne sostituita da una repubblica di tipo oligarchico, il cui potere risiedeva nelle mani di una specie di senato e di un collegio di magistrati eletti annualmente chiamati zilhat e maru. - L’aristocrazia etrusca viveva in modo principesco, in un lusso che non sembrava avere riscontro in altre zone della penisola, basti osservare gli splendidi manufatti in oro, argento, ambra, bronzo e pure le rappresentazioni funerarie. Produzione e commerci Pag. 249 Isola d’Elba = era detta, dai Greci, “la fumosa”, per il fumo che si levava senza interruzione dai grandi stabilimenti che gli Etruschi vi avevano impiantato. Lì si estraeva in particolare il ferro. Gran parte della fortuna etrusca deriva dalla ricchezza di giacimenti minerari del loro sottosuoo (rame, argento, piombo e ferro) + ampie risorse boschive + fertilità (con efficace sistema di reti idriche) del territorio > cerali, vite, olivo. Abilissimi artigiani. L’espansione degli Etruschi Gli Etruschi furono il primo dei popoli italici a tentare il processo di unificazione territoriale che poi fu effettivamente realizzato dai Romani. 4 Dall’odierna Toscana gli Etruschi provarono ad espandere il proprio dominio sia a nord che a sud. A nord, diverse zone della Pianura Padana videro sorgere città etrusche, come Piacenza, Mantova, Adria. A sud, la stessa Roma subì la dominazione etrusca nel corso del VI a.C. (la dominazione dei Tarquini). Nel moto di conquista verso sud gli Etruschi furono fermati dai coloni greci, in particolare dalle potenti città di Cuma e Napoli. Gli Etruschi riuscirono anche a conquistare terre oltremare, in Corsica, grazie alle loro potentissime flotte. Qui tuttavia si scontrarono sia con i Greci che con i Fenici. Alleatisi con i Fenici, gli Etruschi combattettero con i Greci per il controllo di Alalìa (540 a.C.). I Greci ebbero la meglio, ma la vittoria fu così sanguinosa e le perdite così ingenti che li indusse ad abbandonare l’area, che rimase quindi sotto controllo etrusco. Col VI a.C. la civiltà etrusca toccò il suo culmine. A partire da questo secolo però, ebbe inizio il rapido declino. Cacciati da Roma agli inizi del V secolo, nel 474 a.C. subirono una pesante sconfitta nelle acque di Cuma contro i Greci (nonostante si fossero alleati con i Cartaginesi). Nel frattempo (VI-V a.C.) i Galli penetravano in Italia da nord, erodendo i possedimenti Etruschi della pianura padana. Un secolo dopo l’Etruria era stata sottomessa a Roma, che contemporaneamente al declino etrusco, viveva la propria ascesa. L’importanza dell’influenza greca Nonostante i contrasti politici tra Greci ed Etruschi, è innegabile quanto il mondo greco abbia influenzato quello etrusco. Questo processo di ellenizzazione toccò tutti i settori della vita materiale e culturale. - Nel settore religioso si pensi al fatto che, in origine, gli Etruschi non rappresentavano in forma antropomorfa le proprie divinità, ma vi fu poi una identificazione del pantheon etrusco con quello greco al punto che non solo le divinità etrusche assunsero le caratteristiche e gli attributi di quelle greche, ma anche le sembianze. Così Tinia si identificò con Zeus, Uni con Hera, Menerva con Athena, Turan con Afrodite, Turms con Hermes, Nethuns con Poseidone. Altri dei ed eroi furono trapiantati dalla mitologia greca a quella etrusca, come Apollo (Apulu), Eracle (Hercle), Artemide (Aritimi), e poi gli eroi come Enea, Achille, Aiac, Odisseo. Anche l’arte etrusca si modellò su quella greca (immagine). - Nel settore della scrittura, come già detto, adottarono l’alfabeto greco. Elementi di originalità: l’arte divinatoria, la condizione della donna, l’aldilà Tra gli elementi di maggiore originalità (e unicità) che contraddistinguono la civiltà etrusca ricordiamo: 1. La peculiare ossessione per l’arte divinatoria. Gli Etruschi furono maestri di quest’arte e la tramandarono ai Romani (tanto che la parola stessa cerimonia deriva da Cere, città etrusca). In particolare gli Etruschi trasmisero la pratica dell’aruspicìna, o divinazione attraverso il volo degli uccelli, il manifestarsi dei fulmini o lo studio delle viscere degli animali sacrificati per trarne presagi. Il ricorso a pratiche rituali era legato alla convinzione che la presenza e l’azione di forze soprannaturali e celesti governasse ogni evento. Quest’ansia di cogliere la presenza di forze divine e immateriali in ogni forma dell’esistenza è del tutto estranea alla civiltà greca e romana. Ciò sembra segnalare una sorta di incertezza psicologica ed esistenziale e una concezione della divinità come incombente sul mondo. 2. La religione degli Etruschi è una religione rivelata, come la religione ebraica, cristiana, islamica e lo zoroastrismo (religione che fu originaria dell’asia centrale e che è ancora praticata in Iran,Tagikistan, Azerbaigian e India). La leggenda, tramandataci da Cicerone nel suo De Divinatione, narra di un fanciullo, di nome Tages, che balzò fuori da un solco profondo tracciato da un contadino etrusco. Questo Tages “aveva l’aspetto di un bambino, ma il senno di un vecchio”, sicché si assembrarono presto intorno a lui, che parlava con 5 tanta sapienza, molti ascoltatori. Tages rivelò i segreti dell’aruspicina che furono poi trascritti dai quei primi testimoni della rivelazione nei libri e nei trattati etruschi. 3. La concezione dell’oltretomba subì nel corso del tempo, sembrerebbe, un’evoluzione: nelle tombe più antiche (fino al V a.C.) sembra di poter individuare, a giudicare dalle rappresentazioni e dalle suppellettili, una concezione più ottimistica della morte, che pare niente di più e niente di meno che una quieta prosecuzione della vita. In seguito, probabilmente in concomitanza col declino politico della civiltà etrusca, prevale una visione più cupa della vita ultraterrena. Si vedono ora gruppi di demoni (tra cui Charun e Tuchulcha) che minacciano l’anima del defunto brandendo minacciosamente delle armi, quindi il defunto, superata questa temibile processione, si ritrova alle porte dell’Ade, custodite da Cerbero, il cane infernale, superate le quali raggiunge infine il regno dei morti, luogo cupo e squallido, privo di gioie per i trapassati. 4. Il sistema onomastico etrusco è un buon metro di misura per considerare la condizione della donna in questa società. Era frequente (anche se non necessario) che accanto al patronimico, comparisse anche il matronimico dell’individuo. Benché non si possa parlare di società matriarcale, in Etruria si riscontra una migliore condizione della donna, rispetto alle civiltà antiche (greca e romana). Nel IV a.C. lo storico greco Teopompo scriveva: “Presso i Tirreni (Etruschi) le donne sono tenute in comune, hanno molta cura del loro corpo e si presentano nude, spesso, fra uomini, talora fra di esse, in quanto non è disdicevole il mostrarsi nude. Stanno a tavola non vicino al marito, ma vicino al primo venuto dei presenti e brindano alla salute di chi vogliono. Sono forti bevitrici e molto belle da vedere”. La testimonianza pruriginosa di Teopompo ci lascia intendere quanto risultasse inconcepibile, per un contemporaneo, la libertà di cui godevano le donne etrusche. Era infatti colte, socialmente autorevoli e, talvolta, economicamente autosufficienti. (leggere bene l’approfondimento a pag. 248 e 249 + sarcofago degli sposi7) 7 Il Sarcofago degli Sposi è un sarcofago etrusco in terracotta creato nel VI secolo a.C., conservato nel Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma. La scultura raffigura una coppia di sposi sdraiata in un triclinio a un banchetto nell'atto di scambiarsi delle uova, gesto frequente nei banchetti dell'epoca. Entrambe le figure hanno i capelli lunghi, gli occhi allungati e il sorriso arcaico. La donna indossa un copricapo caratteristico e dei sandali ai piedi, mentre il marito presenta un barba lunga e appuntita. La scultura fu ritrovata nel XIX secolo durante scavi nella necropoli della Banditaccia a Cerveteri. Un sarcofago simile si trova nel Museo del Louvre a Parigi, Francia I due coniugi sono raffigurati semidistesi su una klìne, un letto a piazza matrimoniale di bronzo ricoperto di stoffe e cuscini, sopra il quale gli ospiti si adagiavano durante le feste. Questa klìne si presenta con zampe a volute e gli sposi giacciono su un materasso munito di coperta e cuscino, in posizione di perfetta parità, come se partecipassero ad un banchetto. La posizione di rilevanza della donna nella società non fu ripresa dai Romani, che non ammettevano le donne al convivio, se non in epoca imperiale. 6 Indietro nel tempo: le palafitte del Lago di Ledro Scoprire come vivevano i nostri antenati grazie ai resti di un villaggio risalente all'età del bronzo: in Trentino, a pochi km dal Lago di Garda 06/03/2015 DANIELA RASPA (NEXTA) Nell’ormai lontano 1929, il livello del Lago di Garda venne abbassato per permettere la costruzione della centrale idroelettrica di Riva del Garda; fu allora che si verificò, fra lo stupore e l’emozione degli addetti ai lavori, una delle scoperte archeologiche tra le più importanti in Europa: oltre 10.000 pali e numerosi manufatti vennero alla luce durante le varie fasi di scavo che si conclusero con la costruzione di un piccolo museo e la fedele ricostruzione, nel 2006, di un villaggio palafitticolo che mostra gli strumenti e gli attrezzi che adoperavano i nostri antenati. Attualmente ci troviamo, dunque, a pochi kilometri dal celebre Lago di Garda, in Trentino e precisamente sulle rive del Lago di Ledro, uno specchio d’acqua ormai noto soprattutto per i resti di questo suggestivo insediamento palafitticolo risalenti all’età del bronzo, recentemente entrati a far parte del Patrimonio Unesco. Molto più di un semplice polo espositivo, il Museo delle Palafitte di Ledro è una struttura in grado di stimolare la capacità critica dei visitatori, che possono attuare un confronto, unico a livello di arco alpino italiano, fra le conoscenze scientifiche desunte dalla visita dei reperti conservati nel Museo, le sensazioni e le emozioni scaturite dal trovarsi al cospetto del “vero” sito preistorico e infine la possibilità di vedere ed esplorare nella rappresentazione a scala reale un modello ricostruito di palafitta preistorica. Il Museo, infatti, grazie a visite guidate, laboratori didattici e attività organizzate anche per le scuole, permette ad adulti e bambini di scoprire, divertendosi, come vivevano i nostri antenati: nell’ambito del programma di attività estive chiamato “Palafittando”, ad esempio, si costruiscono archi e frecce, si fa merenda con lo sciamano, si creano stoviglie in argilla, si scoprono i segreti della caccia e della pesca e molto altro ancora. Dove si dormiva durante l’età del Bronzo? Come era l’interno di una capanna e come si cuoceva il pane? Dove teneva i suoi attrezzi l’artigiano del metallo e quali erano le attività quotidiane? Dare una risposta a tutte queste domande e scoprire tante altre cose interessanti ed entusiasmanti sarà invece possibile visitando il nuovo Villaggio palafitticolo, situato nel prato antistante il Museo. Una piattaforma lignea a sbalzo sull’alveo del torrente Ponale sostiene le capanne, due di dimensioni contenute e una più grande: una scenografia ideale alla simulazione della preistoria a scopo didattico e divulgativo, adatta a grandi e piccini e soprattutto un’esperienza favolosa, da condividere con tutta la famiglia. INFORMAZIONI MUSEO DELLE PALAFITTE DI LEDRO Via Al Lago - Molina di Ledro tel. 0464 508182 www.palafitteledro.it 7